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PARLAMENTO
Organismo assembleare alla cui base risiede un criterio rappresentativo che ne informa la struttura e ne indirizza l'attività. Varie sono le funzioni e le modalità di costituzione dei parlamenti, così che non è possibile affidarsi a formule meno generiche.

ORIGINI MEDIEVALI.
L'origine delle assemblee rappresentative è medievale; esse avevano il compito di tutelare i molteplici poteri e privilegi presenti nella società feudale (società di ordini), prima in accordo col sovrano, poi, una volta innescato il processo di istituzionalizzazione, in maniera sempre più autonoma. Il parlamento nasceva, quindi, con una vocazione essenzialmente "conservatrice", nel senso che non aveva compiti di affermazione di diritti o di trasformazione dei rapporti giuridico-sociali; esso doveva semplicemente garantire gli spazi di autonomia che le corporazioni maggiori erano riuscite a ritagliarsi all'interno dell'universo di relazioni fra comunità autonome, proprie dell'età medievale. Promossi dai sovrani, sovente bisognosi del consenso (e delle risorse finanziarie) dei sudditi più potenti e facoltosi, i parlamenti correvano un duplice pericolo: da un lato, in presenza di un forte potere regio, finivano per acquisire una funzione meramente decorativa (caso francese: Stati generali); dall'altro, di fronte a un potere centrale debole, potevano alimentare la frammentazione politico-istituzionale, destrutturando di fatto l'unità dello stato (caso tedesco). L'affermarsi delle monarchie nazionali, fra i secoli XVI e XVII, inferse un colpo mortale alle antiche assemblee rappresentative, che giocavano una partita di retroguardia, affannandosi a difendere interessi e valori ormai appannati. La stessa borghesia dei commerci si schierò per lo più dalla parte dei monarchi, nei quali individuava una volontà modernizzatrice di cui le camere "conservatrici" mancavano.

ORGANISMO DI RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA. Solo il parlamento inglese, uscito vincitore dalla Glorious Revolution (1688-1689), ebbe la forza di trasformarsi in un'assemblea del tutto nuova, in grado di costituire un potere autonomo, prima parallelo a quello regio e poi addirittura prevalente. Nel corso del XVIII secolo, inoltre, l'assemblea rivoluzionaria americana (vedi Congresso) già indicava le tappe dell'ulteriore sviluppo delle istituzioni parlamentari: eliminazione della partizione per ordini o "stati", ampio suffragio, definizione di precisi compiti legislativi e di controllo. L'impossibilità di riconvertire i vetusti Stati generali in una moderna camera rappresentativa segnò l'inizio della rivoluzione francese (1789); da allora la battaglia per le libere istituzioni mirò al ridimensionamento del potere assoluto, prima attraverso lo strumento della monarchia costituzionale (nella quale la titolarità dell'esecutivo spettava ancora esclusivamente al re), poi attraverso quello, più incisivo, della monarchia parlamentare (caratterizzata da un rapporto fiduciario tra assemblea e governo), anticamera delle liberaldemocrazie contemporanee. Quanto agli aspetti peculiari della struttura parlamentare moderna, va anzitutto notata la prevalenza del principio elettivo su quello della nomina discrezionale (attributo sovrano, che in alcune costituzioni, come quella italiana, ancora sopravvive nella facoltà presidenziale di nominare senatori a vita fino a cinque illustri cittadini). Per quanto i sistemi elettorali adottati siano i più vari, è possibile stabilire, in termini generali, una proporzione diretta fra l'ampiezza della base chiamata a esprimere il suffragio e il peso politico della rappresentanza eletta. Il suffragio universale, espressione compiuta della "volontà popolare", oltre a incidere sull'estrazione sociale dei deputati, comportò un'accentuazione della presenza dei partiti organizzati nella vita delle assemblee (tipico è il caso britannico). D'altro canto, le camere alte (Senato o Camera dei pari) hanno perso progressivamente ruoli e significato, fino a sparire in alcuni paesi (Nuova Zelanda, Danimarca e Svezia), ad assumere funzioni del tutto diverse in altri (come negli stati federali: Stati Uniti, Unione sovietica, Austria, Svizzera, Germania, Messico, Brasile ecc.), o a fungere da elemento equilibratore e moderatore delle decisioni assunte dalla camera dei deputati.

I PARLAMENTI CONTEMPORANEI. Della durata di circa 4-5 anni, i parlamenti contemporanei si dividono in due grandi categorie: quelli che detengono un potere politico sostanziale, in quanto espressione di una società libera e pluralista, e quelli puramente decorativi, propri dei regimi autoritari o a partito unico. Nei parlamenti dei paesi democratici l'organizzazione interna appare molto complessa e vivace: forte è il ruolo di controllo esercitato tramite le commissioni, ricca la dialettica fra i gruppi parlamentari, corretta l'articolazione dei lavori in virtù del benefico rapporto tra maggioranza e opposizione. Quanto alle specifiche funzioni parlamentari, esse sono fondamentalmente quattro: rappresentanza, legislazione, controllo e legittimazione. Il rilievo assunto da ciascuna di esse varia a seconda del sistema politico e del momento storico. Rappresentanza e legittimazione appaiono strettamente correlate: da una corretta rappresentanza della base politica dei cittadini, infatti, dipende il consenso e, quindi, la legittimazione delle istituzioni. Il parlamento, perciò, ha il compito delicato d'interpretare e riproporre in sede d'azione politica i mutamenti in atto in un paese, cercando d'indirizzarli verso una composizione pluralistica, democratica, costruttiva. Il potere legislativo è il principale strumento nelle mani dell'assemblea per rappresentare la volontà popolare; nei regimi liberali in cui l'esecutivo è costituzionalmente forte (caso britannico), l'iniziativa legislativa di origine parlamentare appare meno consistente: le camere si limitano per lo più a ratificare o a respingere i progetti governativi. Diverso l'esempio offerto dalle democrazie connotate da un esecutivo debole (caso della Repubblica italiana), dove il ruolo legislativo delle assemblee, anche sul versante della proposta, risulta enfatizzato. La funzione di controllo, fin dalle origini una delle peculiarità del parlamento, si manifesta in genere attraverso mozioni di fiducia (o di censura) nei riguardi dell'esecutivo, o nella discussione del bilancio annuale dello stato, altro momento capitale nella vita di tutte le assemblee. Nei regimi presidenziali, mancando la possibilità di mettere in crisi direttamente il governo, il controllo si esercita ricorrendo a commissioni ad hoc, o negando fondi a specifiche iniziative dell'esecutivo. In tutti questi casi è decisiva la presenza di una minoranza organizzata, capace di contrastare l'egemonia della maggioranza attraverso una critica efficace dei provvedimenti da essa proposti o assunti. Benché resi apparentemente meno centrali, nella seconda metà del Novecento, nella vita civile delle liberaldemocrazie dai mezzi di comunicazione di massa e dalla moltiplicazione dei luoghi di dibattito e di decisione politica, i parlamenti mantennero tuttavia inalterata un'essenziale funzione di mediazione e di composizione dei conflitti e delle tendenze disgregatrici presenti nelle società complesse, oltre a costituire un insostituibile presidio di libertà per le istituzioni e per i singoli cittadini.

R. Balzani


Dizionario di politica, a c. di N. Bobbio e N. Matteucci, Utet, Torino 1976; C. Ghisalberti, Storia costituzionale d'Italia, 1848-1948, Laterza, Roma-Bari 1974; A. Manzella, Il Parlamento, Il Mulino, Bologna 1977.
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