Poor Laws Leggi sui Poveri.

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Dizionario di storia moderna e contemporanea

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POOR LAWS

(Leggi sui poveri). Leggi inglesi per l'assistenza agli strati più poveri della popolazione. Furono introdotte nel XVI secolo durante il regno di Elisabetta I, in sostituzione all'opera caritativa svolta dagli istituti monastici soppressi con la riforma anglicana e furono amministrate attraverso le parrocchie. Prevedevano una forma di sostegno per individui che, a causa dell'età o di malattia, non erano in grado di svolgere attività lavorativa e mancavano di mezzi propri di sostentamento. Coloro che, invece, erano fisicamente in grado di svolgere un lavoro, venivano obbligatoriamente occupati nelle work-houses (case di lavoro). Alla fine del XVIII secolo fu poi introdotto il sistema detto di Speenhamland, che provvedeva al sostentamento dei lavoratori che percepivano un salario ritenuto al di sotto del limite minimo di sussistenza. Tuttavia, con il diffondersi dei modelli di produzione capitalistica e dei relativi valori, in particolare dell'idea di self-help (autosufficienza), si diffuse un atteggiamento negativo che vedeva nell'assistenza un elemento corruttore della fibra morale dell'individuo e nella carità uno sprone alla pigrizia. Di conseguenza le stesse poor laws divennero sempre più restrittive e selettive. La legge del 1834, infatti, non prevedeva più alcun sostentamento a coloro che erano fisicamente in grado di lavorare. Il problema dell'assistenza si ripropose quando il pedagogismo liberale venne eroso dai movimenti sociali operai e dal diffondersi di concezioni interventiste dello stato che portarono alla sostituzione delle poor laws con un sistema di servizi assistenziali (welfare state).

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WELFARE STATE

(stato del benessere). Insieme dei provvedimenti e delle istituzioni pubbliche che nel Novecento furono adottate in vari paesi per garantire ai cittadini il soddisfacimento di necessità primarie quali l'occupazione, l'assistenza sanitaria, la casa, l'istruzione di base, la previdenza, ritenuti tutti obiettivi primari dello stato. Programma centrale dei socialisti fabiani britannici dell'inizio del secolo, divenne poi, con lo slogan "dalla culla alla tomba", quello del Partito laburista, che riuscì a farlo passare in parlamento col piano Beveridge (1942), nel pieno della Seconda guerra mondiale, quale strumento di allargamento del consenso allo sforzo bellico, minacciato dal malcontento operaio. Il programma fu attuato dai governi laburisti dell'immediato dopoguerra. In realtà però esso aveva avuto significative anticipazioni in vari paesi, compresa l'Italia giolittiana e, ancor più, quella fascista, come uno degli strumenti della "nazionalizzazione delle masse". Importanti, anche se meno pervasive, le misure del welfare state negli Stati Uniti degli anni trenta. Sia l'Unione sovietica staliniana (1927-1953) sia la Germania hitleriana adottarono misure massicce in questa direzione, pur disconoscendone entrambe, come il fascismo, l'origine ideologica. Ma il trionfo del welfare fu celebrato soprattutto nella Svezia socialdemocratica dal 1936. Diffuso in tutti i paesi industrializzati negli anni sessanta e settanta, in forme varie e con maggiore o minore intensità (livelli bassissimi erano per esempio raggiunti in Giappone), esso entrò in crisi per il concorso di più cause: l'erosione dei margini economici che lo consentivano sotto la spinta inflazionistica dello shock petrolifero; l'elevazione generale dei redditi che favorì la diversificazione dei consumi e dei bisogni, creando alternative privatistiche; la teoria neoliberista concretizzatasi negli Usa con la reaganomics e in Gran Bretagna, sotto il governo Thatcher, mediante la deregulation e uno smantellamento delle bardature statali che, alleviando la pressione fiscale, consentisse una ripresa degli investimenti anche a prezzo di più dure condizioni sociali.

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BEVERIDGE, WILLIAM HENRY

(Rangpur 1879 - Oxford 1963). Economista inglese. Legò il suo nome a un piano (elaborato in due rapporti, del 1942 e del 1944) che prevedeva l'assistenza sanitaria gratuita e l'estensione della previdenza sociale ai ceti meno abbienti. Ispirò la legislazione sociale del governo del laburista Attlee. Deputato liberale, fu nominato lord nel 1946

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PETROLIFERO, SHOCK

(1973-1974). Grave crisi economico-politica nei paesi industrializzati provocata da un'improvvisa difficoltà di approvvigionamento energetico. Durante la guerra arabo-israeliana del 1973, gli stati arabi produttori di petrolio (vedi Opec) si autoimposero un contingentamento alla produzione per punire i paesi sostenitori di Israele. Mentre il principale di questi, gli Usa, erano tuttavia autosufficienti, l'iniziativa si tradusse in un aumento vertiginoso del prezzo del greggio che colpì soprattutto i paesi dell'Europa occidentale e il Giappone, costringendoli a inopinate misure di austerità (le "domeniche a piedi") salutate addirittura come una svolta in senso ambientalista. Gli effetti per l'economia mondiale furono più duraturi. I paesi consumatori spinsero verso una diversificazione delle fonti energetiche, soprattutto in senso nucleare, e dell'organizzazione del lavoro, mediante un'accelerazione del decentramento produttivo (anche internazionale) per ripartire l'aumento dei costi, mentre fu soffocata e talora stroncata la rincorsa di molti paesi sottosviluppati dipendenti dalle forniture di petrolio estero. Sul piano politico, gli Usa riuscirono a imporre alla Cee un fronte comune che piegò il cauto filoarabismo di alcune medie potenze (Dichiarazione atlantica di Bruxelles, 1974). I paesi dell'Opec (da cui si erano staccati Egitto e Siria) lucrarono ampi margini di guadagno che tuttavia, pagati in dollari inconvertibili (petrodollari), restarono sul mercato mondiale come uno dei principali fattori dell'impennata inflazionistica degli anni settanta e del crescente indebitamento dei paesi produttori di petrolio non arabi.

REAGANOMICS

Programma di politica economica varato negli Usa nel febbraio 1981 dalla prima amministrazione Reagan. Era basato su quattro principali linee direttrici: detassazione dei redditi personali e delle imprese; tagli al bilancio federale e riduzione del deficit pubblico; eliminazione della regolamentazione delle attività economiche (vedi deregulation); una politica monetaria di freno alla crescita dell'offerta di denaro per abbattere l'inflazione. Obiettivo fondamentale era lo spostamento dell'equilibrio dei poteri dal governo federale alla società, invertendo una tendenza all'interventismo economico e sociale affermatasi nella politica americana dagli anni sessanta. Gli effetti del programma si rivelarono contraddittori: le spese governative aumentarono rapidamente in termini reali, con drastici spostamenti di risorse dal settore dell'assistenza (sovvenzioni ad amministrazioni statali o locali, programmi di assistenza sociale) a vantaggio della spesa militare; il calo dell'inflazione fu compensato negativamente dall'aumento della disoccupazione; infine l'ampliamento del deficit federale e l'aumento dei tassi di interesse negli Usa provocarono un indesiderato innalzamento dei tassi di interesse internazionali.

REAGAN, RONALD WILSON

(Tampico 1911 - 2004). Politico statunitense; presidente (1981-1989). Modesto attore cinematografico, in quanto presidente dell'Associazione degli artisti di Hollywood appoggiò l'epurazione maccartista negli ambienti cinematografici. Esponente del Partito repubblicano, nel 1966 fu eletto governatore della California, rieletto nel 1970. Convinto dalle posizioni del neoconservatorismo, nel 1980 batté facilmente l'incerto Jimmy Carter nelle elezioni presidenziali. Per mettere in pratica la deregulation ridusse la spesa pubblica nei diversi settori dell'assistenza e dell'istruzione, smantellando il welfare state costruito dai democratici, impose una politica di cauta restrizione monetaria e di alti tassi di interesse, alleggerì la pressione fiscale, ottenendo una certa ripresa dell'economia e una diminuzione dell'inflazione a spese di un grave disavanzo della bilancia commerciale con l'estero e del debito pubblico, aggravato dagli ingenti piani di riarmo per mettere con le spalle al muro l'Urss, da lui definita impero del male. Attuò una politica interventista nell'America centrale (Panama, Nicaragua), mentre in medio Oriente consentì la spartizione di gran parte del Libano fra Siria e Israele e approfondì il contrasto con la Libia, ritenuta prima responsabile del terrorismo internazionale. Rieletto nel 1984, modificò in parte l'atteggiamento verso l'Urss, in relazione ai cambiamenti introdotti da M. Gorbacëv, di cui raccolse i frutti il successore G. Bush. Nel 1986 fu sull'orlo dell'impeachment per aver tentato di insabbiare le indagini sullo scandalo dell'Irangate. Il "lunedì nero" di Wall Street (19 ottobre 1987), quando la Borsa registrò un crollo del 22,6 per cento, mise in luce il sostanziale fallimento della politica economica perseguita dalla sua amministrazione, che aveva provocato un disavanzo pubblico superiore ai 92 miliardi di dollari nel 1990.

