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![]() ITALIANA, REPUBBLICA Organismo statale democratico sorto in Italia in seguito al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, in cui una ristretta maggioranza assoluta impose la fine della monarchia dei Savoia, concludendo così il processo di liberazione dalle istituzioni del regime monarchico-fascista che aveva portato alla tragedia della guerra e dell'occupazione straniera. Il paese ne era uscito devastato e diviso ancor più nettamente in due, tra il nord sviluppato e che aveva vissuto la Resistenza, nettamente repubblicano, e il sud, arretrato e fortemente condizionato dalla lunga occupazione angloamericana (1943-1945), nettamente monarchico. CENTRISMO E GUERRA FREDDA. Col referendum fu eletta anche l'Assemblea costituente nelle prime elezioni a suffragio universale maschile e femminile della storia italiana, prima verifica, su base proporzionale, della rappresentatività dei partiti. Essi risultarono godere di un seguito di massa reale ma che non rifletteva il ruolo effettivamente svolto da ciascuno nella lotta antifascista. La Democrazia cristiana si rivelava il primo partito, con una capillare presenza soprattutto nelle valli prealpine e nelle campagne venete e del meridione, seguita dal Partito socialista (sostenuto dai braccianti del nord e da nuclei di proletariato e di piccola e media borghesia urbana). Terzo era il Partito comunista, fortissimo tra i mezzadri dell'Italia centrale, tra i braccianti pugliesi e padani e nelle cinture operaie delle città industriali. Seguito molto minore avevano i partiti storici prefascisti come il liberale e il repubblicano. L'esito elettorale dell'altro grande organizzatore della lotta antifascista, il Partito d'azione, risultò invece bassissimo. La Costituente varò entro il 1947 una Costituzione tra le più avanzate del mondo, frutto di uno sforzo comune che resse anche alla drammatica rottura della coalizione antifascista al governo fin dal 1944. L'Italia fu infatti, con la Francia, uno dei paesi europei al cui interno si ripercosse più duramente (anche se meno drammaticamente che in Germania) la spaccatura della guerra fredda, intrecciata con il tumultuoso processo di riconversione e di sviluppo economico che portò in un decennio dalla ricostruzione al miracolo economico: intensa crescita economica, forte conflittualità operaia e contadina, radicale contrapposizione ideologica tra le forze politiche. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, che videro una schiacciante vittoria elettorale della Dc e delle forze moderate, si aprì la stagione del centrismo (19481953), durante la quale venne realizzata la riforma agraria in direzione della formazione della piccola proprietà contadina, che diventava così una delle più solide basi di massa della Dc; venne istituita la Cassa del Mezzogiorno, per canalizzare l'intervento pubblico nel sud; si affermò la definitiva collocazione dell'Italia nello schieramento atlantico con l'adesione alla Nato. Il fallito tentativo di modificare in senso maggioritario la legge elettorale con la cosiddetta legge truffa segnò la fine di questa formula politica. Seguirono diversi anni di instabilità politica durante i quali si affermò la figura politica di A. Fanfani, dal 1954 segretario della Dc, intenzionato a trasformarla in un efficiente partito di massa e a farne un centro di potere in grado di controllare l'industria pubblica, le alte burocrazie dello stato e i nuovi mezzi di comunicazione di massa (nel 1954 infatti cominciò a diffondere i suoi programmi la televisione, controllata direttamente dallo stato tramite l'Iri). Consapevole dei limiti del centrismo, Fanfani operò per estendere ai socialisti l'alleanza di governo, con l'obiettivo di spostare più a sinistra gli equilibri politici e nel contempo di isolare il Pci. DAL CENTROSINISTRA ALLA SOLIDARIETÁ NAZIONALE. Favorito dalla distensione internazionale, dal 1956 il riavvicinamento tra Dc e socialisti (dissanguati dalle sconfitte elettorali, dalla riuscita concorrenza di un Pci duttile e ben organizzato e dalla scissione del Psdi) condusse ai governi di centrosinistra (1962-1968), mentre in pochi anni la società veniva scossa dalle fondamenta dall'industrializzazione, dall'urbanizzazione, dal trasferimento