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![]() IMPERIALISMO In generale, tendenza di uno stato o di un popolo ad acquisire il dominio e il controllo politico o economico, diretto oppure indiretto, su un altro stato o su un altro popolo. DAL COLONIALISMO ALL'IMPERIALISMO. Più specificamente s'intende l'indirizzo tipico degli stati che si trovavano nella fase di grande espansione del capitalismo soprattutto a partire dagli anni ottanta dell'Ottocento. Il termine trae infatti origine dall'assetto "imperiale" dato dal 1877 dalla Gran Bretagna alle relazioni con i possedimenti coloniali, quando la regina Vittoria assunse il titolo di "imperatrice delle Indie". Nel periodo compreso tra l'ultimo ventennio dell'Ottocento e la Prima guerra mondiale, che già i contemporanei definirono "età dell'imperialismo", l'espansione coloniale procedette a un ritmo assai più rapido che nel passato, determinando gli orientamenti delle relazioni diplomatiche e delle alleanze tra gli stati ed esercitando un peso senza precedenti anche nella politica interna dei singoli paesi. Ampi riflessi si ebbero nel mondo della cultura e sull'opinione pubblica, presso le quali le tendenze espansive degli stati alimentarono ideologie nazionaliste xenofobe e razziste che caratterizzarono ampia parte della società europea e ne furono alimentate. La definizione storiograficamente accettata di imperialismo non è quindi da ricondursi solo alla vastità dell'espansione coloniale, ma alle modalità di questo processo e alle sue implicazioni sociali anche all'interno dei paesi imperialisti. Infatti, nel periodo immediatamente precedente all'età dell'imperialismo, le maggiori potenze coloniali (Regno unito, Spagna, Portogallo, Francia, Paesi bassi) non avevano certo interrotto la loro espansione e anzi, tra il 1800 e il 1878, si erano assicurati territori extraeuropei per oltre 17 milioni di km, contro i 22 milioni (un quarto circa della superficie terrestre) che gli stati imperialisti si spartirono dagli anni ottanta al 1914. Il "nuovo" imperialismo fu soprattutto una spartizione del mondo pianificata tra le potenze che, a cominciare dal congresso di Berlino (1884-1885) risolsero tendenzialmente per via diplomatica i conflitti sorgenti dall'espansione coloniale. Gli imperialismi furono comunque profondamente diversi tra loro, oltre che per le direttrici d'espansione, anche per le modalità di acquisizione e di gestione del dominio, il che avrebbe pesantemente influenzato anche tappe e modalità della decolonizzazione nel secondo dopoguerra. L'imperialismo inglese, che si innestava su un vasto dominio coloniale, frutto di un'esperienza secolare, ebbe un'articolazione quasi planetaria. Motivi strategici (il dominio dei mari) spinsero nel corso dell'Ottocento all'acquisizione di una catena di piazzeforti marittime che collegasse i domini britannici: Gibilterra, Malta, Suez, Aden, Città del capo, Singapore, Seychelles, Figi, Falkland e altre ancora. Tra il 1882 e la Prima guerra mondiale la Gran Bretagna assunse il controllo di vasti territori in Africa (Egitto, Sudan, Kenia, Nigeria, Rhodesia, il cono meridionale del continente più altri territori sparsi); incentivò il popolamento nelle colonie d'Australia e Nuova Zelanda (il cui possesso fu rafforzato nella prima metà dell'Ottocento) e nel Sudafrica, completò la sottomissione del subcontinente indiano. Gli inglesi adottarono modelli di gestione coloniale molto articolati: le colonie di popolamento (cioè meta di emigrazione dalla madrepatria) abitate prevalentemente da bianchi (come Canada, Australia, Nuova Zelanda) furono presto avviate verso l'autonomia amministrativa e l'autogoverno, mentre nei domini abitati soprattutto da indigeni si introdussero forme di governo indiretto di tipo autoritario-paternalistico che non sopprimevano gli istituti indigeni, ma li utilizzavano affidandoli direttamente o indirettamente a funzionari inglesi. La Francia non realizzò, invece, grosse colonie di popolamento e si mosse soprattutto per questioni di prestigio, conquistando tra il 1830 e la Prima guerra mondiale la quasi totalità dell'Africa occidentale e il Madagascar e formando nel 1887 l'Unione indocinese (penisola Indocinese). L'amministrazione francese fu caratterizzata da forme di gestione diretta e autoritaria delle colonie. Italia e Germania entrarono nella gara imperialista con un certo ritardo e si mossero soprattutto per ragioni di prestigio. La Germania si orientò, nei tardi anni ottanta, verso l'Africa centrorientale (Camerun, Tanganica). L'Italia si indirizzò verso il cono etiopico dal 1885 e occupò una prima volta la Libia nel 1911-1912; solo durante il fascismo maturò una più decisa politica imperialistica (riconquista della Libia, 1922-1932; Etiopia, 1935-1936; proclamazione dell'impero, 1936), in una fase, però, in cui le relazioni tra le grandi potenze non erano più imperniate sull'accordo per la spartizione colonialista del mondo. Tarda fu anche l'espansione imperialistica del Giappone, che si realizzò a spese della vasta periferia dell'impero cinese (Corea), mentre le antiche potenze coloniali di Spagna e Portogallo restarono alla fine dell'Ottocento