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ISTRUZIONE PUBBLICA
L'idea che l'istruzione dovesse essere prerogativa dello stato fu avanzata per la prima volta in Europa nell'ambito della Riforma protestante, in linea col criterio di giustizia sociale per cui a ciascuno doveva essere riconosciuto il diritto a un'istruzione di base e per contestare il monopolio dell'istruzione detenuto dagli organismi della Chiesa cattolica. Tale principio fu ripreso dalla riflessione pedagogica della seconda metà del Settecento e cominciò a essere assunto anche a livello politico dopo la rivoluzione francese con Napoleone e più in generale nei primi decenni del XIX secolo. Nell'attività formativa si individuano tre gradi a seconda delle fasce d'età cui è rivolta: elementare (o primaria), secondaria e superiore. Propedeutica all'elementare è l'attività degli asili d'infanzia o delle scuole materne, sperimentate ovunque in Europa a partire dal XVIII secolo, sia sull'onda di nuove teorie filantropiche e pedagogiche sia per iniziativa delle comunità locali. L'istruzione elementare (in Italia dai sei agli undici anni) offre al bambino gli strumenti generali di conoscenza, acquisiti attraverso la scoperta empirica della capacità di riflessione personale. Quella secondaria inferiore (undici-quattordici anni) allarga e arricchisce la formazione individuando sistemi concettuali più complessi e promuovendo l'esercizio della ricerca e dell'elaborazione individuali e di gruppo. Divisa in generale e professionale, a seconda che sia finalizzata a un rafforzamento globale delle qualità logiche e razionali o all'affinamento di particolari ambiti tecnici come propedeutica all'inserimento nel mondo del lavoro, la scuola secondaria superiore (quattordici-diciannove anni) accompagna lo studente alle soglie della maggiore età. L'istruzione superiore (o universitaria), infine, mira all'acquisizione del metodo della ricerca scientifica attraverso l'approfondimento di una particolare disciplina. Nell'Italia unita, cui fu estesa la legge Casati del Regno di Sardegna (1859), l'istruzione elementare spettava ai comuni, che tuttavia spesso mancavano dei mezzi per attivare le scuole; la legge Coppino, nel 1877, introdusse l'istruzione obbligatoria fino ai nove anni e l'ammenda per i genitori inadempienti. Il livello di analfabetismo, soprattutto nelle campagne e nel Mezzogiorno, rimase comunque elevatissimo fino ai primi decenni del XX secolo (1861: 75%; 1881: 63%; 1901: 48%), nonostante l'istituzione di scuole festive e serali per i lavoratori analfabeti (1904) e per gli adulti (1906). Nel 1911, la legge Daneo-Credaro avocò allo stato il controllo sull'istruzione elementare dei privati. Infine la riforma Gentile, nel 1923, provvide a una grande revisione del sistema scolastico. Solo verso la metà degli anni cinquanta fu attuata una riforma dei programmi elementari, fino ad allora informati ai modelli autoritari dello stato fascista, mentre nel 1962 l'istituzione della scuola media unificata che portò l'obbligo fino ai quattordici anni fu uno dei principali meriti dei primi governi di centrosinistra. La questione della riforma globale dell'impianto gentiliano, ormai obsoleto, infiammò per decenni il dibattito teorico e politico sull'istruzione avviato nell'Italia repubblicana, ma non fu risolta neppure dopo settant'anni.

R. Balzani


D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, Editori Riuniti, Roma 1967; G. Vigo, Istruzione e sviluppo economico in Italia nel secolo XIX, Ilte, Torino 1971; G. Recuperati, La scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Loescher, Torino 1976.
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