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![]() QING (1644-1911). Ultima dinastia imperiale cinese, di etnia non cinese. I Qing erano mancesi discendenti delle popolazioni nüzhen che nel XII secolo avevano dato vita all'esteso impero sino-barbarico dei Jin (dinastia Song). Alla fine del XVI secolo i mancesi avevano ricostituito, sotto Nurhaci, una forte entità statale situata tra la Cina e la Corea. Modernamente strutturata sul piano amministrativo e militare, essa aveva ben presto mostrato mire espansionistiche sia verso la Corea (parzialmente occupata dopo il 1626) sia verso la Cina stessa, dove la dinastia Ming era da tempo in grave crisi. Dopo alterni scontri militari i mancesi erano dilagati, senza apparenti resistenze cinesi, verso Pechino (già minacciata da una imponente sollevazione contadina) occupandola nel 1644 e stabilendo la nuova dinastia con il giovanissimo Shunzi (1638-1661). Ci vollero quasi quarant'anni perché i Qing stabilissero fermamente il loro potere su tutta la Cina, sconfiggendo sia i lealisti Ming, sia i generali ribelli, sia avventurieri come il figlio del pirata Zheng Chenggong, asserragliato a Formosa (Taiwan) sino al 1683. Alla fine, con l'appoggio decisivo dei grandi proprietari terrieri, la cui lealtà era stata acquisita sedando con mano assai pesante le insurrezioni contadine e i movimenti millenaristi nelle campagne, la Cina dei Qing entrò in un lungo periodo di pace. Il grado di sinizzazione dell'elite dirigente mancese (alla quale vennero affiancati, con pari dignità, un grandissimo numero di funzionari-letterati cinesi) fu assai elevato; se si prescinde dal nerbo mancese delle forze armate, organizzato secondo formazioni sovratribali conosciute come bandiere, essa fu una dinastia del tutto inserita nella tradizione imperiale cinese. Sostenitori convinti del neoconfucianesimo (di cui accentuarono gli aspetti autoritari e conformistici), diedero un forte impulso all'elaborazione culturale e scientifica, facendo comporre vaste opere storiografiche e numerose enciclopedie, anche se imposero, a volte in maniera brutale, una pesante attività censoria sia sui letterati, specie nella capitale, sia su opere, contemporanee o antiche, considerate pericolose sul piano etico-politico. La prima parte dell'impero fu caratterizzata dalle figure longeve di Kangxi (1661-1722) e di Qianlong (1736-1795), il cui attivismo amministrativo contrastò nettamente con il distacco rituale della tradizionale figura dell'imperatore: entrambi si distinsero per i numerosi e lunghi viaggi di ispezione nel paese, per la sollecitudine dimostrata verso le petizioni individuali e per il rigore nel far controllare i funzionari sospetti di abusi, ma in una società così complessa e vasta come quella cinese, soggetta a trasformazioni continue e in rapida crescita demografica, la frenetica cura di pochi singoli, per quanto potenti, mascherava in realtà il rapido deterioramento delle strutture burocratiche e la loro scarsa o nulla corrispondenza con l'evoluzione profonda della nazione. Dagli ultimi anni del Settecento si estesero le insurrezioni contadine e si ampliarono le attività illegali delle società segrete, mentre crebbe la corruzione di funzionari il cui prestigio, sempre più debole, nulla poteva contro il potere reale delle schiere di mercanti arricchiti e di proprietari terrieri dispotici. La Cina sembrò rafforzarsi anche come potenza: represse le aspirazioni dei mongoli della Zungaria guidati da Galdan, ampliato il dominio sullo Xinjiang e sul Tibet e regolato il confine con i russi con i trattati di Nercinsk (1689) e di Kjakhta (1727), non parve difficile contenere le pressioni commerciali delle Compagnie europee delle Indie attraverso il filtro di Canton. Da qui tuttavia penetrò gradualmente l'oppio indiano portato dagli inglesi e fatto entrare con la complicità di mercanti e funzionari cinesi. Quando si cercò di bloccare l'infezione, giunta a livelli drammatici, l'intervento risanatore del commissario Lin Zexu scatenò l'aggressione britannica della Prima guerra dell'oppio (1839-1842), che aprì un susseguirsi di umilianti sconfitte e di continue capitolazioni e cedimenti: la Seconda guerra dell'oppio (1856-1860), il conflitto franco-cinese degli anni 1884-1885, la guerra cino-giapponese (1894-1895), l'intervento occidentale nella rivolta dei boxer, con perdite di territori e l'espansione delle concessioni e delle basi in mano straniera. All'interno l'impero fu scosso da una serie di insurrezioni tra cui primeggiò la grandiosa rivolta contadina dei Taiping (1849-1864). La spietata repressione da parte delle armate regionali di Zeng Guofan e di Li Hongzhang e dei mercenari dell'inglese Charles Gordon ebbe effetti devastanti sullo stesso popolamento di alcune delle più ricche aree del bacino del Yangzi Jiang. I timidi accenni riformistici del periodo Tongzhi e i tentativi di alcuni spiriti liberali alla fine del secolo non poterono bloccare il procedere catastrofico degli eventi. Dopo la lunga parentesi autoritaria dell'imperatrice vedova Cixi i Qing lasciarono in eredità alla repubblica di Sun Yatsen un paese sull'orlo del collasso, carico di debiti con l'estero, privo di autonomia internazionale e in preda alle forze centrifughe dei futuri signori della guerra. C. Zanier |
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