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EUROPA
Nome denotante originariamente la Grecia centrale;
esteso poi a tutta la Grecia, verso il 500 a.C. passò a indicare
tutto il continente. Il confine naturale tra Europa e Asia fu generalmente
identificato nel fiume Don. Nell'antichità, se si escludono le regioni
più settentrionali come la Scandinavia, i territori del continente
erano praticamente tutti conosciuti, ma il baricentro della civiltà
era il Mediterraneo. La nozione di Europa cominciò a essere applicabile
a un sistema di civiltà con caratteri propri soltanto dopo la dissoluzione
dell'unità mediterranea, per secoli base dell'impero romano. Questo
spostamento d'asse avvenne fra il V e l'VIII secolo grazie a quattro fattori.
Il primo fu costituito dalle invasioni barbariche. Esse ebbero conseguenze
etnolinguistiche irreversibili solo alla periferia dell'impero (oltre che
nella meno romanizzata Britannia, nei paesi fiamminghi, in Renania e nelle
province che corrispondono in parte alle attuali Baviera, Svizzera e Austria),
ma mutarono profondamente le strutture giuridiche del mondo romano e contribuirono
ad accelerare la ruralizzazione di quelle economiche e sociali. Il secondo
fu il progressivo allontanamento religioso e culturale del mondo greco-bizantino
da quello latino, rivelatosi nel fallimento della riunificazione promossa
da Giustiniano e nei continui conflitti teologici dei quali lo scisma d'Oriente
(1055) costituì una tardiva presa d'atto. Il terzo fattore fu l'espansione
religiosa e politica dell'Islam, che fece passare gran parte del Mediterraneo
sotto il controllo arabo e contribuì a ridurre i rapporti fra l'impero
d'Oriente e l'Occidente latino. Il quarto fattore furono le conquiste dei
franchi e di Carlo Magno, che crearono di fatto una nuova area geopolitica
estesa da Aquisgrana a Roma e da Barcellona all'Elba e al medio Danubio
pannonico.
LA RESPUBLICA CHRISTIANA. Il confronto tra le frontiere dell'impero
romano e quelle dell'impero carolingio mostra il grande cambiamento avvenuto.
Nel primo si era realizzata attraverso il Mediterraneo una continuità
di civiltà che andava dalla Spagna e dalla Sicilia all'Africa mediterranea
e alla Siria, mentre al di là del limes renano-danubiano cominciava
il mondo della barbarie. Il secondo aveva annesso con la conquista e la
cristianizzazione la regione fra Reno ed Elba, ma si era dovuto arrestare
di fronte a due frontiere meridionali, quella con la Spagna araba e quella
dell'Italia del sud, ancora a lungo punto di scontro fra bizantini e arabi.
La Spagna restò un'area di frontiera fino al XIII secolo e soltanto
molto oltre questa data Gibilterra divenne un preciso confine fra Europa
e Islam. Quanto all'Italia meridionale, nel X e XI secolo vi fallirono i
tentativi di espansione degli imperatori tedeschi della dinastia di Sassonia;
la conquista riuscì poi ai normanni, che tuttavia rivolsero il regno
di Sicilia piuttosto verso il Mediterraneo e l'impero bizantino che verso
l'Europa. Dopo Carlo Magno lo sviluppo dell'Europa avvenne in due forme,
una esterna e l'altra interna. La prima riguardava il mondo slavo che si
era venuto costituendo nei secoli VI e VII a oriente dell'Elba e nell'area
danubiano-balcanica e verso il quale nel IX secolo l'Occidente cattolico-carolingio
agì in concorrenza con l'Oriente ortodosso-bizantino. L'evento chiave
fu costituito dallo stanziamento degli ungari (895) nella regione che da
loro prenderà il suo nome. Essi si incunearono fra gli slavi settentrionali
(polacchi, boemi) e quelli meridionali (serbi e bulgari slavizzati): i primi
restarono nell'area di influenza della Chiesa romana e dell'impero, i secondi
furono cristianizzati (insieme ai russi) dall'impero bizantino. La vittoria
di Ottone I a Lechfeld (955) pose fine alle scorrerie ungare in Germania
e in Italia e fu seguita dal primo tentativo, prevalentemente militare,
di espansione tedesca a est, ma i principi di Polonia e di Ungheria si convertirono
al cattolicesimo e si fecero dare dal papa la corona di re, mantenendo così
la loro indipendenza religiosa e politica. Nello stesso periodo avveniva
l'ingresso nella cristianità occidentale dei danesi e degli altri
popoli scandinavi. Consolidatasi nei decenni intorno al Mille, l'Europa
in principio coincise con la cristianità (occidentale) e fu retta
da un duplice principio religioso e politico, del quale gli imperatori cercarono
di essere l'unico vertice, finché la rivoluzione della Riforma gregoriana
e della lotta per le investiture sottrasse la Chiesa al controllo imperiale.
