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GIAPPONESE, FASCISMO
Denominazione adottata, per analogia con i fascismi occidentali, per definire alcuni movimenti politici e i regimi totalitari instauratisi in Giappone tra le due guerre mondiali. Le analogie del fascismo giapponese con il fascismo italiano e il nazismo tedesco sono dovute anzitutto ai tempi e modi comuni seguiti da questi tre paesi nella costituzione dello stato moderno e nel processo di modernizzazione economico-sociale. Come in Germania e in Italia, anche nel Giappone dell'epoca Meiji il ritardo nella modernizzazione "dall'alto" permise la conservazione, nella società contadina tradizionale, di una base sociale disponibile al sostegno di regimi politici reazionari in occasione di gravi crisi economico-sociali. Fu questo il caso della crisi del 1929, quando la chiusura dei mercati esteri spinse il Giappone alla conquista di una sua area privilegiata di espansione economica in Asia (autarchia), mentre sul piano interno i militari e i burocrati sostituivano i partiti alla guida di governi che attuavano una serie di misure totalitarie in previsione della guerra a oltranza. La comune posizione internazionale spinse poi i tre paesi, prima con il Patto anticomintern (1936), poi con il Patto tripartito (1940), all'alleanza nella Seconda guerra mondiale. Il fascismo giapponese presenta tuttavia caratteristiche sue proprie, dovute alla cultura politica specifica del paese. Anzitutto, la mancanza della figura carismatica del dittatore, a cui i governi totalitari supplirono assumendo poteri dittatoriali in nome dell'imperatore. L'instaurazione del regime totalitario avvenne in maniera graduale, al di fuori e al di sopra del parlamento che, nel sistema politico del Giappone prebellico, non aveva quella centralità che aveva nel caso italiano e tedesco. In base alla costituzione Meiji, infatti, i capi di governo venivano nominati, su indicazione dei genrro (consiglieri anziani), dall'imperatore, ed erano responsabili nei suoi confronti, non verso il parlamento. Il fascismo giapponese inoltre si pose in una linea di continuità con tendenze già presenti sin dall'epoca Meiji. Ciò vale anzitutto per le due varianti ideologiche principali: quella nazionalsocialista e panasiatica, che ebbe il suo principale rappresentante in Kita Ikki e che fu preparata da movimenti ultranazionalisti come la Gen'yrosha e il Kokury rukai, fondati da ex samurai rispettivamente nel 1881 e nel 1901, e quella del fondamentalismo agrario (Nrohonshugi) di Gondro Seikyro e Tachibana Krozaburro, preceduta e preparata da un filone ideologico che si rifaceva addirittura a movimenti contadini del periodo Tokugawa. I movimenti ispirati a queste ideologie trovarono adepti soprattutto fra i ceti medi in crisi, per poi infiltrarsi fra i militari. Contrapponendo alla lotta di classe l'armonia sociale all'interno della comunità nazionale, essi auspicavano, in analogia con la restaurazione Meiji, l'avvento di una nuova restaurazione dell'era Shrowa (Shrowa ishin) che ripristinasse il legame diretto tra l'imperatore e il popolo, usurpato da politici e capitalisti. I governi degli anni trenta furono preparati da tendenze già presenti nel sistema politico instauratosi in epoca Meiji, che ne permisero la trasformazione in senso totalitario. Tale fu in particolare l'interpretazione autoritaria della Costituzione Meiji, contrapposta alla versione liberale del giurista Minobe Tatsukichi. La prima faceva dell'imperatore l'unico depositario della sovranità, mentre la seconda la assegnava invece allo stato, di cui l'imperatore era solo un organo, insieme con il parlamento, e propugnava l'indipendenza delle due armi - esercito e marina - dal capo del governo, ponendole alle dirette dipendenze dell'imperatore. All'ampio potere politico ed economico derivante dall'amministrazione delle colonie a loro affidata, si aggiungeva la disponibilità, per i militari, di una vasta e capillare base di consenso nelle comunità di villaggio, gestita da organizzazioni come l'Associazione imperiale dei riservisti, fondata nel 1910 dal generale Tanaka Giichi, le quali, oltre che addestrare militarmente la popolazione rurale, dovevano tenerla sotto costante controllo ideologico onde sottrarla all'influsso dei partiti e della lotta di classe. Da tutto ciò si può rilevare la centralità del ruolo svolto dai militari nel fascismo giapponese, cui, come nel caso del governo del generale Tanaka Giichi, non di rado fecero ricorso gli stessi partiti, preoccupati per l'affermazione dei partiti proletari dopo l'estensione del suffragio universale nel 1925. Ma il punto di svolta nel passaggio dai governi di partito ai governi guidati da alti gradi della marina e dell'esercito fu determinato dalla crisi del 1929, che creò le condizioni per l'invasione della Manciuria a opera dei giovani ufficiali dell'armata del Kwantung (settembre 1931) e per l'espansione progressiva in Cina. L'assassinio del primo ministro Inukai Tsuyoshi, il 15 maggio 1932, segnò la fine dei governi di partito, mentre il cruento tentativo di colpo di stato del 26 febbraio 1936 a opera dei giovani ufficiali della fazione radicale, pur represso, diede l'occasione per l'assunzione dell'egemonia politica da parte dell'esercito. Questa non fu però mai completa, e fu il principe Konoe, in quanto personalità super partes in grado di garantire la coesione delle elite al potere, a portare a termine, nel 1940, la costituzione dello stato totalitario, con lo scioglimento dei partiti e il loro assorbimento nella Associazione per il sostegno al governo imperiale.

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