DEREGULATION

(deregolamentazione). Graduale smantellamento dell'apparato assistenziale e regolamentativo Usa tipico del welfare state. Sostenuta da un'ideologia neoconservatrice individualistica e liberista e pilastro della politica economica dell'amministrazione Reagan (reaganomics), puntò all'abolizione dei vincoli (leggi ed enti pubblici) posti a controllo dell'iniziativa imprenditoriale privata quale garanzia di efficienza del sistema economico

THATCHER, MARGARET

(Grantham 1925). Donna politica britannica. Deputata conservatrice dal 1959, ebbe il ministero dell'Istruzione nel governo Heath. Segretaria del partito (1975), fu capo del governo dal 1979 al 1990. Sostenitrice di un radicale liberismo, smantellò molta parte del welfare state britannico, fronteggiò con durezza le opposizioni sociali e fu ostile a legami più stretti con la Comunità europea.

ARABO-ISRAELIANE, GUERRE

(1948-1973). Quattro conflitti tra il nuovo stato di Israele e gli stati arabi confinanti avvenuti nel 1948-1949, nell'ottobre-novembre 1956, nel giugno 1967 e nell'ottobre 1973. La prima guerra arabo-israeliana, nota in Israele come "guerra d'indipendenza", scoppiò il 15 maggio 1948, subito dopo la proclamazione dello stato ebraico, ma fin dal novembre precedente, dopo l'approvazione del piano di spartizione della Palestina da parte dell'Onu, si erano verificati scontri tra organizzazioni militari e terroristiche sioniste (vedi Haganah, banda Stern), da una parte, e guerriglieri palestinesi appoggiati da volontari arabi, dall'altra. In questa fase le forze sioniste occuparono centri situati nel territorio assegnato dall'Onu al previsto stato arabo palestinese o alla zona internazionale di Gerusalemme, tra cui Tiberiade, Haifa, Safad e Deir Yassin. Forze regolari arabe varcarono invece i confini della Palestina il 15 maggio: da sud gli egiziani avanzarono verso Tel Aviv, a nord truppe siriane e libanesi occuparono alcune località a ridosso del confine, mentre da est la Legione araba della Transgiordania occupava la Cisgiordania e parte dei quartieri più antichi di Gerusalemme. Il 10 giugno il Consiglio di sicurezza dell'Onu riuscì a imporre una tregua, durante la quale Israele ricevette notevoli rifornimenti che consentirono di scatenare l'8 luglio un'offensiva. Dopo dieci giorni l'Onu impose una nuova tregua, la cui supervisione fu affidata al conte svedese Folke Bernadotte, che però fu assassinato il 17 settembre a Gerusalemme da terroristi sionisti. A metà ottobre le forze israeliane lanciarono una nuova triplice offensiva: verso il deserto del Negev e del Sinai; verso Gerusalemme, dove le loro unità restarono praticamente accerchiate; e verso il confine libanese, che fu varcato. Le successive trattative condussero nei primi mesi del 1949 ad armistizi separati con Egitto, Libano, Giordania e Siria. Israele si trovò così in possesso di un territorio maggiore di quello previsto in origine dal piano di spartizione: circa 20.700 km, con una popolazione di oltre 715.000 ebrei. Imponente fu l'esodo della popolazione araba: circa settecentomila persone lasciarono le proprie case, chi spontaneamente, per sfuggire alle incombenti operazioni militari, chi, e furono i più, perché spinti dal panico ispirato ad arte prima dai sionisti, poi dalle autorità israeliane. Da allora i palestinesi alimentarono, spesso dai paesi arabi confinanti, una incessante guerriglia contro Israele. Per Seconda guerra arabo-israeliana si intende l'aggressione all'Egitto segretamente preparata da Israele con Gran Bretagna e Francia. Le due potenze coloniali si proponevano di sconfiggere e possibilmente rovesciare il regime di Gamal Abd en-Nasser, colpevole soprattutto, ai loro occhi, di aver nazionalizzato il canale di Suez (26 luglio 1956) e di appoggiare la lotta per l'indipendenza algerina. Il governo israeliano, dal canto suo, intendeva infliggere un colpo preventivo alle forze armate egiziane di cui era in corso l'ammodernamento con materiale sovietico. Il 29 ottobre 1956 sferrò pertanto una fulminea offensiva nel Sinai (destinata uf ficialmente a distruggere le basi di guerriglieri palestinesi in territorio egiziano). Con il pretesto di separare i contendenti ed evitare minacce alla navigazione lungo il canale, Gran Bretagna e Francia intimarono un ultimatum, scaduto il quale (31 ottobre) iniziarono a loro volta le operazioni contro l'Egitto. I tre paesi aggressori ottennero una rapida vittoria militare, a cui seguì peraltro una pesante sconfitta politica, perché quella che venne definita l'ultima impresa coloniale fu condannata non soltanto dall'Onu (con una risoluzione che intimava il ritiro delle forze israeliane e l'invio di un contingente di "caschi blu") e dall'Urss (che, pur impegnata nella repressione della rivolta in Ungheria, minacciò il ricorso ai missili nucleari), ma anche dal governo Usa. Nei primi mesi del 1957 Israele dovette pertanto restituire all'Egitto il Sinai occupato, in cambio di garanzie sulla libertà di navigazione attraverso gli stretti di Tîrân e il golfo di 'Aqabah, tra il mar Rosso e il porto israeliano di Eilat. Nello stesso tempo il governo israeliano rendeva noto che avrebbe considerato casus belli qualsiasi minaccia araba alla suddetta libertà; il canale di Suez, bloccato da navi autoaffondate per ordine egiziano, restò chiuso. La Terza guerra arabo-israeliana, detta anche "dei sei giorni", scoppiò quando, nella primavera del 1967, il presidente egiziano chiese e ottenne (indotto da una serie di incidenti lungo il confine tra Siria e Israele) il ritiro del contingente internazionale di stanza nel Sinai, cui seguì l'annuncio (23 maggio) dell'intenzione di chiudere gli stretti alle navi israeliane e a quelle battenti qualsiasi bandiera se dirette a Eilat con carichi di importanza strategica; Israele reagì chiedendo l'intervento della comunità internazionale e, nello stesso tempo, mobilitando le proprie riserve. Mentre gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania si schieravano lungo i confini, Israele lanciò un attacco preventivo all'alba del 4 giugno, distruggendo a terra il grosso delle forze aeree avversarie. Concentrò quindi le operazioni terrestri in direzione del canale di Suez, raggiunto l'8 giugno, dopo l'annientamento dell'esercito egiziano; lo stesso giorno fu completata l'occupazione della Cisgiordania. L'indomani toccò al fronte siriano, con l'occupazione delle alture del Golan. Grazie a questa guerra Israele occupò circa sessantamila chilometri quadrati di territorio egiziano, quasi seimila di territorio giordano e un migliaio di territorio siriano, che continuò a tenere nonostante numerose risoluzioni dell'Onu ne ingiungessero la restituzione. La quarta guerra, detta anche "del Kippur" o "del Ramadan" perché scoppiata in concomitanza con le rispettive festività ebraica e islamica, cominciò il 6 ottobre 1973 con simultanei attacchi egiziani e siriani che, protetti da un'efficace copertura di missili terra-aria sovietici, travolsero le forze israeliane, colte di sorpresa. Il giorno 10, spintisi una decina di chilometri oltre il canale, gli egiziani interruppero l'offensiva, quasi a dimostrare gli obiettivi simbolici dell'attacco (infliggere una sconfitta psicologica all'avversario per gettare le basi di una soluzione negoziata). Avendo concentrato le proprie forze sul molto più importante fronte settentrionale, Israele riusciva frattanto a contenere l'offensiva siriana per passare poi al contrattacco e superare (11 ottobre) anche la linea raggiunta nel 1967. Seguì una controffensiva israeliana nel Sinai: nella notte tra il 15 e il 16 ottobre unità comandate dal generale Sharon varcarono il canale, accerchiando un'intera armata egiziana. In seguito a intense trattative tra Usa e Urss, il Consiglio di sicurezza dell'Onu decretò infine per il 22 ottobre una tregua che venne ignorata da Israele: soltanto il timore di uno scontro diretto tra le due superpotenze riuscì a far rispettare una nuova tregua a partire dal 25 ottobre. Risultato di questa guerra (che, malgrado l'esito vittorioso, lasciò pesanti conseguenze in Israele, ridimensionando ilmito della sua invincibilità) fu la pace separata tra Israele ed Egitto mediata dagli Stati Uniti grazie all'impegno diplomatico del loro segretario di stato Henry Kissinger e sancita dagli accordi di Camp David (settembre 1978 - marzo 1979). A questi conflitti generali si devono aggiungere la cosiddetta "guerra di logoramento" o "di attrito" sul canale di Suez (marzo 1969 - agosto 1970), la guerra di usura sul Golan (marzo-maggio 1974) e la parziale occupazione israeliana del Libano nel marzo-giugno 1978, reiterata dal giugno 1982 al giugno 1985.

OPEC

(Organization of the Petroleum Exporting Countries, Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio). Associazione economica internazionale fondata a Baghdad nel 1960 di cui fanno parte tredici paesi. Il suo obiettivo era quello di contrastare, principalmente attraverso il controllo delle quantità di greggio offerte, il potere detenuto dalle grandi compagnie petrolifere.

