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![]() COMUNISMO Aspirazione ideale a una convivenza umana basata sulla completa parità fra tutti gli individui e sull'assenza completa della proprietà privata di qualsiasi bene. I numerosi miti dell'"età dell'oro" testimoniano che si tratta di un ideale antichissimo, che trovò infiniti tentativi di realizzazione fin da epoca preistorica. Se ne conoscono esempi soprattutto presso piccole tribù cosiddette primitive, alcune sopravvissute in Polinesia o in Australia, o in comunità ristrette come il mir delle campagne russe di antico regime (fino al 1864). In questi casi tuttavia si escludevano quasi sempre dalla comunità dei gruppi di persone (esemplare il caso delle comunità maschili che includevano le donne tra i beni comuni). L'ideale fu coltivato in sede concettuale e filosofica, con fortissime varianti, presso i greci dai pitagorici e da Platone (IV secolo a.C.), i quali però ne riservavano il godimento ai liberi dando per scontato che anche la società comune idealizzata avrebbe continuato ad avere una base schiavistica. Pratiche comunistiche furono certamente coltivate nelle prime comunità cristiane, influenzate da quelle pitagoriche e dagli esseni, e in quelle monastiche buddhiste. All'interno del cristianesimo un filone pauperistico e comunistico emerse periodicamente in esplosioni di dottrina teologica o addirittura di rivolta sociale, condannate come eretiche e duramente represse dalla Chiesa e dalle gerarchie feudali, come accadde tra XII e XV secolo nei casi di Arnaldo da Brescia, di Gioacchino da Fiore, dei patarini, degli albigesi, di fra Dolcino, dei beghini, dei Fraticelli della vita pura, dei lollardi. Non solo la Chiesa cattolica (che in taluni casi, come quelli degli ordini mendicanti, ammise forme di comunitarietà purché non pretendessero di avere applicazione universale) ma anche le confessioni cristiane riformate repressero duramente ogni velleità comunistica, come avvenne con gli anabattisti tedeschi o con i taboriti boemi (XVI secolo). Né di fatto ebbero miglior fortuna gli esperimenti delle riduzioni, tanto fastidiosi per il colonialismo spagnolo, condotti dai gesuiti con gli indios del Paraguay tra Sei e Settecento. Soltanto in ristretti gruppi che si consideravano contrapposti al resto dell'umanità, come i Fratelli moravi, i mormoni o i quaccheri, poterono sopravvivere, negli Usa, alcuni aspetti comunistici, d'altronde sempre più ridotti col passare del tempo e con i compromessi col mondo esterno. Le utopie disegnate a tavolino da pensatori che tra il XVI e il XVII secolo vollero contrapporre alle contraddizioni sociali del mondo il sogno di nuove società (vedi utopia) non ebbero alcun effetto pratico, ma finirono per far addossare alla proprietà privata la causa fondamentale di ogni ingiustizia sociale. Su questa base, in età capitalistica, dopo la rivoluzione industriale e le esperienze del socialismo utopistico, si sviluppò con Karl Marx (1818-1883) quella corrente di pensiero, definita socialismo scientifico, che per la prima volta pose il comunismo come programma di emancipazione dell'intera società. Di questo obiettivo Marx dette, a distanza di tempo, due descrizioni contraddittorie. Una era ancora la rappresentazione di una sorta d'età dell'oro, senza proprietà e senza stato, cui si sarebbe tornati una volta aboliti i vincoli sociali imposti dal capitalismo e in cui ciascuno avrebbe avuto secondo i suoi bisogni e dato secondo le sue possibilità. L'altra, più matura, definiva invece il comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, trasferendolo quindi dal campo delle finalità supreme a quello della prassi organizzata. Il processo storico di costruzione del movimento operaio e di evoluzione dei partiti socialisti creò in seguito ulteriori confusioni terminologiche. Tramontata definitivamente ogni utopia, con Lenin il comunismo divenne l'obiettivo supremo della concreta rivoluzione politica del proletariato internazionale, che a tal fine doveva organizzarsi in partito. Perciò egli volle dare il nome di comunista a questo partito internazionale (terza Internazionale, 1919), benché ritenesse necessario un periodo anche lungo di transizione socialista a livello mondiale, cui si sarebbe giunti dopo che in ciascun paese capitalista fosse stata imposta, come in Russia dopo la rivoluzione d'ottobre, la dittatura del proletariato. Solo allora sarebbe stata possibile quell'abolizione dello stato che gli anarchici volevano ottenere immediatamente e che invece era da evitare fin tanto che lo stato potesse essere usato allo scopo di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e sradicare l'individualismo. Stalin, con la sua dottrina del socialismo in un solo paese (1927), che per difendere l'Urss rinviava sine die, in contrapposizione con Trockij, la rivoluzione mondiale, fece sfumare ancor più nel mondo dei sogni il comunismo, mentre la diffusione dei partiti comunisti e quindi la creazione in vari paesi, dopo la Seconda guerra mondiale, di regimi da loro diretti rendevano automatica l'applicazione dell'etichetta comunista a realtà che nulla avevano a che vedere con quel sogno e che al massimo, sia pure impropriamente, si potevano definire socialiste (vedi socialismo reale). Nel 1960 il segretario del Pcus N. Chruscëv, del tutto infondatamente, lanciò la parola d'ordine del raggiungimento del comunismo in Urss entro il 1980. Gli eventi drammatici che portarono allo scioglimento dell'Unione sovietica seguirono di poco questa data, annegando nel ridicolo quella profezia e nell'ignominia anche quel nome che milioni di persone in tutto il mondo avevano amato. G. Petrillo |
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