di milioni di persone dal sud al nord e dalle campagne alle città, dall'innalzamento dei redditi, dalla diffusione dei consumi di massa e della coscienza democratica. Questo processo incontrò resistenze fortissime: all'interno delle strutture dello stato, dove per opportunità politica si era operato uno scarsissimo rinnovamento delle alte burocrazie amministrative, giudiziarie e militari, formatesi durante il fascismo; nella Chiesa, in cui nemmeno il vento di rinnovamento del concilio Vaticano II riuscì a spezzare il predominio sostanzialmente conservatore; e, soprattutto, nei gruppi di potere del vecchio sistema industriale oligopolistico, minacciato direttamente dalle nazionalizzazioni dell'energia elettrica e delle comunicazioni e dal gonfiamento dell'industria di stato. Il tentativo di opporsi al centrosinistra da parte di queste forze che trovavano nella destra democristiana il loro punto di forza si materializzò inizialmente con il governo Tambroni, un esecutivo esclusivamente democristiano, che trovò l'appoggio del partito neofascista Msi. Travolto dalla mobilitazione delle forze di sinistra e democratiche, il governo Tambroni fu costretto a dimettersi e Fanfani fu chiamato a dirigere un esecutivo dichiaratamente aperto al Psi. Successivamente le resistenze allo sforzo modernizzatore del centrosinistra si coagularono anche in torbide trame eversive, la più pericolosa delle quali fu il tentato colpo di stato organizzato dal generale De Lorenzo con l'appoggio dei servizi segreti. Questa cupa sequenza di episodi sanguinosi si intensificò dalla fine degli anni sessanta quando la fine del ventennale ciclo espansivo che aveva retto la più intensa stagione di sviluppo economico della storia italiana e l'esplodere di una intensa stagione di conflittualità sociale, estesasi dalle fabbriche alle università, avevano accelerato la fine dell'esperienza del centrosinistra. L'intreccio perverso di terrorismo politico di sinistra (Brigate rosse, Prima linea) e neofascista, con l'azione eversiva di gruppi di pressione (P2) in collegamento con apparati deviati dello stato, e l'azione destabilizzante della criminalità organizzata (mafia, 'ndrangheta, camorra), protetta da componenti del sistema politico, alimentò una vera e propria "strategia della tensione" che impedì quel fisiologico ricambio del ceto politico proprio di ogni matura democrazia. I fatti di sangue che seguirono il Sessantotto studentesco e l'"autunno caldo" (1968-1969), tra cui spiccano la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1968), l'attentato al treno Italicus (4 agosto 1974), la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974), il rapimento di Aldo Moro (16 marzo 1978) e la strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980) esprimevano tragicamente la dimensione profonda della crisi del sistema politico italiano, paralizzato dal sistema delle relazioni internazionali, che impediva l'alternanza tra maggioranza e opposizione alla guida del paese, perché l'opposizione era rappresentata dal Pci, ancora legato al blocco comunista, e dalla lentezza con cui il maggior partito dell'opposizione, il Pci appunto, stava evolvendo nella direzione di un moderno partito socialdemocratico. Di fronte a questo stallo il segretario del Pci, E. Berlinguer, nel 1973 lanciò la proposta del "compromesso storico" tra comunisti, socialisti e cattolici, per difendere la democrazia e rinnovarla profondamente. Dopo il successo elettorale del Pci alle elezioni politiche del 1975 (34,5% dei suffragi), Aldo Moro sembrò raccogliere la proposta comunista postulando la necessità di aprire una "terza fase" nella storia della repubblica, basata sulla piena legittimità democratica del Pci e sulla possibilità di un incontro tra comunisti e cattolici alla guida del governo. L'assissinio di Moro (1978) da parte delle Brigate rosse chiuse tragicamente questa breve stagione e portò alla rapida consunzione dei governi di "unità nazionale", monocolori democristiani guidati da G. Andreotti, sostenuti in parlamento anche dal Pci. Questi governi avevano avuto il merito di consentire un'efficace lotta alla criminalità politica e di raffreddare l'inflazione, che in quegli anni di profonda crisi economica, aveva sgretolato il potere di acquisto dei redditi