STERN, BANDA

(1942-1948). Formazione terroristica sionista. Prese il nome da Avraham Stern, noto per aver organizzato nel 1939 in Polonia campi paramilitari sionisti destinati a un fantasioso progetto di invasione della Palestina a partire dall'Italia. Stern militò quindi nell'Irgun, da cui uscì con un gruppo di seguaci contrari alla collaborazione con la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale decisa dai sionisti e accettata dalla stessa Irgun oltre che dalla Haganah. Diversamente da queste ultime, finanziate rispettivamente dall'Agenzia ebraica e da ebrei ricchi della Palestina e degli Usa, il gruppo Stern, privo di risorse, ricorreva alle rapine per procurarsi fondi; braccato da britannici e sionisti, lo stesso fondatore venne ucciso nel 1942. I suoi seguaci si riorganizzarono assumendo ufficialmente il nome di Lokhamei Herut Israel (Combattenti per la libertà di Israele) o Lekhi e continuarono le operazioni antibritanniche, arrivando a uccidere in un attentato al Cairo (6 novembre 1944) il responsabile di Londra per il vicino Oriente, lord Moyne. Dopo aver compiuto altre clamorose imprese antibritanniche, nel 1946 la banda Stern partecipò all'eccidio di Deir Yassin. Dopo la nascita dello Stato di Israele la maggior parte dei suoi uomini (un migliaio, rispetto ai trecento del 1944) entrarono nella Haganah.

HAGANAH

(Difesa). Organizzazione militare sionista. Fin dall'inizio dell'immigrazione sionista in Palestina i coloni avevano cominciato a proteggere i propri insediamenti con guardie armate (ha-Shomer). Durante la Prima guerra mondiale, per iniziativa di Ben Gurion e di altri esponenti del sionismo, vennero reclutati contingenti di ebrei che parteciparono alle operazioni a fianco degli alleati a Gallipoli e nella stessa Palestina. Da queste esperienze nacque, nel dopoguerra, la Haganah, una formazione militare semiclandestina che si limitò, inizialmente, al compito di assicurare la protezione dei sempre più numerosi insediamenti ebraici in Palestina. Concepita come milizia operaia, volontaria e ugualitaria, strettamente legata alla federazione sindacale della Histadrut, in seguito, divenuta braccio armato dell'Agenzia ebraica, collaborò con le autorità britanniche nella repressione della rivolta araba (1936-1939). Nel frattempo organizzava anche il trasporto e lo smistamento degli immigranti clandestini eccedenti le quote fissate dal governo di Londra. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale la Haganah si schierò a fianco della Gran Bretagna (arrivando a catturare e consegnare alle autorità britanniche centinaia di terroristi dell'organizzazione sionista rivale Irgun) e partecipò alle operazioni militari con proprie formazioni scelte (brigate d'assalto Palmakh, reclutate nei kibbutz e pertanto considerate con una certa approssimazione alla stregua di una milizia proletaria). Finita la guerra, la Haganah riprese l'immigrazione illegale e, grazie a forniture clandestine di armi provenienti dagli Stati Uniti e da altri paesi, si preparò allo scontro finale con le forze britanniche e arabe. Le operazioni contro queste ultime si intensificarono dopo la risoluzione dell'Onu a favore della spartizione della Palestina (29 novembre 1947), quando la Haganah concentrò gli sforzi verso l'occupazione del territorio assegnato al futuro stato ebraico, all'interno del quale riuscì a stroncare la resistenza locale. Alla vigilia della proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948) la Haganah venne trasformata (per volontà di Ben Gurion e contro l'opposizione dei socialisti del Mapam) in esercito regolare e affrontò con successo gli eserciti arabi nella prima delle guerre arabo-israeliane (1948).

ARABO-ISRAELIANE, GUERRE

(1948-1973). Quattro conflitti tra il nuovo stato di Israele e gli stati arabi confinanti avvenuti nel 1948-1949, nell'ottobre-novembre 1956, nel giugno 1967 e nell'ottobre 1973. La prima guerra arabo-israeliana, nota in Israele come "guerra d'indipendenza", scoppiò il 15 maggio 1948, subito dopo la proclamazione dello stato ebraico, ma fin dal novembre precedente, dopo l'approvazione del piano di spartizione della Palestina da parte dell'Onu, si erano verificati scontri tra organizzazioni militari e terroristiche sioniste (vedi Haganah, banda Stern), da una parte, e guerriglieri palestinesi appoggiati da volontari arabi, dall'altra. In questa fase le forze sioniste occuparono centri situati nel territorio assegnato dall'Onu al previsto stato arabo palestinese o alla zona internazionale di Gerusalemme, tra cui Tiberiade, Haifa, Safad e Deir Yassin. Forze regolari arabe varcarono invece i confini della Palestina il 15 maggio: da sud gli egiziani avanzarono verso Tel Aviv, a nord truppe siriane e libanesi occuparono alcune località a ridosso del confine, mentre da est la Legione araba della Transgiordania occupava la Cisgiordania e parte dei quartieri più antichi di Gerusalemme. Il 10 giugno il Consiglio di sicurezza dell'Onu riuscì a imporre una tregua, durante la quale Israele ricevette notevoli rifornimenti che consentirono di scatenare l'8 luglio un'offensiva. Dopo dieci giorni l'Onu impose una nuova tregua, la cui supervisione fu affidata al conte svedese Folke Bernadotte, che però fu assassinato il 17 settembre a Gerusalemme da terroristi sionisti. A metà ottobre le forze israeliane lanciarono una nuova triplice offensiva: verso il deserto del Negev e del Sinai; verso Gerusalemme, dove le loro unità restarono praticamente accerchiate; e verso il confine libanese, che fu varcato. Le successive trattative condussero nei primi mesi del 1949 ad armistizi separati con Egitto, Libano, Giordania e Siria. Israele si trovò così in possesso di un territorio maggiore di quello previsto in origine dal piano di spartizione: circa 20.700 km, con una popolazione di oltre 715.000 ebrei. Imponente fu l'esodo della popolazione araba: circa settecentomila persone lasciarono le proprie case, chi spontaneamente, per sfuggire alle incombenti operazioni militari, chi, e furono i più, perché spinti dal panico ispirato ad arte prima dai sionisti, poi dalle autorità israeliane. Da allora i palestinesi alimentarono, spesso dai paesi arabi confinanti, una incessante guerriglia contro Israele. Per Seconda guerra arabo-israeliana si intende l'aggressione all'Egitto segretamente preparata da Israele con Gran Bretagna e Francia. Le due potenze coloniali si proponevano di sconfiggere e possibilmente rovesciare il regime di Gamal Abd en-Nasser, colpevole soprattutto, ai loro occhi, di aver nazionalizzato il canale di Suez (26 luglio 1956) e di appoggiare la lotta per l'indipendenza algerina. Il governo israeliano, dal canto suo, intendeva infliggere un colpo preventivo alle forze armate egiziane di cui era in corso l'ammodernamento con materiale sovietico. Il 29 ottobre 1956 sferrò pertanto una fulminea offensiva nel Sinai (destinata uf ficialmente a distruggere le basi di guerriglieri palestinesi in territorio egiziano). Con il pretesto di separare i contendenti ed evitare minacce alla navigazione lungo il canale, Gran Bretagna e Francia intimarono un ultimatum, scaduto il quale (31 ottobre) iniziarono a loro volta le operazioni contro l'Egitto. I tre paesi aggressori ottennero una rapida vittoria militare, a cui seguì peraltro una pesante sconfitta politica, perché quella che venne definita l'ultima impresa coloniale fu condannata non soltanto dall'Onu (con una risoluzione che intimava il ritiro delle forze israeliane e l'invio di un contingente di "caschi blu") e dall'Urss (che, pur impegnata nella repressione della rivolta in Ungheria, minacciò il ricorso ai missili nucleari), ma anche dal governo Usa. Nei primi mesi del 1957 Israele dovette pertanto restituire all'Egitto il Sinai occupato, in cambio di garanzie sulla libertà di navigazione attraverso gli stretti di Tîrân e il golfo di 'Aqabah, tra il mar Rosso e il porto israeliano di Eilat. Nello stesso tempo il governo israeliano rendeva noto che avrebbe considerato casus belli qualsiasi minaccia araba alla suddetta libertà; il canale di Suez, bloccato da navi autoaffondate per ordine egiziano, restò chiuso. La Terza guerra arabo-israeliana, detta anche "dei sei giorni", scoppiò quando, nella primavera del 1967, il presidente egiziano chiese e ottenne (indotto da una serie di incidenti lungo il confine tra Siria e Israele) il ritiro del contingente internazionale di stanza nel Sinai, cui seguì l'annuncio (23 maggio) dell'intenzione di chiudere gli stretti alle navi israeliane e a quelle battenti qualsiasi bandiera se dirette a Eilat con carichi di importanza strategica; Israele reagì chiedendo l'intervento della comunità internazionale e, nello stesso tempo, mobilitando le proprie riserve. Mentre gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania si schieravano lungo i confini, Israele lanciò un attacco preventivo all'alba del 4 giugno, distruggendo a terra il grosso delle forze aeree avversarie. Concentrò quindi le operazioni terrestri in direzione del canale di Suez, raggiunto l'8 giugno, dopo l'annientamento dell'esercito egiziano; lo stesso giorno fu completata l'occupazione della Cisgiordania. L'indomani toccò al fronte siriano, con l'occupazione delle alture del Golan. Grazie a questa guerra Israele occupò circa sessantamila chilometri quadrati di territorio egiziano, quasi seimila di territorio giordano e un migliaio di territorio siriano, che continuò a tenere nonostante numerose risoluzioni dell'Onu ne ingiungessero la restituzione. La quarta guerra, detta anche "del Kippur" o "del Ramadan" perché scoppiata in concomitanza con le rispettive festività ebraica e islamica, cominciò il 6 ottobre 1973 con simultanei attacchi egiziani e siriani che, protetti da un'efficace copertura di missili terra-aria sovietici, travolsero le forze israeliane, colte di sorpresa. Il giorno 10, spintisi una decina di chilometri oltre il canale, gli egiziani interruppero l'offensiva, quasi a dimostrare gli obiettivi simbolici dell'attacco (infliggere una sconfitta psicologica all'avversario per gettare le basi di una soluzione negoziata). Avendo concentrato le proprie forze sul molto più importante fronte settentrionale, Israele riusciva frattanto a contenere l'offensiva siriana per passare poi al contrattacco e superare (11 ottobre) anche la linea raggiunta nel 1967. Seguì una controffensiva israeliana nel Sinai: nella notte tra il 15 e il 16 ottobre unità comandate dal generale Sharon varcarono il canale, accerchiando un'intera armata egiziana. In seguito a intense trattative tra Usa e Urss, il Consiglio di sicurezza dell'Onu decretò infine per il 22 ottobre una tregua che venne ignorata da Israele: soltanto il timore di uno scontro diretto tra le due superpotenze riuscì a far rispettare una nuova tregua a partire dal 25 ottobre. Risultato di questa guerra (che, malgrado l'esito vittorioso, lasciò pesanti conseguenze in Israele, ridimensionando ilmito della sua invincibilità) fu la pace separata tra Israele ed Egitto mediata dagli Stati Uniti grazie all'impegno diplomatico del loro segretario di stato Henry Kissinger e sancita dagli accordi di Camp David (settembre 1978 - marzo 1979). A questi conflitti generali si devono aggiungere la cosiddetta "guerra di logoramento" o "di attrito" sul canale di Suez (marzo 1969 - agosto 1970), la guerra di usura sul Golan (marzo-maggio 1974) e la parziale occupazione israeliana del Libano nel marzo-giugno 1978, reiterata dal giugno 1982 al giugno 1985.

