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![]() LENIN, NIKOLAJ (Vladimir Il'iec Ul'janov, Simbirsk 1870 - Gor'kij 1924). Politico russo. Uno dei principali pensatori marxisti, fu il promotore e l'indiscusso leader della corrente bolscevica, l'animatore della rivoluzione d'ottobre e il fondatore dello stato sovietico. Formatosi negli ambienti rivoluzionari populisti, venne a contatto con il pensiero marxista frequentando i circoli operai e socialisti di Pietroburgo, entrando presto in polemica con le posizioni dei populisti e rompendo con essi (Che cosa sono gli "amici del popolo" e come lottano contro la socialdemocrazia, 1894). Confinato in Siberia nel 1897 e costretto all'esilio tre anni dopo, fondò a Monaco il giornale "Iskra" (Scintilla) come organo di battaglia politica e ideologica tra le correnti del Partito operaio socialdemocratico russo. Cominciò così una lunga opera di formazione ideologica: Lenin, schierato su posizioni di sinistra sia nella seconda Internazionale che nel proprio partito, si distingueva per la centralità assegnata all'azione dell'avanguardia politica. Questa doveva guidare le masse proletarie alla conquista del potere politico, anche attraverso forzature, criticando l'attendismo delle socialdemocrazie europee. La formazione dei quadri del partito, la necessità di un'analisi rigorosa della fase politica, l'importanza della rottura rivoluzionaria nella presa del potere politico costituivano i suoi punti cardinali di riferimento (Che fare?, 1902). Su queste posizioni egli condusse un'aspra battaglia interna al Partito socialdemocratico russo, dando vita dal 1903 alla frazione bolscevica. IL PARTITO AVANGUARDIA DELLA CLASSE. Prese forma in quegli anni l'idea leninista del partito come nuova avanguardia della classe operaia: esso doveva essere considerato l'espressione consapevole degli interessi del proletariato industriale e la direzione organizzata delle sue lotte politiche, composto da "rivoluzionari di professione" i cui rapporti erano regolati da una rigida disciplina che subordinava tutti i militanti alle decisioni della maggioranza e che avrebbe assunto il nome di "centralismo democratico". Rientrato in Russia in occasione della rivoluzione del 1905, fu nuovamente costretto all'esilio dal suo fallimento. La sconfitta dell'ipotesi democratica rinsaldò in Lenin la convinzione della necessità di una rottura politica violenta e del ruolo centrale del partito rivoluzionario. La modernizzazione della Russia per lui poteva avvenire solo a opera della classe operaia e della sua avanguardia politica. In questo quadro egli esaltava il ruolo della cultura teorica (cioè il ruolo demiurgico del partito) in contrapposizione sia all'"economicismo" marxista (secondo cui la forza politica deriva automaticamente da quella economica della classe operaia), sia allo "spontaneismo", cioè la subordinazione della lotta politica alla spontaneità delle lotte operaie. Sul piano internazionale Lenin condusse, negli anni precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale, un'aspra battaglia ideologica all'interno della seconda Internazionale, arrivando ad accusarla di tradimento di fronte alla dipendenza che i partiti socialisti europei mostrarono nei confronti dei loro governi allo scoppio della guerra. Contemporaneamente Lenin analizzò quella che considerava una nuova fase dello sviluppo capitalistico, culminante nella politica imperialistica delle grandi potenze e nella guerra. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (come egli lo definì nel 1916), determinava una situazione di progressiva concentrazione monopolistica della produzione, la crisi della libera concorrenza e il predominio del capitale finanziario. Ciò costituiva per Lenin un'ulteriore riprova della non riformabilità del sistema capitalistico, destinato a provocare continue crisi e conflitti, e avvalorava l'ipotesi della necessità di una forzatura politica rivoluzionaria. Il frutto di tutte queste elaborazioni teoriche apparve particolarmente efficace durante la rivoluzione russa del 1917. Lenin, rientrato dall'esilio ginevrino con un vagone ferroviario messogli a disposizione dalle autorità tedesche (e per nulla preoccupato del fatto che costoro, in questo modo, si riproponevano d'avvantaggiarsi militarmente nei confronti della Russia), organizzò e diresse l'insurrezione d'ottobre, imponendola al suo stesso partito. Resosi conto della debolezza dei governi provvisori, delle divisioni e dell'immobilismo di menscevichi e socialrivoluzionari, "costrinse" i bolscevichi (i cui dirigenti, nella quasi totalità, erano contrari all'insurrezione) a forzare militarmente la situazione per raccogliere il malcontento delle masse russe, in particolare di settori operai e dell'esercito che reclamavano la fine della guerra, portando al potere i comunisti che pure erano in minoranza sia nei soviet che nel paese. Attraverso la parola d'ordine dell'insurrezione, tutto il potere ai soviet, Lenin indicava sia una forma di democrazia politica più avanzata rispetto al regime parlamentare borghese, sia uno strumento politico di transizione dal capitalismo al comunismo. LA DITTATURA DEL PROLETARIATO. Assunta la guida del governo, delineò i tratti fondamentali del futuro stato sovietico rilanciando la marxiana dittatura del proletariato come strumento necessariamente coercitivo per attuare la trasformazione dell'apparato statale ereditato dal regime zarista (Stato e rivoluzione, 1917). Dopo aver fondato la terza Internazionale (o Comintern), negli ultimi anni della sua vita, già molto malato, si misurò con i limiti e le contraddizioni della sua stessa metodologia politica, aggravati e messi in risalto dall'isolamento internazionale e dalle difficoltà economiche dell'Urss. Da un lato creò così i presupposti per l'autoritarismo staliniano e la centralità dell'apparato del partito e, dall'altro, venne emarginato da Stalin che approfittò della malattia (emiplegia) che lo aveva colpito nel 1923 per isolarlo dal resto del partito. Il suo testamento politico, in cui criticava Stalin e metteva in guardia il partito dai pericoli della burocrazia e dell'autoritarismo dell'apparato, non venne reso noto per molti anni. Mentre Lenin diventava da morto un elemento di stabilità del regime attraverso una santificazione che egli stesso non avrebbe voluto, Stalin, nel suo nome, procedeva alla progressiva trasformazione in senso autocratico del partito. Il centro del pensiero di Lenin, e l'eredità più rilevante che egli lasciò al movimento comunista internazionale, fu l'indissolubile nesso tra economia e politica: la politica concentrava in sé tutte le tendenze economiche e, contemporaneamente, doveva controllare l'economia. Inoltre egli elaborò un'interpretazione del marxismo che, da un lato, ne accentuò le valenze di sociologia scientifica (in base a questa lettura Il capitale diventava l'opera fondamentale di Marx) e, dall'altro, ne esaltò la portata filosofica assumendolo come modello interpretativo nuovo e autosufficiente. G. Polo |
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