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![]() GIAPPONESE, FEUDALESIMO Sistema politico e socioeconomico esistente in Giappone tra la seconda metà del XII e la seconda metà del XIX secolo. Tra i molti paesi extraeuropei i cui regimi premoderni vengono spesso definiti come feudali, il Giappone è l'unico ad avere sperimentato un sistema direttamente paragonabile al feudalismo europeo, sia sul piano politico-giuridico che su quello socioeconomico. Storicamente, esso ebbe origine dal decadimento, nel corso dell'epoca Heian (794-1185), dello stato burocratico istituito nell'VIII secolo su modello cinese con la riforma Taika. Sul piano economico, al sistema centralizzato di distribuzione periodica dei terreni (kubunden), troppo macchinoso e gravoso per i contadini, si sostituì il latifondo nobiliare (shoen), mentre la dissoluzione del sistema di amministrazione locale e l'abbandono del sistema di coscrizione militare costrinsero il governo centrale a fare ricorso, per mantenere l'ordine nelle province, all'opera di gruppi armati locali (vedi samurai) raccolti intorno a famiglie di ascendenza nobiliare e legati al loro interno da rapporti di dipendenza feudale. Nel corso del XII secolo, i più forti tra questi, i Taira e i Minamoto, intervenendo in lotte dinastiche, affermarono il loro potere nella capitale, gareggiando tra loro per la supremazia. Dopo la vittoria sui Taira (1158), Minamoto Yoritomo nel 1192 ottenne dall'imperatore il titolo di shogun e istituì a Kamakura un sistema di governo feudale che si affiancava al sistema preesistente, con i jito, amministratori presso gli shoen, e gli shugo, governatori nelle province. Dopo uno sfortunato tentativo di restaurazione dell'imperatore Go Daigo, Ashikaga Takauji instaurò un nuovo shogunato (1338-1573) con sede a Kyoto durante il quale si ebbe la piena affermazione del potere economico e politico della classe feudale, organizzata in clan territoriali a forte strutturazione gerarchica. Il crescente decentramento che ne derivò favorì l'autonomia delle comunità di villaggio e l'ascesa economica e sociale dei nuovi ceti urbani organizzati in corporazioni (za), con la formazione di città-stato come Sakai. Il dinamismo sociale provocò vaste sollevazioni popolari (ikki), non di rado poste sotto la guida delle grandi sette buddhiste. Dalle continue lotte feudali di questo periodo emerse il potere dei daimyo, che si costituirono in poteri territoriali indipendenti, raccogliendo intorno alle città-castello i samurai per un loro più diretto controllo. Dalla competizione fra loro emersero, nel corso del XVI secolo, tre figure egemoni, Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu, i quali portarono a termine l'unificazione della classe feudale sotto il loro dominio e instaurarono in tutto il paese un sistema feudale accentrato. A tal fine furono decisive le misure adottate da Hideyoshi, con la redazione di un catasto fondiario di tutto il territorio giapponese (Taiko kenchi) e la caccia alle spade (katana-gari), che privava i contadini del mezzo a cui sovente erano ricorsi per ribellarsi all'autorità e per accedere alla classe feudale. Tale processo di "rifeudalizzazione" fu portato a compimento sotto lo shogunato dei Tokugawa (1603-1868). Sul piano territoriale, esso era basato su una disposizione strategica degli han, onde permetterne il controllo, e sul dominio diretto del 25% circa del territorio nazionale, ivi inclusa la capitale Edo (poi Tokyo), il centro commerciale principale, Osaka, e la capitale imperiale, Kyoto. Nei confronti dei daimyo il governo centrale, pur riconoscendone l'autonomia, esercitava ampi poteri di controllo, attraverso ispettori (o-metsuke), su alleanze, matrimoni e adozioni, riservandosi il diritto di confisca dei feudi e imponendo loro il sistema delle residenze alterne presso la capitale (sankin-kotai). L'istituzione imperiale, isolata da contatti con eventuali antagonisti, serviva a garantire la legittimità del regime. Nei confronti delle classi subalterne, il regime attuò una severa politica di controllo socioeconomico, attraverso la ripartizione della popolazione in ceti ereditari chiusi (mibun), gerarchicamente ordinati in base alla loro funzione feudale: samurai, contadini, artigiani e mercanti. Il dominio sulle comunità rurali e urbane, che si autogestivano localmente, era assicurato dal ricorso al principio della responsabilità collettiva verso la classe feudale. Alla stabilità del sistema, infine, era funzionale il regime del sakoku (paese chiuso), che imponeva il rigido controllo del governo centrale sugli scambi commerciali, come pure sul flusso di informazioni con i paesi stranieri. Dalla seconda metà del XVIII secolo, lo sviluppo delle città e di un'economia monetaria, con l'ascesa economica della classe mercantile dei chronin, il processo di burocratizzazione della classe dei samurai e le ricorrenti rivolte contadine imposero l'esigenza del superamento dell'assetto feudale, attraverso l'unificazione del mercato interno e l'instaurazione di un sistema statale accentrato. L'arrivo degli occidentali (1854) accelerò questo processo, portando al rovesciamento dello shogunato e all'instaurazione dello stato moderno con la restaurazione Meiji del 1868. Nonostante l'abolizione del feudalesimo, peraltro, il nuovo stato, fondato da membri della classe dei samurai, mantenne a lungo elementi feudali, sia nel rapporto tra i sudditi e l'imperatore, ispirato all'etica guerriera del Bushido, che nei rapporti fondiari tra proprietà assenteista e affittuari e nel sistema familiare tradizionale della ie, assunto a modello ideologico delle nuove organizzazioni sociali (stato, impresa). A. Valota |
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