MEIR, GOLDA

(Goldie Mabovitch, Kiev 1898 - Gerusalemme 1978). Donna politica israeliana. Emigrata giovanissima negli Stati Uniti, militò nel Partito sionista operaio e rappresentò gli Usa come delegata in seno al Congresso mondiale ebraico fino al 1921, quando emigrò in Palestina. Qui entrò a far parte della Histadrut e militò nel Mapai assumendone la rappresentanza, negli anni trenta, in seno all'Organizzazione mondiale sionista. Tra il 1946 e il 1948 diresse la sezione politica dell'Agenzia ebraica. Dopo essere stata ambasciatrice a Mosca (1948-1949) fu nominata ministro del Lavoro e, dal giugno 1956 al 1966, degli Esteri. Segretaria generale del Mapai dopo un duro scontro con Ben Gurion, dopo la guerra del 1967 contribuì all'unificazione del Mapai con il Rafi. Primo ministro dal 1969, consolidò i rapporti con gli Stati Uniti e approvò piani per massicci insediamenti ebraici nei Territori occupati. Si dimise nell'aprile del 1974 in seguito alla guerra arabo-israeliana dell'ottobre 1973.

NASSER, GAMAL 'ABD EN-

(Beni Morr 1918 - Il Cairo 1970). Militare e politico egiziano. Leader della rivoluzione del 1952 e poi presidente della repubblica (1956-1970). Figlio di un impiegato, sin da giovane fu sensibile ai richiami del nazionalismo e partecipò a varie manifestazioni contro la presenza britannica in Egitto. Intrapresa nel 1937 la carriera militare, nel 1942 fondò l'organizzazione segreta dei Liberi ufficiali, con il fine di emancipare il paese dal controllo inglese, dall'arretratezza e dalla corruzione. Nel 1948 partecipò alla guerra contro Israele e la sconfitta allora patita dall'Egitto lo convinse delle gravi responsabilità che nel ritardo egiziano avevano la corte e il mondo politico che le ruotava attorno. Maturò così l'idea di promuovere attraverso l'intervento dell'esercito un mutamento di regime. Fu quindi il principale artefice del colpo di stato del 23 luglio 1952 che portò al potere i Liberi ufficia-li. Abolita la monarchia nel 1953, Nasser condivise per circa un anno la direzione del paese con il generale Naghib, ma poi, essendo questi a favore del ritorno al parlamentarismo, se ne liberò divenendo l'unico detentore del potere. Poté così attuare il suo programma. Nel 1954 pose fine alla presenza militare britannica; nel 1956 nazionalizzò il canale di Suez riuscendo, con l'appoggio sovietico e la neutralità americana, a respingere l'aggressione anglo-franco-israeliana. Sposò poi la causa del panarabismo e in tal quadro promosse la fusione dell'Egitto con la Siria sfociata nel 1958 nella costituzione della Rau. Attribuito il fallimento di tale esperienza (1961) al boicottaggio dei ceti possidenti, nel 1962 varò un vasto programma di nazionalizzazioni facendo dell'Egitto il paese guida del cosiddetto socialismo arabo. La sua funzione di leader del progressismo arabo trovò l'opposizione del blocco arabo moderato guidato dall'Arabia saudita, con cui si scontrò direttamente inviando nel 1962 un contingente militare egiziano a combattere per la causa repubblicana nello Yemen. Nel giugno 1967, per la sconfitta contro Israele nella guerra dei "sei giorni", Nasser offrì le dimissioni che furono però respinte a furor di popolo. Ridimensionato dalla disfatta, spese gli ultimi anni di vita a cercare una soluzione politica della crisi mediorientale.

BEN GURION, DAVID

(David Grün, Plosk 1886 - Tel Aviv 1973). Dirigente sionista e statista israeliano. Immigrato in Palestina nel 1906 dalla Polonia, ne fu espulso nel 1915 dalle autorità ottomane a causa dell'attività svolta in seno al partito Po'alei Zion che, fondato in Russia alla fine del XIX secolo, cercava di conciliare l'ideologia marxista con quella sionista. Trasferitosi negli Stati Uniti, contribuì a organizzare la Legione ebraica, che durante la Prima guerra mondiale combatté a fianco delle truppe britanniche a Gallipoli e in Palestina. Tornato in Palestina, si mise in luce come organizzatore sindacale partecipando alla fondazione della confederazione sindacale Histadrut, di cui fu segretario generale dal 1921 al 1935. Sul piano più strettamente politico favorì l'unificazione dell'Ahdut ha-Avodah (il Partito socialista laburista sionista, nato nel 1919 in Palestina dalla fusione del Po'alei Zion con un gruppo di indipendenti) con il partito operaio non marxista Ha-Po'el ha-Tsair; nacque così nel 1930 il Mapai o Partito operaio israeliano, che dominò la scena politica fino alla sconfitta elettorale del 1977. Negli anni trenta Ben Gurion ne accentuò la tendenza moderata, fino a proporre nel 1934 un accordo con i sionisti di estrema destra di Vladimir Jabotinsky; ciò determinò l'uscita dal Mapai della corrente filomarxista, che nel 1948 diede vita al Mapam (Partito operaio unitario). Ben Gurion acquisì un'influenza crescente nel sionismo internazionale: eletto nel 1920 al consiglio generale dell'organizzazione sionista, nel 1933 entrò nell'esecutivo, diventandone progressivamente la personalità più autorevole. Dal 1935 al 1948 presiedette inoltre l'Agenzia ebraica. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, quando il governo britannico pubblicò il Libro bianco che fissava il tetto dell'immigrazione ebraica in Palestina nei seguenti cinque anni a 75.000 unità, Ben Gurion lanciò la parola d'ordine combattere Hitler come se non ci fosse il Libro bianco, e combattere il Libro bianco come se non esistesse Hitler, a cui seguì l'arruolamento di volontari nella Brigata ebraica, che diede il suo contributo alla causa alleata specialmente in Italia preparando nello stesso tempo l'ossatura del futuro esercito di Israele e un'efficiente rete di supporto all'immigrazione clandestina. Finita la guerra, Ben Gurion si propose come mediatore tra le autorità britanniche e le formazioni estremiste dell'Irgun e della banda Stern che, diversamente dal grosso delle unità militari e paramilitari sioniste (vedi Haganah), avevano ripreso fin dal 1944 le azioni terroristiche; emerse in tal modo come il più autorevole esponente del Mapai (il partito di maggioranza relativa al momento della proclamazione dello stato di Israele) e, pertanto, come il più credibile candidato alla guida del paese. Come padre della patria, del resto, aveva già parlato nel 1947 in qualità di portavoce dell'Agenzia ebraica presso le Nazioni unite: Ci sono ebrei e comunità ebraiche in molti paesi, ma in Palestina si manifesta un fenomeno unico, una nazione ebraica, con tutti gli attributi e tutte le aspirazioni dell'essere nazione. Fu dunque naturale che fosse lui a proclamare l'indipendenza dello stato di Israele, il 14 maggio 1948, assumendo le cariche di capo del governo provvisorio e ministro della Difesa fino al marzo 1949. Dopo le elezioni del 1949 i due maggiori partiti operai disponevano di una maggioranza precostituita, ma piuttosto che allearsi di nuovo con il Mapam (come all'epoca del governo provvisorio) Ben Gurion preferì una coalizione di compromesso con i partiti di ispirazione moderato-borghese e religiosa. Anche in politica estera Ben Gurion (che conservò gli incarichi di primo ministro e ministro della Difesa fino al 1953) impose una svolta a destra privilegiando i rapporti con gli Stati Uniti, destinati a diventare i principali finanziatori dell'economia israeliana. Lasciò l'attività politica nel dicembre 1953, ma tornò al governo nel 1955 (sempre come primo ministro e titolare della Difesa) per sostituire il collega Lavon travolto da uno scandalo spionistico. Fin dal 1954 organizzò segretamente, insieme ai governi di Francia e Gran Bretagna, l'aggressione tripartita del 1956 contro l'Egitto, che avrebbe dovuto fornire alle due vecchie potenze coloniali il pretesto per rovesciare il regime di Nasser, che sosteneva la guerra di liberazione algerina e la nazionalizzazione del Canale di Suez, e nutriva velleità antimperialistiche; in cambio, Israele avrebbe potuto annettersi il Sinai. Malgrado l'insuccesso politico dell'operazione, che si concluse con la restituzione del Sinai imposta da Stati Uniti e Unione sovietica per interposto intervento dell'Onu, si mantenne fedele a una linea politica sostanzialmente neocolonialistica, incoraggiando i movimenti autonomistici delle minoranze del mondo arabo (in particolare quello berbero nell'Algeria indipendente). Già nel 1958 si era dichiarato pronto a occupare la Cisgiordania in caso di rovesciamento della dinastia hascemita, allora vacillante per il contraccolpo della rivoluzione irachena del 14 luglio. Coerentemente con questa posizione, dopo la guerra del 1967 sostenne decisamente la necessità di conservare i territori arabi occupati (Cisgiordania e Gaza). Di fronte al rischio della sospensione degli aiuti economici e militari da parte degli Stati Uniti (che era apparsa possibile dopo la guerra del 1956) si preoccupò di diversificare le fonti di approvvigionamento. Nel 1960 ottenne armi dalla Repubblica federale tedesca in cambio, pare, dell'impegno a non trasformare il processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann in un'operazione di propaganda antitedesca. Con l'aiuto della Francia e poi degli Stati Uniti gettò inoltre le basi per la produzione di aerei avanzati, armi nucleari e missili. Nell'estate del 1963 le polemiche suscitate nell'opinione pubblica e nello stesso Mapai dai rapporti con la Repubblica federale tedesca lo indussero a lasciare il governo. Tornato a vita privata, incoraggiò Moshe Dayan ad attaccare il suo successore Levi Eshkol, giudicato non sufficientemente energico nella guida del governo. Posto in minoranza dal congresso del Mapai nel 1965, uscì dal partito fondando il Rafi (Lista operaia israeliana), ma abbandonò anche questa formazione quando essa si fuse (1968) con il Mapai e altri gruppi nel Partito israeliano del lavoro, o Partito laburista. Costituì allora la Lista di stato, che finì con l'unirsi al Likud di Menahem Begin.