Intanto cominciava lo sviluppo interno dell'Europa, con la colonizzazione
di vaste zone in precedenza occupate da boschi e paludi e con la comparsa
simultanea dell'Europa dei villaggi, delle rotazioni triennali e dei mulini
(rivoluzione agricola) e delle città.
Una nuova fase dello sviluppo esterno dell'Europa fu un proseguimento della
crescita demografica, agricola e commerciale dell'XI secolo.
IL CONSOLIDAMENTO DOPO IL MILLE. Riprendeva dopo il 1100 la spinta
tedesca a est, nella forma della colonizzazione della vasta area fra Elba
e Oder, accompagnata e protetta dalle armi dei cavalieri teutonici e proceduta
nel XIII secolo nell'area baltica, dalla Prussia orientale alla Livonia.
La nascita di una civiltà rurale in Germania orientale e di un urbanesimo
commerciale nel Baltico furono solide acquisizioni europee, mentre soltanto
effimera si rivelò la creazione delle colonie dei crociati in Palestina
(Regno di Gerusalemme), sopravvissute assai precariamente per meno di un
secolo. Le crociate furono in gran parte un episodio della storia dell'Oriente
mediterraneo, mentre la simultanea decadenza araba e bizantina nella seconda
metà dell'XI secolo ebbe invece immediate conseguenze sulla storia
europea, perché consentì al commercio di lusso controllato
dalle città italiane (Pisa, Genova, Venezia) di saldare il Mediterraneo
con l'Europa continentale. L'ulteriore sviluppo interno dell'Europa passò
allora attraverso le vie commerciali terrestri che unirono, tramite le fiere
dello Champagne, i due grandi sistemi urbani sorti alle sue estremità,
quello fiammingo-renano a nord e quello dell'Italia centrosettentrionale
a sud. L'apertura dei valichi alpini nel corso del XIII secolo intensificò
i traffici intereuropei e consentì nel XIV lo sviluppo di nuovi poli
urbani in Germania meridionale (Francoforte, Norimberga) e orientale (Lipsia,
Praga), a loro volta connessi con i commerci del Baltico dominati dalla
lega anseatica. Il massimo sviluppo dell'Europa medievale commerciale e
urbana fu raggiunto nei primi decenni del XIV secolo in coincidenza con
l'apertura di una nuova rete di comunicazioni fra il Mediterraneo e l'Europa,
la via marittima, più rapida ed economica, che unì Genova
e poi Venezia al mare del Nord. Mentre si facevano più fitte le maglie
del sistema urbano-commerciale, per altri aspetti l'espansione europea stava
raggiungendo i suoi limiti.