più bassi e fatto salire enormemente il debito pubblico. Nel 1979 cadde il quarto governo Andreotti e dalle elezioni politiche anticipate uscirono un Pci ridimensionato, una Dc indebolita ma stabilmente partito di maggioranza relativa e un Psi, guidato dal nuovo segretario B. Craxi, in ascesa. Si erano così create le condizioni per il ritorno a una nuova fase di governi di centrosinistra, fondati sull'alleanza tra la Dc e il Psi, che avrebbero diretto il paese per un altro decennio. Si chiudevano così gli anni settanta, tra i più sofferti della storia della repubblica; dietro la violenza e le convulsioni del sistema politico erano emersi i nodi irrisolti della democrazia italiana: la crisi economica aveva accelerato la rottura di quel "patto per lo sviluppo" fondato sulla convergenza conflittuale tra grande impresa privata, industria di stato, grandi organizzazioni sindacali e partiti di massa che aveva sorretto la fase di espansione del lungo "miracolo economico"; la modernizzazione della società, che aveva dato grandi prove di maturità civile conquistando il diritto al divorzio e all'interruzione consapevole della gravidanza, abolendo i manicomi, si scontrava con un sistema politico "bloccato", senza ricambio fisiologico dei gruppi dirigenti: una "democrazia bloccata" che aveva dato vita a un sistema politico in cui l'intreccio e la sovrapposizione tra i partiti e le istituzioni pubbliche era diventato sempre più pervasivo. GLI ANNI OTTANTA: LA LUNGA CRISI DELLA REPUBBLICA. Il nuovo decennio si aprì con due fatti emblematici: la ricostituzione di un governo organico di centrosinistra presieduto dal democristiano Arnaldo Forlani, programmaticamente chiuso a una convergenza con il Pci; la cocente sconfitta subita dalla Cgil dopo l'occupazione della Fiat da parte dei lavoratori per opporsi ai licenziamenti. Essi segnalavano il declino incipiente del più grande partito comunista dell'Occidente e della classe operaia sindacalizzata delle grandi fabbriche, che ne aveva costituito la più solida base di massa. Per superare la gravissima crisi economica, anche in Italia l'intero assetto del sistema produttivo fu sottoposto a una radicale riconversione e riorganizzazione fondata sul decentramento produttivo, sulla crescita di nuovi settori produttivi legati all'informatica, alle alte tecnologie, alle comunicazioni, ai servizi, mentre si ridimensionavano comparti più tradizionali come la siderurgia, la meccanica, il tessile, soppiantati dalla concorrenza di nuovi paesi industrializzati. La grande fabbrica meccanizzata che aveva dato vita alla formazione del proletariato industriale fu sostituita da unità produttive più piccole e duttili, mentre il centro del sistema economico si spostava dal "triangolo industriale" ai nuovi distretti manufatturieri del nordest e dell'Italia centrale. La ripresa economica, che cominciò a farsi intensa a metà degli anni ottanta, si combinò a un vasto processo di deindustrializzazione che cambiò la fisionomia stessa del paesaggio economico dell'Italia: una trasformazione profonda che determinò un mutamento nella composizione sociale, nella struttura demografica (caratterizzata dalla caduta della natalità), nei consumi e nei costumi collettivi. Lo sviluppo economico alimentò quindi una fase di intensa modernizzazione di cui si volle fare interprete soprattutto il Psi diretto da B. Craxi, che nel 1983 assunse la presidenza del consiglio dando vita all'esecutivo di più lunga durata di tutta la storia repubblicana (1983-1987). Nonostante alcuni successi in campo economico (lotta all'inflazione) e in campo internazionale, il governo Craxi non riuscì ad affrontare la riforma dello stato del sistema politico resa indispensabile dalla gravità della crisi italiana. I costi di una macchina amministrativa inefficiente, corporativa e clientelare, combinati a tassi di inflazione elevati fecero lievitare il debito pubblico a cifre elevatissime, pregiudicando l'azione del governo e la stessa stabilità politica. Al governo Craxi fecero seguito il governo De Mita (1987-1989) e due governi Andreotti (1989-1992); governi deboli e inefficienti che mettevano a nudo il logoramento della formula politica su cui si reggevano e dell'intera classe politica. Lo scollamento tra governo e governati era ormai