DAYAN, MOSHE

(Deganya 1915 - Tel Aviv 1981). Militare e politico israeliano. Nato in Palestina da immigrati ucraini, militò nella Haganah e poi nelle forze speciali britanniche del capitano Orde Wingate, partecipando alla repressione della rivolta araba (1936-1939). Incarcerato nel 1939 quando la Haganah venne dichiarata fuorilegge, fu liberato nel 1941 per prender parte all'offensiva britannica contro le forze collaborazioniste francesi in Siria. Fece quindi parte dell'Agenzia ebraica, si distinse nella prima delle guerre arabo-israeliane e partecipò alle trattative d'armistizio (Rodi, 1949). Compiuti ulteriori studi militari in Israele e in Gran Bretagna e promosso generale, sostenne, in contrasto con le concezioni difensive allora in auge, la necessità di preparare le forze armate allo scontro frontale in una guerra d'attacco. Capo di stato maggiore dalla fine del 1953 preparò con i franco-britannici l'aggressione contro l'Egitto (1956). Eletto nel 1959 nelle liste del Mapai (malgrado la diffidenza di Golda Meir) fu ministro dell'Agricoltura (1959-1964). Rieletto nel 1965, nel 1967 il Mapai lo impose come ministro della Difesa, malgrado l'opposizione del primo ministro Levi Eshkol; l'esito della Terza guerra arabo-israeliana, che realizzò in pieno le sue concezioni sull'attacco preventivo, lo portò all'apice della popolarità, crollata repentinamente a causa dei rovesci subiti da Israele all'inizio della guerra del 1973. Ministro degli Esteri nel governo Begin (1977), si dimise nell'ottobre 1979 in segno di protesta contro l'esproprio di terreni arabi da destinare a insediamenti ebraici in Cisgiordania. Alle elezioni del 1981 si presentò alla guida di un nuovo partito (Telem, Rinnovamento dello stato) che ottenne due seggi e si schierò all'opposizione.

BEGIN, MENAHEM

(Brest-Litovsk 1913 - Gerusalemme 1992). Politico israeliano. Militante di organizzazioni giovanili sioniste in Cecoslovacchia, Polonia e Lituania fino al 1939, deportato in Siberia dalle autorità sovietiche, nel 1942 fu autorizzato a trasferirsi in Palestina dove divenne comandante (1943-1948) dell'organizzazione terroristica Irgun responsabile, tra l'altro, del massacro di Deir Yassin. Dopo la fondazione di Israele, trasformò l'Irgun in un partito politico di destra fortemente nazionalista e filoreligioso (Herut o Movimento per la libertà), che si unì nel 1965 ai liberali, dando vita al blocco Gahal. Eletto alla knesset (parlamento) nel 1948, vi guidò l'opposizione ai governi di centro-sinistra fino al 1967 quando, alla vigilia della terza guerra arabo-israeliana, fu chiamato dai laburisti a far parte del governo di unità nazionale come ministro senza portafoglio. Contrario alla restituzione dei territori occupati nel 1967, abbandonò il governo nel 1969 per coalizzare i principali movimenti nazionalisti di destra nel Likud, che guidò alla vittoria elettorale nel 1977. Divenuto primo ministro (1977-1983), Begin costruí il proprio successo sulle trattative dirette con il presidente egiziano Sadat, culminate nel trattato di Camp David, che gli valse il premio Nobel per la pace (1978). La linea dura di Begin si esplicò nell'occupazione temporanea del Libano meridionale (1978), nella continua creazione di insediamenti ebraici nei territori arabi occupati e nel pertinace rifiuto di trattative con l'Olp. Indebolito nella salute e nel prestigio personale dalle polemiche seguite alla nuova invasione del Libano (1982) e dai dissensi in materia di politica economica, abbandonò l'attività politica nel 1983.

CISGIORDANIA

Regione occidentale della Giordania (compresa la parte araba di Gerusalemme) occupata dagli israeliani nel terzo conflitto arabo-israeliano del giugno 1967. Secondo le deliberazioni dell'Onu del 27 novembre 1947, relative alla spartizione della Palestina in due stati, ebraico e arabo, avrebbe dovuto essere assegnata al secondo. A seguito degli esiti della Prima guerra arabo-israeliana (1948-1949), la Cisgiordania venne occupata dalle truppe transgiordane e poco dopo entrò a far parte del comune regno di Giordania sotto lo scettro di re Abdallah. La Giordania la perdette poi nel 1967; la successiva occupazione israeliana modificò lo status di Gerusalemme, dichiarata nel 1980 capitale eterna dello stato di Israele. Nel resto del territorio, ribattezzato dagli occupanti con la denominazione biblica di Giudea e Samaria, venne attuata una massiccia campagna di colonizzazione demografica ebraica. L'opposizione araba all'occupazione israeliana si concretizzò prima in un vasto appoggio all'Organizzazione per la liberazione della Palestina e poi, dal 1987, in una generale sollevazione popolare nota con il termine arabo di intifada (rivolta). Con la proclamazione dello stato di Palestina nel 1988, la Giordania rinunciò a ogni diritto sulla regione. In seguito agli accordi israelo-palestinesi del 1993-1995 i centri principali della Cisgiordania passarono sotto il controllo di un'amministrazione autonoma palestinese. Nel 1996 si tennero le elezioni per un consiglio dell'Autorità palestinese che avrebbe dovuto costituire il nucleo di un futuro stato indipendente, possibilità che venne messa in seria difficoltà dagli scontri sanguinari tra israeliani e palestinesi verificatisi a partire dagli ultimi mesi del 2000.