LE INDIVIDUALITÁ NAZIONALI E LA CONQUISTA DEL MONDO. Su un'Europa
fortunosamente sottrattasi alle invasioni mongole, e nella quale la tensione
fra popolazione e risorse si stava facendo grave, cadevano in successione
carestie ed epidemie (peste); e mentre si chiudeva
la "frontiera interna" (con l'arrestarsi dei dissodamenti per la prossima
rottura dell'equilibrio campi-boschi) si chiudeva anche la frontiera esterna,
allorché la potenza dell'ordine teutonico dovette arrestarsi di fronte
al regno di Polonia-Lituania che aveva fatto sue le immense e disabitate
distese dell'Ucraina. Compariva allo stesso tempo una nuova minaccia dal
sud dei Balcani, i turchi ottomani, la cui espansione in Europa, cominciata
nel 1354 (presa di Gallipoli), proseguì fino alla conquista di gran
parte dell'Ungheria. Il rinnovato spirito di crociata contro gli ottomani
diede luogo solo a catastrofi, da Kosovo (1389) a Mohàcs (1526),
mentre dall'episodio apparentemente marginale della conquista portoghese
di Ceuta (1415) derivarono le premesse dell'espansione europea sugli oceani
e della formazione dei grandi imperi coloniali. Una svolta decisiva fu impressa
dalle scoperte geografiche dei portoghesi Bartolomeo Diaz (1487) e Vasco
da Gama (1498), i quali avevano individuato, doppiando la punta dell'Africa,
la rotta per collegare l'oceano Atlantico all'oceano Indiano, grazie alla
quale fu sottratto all'impero ottomano il monopolio del controllo dei traffici
con l'Oriente. L'espansione della potenza ottomana nei Balcani meridionali
minacciava infatti il controllo veneziano sui mercati dell'estremo Oriente.
Dal 1521 i turchi occuparono del resto buona parte dell'Ungheria, giungendo
alle porte di Vienna. Da questa espansione l'Europa fu fortemente condizionata
fino alla fine del XVII secolo. Mentre le scoperte geografiche (anche quella
di Cristoforo Colombo) non giungevano ancora a modificare la realtà
della vita europea, questa venne percorsa nel Cinquecento da lunghe guerre
e complessi intrecci dinastici, matrimoni e alleanze, con il rafforzamento
delle grandi monarchie dal punto di vista dell'assetto territoriale e dell'amministrazione
interna. Per il suo apparato burocratico si distinse soprattutto la Francia
dei Valois, dove veniva esautorata la nobiltà feudale. Analogo processo
di accentramento, anche se meno imponente, si ebbe nell'Inghilterra dei
Tudor con l'istituzione della Camera stellata, consiglio ristretto del re.
In Italia piccoli stati regionali, quali quelli milanese, veneziano e fiorentino,
avevano raggiunto un grado avanzato di organizzazione politica e sociale
fin dalla metà del Trecento, distanziandosi in questo senso dalle
realtà politiche rappresentate dai possedimenti del papa e dai regni
di Napoli e di Sicilia. L'elezione al trono imperiale di Carlo V (23 ottobre
1520), figlio di Filippo I d'Asburgo e di Giovanna di Spagna, erede di molte
dinastie, concentrò nelle mani di una sola persona un complesso di
stati senza precedenti, dai Paesi bassi al Perù, costituendo una
minaccia per l'equilibrio europeo e provocando un aspro conflitto con il
re di Francia Francesco I, appoggiato dall'Inghilterra e dagli ottomani.
In questa fase di conflittualità si innestò la frattura religiosa
dell'Europa cristiana, con la contrapposizione tra la Riforma, avviata da
Martin Lutero, e la Chiesa di Roma, contestata nel suo dominio temporale
e nel suo rilassamento morale. Si aprì così un lungo periodo
di guerre di religione (1521-1598) in Europa e soprattutto in Francia non
sufficientemente arginato né dal relativo equilibrio raggiunto con
la pace di Cateau Cambrésis (1559) né dall'opera di riforma avviata dal concilio di Trento (1545-1563). Con la pace di Augusta (1555) la
Germania rimase divisa in regioni di fede cattolica e regioni di fede protestante.