spogliate di gran parte del loro impero. IMPERIALISMO E ANTIMPERIALISMO. Una forma particolare di imperialismo fu quella attuata sin dall'Ottocento dagli Stati Uniti, che all'occupazione dei territori preferirono la "diplomazia del dollaro", vale a dire la creazione di una egemonia nel contempo economica e militare su tutto il continente americano (con l'esclusione del Canada), realizzata attraverso la penetrazione delle grandi società commerciali statunitensi che giunsero a esercitare un pesante controllo, in parte tuttora esistente, su gran parte dell'America latina. Tra le potenze imperialistiche, seppure in posizione in qualche modo "anomala", devono essere compresi anche l'impero russo, che assoggettò nel corso dell'Ottocento numerose popolazioni nomadi dell'Asia orientale e centrale, e il Belgio, che nel 1908 acquisì ufficialmente il Congo, dopo quindici anni di sfruttamento, sotto forma di proprietà privata della corona, delle ricche risorse minerarie di quell'ampia area equatoriale, dove era stato introdotto il lavoro forzato degli indigeni. Nell'individuazione delle cause dell'imperialismo rimangono in buona parte valide le interpretazioni emerse sin dagli inizi del Novecento per opera del liberale inglese John Hobson (e sviluppate più tardi, in un'ottica diversa, da Lenin), che stabilivano un nesso specifico tra sviluppo del capitalismo nelle aree forti ed espansione verso le periferie. L'obiettivo dei paesi imperialisti non era però soltanto la ricerca di nuovi mercati o di nuove aree di investimento (infatti rimase sostanzialmente ridotta l'incidenza dei rapporti economici tra le metropoli e le nuove colonie), quanto piuttosto la volontà di mantenere in condizioni di subordinazione i paesi arretrati per controllare le fonti di materie prime. Ugualmente importanti furono, inoltre, le necessità strategico-militari delle potenze, e non ultima la volontà di deviare le tensioni sociali verso una forzata azione espansionistica. A partire dagli anni sessanta del XX secolo il termine imperialismo divenne sinonimo di un più generico espansionismo egemonico per qualificare la politica aggressiva, sia sul piano economico che militare, delle grandi potenze nei riguardi particolarmente dei paesi del terzo mondo. Il termine assunse, così, una nuova valenza in opposizione al suo contrario, l'antimperialismo, denominazione attribuita alla politica caratteristica dei movimenti di liberazione nazionale nel periodo della lunga decolonizzazione del secondo dopoguerra in Asia, o riferita ai fermenti rivoluzionari dell'America latina contro governi nazionali vittime della rediviva "diplomazia del dollaro" statunitense. Tali nuovi significati furono quindi fatti propri e diffusi dai movimenti pacifisti americani degli anni sessanta in opposizione alla guerra del Vietnam e quindi anche dalle sinistre europee, poco propense peraltro a definire imperialistiche analoghe operazioni militari compiute dall'Urss (invasione dell'Afghanistan nel 1979-1989, ma anche dell'Ungheria nel 1956 e dalla Cecoslovacchia nel 1968). Nei vari contesti dello scacchiere internazionale a cui è riferito, il concetto di imperialismo finì quindi per assumere un significato estremamente vago e politicamente orientato: movimenti di liberazione, regimi e anche organizzazioni terroristiche di impronta nazionalistica, o marxista, o più genericamente populista, fecero della lotta a un imperialismo genericamente definito la bandiera del proprio schieramento antistatunitense e la chiave di volta per ottenere l'appoggio dell'Unione sovietica. Il dissolvimento dell'Urss, principale fautrice e finanziatrice dell'antimperialismo in funzione anti Usa, potrebbe preludere a ulteriori modificazioni di senso della diade imperialismo/antiperialismo; per esempio già le invasioni dell'isola di Grenada (1983) e di Panama (1989) a opera delle truppe statunitensi non diedero luogo da parte sovietica a significative contromisure alla politica imperialistica degli Usa, né nei paesi occidentali si sviluppò una importante ondata di protesta antimperialistica. La nuova fase internazionale rende invece prevedibile il recupero del significato di imperialismo come sopraffazione culturale, prima ancora che economica, di culture più di altre lontane dai modelli di vita dei paesi a capitalismo avanzato; in questo senso è da considerarsi l'attacco "antimperialistico" contro la cultura occidentale nel suo complesso lanciato dall'Iran a partire dalla rivoluzione islamica del 1979, e fatto proprio da ampi settori dell'integralismo musulmano mediorientale e nordafricano. M. Soresina ![]() G. Carocci, L'età dell'imperialismo, (1870-1918), Il Mulino, Bologna 1979; G. De Bosschère, I due versanti della storia. 1° Storia della colonizzazione, 2° Storia della decolonizzazione, Feltrinelli, Milano 1972-1973; T. Kemp, Teorie dell'imperialismo. Da Marx a oggi, Einaudi, Torino 1969; V.G. Kiernan, Eserciti e imperi. La dimensione militare dell'imperialismo europeo. 1815-1960, Il Mulino, Bologna 1985; W.J. Mommsen, L'età dell'imperialismo, (Storia universale Feltrinelli, vol. 28), Feltrinelli, Milano 1970. |
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