HISTADRUT

(Ha-Histadrut ha-Kelalit shel ha-Ovedim ha-Ivriyyim be Eretz Israel, Confederazione generale del lavoro ebraico in terra d'Israele). Organizzazione sindacale sionista (vedi sionismo). Fu fondata nel 1920 in Palestina allo scopo di organizzare i lavoratori immigrati. La Histadrut estese fin dalle sue origini la propria attività a tutti i settori dell'economia, attraverso la gestione dei servizi pubblici (assicurazioni contro l'invalidità e le malattie, uffici di collocamento, scuole, banche, reti di trasporto), delle imprese industriali e di costruzione, delle cooperative di vendita, produzione e trasporto, e divenne uno strumento fondamentale della colonizzazione ebraica in Palestina. I lavoratori arabi, che furono oggetto di boicottaggio, anche violento, vennero ammessi nel sindacato, con pari diritti, soltanto nel 1959. Anche dopo la proclamazione di Israele la Histadrut mantenne la posizione di principale potenza industriale del paese, realizzando nei primi anni di vita dello stato oltre un quinto del prodotto interno netto e si rivelò il principale strumento di potere del partito Mapai. Dopo la guerra arabo-israeliana del 1967 la Histadrut (che già aveva tratto cospicui vantaggi dai beni abbandonati dai profughi arabi nel 1948-1949) estese le proprie attività anche nei Territori occupati. Il ruolo imprenditoriale, più che strettamente sindacale, della Histadrut spiega perché le rivendicazioni operaie fossero caratterizzate da un prevalere degli scioperi non proclamati su quelli riconosciuti dalla confederazione. L'oltre un milione di iscritti del 1974 aderì soprattutto alla coalizione Mapai-Mapam - partiti religiosi (60% circa), mentre al fronte di destra del Likud aderì il 23%, ai liberali indipendenti il 6%, al Partito Comunista Rakah il 2,4%.

SUEZ, CANALE DI

Via d'acqua artificiale di 161 km che collega il Mediterraneo con il mar Rosso, scavata tra il 1859 e il 1869 su progetto dell'ingegnere francese Ferdinand de Lesseps. Nel 1882, con l'occupazione dell'Egitto, la Gran Bretagna assunse il diretto controllo del canale e lo mantenne sino al 1954, quando tutte le forze britanniche lasciarono l'Egitto. Nel 1956 il governo egiziano di Nasser nazionalizzò la compagnia che gestiva il canale, a prevalente capitale anglo-francese, e per reazione Francia e Gran Bretagna, di concerto con Israele, aggredirono l'Egitto. Nel corso della Terza guerra arabo-israeliana del giugno 1967 gli israeliani occuparono tutto il Sinai e trasformarono così il canale nella linea di demarcazione tra gli eserciti egiziano e israeliano, determinandone la totale chiusura fino alla successiva guerra arabo-israeliana dell'ottobre 1973. Costretti i trasporti marittimi tra Europa e Asia orientale a tornare sull'antica rotta del Capo, ne derivò una forte accelerazione all'innovazione delle costruzioni navali che condusse alla creazione delle "superpetroliere", da 70.000 a oltre 100.000 tonnellate. L'Egitto, riottenuto il pieno controllo del canale, poté riaprirlo alla navigazione il 5 giugno 1975, ma ormai esso non era più in grado di far transitare i nuovi giganti del mare.

RAU

(Repubblica araba unita, 1958-1961). Stato nato dalla fusione dell'Egitto con la Siria. Voluto principalmente dai baathisti siriani (vedi Baath) quale inizio di una più vasta aggregazione panaraba, si concluse il 28 settembre 1961 quando un colpo di stato secessionista a Damasco denunciò l'insopportabile egemonismo egiziano.

BAATH

(Resurrezione). Partito socialista arabo fondato da Michel Aflaq in Siria nel 1943 e egemone nella stessa Siria dal 1963 e in Iraq dal 1968. Il suo programma è basato su un coerente panarabismo auspicante la creazione di un unico stato inglobante l'intera nazione araba.

SIONISMO

Ideologia tendente alla costituzione di uno stato ebraico.

L'ASPIRAZIONE ALLA TERRA PROMESSA. Il termine (da Sion, collina di Gerusalemme) fu coniato nel 1890 da Nathan Birnbaum nella sua rivista "Selbstemanzipation" per propugnare un partito sionista che raccogliesse politicamente l'aspirazione religiosa degli ebrei a tornare nella terra promessa. Un movimento in tal senso, incoraggiato dalla presenza d'una seppure limitata comunità ebraica di Palestina o yishuv (circa cinquemila persone verso il 1770, diecimila all'inizio dell'Ottocento), si era determinato a partire dalla metà del secolo sotto forma di colonizzazione economica, sia tramite l'acquisto di terreni con sir Moses Montefiore (1854), sia tramite il patrocinio a iniziative locali (istituto agrario di Mikveh Israel presso Giaffa, finanziato dall'Alliance israélite universelle, 1870; la colonia di Petah Tikva fondata nel 1878 da un gruppo di ebrei di Gerusalemme con capitali britannici). Tra i precursori del sionismo in questa fase vi fu il patriota italiano d'origine calabrese Benedetto Musolino (1809-1885), fautore dell'insediamento ebraico in Palestina quale strumento per introdurre la cultura europea nel vicino Oriente. Un impulso decisivo a trasformare l'immigrazione in Palestina da fenomeno episodico in movimento organico e tendenzialmente di massa venne dagli ebrei dell'Europa orientale, che non solo costituivano all'epoca la stragrande maggioranza della diaspora ebraica (circa cinque milioni e mezzo su quasi otto nel 1880), ma erano quelli che vivevano nelle condizioni peggiori. In risposta alle frequenti persecuzioni antiebraiche (vedi pogrom) sorsero in Russia, Polonia, Romania numerose società di Hovevei Zion (Amanti di Sion), il cui primo successo fu la fondazione in Giudea nel 1882 della colonia di Rishon le-Zion (La prima in Sion).

GLI INSEDIAMENTI IN PALESTINA. Seguirono altri insediamenti, che ricevettero sovvenzioni da parte di ricchi ebrei dell'Europa occidentale, tra i quali i baroni Edmond de Rothschild e Moritz von Hirsch. La costituzione del sionismo in movimento politico avvenne in gran parte come reazione all'antisemitismo e si dovette a Theodor Herzl, che nel 1897 convocò a Basilea il primo congresso mondiale dell'organizzazione ponendone alla base il progetto di costruire uno stato del popolo ebraico (non necessariamente in Palestina) tutelato dal diritto internazionale. La proposta fu inizialmente accolta con indifferenza dalla maggioranza degli ebrei in tutto il mondo, mentre incontrò una decisa opposizione, per opposti motivi, sia da parte della destra religiosa (cui appariva blasfema la pretesa di ricostruire Israele prima dell'avvento del messia), sia da parte dell'ebraismo riformista, forte in Germania e Ungheria, favorevole piuttosto all'integrazione degli ebrei negli stati d'appartenenza e fautore di una religiosità fondata unicamente su verità eterne svincolate da fattori storico-geografici. Al progetto si opposero autorevoli esponenti dell'ebraismo statunitense, che nei primi anni del Novecento sostenevano essere gli Usa la loro Terra promessa, posizione questa che sarebbe stata poi ripresa dall'American Council for Judaism, promosso nel 1942 dal rabbino Elmer Berger. Ciò non scoraggiò i dirigenti sionisti che, morto Herzl, ratificarono la scelta palestinese al loro VII congresso (Basilea, 1905) e ne avviarono la realizzazione. Una svolta capitale in tal senso si ebbe durante la Prima guerra mondiale grazie alla dichiarazione di Balfour, fatta propria dalla Società delle nazioni che, nell'affidare il mandato sulla Palestina alla Gran Bretagna (1922), sancì il principio della collaborazione tra sionismo (per mezzo dell'Agenzia ebraica) e amministrazione britannica. Forti dell'avallo internazionale, i dirigenti sionisti (tra cui, in primo piano, Chaim Weizmann e David Ben Gurion) si dedicarono a gettare le fondamenta del futuro stato ebraico in Palestina. Ben presto, tuttavia, intervennero contrasti in seno al movimento sionista intorno alla proposta britannica di uno stato ebraico-arabo integrato. Nettamente contrari erano i revisionisti di Vladimir Jabotinsky (1880-1940), considerando loro unico obiettivo politico essenziale la costituzione dello stato ebraico; più possibilisti furono invece i cosiddetti sionisti generali (Weizmann, Ben Gurion) che, pur senza rinunciare a tale obiettivo strategico, ritenevano prioritario concentrare gli sforzi sull'immigrazione (che aumentò sensibilmente in seguito all'avvento del nazismo in Germania); favorevoli invece a uno stato binazionale con assoluta parità di diritti fra arabi ed ebrei furono i marxisti di Hashomer hatsair.

LO STATO D'ISRAELE. Usciti nel 1935 dall'Organizzazione sionista mondiale (Wzo, World Zionist Organization), dopo la mancata approvazione di una mozione che definiva obiettivo ufficiale del sionismo la creazione di una maggioranza ebraica e di uno stato ebraico in Palestina, i revisionisti vi rientrarono durante la Seconda guerra mondiale, dopo l'approvazione del cosiddetto programma del Biltmore (dalla sede della conferenza sionista che proclamò, nel 1942, la Palestina sede nazionale ebraica obiettivo del popolo ebraico), ed ebbero come punto di riferimento il partito Herut di Menachem Begin. Avvenuta la costituzione dello Stato di Israele, obiettivo del sionismo divenne il consolidamento di quest'ultimo, da realizzarsi mediante il confluire degli esuli nella Terra d'Israele e l'incoraggiamento dell'unità del popolo ebraico. La ridefinizione degli scopi e del ruolo del movimento non fu esente da tensioni, in particolare tra la massima personalità sionista della diaspora, il rabbino statunitense Abba Hillel Silver, e Ben Gurion, deciso a respingere qualsiasi presunzione di tutela sul nuovo stato da parte del movimento sionista. In particolare, Ben Gurion sosteneva che la raccolta di fondi e le altre forme di assistenza agli ebrei d'Israele erano responsabilità naturale di tutti gli ebrei della diaspora (i quali acquistavano in tal modo il diritto a essere considerati amici d'Israele); ma considerava sionisti in senso stretto soltanto gli ebrei disposti a trasferirsi in Israele. Al XXVI congresso (dicembre 1964 - gennaio 1965) il presidente della Wzo, Nahum Goldmann, definiva dal canto suo come obiettivi del sionismo la sopravvivenza della nazione ebraica nella diaspora e l'assistenza dello Stato di Israele al popolo ebraico.