All'abdicazione di Carlo V (1556) i domini asburgici vennero separati, tra
domini spagnoli e fiamminghi al figlio Filippo II e domini germanici al
fratello Ferdinando I imperatore, così svelenendo almeno in parte
i rapporti tra le potenze. Dopo un periodo di floridità economica
e di incremento demografico, nel 1575 ricomparve la peste: da allora fino
al 1710-1720 si susseguirono carestie, epidemie, ristagni e decrementi demografici
secondo l'andamento tipico delle società di antico regime.
L'EQUILIBRIO EUROPEO. Nella prima metà del XVII secolo si
verificarono comportamenti sociali nuovi e condizioni economiche complesse
(crisi del Seicento). Le rivolte che scoppiarono
ovunque, anche oltre i confini europei, si sovrapposero al perpetuarsi dei
contrasti religiosi tra cattolici e protestanti culminati nella guerra
dei Trent'anni (1618-1648). La Svezia, togliendo territori ai russi,
ai tedeschi e ai danesi, si estese progressivamente nell'area del Baltico,
diventando la monarchia più forte dell'Europa settentrionale e riducendo
la Polonia a regno minore. La Boemia venne degradata da regno autonomo a
feudo ereditario della dinastia asburgica; Germania e Italia continuavano
a essere divise in più stati. Mentre la borghesia calvinista di un'Olanda
in forte ascesa (formata dall'unione delle sette province del nord dei Paesi
bassi avvenuta nel 1579) si attestava attorno a un governo repubblicano
federale, la società inglese, sotto la dinastia degli Stuart, attraversò
una guerra civile (1642-1648) e un'aspra lotta tra parlamento e monarchia,
che sfociò nella Glorious Revolution del 1688-1689, in seguito alla quale salì al trono Guglielmo III
d'Orange, statolder d'Olanda. Da allora l'Inghilterra si pose come
forza predominante nella lotta contro le aspirazioni francesi sul continente.
In Francia l'opposizione nobiliare era stata piegata dall'assolutismo regio
di Luigi XIV (1661-1715), mentre si indeboliva la potenza spagnola dopo
la crisi economica del suo impero coloniale e il fallimento dell'unificazione
col Portogallo e del progetto egemonico in accordo con gli Asburgo d'Austria.
La Polonia, che dal 1572 era divenuta una monarchia elettiva, continuò
a essere uno stato multinazionale, ma sempre più stretto all'ortodossia
cattolica e chiuso alle altre confessioni. In Russia dal 1613 si era insediata
stabilmente sul trono imperiale la dinastia dei Romanov, che regnò
fino al 1917. Al tempo di Pietro il Grande (1682-1725) l'espansione russa
aveva ormai soppiantato la Svezia nel dominio del mar Baltico, dove si estendeva
anche la potenza degli Hohenzollern, alla quale nel 1618 era stato aggiunto
l'elettorato del Brandeburgo e, dopo la pace di Westfalia (1648), la Pomerania
orientale. Con Federico Guglielmo di Hohenzollern (1640-1688) la Prussia
divenne uno stato centralizzato, militarmente molto forte e aperto alla
tolleranza religiosa; questa politica fu perseguita dai suoi successori
Federico I (1701-1707, col titolo di re di Prussia) e Federico Guglielmo
I (1713-1740). Nel 1699 si era sancita l'unione tra Ungheria e Austria nella
persona dell'imperatore, dopo che nel 1683 Ungheria, Croazia e Slavonia
erano state liberate dai turchi. L'assetto politico europeo subì
nuovi mutamenti con le guerre di successione spagnola, polacca e austriaca
(1700-1748). Dopo la guerra di successione spagnola (1713), la Lombardia,