evidente e si manifestò anche nel successo elettorale di una nuova formazione politica, la Lega nord, espressione della frattura insanabile tra le forze produttive delle aree più ricche del paese e lo stato centralista e clientelare. Le elezioni del 1992, precedute da un referendum elettorale che ridusse a una le preferenze esprimibili per i candidati alla Camera dei Deputati, scossero dalle fondamenta il vecchio sistema politico, sul quale si abbatté come un uragano l'azione giudiziaria contro i reati di corruzione, che coinvolsero tutti i massimi esponenti dei partiti di governo (vedi tangentopoli). Un sistema politico durato cinquant'anni era ormai giunto alla fine, non uno dei grandi partiti di massa che avevano fondato la repubblica era sopravvissuto: il Psi e la Dc erano travolti dagli scandali; il Pci, colpito dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del comunismo, si era sciolto dando vita a due partiti, il Partito democratico della sinistra guidato da A. Occhetto e il Partito della Rifondazione comunista diretto da A. Cossutta; gli stessi partiti minori (Pri, Psdi, Pli) sparirono dalla geografia politica italiana. La riforma del sistema elettorale, voluta dai cittadini attraverso un referundum (18 aprile 1993) e realizzata dal governo presieduto da Carlo A. Ciampi, segnò il passaggio a una nuova fase della repubblica i cui tratti restano ancora da definire. In tale contesto si avvicendarono i governi guidati da Giuliano Amato (1992-93) e Carlo A. Ciampi (1993-94) che si impegnarono per il risanamento dei conti pubblici (accordo sul contenimento dei salari, avvio delle privatizzazioni delle imprese statali) e sul fronte istituzionale con una nuova legge elettorale che, recependo le indicazioni del referendum del 18 aprile 1993, istituì il sistema maggioritario. Le elezioni del marzo 1994 videro la partecipazione e l'affermazione di un nuovo movimento politico, fondato l'anno precedente dall'imprenditore Silvio Berlusconi con l'intento di raccogliere il voto moderato rimasto orfano di partiti come la Dc e il Psi. Berlusconi divenne capo di un governo sostenuto in parlamento da una maggioranza che andava dagli ex-democristiani del Ccd, al movimento post-fascista di Alleanza nazionale, alla Lega nord guidata da Umberto Bossi. Fu proprio quest'ultima nel dicembre 1994 a far mancare l'appoggio a Berlusconi, costringendolo alle dimissioni. L'incarico di formare un nuovo governo fu quindi affidato a Lamberto Dini (gennaio 1995), già ministro del Tesoro del governo Berlusconi. Si trattò di un governo tecnico, sostenuto da una maggioranza di centro-sinistra, che impostò una efficace politica di riaggiustamento economico (riforma del sistema previdenziale). Le elezioni dell'aprile 1996 furono vinte dallo schieramento del centro-sinistra, presentatosi unito sotto la sigla dell'Ulivo e con alla guida Romano Prodi. Questi, divenuto presidente del consiglio, impostò una politica di riforme strutturali che permisero all'Italia di rientrare nei limiti fissati dall'Unione europea per l'adesione al progetto di moneta unica (maggio 1998). Nell'ottobre 1998 il governo Prodi perse però l'appoggio del Partito della Rifondazione comunista e fu costretto a dimettersi. Gli successe un nuovo governo di centro-sinistra guidato dal leader dei Democratici di sinistra, Massimo D'Alema, e sostenuto da una frazione del Ccd (costituitasi in Udr e poi in Udeur). Questi si distinse per un forte impegno in politica internazionale (Kosovo, Timor Est), e per una serie di profonde riforme in politica interna (decentramento amministrativo, pubblica amministrazione, scuola e sanità). Le forti contraddizioni interne alla coalizione di governo lo indussero però a una prima crisi (dicembre 1999), alla formazione di un D'Alema bis, e quindi a una crisi definitiva (aprile 2000) in seguito alla grave sconfitta elettorale subìta alle elezioni regionali. Un nuovo governo guidato da Giuliano Amato assunse allora il compito di "traghettare" il paese fino alla conclusione della legislatura nell'aprile 2001. ![]() P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica, 1943-1988, Einaudi, Torino 1989; S. Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, Marsilio, Venezia 1992. |
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