POGROM

Violente sommosse popolari antiebraiche che si verificarono a partire dal 1881 nella Russia sudoccidentale. Scarsamente prevenute e, talvolta, perfino incoraggiate dalle autorità locali, causarono la morte di molti ebrei e la distruzione di loro proprietà.

HERZL, THEODOR

(Budapest 1860 - Edlach 1904). Scrittore ungherese, fondatore del movimento sionista (vedi sionismo). Di famiglia di ebrei assimilati, trasferitosi a Vienna, fu inizialmente fautore dell'assimilazionismo. Modificò l'atteggiamento in seguito alle crescenti manifestazioni di antisemitismo che si andavano diffondendo nel mondo tedesco e in Francia, dove fu inviato dal giornale viennese "Neue Freie Presse" per seguire il processo Dreyfus. Nel libro Der Judenstaat (Lo stato degli ebrei, 1896), sostenne che, perdurando l'odio verso gli ebrei anche dopo un'eventuale assimilazione, l'unica soluzione della questione ebraica doveva essere cercata nella formazione di uno stato nazionale ebraico. Questa tesi era già stata avanzata dai rabbini Yehuda Alkalay (1798-1878) e Zevi Hirsch Kalischer (1795-1874), dal socialista ebreo assimilato Moses Hess (1812-1875) e da Leon Pinsker, autore dal 1883 dei primi tentativi organizzati di colonizzazione della Palestina. Quello di Herzl fu, però, un progetto nazionale dalla forte carica ideologica, tendente a combattere l'antisemitismo mediante il trasferimento degli ebrei in una sede autonoma garantita dal diritto internazionale: un modello laico, nazionalista, in luogo delle motivazioni religiose proprie dei fautori tradizionali di un ritorno a Sion o delle soluzioni per gruppi più o meno limitati di emigranti. Diversamente dagli scritti del sionismo religioso o pragmatico, Der Judenstaat suscitò un immediato interesse tra gli ebrei dell'Europa orientale, tanto che già nel 1897 si poté organizzare a Basilea il primo congresso sionista che, grazie alle doti carismatiche di Herzl, assunse il carattere di un'assemblea costituente. Il cosiddetto programma di Basilea prevedeva la creazione di un organismo permanente (l'Organizzazione sionistica, Zionist organization, Zo), di una banca (il Jewish Colonial Trust), di organi di stampa in varie lingue. Negli anni successivi l'intensa attività diplomatica di Herzl, svolta nel tentativo di ottenere quel riconoscimento politico di valore internazionale che, nelle intenzioni del sionismo, doveva condurre alla sovranità ebraica su un territorio (e che arrivò nel 1917 con la dichiarazione di Balfour), finì con l'attribuirgli un prestigio paragonabile a quello di un capo di stato. Per trasformare in realtà il suo obiettivo di trasferire un popolo senza terra in una qualche terra senza popolo si rivolse prima al Kaiser Guglielmo II (1898), nella speranza che questi esercitasse pressioni sull'impero ottomano per una soluzione palestinese, poi allo stesso sultano Abdülhamid II (1901) e perfino al ministro russo degli Interni, Plehve, notorio ispiratore di persecuzioni antiebraiche (1903). Malgrado la rapidità con cui le sue idee fecero proseliti, Herzl dovette fronteggiare l'opposizione di quella stragrande maggioranza di ebrei che si manteneva estranea al sionismo o lo avversava apertamente. Tra questi ultimi gli assimilazionisti, contro i quali si mobilitò il secondo congresso sionista (Basilea, 1898) e, all'estremo opposto, i religiosi ferventi che giudicavano blasfemo il tentativo di ricostruire uno stato ebraico prima del ritorno del Messia.

BALFOUR, DICHIARAZIONE DI

(2 novembre 1917). Il ministro degli esteri britannico Arthur James Balfour impegnava con essa la Gran Bretagna ad aiutare gli ebrei a creare un proprio focolare nazionale in Palestina alla fine della guerra in corso.

WEIZMANN, CHAIM

(Motil 1874 - Rehovot 1952). Dirigente sionista e primo presidente israeliano. Nato in Bielorussia, studiò in Germania. Si trasferì quindi in Gran Bretagna e, diventato cittadino britannico (1910), diede un notevole contributo allo sforzo bellico quale direttore dei laboratori chimici dell'Ammiragliato (1916-1919). Militante sionista fin dalle origini, partecipò alla preparazione della dichiarazione di Balfour e, dal 1920 al 1931, presiedette l'Organizzazione sionista mondiale (Wzo, World Zionist Organization). Eletto nel 1929 presidente dell'Agenzia ebraica, si dimise nel 1931 in seguito alla pubblicazione (1930) del Libro bianco britannico sugli incidenti del 1929 tra musulmani ed ebrei a Gerusalemme. Rieletto alla presidenza dell'Agenzia nel 1935, mantenne la carica fino al 1946, quando se ne dimise in disaccordo con una risoluzione del XXII congresso sionista a Basilea, che escludeva la partecipazione del movimento sionista alla conferenza arabo-ebraica di Londra, proposta dalla Gran Bretagna per risolvere la questione della Palestina sulla base di una sua divisione in quattro cantoni (ebraico, arabo, Gerusalemme e Negev). Perorò poi efficacemente all'Onu nel 1947 la causa della spartizione della Palestina e, in seguito alla proclamazione dello stato di Israele (1948), ne venne eletto presidente.

TERRITORI OCCUPATI

L'insieme della Cisgiordania, della fascia di Gaza, del Golan e dei quartieri orientali di Gerusalemme conquistati da Israele in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1967.

LA VIOLAZIONE DELLE RISOLUZIONI DELL'ONU. Quella conquista forniva in teoria a Israele buone carte per un accordo che garantisse la pace in cambio della restituzione. In realtà il governo israeliano già all'indomani della vittoria annetté di fatto la parte araba di Gerusalemme, ignorando la risoluzione approvata il 4 luglio 1967 dall'Assemblea generale dell'Onu contro qualsiasi modificazione dello status giuridico della città santa. Dal canto suo il Consiglio di sicurezza dell'Onu approvò il 22 novembre dello stesso anno una nota risoluzione, la 242, che indicava come presupposti di una pace giusta e durevole il ritiro delle forze armate israeliane da (nel testo inglese: from territories) o dai (in quello francese: des territoires) territori occupati, e il diritto di tutti gli stati della regione a vivere entro confini sicuri e riconosciuti; queste intrinseche ambiguità consentirono tanto a Israele quanto agli stati arabi di rigettare sulla controparte la responsabilità per il fallimento dei reiterati tentativi compiuti negli anni successivi per arrivare a una soluzione concordata. Nel frattempo il governo israeliano attuava la politica del fatto compiuto, consentendo tacitamente o incoraggiando attivamente la fondazione, in tutti i Territori occupati, di un numero crescente di insediamenti ebraici integrandone l'economia in quella israeliana: la maggior parte della produzione ortofrutticola della Cisgiordania veniva venduta in Israele, dove nel contempo si offriva lavoro a decine di migliaia di pendolari arabi, provenienti soprattutto da Gaza, disposti a sostituire gli israeliani nelle attività più faticose o rischiose e meno retribuite. Periodicamente Israele esprimeva la volontà di restituire buona parte dei Territori occupati in cambio di un trattato di pace, ma in seno al governo si manifestavano opinioni diverse: all'esigenza militare di mantenere confini sicuri si contrapponeva la preoccupazione, dettata da considerazioni demografiche, di evitare l'assorbimento nello stato ebraico di ulteriori minoranze arabe. Nonostante l'esodo di 380.000 profughi durante o subito dopo la guerra del 1967, la Cisgiordania ospitava ancora circa un milione di palestinesi arabi (di cui 70.000 a Gerusalemme ormai considerati alla stregua di cittadini israeliani), che furono sottoposti a un'amministrazione militare rigorosa fino a quando, nel giro di un triennio, le autorità militari e i servizi di sicurezza non ebbero ridotto a livelli minimi le capacità organizzative della resistenza palestinese. A questo risultato nella fascia di Gaza, più densamente abitata, si arrivò soltanto alla fine del 1971, previo smantellamento parziale dei maggiori concentramenti di profughi; di tutta la fascia venne annunciata, nel marzo 1973, l'incorporazione in Israele.