il Napoletano e la Sardegna (poi scambiata con la Sicilia e passata nel
1720 ai Savoia) vennero attribuiti all'Austria, che si sostituì alla
precedente dominazione spagnola nella penisola italiana. Nel 1714 col trattato
di Rastadt fu conclusa la pace tra Austria e Francia, indebolita dalle continue
guerre di Luigi XIV. Alla morte dell'imperatore Carlo VI e dopo che alla
figlia Maria Teresa fu riconosciuto il diritto di successione (1748), in
Europa si verificò un rovesciamento delle classiche alleanze che,
a eccezione dell'Inghilterra, mirante ad arginare le mire espansionistiche
di Federico II di Prussia, sfociarono nella guerra dei Sette anni (1756-1763),
la prima di dimensioni mondiali, in quanto coinvolse le colonie atlantiche,
i Caraibi e le Indie orientali. L'Inghilterra, che nel 1707 si era unita
con la Scozia nel Regno unito di Gran Bretagna, dal 1714 ebbe come re il
tedesco Giorgio I della dinastia degli Hannover. Gli Asburgo-Lorena ebbero
il governo del Granducato di Toscana dopo l'estinzione della famiglia Medici
(1737) e i regni di Napoli e di Sicilia passarono dall'Austria ai Borbone
di Spagna (1735). In tutta Europa e in alcuni stati italiani (Toscana, Piemonte,
Lombardia, Regno di Napoli) si tentarono una serie di riforme economiche,
fiscali e sociali non sempre coronate da successo. Vasta eco aveva ovunque
il movimento illuminista francese. La Gran Bretagna, grazie all'accorta
politica rivolta a garantire gli equilibri di potenza e all'espansione coloniale
condotta nella prima metà del Settecento, era divenuta la maggior
potenza mondiale, arbitro dell'equilibrio continentale. Le particolari condizioni
dell'economia e della società britannica, oltre che le innovazioni
tecnologiche nell'industria tessile, fecero avviare il complesso fenomeno
della rivoluzione industriale a cui corrispose
un generale e inarrestabile incremento demografico. Il rinnovamento prodottosi
nella speculazione filosofica e politica europea, in particolare inglese
e francese, fornì un fondamentale sostegno ideologico a eventi diversi
e geograficamente lontani. Insieme con la dichiarazione d'indipendenza delle
tredici colonie atlantiche dal dominio britannico (1776) ciò accelerò
la crisi dell'antico regime e il processo rivoluzionario francese (1789),
che nel 1792 portò al crollo della monarchia di Luigi XVI facendo
salire alla ribalta il Terzo stato, contrapposizione eterogenea all'aristocrazia
e al clero. Presa la via della guerra contro l'intera Europa e fallita l'attuazione
di una democrazia rappresentativa, la Francia aderì alla dittatura
militare e imperialista di Napoleone Bonaparte (1799), per quanto ciò
comportasse anche l'esportazione di molti di quei principi e di quelle libertà civili proclamate nella Dichiarazione dell'uomo e del cittadino del
1789.
LO SVILUPPO CONTEMPORANEO. Nel 1750 il continente contava 140 milioni
di abitanti, appena quaranta più del secolo precedente. Cento anni
dopo erano divenuti 266 milioni e dopo altri cento anni, nel 1950, 536 milioni,
benché si calcoli che tra il 1820 e il 1940 ne siano emigrati circa
sessanta milioni. Insieme con la rivoluzione atlantica,
alle radici dell'accelerazione dello sviluppo testimoniata da queste cifre
stanno la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese, che aprirono la strada al trionfo del capitalismo.
Le imprese napoleoniche e l'esempio della rivoluzione americana e delle
guerre d'indipendenza americane resero evidente l'intrinseca debolezza dell'equilibrio
politico europeo, dovuta alla composizione multietnica degli imperi ottomano,
asburgico e russo e alla frammentazione in tanti piccoli principati di Italia
e Germania. Mentre in tutte queste aree i contrasti si manifestavano soprattutto
sotto forma di insofferenze nazionali ed etniche, soltanto in Francia e
in Gran Bretagna, le due maggiori potenze ormai sulla via dell'industrializzazione,
si esprimevano in pieno le nuove forze sociali e politiche organizzate in
movimenti, partiti e prime forme di mutua assistenza sindacale. La Francia
visse dal 1814 al 1871 un susseguirsi di rivoluzioni e colpi di stato, che,
specie nel 1848, offrì un modello a tutti gli altri paesi, e da cui
nacque la prima stabile repubblica parlamentare d'Europa (1871-1940). La
Gran Bretagna, grazie alla vittoria su Napoleone, poté consolidare
non solo il predominio mondiale, ma anche il sistema monarchico costituzionale,
che divenne, con la sua pacifica alternanza di schieramenti nell'ambito
del solido dominio della grande borghesia, esemplare per tutti i liberali
moderati europei. L'unificazione dell'Italia (1861) e della Germania (1870)
mise in campo nuove energie capitalistiche e quindi nuovi appetiti imperialistici.
Il congresso (1878), e poi la conferenza di Berlino (1884) vollero sancire
un regime di equilibrata convivenza sia tra gli imperi continentali sia
tra le potenze coloniali. In realtà innescarono nuovi motivi di irredentismo e di gelosie imperialistiche tra vecchie e nuove potenze. Di questo precario
equilibrio, che frenò il movimento del proletariato urbano per migliori
condizioni economiche e di vita e per l'effettiva parità politica,
soffrì lo sviluppo della democrazia. K. Marx e F. Engels avevano
affermato che col 1848 un fantasma si aggirava per l'Europa: il comunismo.
Il fantasma rimase sempre tale, ma per oltre un secolo tenne deste le paure
dei ceti dirigenti e le speranze del proletariato europeo. Il sogno di creare, con l'Internazionale, dei vincoli di solidarietà
proletaria che superassero i confini nazionali fu infranto però dalla
capacità di ciascuna grande potenza di cooptare la maggioranza dei
lavoratori nei disegni di espansione economica e territoriale, in nome di
un sempre più diffuso ed equivoco nazionalismo, e di scaricare parte
delle tensioni sociali favorendo l'emigrazione.
IL SECOLO DELLE RIVOLUZIONI. Tensioni interimperialistiche e tensioni
nazionalistiche all'interno dei grandi imperi sfociarono nella Prima guerra mondiale (1914-1918). Col suo bagno di sangue essa portò
a compimento un duplice processo di liberazione: quella delle masse come
protagoniste della vita degli stati e quella delle nazionalità. Con
il disfacimento degli imperi continentali e la nascita di una decina di
nuovi stati nazionali sorse l'illusione della "fine di ogni guerra". In
realtà, soprattutto per l'iniquità e la miopia della conferenza
di Versailles (1919), ma anche per l'impossibilità di forzare
la varietà delle culture e delle etnie entro confini netti, le antiche
cause di conflitto venivano solo nascoste e nuove ne sorgevano, non ostacolate
neppure dalla nascita dell'Urss, sorta come entità internazionalista
ma presto rivelatasi nuovo impero multietnico. I contrasti si ripresentarono
negli anni trenta ingigantiti dalla nazionalizzazione delle masse. I principali paesi, infatti, anche in funzione di aberranti
politiche autarchiche, puntarono a una sempre più decisa identificazione
fra masse e stato, che giunse al culmine nei regimi autoritari sorti in
Urss, Italia, Polonia, Portogallo, Iugoslavia, Spagna e Germania, ma presente,
sia pure con misura, anche nelle democrazie più solide come la Gran
Bretagna, la Francia e i paesi scandinavi. Nella guerra
civile spagnola (1936-1939) il braccio di ferro fra totalitarismo e
democrazia fu minacciosamente vinto dalla soluzione autoritaria. Al termine
della Seconda guerra mondiale (1939-1945) quella
minaccia era sconfitta ma l'Europa si trovò prostrata per le distruzioni
e le vittime: oltre venti milioni, fra cui più di sei milioni di
ebrei dell'Europa centrale, uno dei fattori costituenti della sua civiltà.