LA COLONIZZAZIONE ISRAELIANA. In Cisgiordania si stava attuando invece de facto il cosiddetto piano Alln (mai ufficialmente approvato dal governo di Israele) che prevedeva la disseminazione di insediamenti ebraici lungo il Giordano, sulle colline della Samaria e tra Gerusalemme e Gerico, dopodiché sarebbe stato possibile restituire la regione, eccezion fatta per Gerico, alla Giordania, col vantaggio per Israele di dover incorporare, a progetto ultimato, ben pochi arabi. A propria volta l'Agenzia ebraica operò per incoraggiare l'immigrazione degli ebrei sovietici (autorizzati dal 1971 a trasferirsi in Israele in quote consistenti), mentre tale diritto fu precluso ai profughi arabi della guerra del 1967. La politica degli insediamenti ebraici nei Territori occupati ricevette nuovo impulso dalla vittoria elettorale (1977) delle destre guidate da Menachem Begin, malgrado gli impegni da questo assunti al riguardo con gli accordi di Camp David che portarono alla pace con l'Egitto (1979). Entro il maggio 1980 si sarebbero dovute concludere le trattative sul futuro della Cisgiordania e di Gaza, ma l'intransigenza del governo Begin (disposto a concedere ai territori solo una limitata autonomia amministrativa) ne provocò il fallimento e, per contraccolpo, tensioni con gli Usa e in seno allo stesso gabinetto, dal quale si dimisero per protesta i ministri degli Esteri M. Dayan e della Difesa E. Weizmann. Nel dicembre 1981 fu proclamata l'annessione del Golan, mentre venne intensificata la creazione di nuovi insediamenti, che passarono da 42 all'inizio del 1973 a 129 con 46.000 coloni nel 1985 (di cui 114 con 42.500 coloni in Cisgiordania) a 139 con 70.000 coloni nel 1987 (di cui 118 con 67.700 coloni in Cisgiordania, dove il 52 per cento della superficie era ormai espropriato). Esito di tale politica fu l'emergere di una crisi nei rapporti con gli Stati Uniti che, impegnatisi sul piano internazionale ad affrontare la questione palestinese dopo la guerra del Golfo, nel 1991 sospesero la concessione a Israele di crediti per 10 miliardi di dollari formalmente destinati all'assorbimento di immigrati sovietici. Più duttile in proposito si dimostrò il governo Rabin che, all'atto del suo insediamento nel 1992, si impegnò a bloccare almeno temporaneamente la costruzione di nuovi insediamenti. La mancanza di prospettive di soluzione politica, unita alla perdurante repressione e alla pesante situazione economica dei Territori occupati, aveva frattanto fatto esplodere nella fascia di Gaza il 9 dicembre 1987 l'intifada (in arabo "sollevazione"), movimento popolare inizialmente non violento (caratterizzato soprattutto dal lancio di pietre da parte di bambini e ragazzi contro le forze israeliane) che, rendendo esplicita all'opinione pubblica israeliana e internazionale l'impossibilità di eludere il problema dell'autodeterminazione del popolo palestinese, spianò la strada alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dello stato palestinese (novembre 1988) e all'inizio di un travagliato dialogo tra Stati Uniti e Olp e della ancor più travagliata Conferenza di pace per il medio Oriente (Madrid, 1992). Questa nuova "età del dialogo" cominciata a inizio anni novanta portò agli accordi del 1993-95 tra Israele e Olp che sancirono il passaggio dei centri principali della Cisgiordania a un'amministrazione autonoma palestinese. Nel gennaio 1996 si poterono così tenere le elezioni di un consiglio dell'Autorità palestinese che costituiva l'embrione di un futuro stato indipendente di Palestina, la cui realizzazione fu però messa in serio pericolo da quel clima di tensione e di scontri venutosi a creare alla svolta tra Novecento e Duemila.

GOLFO, GUERRA DEL

(15 gennaio - 28 febbraio 1991). Combattuta tra l'Iraq e la forza multinazionale dell'Onu guidata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, pose fine alla crisi aperta il 12 agosto 1990 dall'invasione irachena dell'emirato arabo del Kuwait. Massicciamente sostenuto e armato dagli Usa e dall'Occidente (oltre che dall'Urss) durante la precedente guerra contro l'Iran (1980-1988) come diga contro la minaccia islamica, nel 1990 il regime di Baghdad, schiacciato dal debito estero e impedito nel Grande disegno di guida del mondo arabo coltivato da Saddam Hussein, ritorse la sua potenza militare contro gli emirati filoccidentali, accusando il Kuwait di praticare una politica di ribasso dei prezzi petroliferi e di estrarre illegalmente petrolio dal giacimento iracheno di Roumaila. Sotto le bandiere dell'Onu e del diritto internazionale e preparato da un massiccio spiegamento di forze dell'operazione Scudo nel deserto, dall'intensa attività diplomatica verso l'Urss e i paesi arabi ostili all'Iraq e dal crescendo di risoluzioni orchestrato all'Onu per autorizzare l'uso della forza, l'intervento Usa schiacciò il dispositivo iracheno, ampiamente sovrastimato dalla propaganda e dimostratosi inerme di fronte all'enorme superiorità alleata. L'Iraq fallì anche nei tentativi di coinvolgere nel conflitto Israele per guadagnare, contro questo comune nemico, la perduta solidarietà araba, manifestatagli solo dall'Olp. Combattuta quasi esclusivamente dalle aviazioni alleate con massicci e ininterrotti bombardamenti sull'Iraq, l'operazione, condotta minuto per minuto sotto i riflettori delle reti televisive di tutto il mondo, fu rapidamente conclusa da un'offensiva di terra che in soli quattro giorni liberò il Kuwait, costringendo l'esercito iracheno a una fuga disordinata dopo aver incendiato i pozzi petroliferi kuwaitiani, provocando gravi danni ecologici.

OLP

(Organizzazione per la liberazione della Palestina). Fondata su iniziativa di Ahmed Shukeiri nel corso del primo Congresso nazionale palestinese (maggio 1964) a Gerusalemme, come espressione dei regimi arabi che intendevano condizionare dall'interno il movimento palestinese, dopo la disfatta nella guerra dei Sei giorni (1967), la sua natura mutò radicalmente: non più singola organizzazione contrapposta ad altre analoghe, quali al Fatah, la Saika, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina ecc., ma struttura unitaria dell'intero movimento palestinese, aperta non solo a tutti i gruppi della guerriglia, ma anche alle diverse associazioni sindacali, professionali e culturali. Il cambiamento fu sancito nel febbraio 1969 con la nomina alla presidenza della nuova Olp di Yassir Arafat, già capo di al Fatah. All'originario obiettivo strategico dell'Olp, sancito nella Carta nazionale palestinese del 1964 (modificata nel 1968), auspicante l'edificazione in tutta la Palestina di uno stato unitario, laico e democratico, si sostituì poi quello più realistico mirante alla creazione di uno stato arabo in Cisgiordania e nella striscia di Gaza in pacifica convivenza con Israele. La rivolta popolare in Palestina (intifada) e la rinuncia della Giordania alla sovranità sulla Cisgiordania (1988) consentirono all'Olp di proclamare, anche se solo formalmente, la costituzione dello stato di Palestina. In seguito il riconoscimento dello stato di Israele e la moderazione politica dimostrata, tranne nel caso dell'appoggio dato all'Iraq per l'occupazione del Kuwait, consentirono l'avvio di negoziati di pace che si conclusero con gli accordi del 1993-95. L'Olp ricevette il riconoscimento da parte di Israele dell'autonomia amministrativa di gran parte della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Nel 1996 si affermò con una schiacciante maggioranza alle elezioni del consiglio dell'Autorità palestinese di cui divenne presidente Y. Arafat.

ARAFAT, YASSIR

(Gaza 1929 - Clamart 2006 ). Politico palestinese. Figlio di un ricco mercante, crebbe a Gerusalemme e si laureò in ingegneria al Cairo. Dal 1956 visse nel Kuwait, ove nel 1965 fu tra i fondatori di al Fatah, la principale organizzazione della resistenza palestinese. Assunta nel 1969 la presidenza dell'Olp, da allora ne è stato il leader. Abile diplomatico, rimediò al disastro militare subito dalla guerriglia palestinese in Giordania nel settembre 1970 (vedi settembre nero) a opera dell'esercito di re Hussein ottenendo dal vertice arabo di Rabat del 1974 il riconoscimento dell'Olp quale unico legittimo rappresentante del popolo palestinese a nome del quale prese anche la parola davanti all'assemblea generale dell'Onu. Nel 1982 l'invasione israeliana del Libano lo costrinse a trasferire il suo quartier generale da Beirut a Tunisi. Dichiaratosi poi favorevole a una soluzione diplomatica del conflitto con Israele e quindi al riconoscimento dello stato di Israele, fu violentemente contestato dall'ala palestinese più radicale sostenuta dalla Siria. L'appoggio fornito a Saddam Hussein nella guerra del Golfo (1990-1991) mise a repentaglio il suo prestigio internazionale; ciò non impedì tuttavia che lo stesso Arafat autorizzasse una delegazione palestinese a partecipare ai colloqui di pace arabo-israeliani (1991-1992). Scampato già a vari attentati, uscì indenne da un grave incidente aereo nell'aprile 1992. Presidente dal 1989 dello stato di Palestina proclamato in modo unilaterale dall'Olp, si è impegnato per il raggiungimento della pace in Medio Oriente attraverso trattative dirette con Israele, che hanno portato allo storico accordo del 1993, ratificato il 4 maggio 1994, che concedeva l'autonomia a Gerico e nella striscia di Gaza. Nel 1994 ha ricevuto con Yitzhak Rabin e Shimon Peres il premio Nobel per la pace, e nel 1996 è stato eletto presidente dell'Autorità palestinese.

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