Ma essa era soprattutto privata del ruolo di motore propulsivo della storia
dell'umanità che aveva detenuto per oltre cinquecento anni, e divisa
nettamente, in seguito alla conferenza di Potsdam (1945), tra area occidentale e area orientale. Per la prima volta era costretta
a riconoscere che la propria identità era paradossalmente
data dalle differenze nazionali e dalla distinzione dal resto del
mondo, dove campeggiavano Usa e Urss, e a prendere atto del processo di
liberazione dei paesi coloniali. Con la guerra fredda,
che faceva per la prima volta l'Europa campo di contesa fra potenze esterne,
si rinvigorì l'idea, fino ad allora di pochi utopisti, di unità europea. Negli anni cinquanta prese quindi avvio con il Mec (Cee)
(1957) un'"Europa" che man mano aggregava le nazioni occidentali esclusivamente
sul piano economico, ma sempre in contrapposizione all'intero blocco orientale,
comprendente altrettanti paesi europei (Comecon),
e sottintendendo una identità ideologica e una comunanza strategica
(atlantismo) contrapposta a un'altra. Mentre
la Gran Bretagna, orfana dell'impero, recalcitrava, la Francia di De
Gaulle contrapponeva una "Europa delle patrie" all'"Europa dei popoli"
patrocinata dalle sinistre. Gli organismi sovranazionali costituiti configuravano
però niente più che un'"Europa dei governi", appena attenuata
dall'elezione popolare del parlamento di Strasburgo (dal 1979), dall'integrazione
monetaria e del mercato del lavoro e, soprattutto, dall'unificazione delle
due Germanie, in precedenza appartenenti ai due blocchi opposti. Il crollo
dell'intero blocco orientale (1989-1991), compresa la stessa Urss, mentre
apriva la via a un'idea di Europa geograficamente e culturalmente più autentica, scatenava anche nuove tensioni nazionali ed etniche, esplose
in particolare fra etnie e repubbliche una volta appartenenti all'Urss e
alla Iugoslavia.
Il processo di riconversione al capitalismo dei paesi dell'Europa orientale
provocň rivolgimenti sostanziali dovuti al cambiamento significativo del
tenore di vita della popolazione (disoccupazione, inflazione, corruzione)
e all'affermazione di una nuova classe dirigente. Nei vari paesi si affermarono
cosě regimi piů o meno democratici, con il manifestarsi di tensioni che
in molti casi portarono allo scontro armato, come in Albania nel 1991 e
nel 1997. In Iugoslavia si arrivň a una vera e propria guerra civile (1991-95)
al termine della quale la penisola balcanica si scompose in differenti unitŕ statali (Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Croazia) rimanendo per tutti gli anni
novanta un focolaio permanente di crisi. La Cecoslovacchia si divise, invece,
in Repubblica ceca e in Slovacchia (1993); un processo avvenuto pacificamente
e determinato dal riaprirsi di contrapposizioni nazionali, determinate da
differenti prospettive di sviluppo. Anche l'Europa occidentale non fu comunque
immune da rivolgimenti: restavano aperte le questioni nazionali (Ulster,
Paesi Baschi), anche se proseguě con successo il processo di integrazione,
con la trasformazione della Cee in Unione europea (1992) e l'adozione di una moneta unica (1999).
P. Cuzzolin, S. Guarracino, M.P. Paoli, G. Petrillo

O. Bariè, Problemi storici della civiltà europea, Marzorati,
Milano 1972; A. Tenenti, La civiltà europea nella storia mondiale,
Il Mulino, Bologna 1980; E. Hinrichs, Alle origini dell'età moderna,
Laterza, Roma-Bari 1984; H. Kamen, L'Europa dal 1500 al 1700, Laterza,
Roma-Bari 1987.
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