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![]() CRISI DEL 1929 (24 ottobre; detta anche Grande crisi). Crollo delle valutazioni azionarie alla Borsa di New York. Ampliò e inasprì la crisi finanziaria che si stava verificando negli Stati Uniti, dopo un decennio di ininterrotta crescita, portando alla rovina centinaia di migliaia di cittadini e dando inizio a una grave crisi economica, che dall'America si propagò in tutto il mondo. Gli operatori finanziari iniziarono a vendere in massa i titoli in quello che fu poi definito il giovedì nero della Borsa: vennero ceduti quasi tredici milioni di azioni, mentre il panico dilagava e i prezzi crollavano, nonostante il tentativo di un gruppo di finanzieri che cercarono, con una serie di acquisti, di ribadire la fiducia nel mercato e di scongiurare la corsa alle vendite. Il lunedì successivo (28 ottobre) furono cedute nove milioni di azioni; martedì 29 ottobre oltre sedici milioni. Le quotazioni caddero a picco: in un mese i titoli persero il 40 per cento del loro valore. Alla fine dell'anno le perdite ammontavano già a 40 miliardi di dollari, ma il crollo continuò ininterrotto fino all'8 luglio 1932, quando l'indice del "New York Times", fondato sulle quotazioni di venticinque titoli particolarmente significativi, toccò il suo minimo storico (58 punti contro i 452 del settembre 1929). Le ragioni del crollo stavano nella crescita indiscriminata del valore dei titoli azionari nel corso degli anni venti: l'indice del "New York Times" era passato infatti dai 106 punti del maggio 1924 ai 181 del dicembre 1925 ai 245 del dicembre 1927 (dopo una leggera flessione nel 1926) ai 331 punti nel 1928 e ai 452 del settembre 1929. Si trattò dunque di un boom eccezionale, ma del tutto sganciato dall'economia reale e fondato soprattutto sui movimenti di capitale a scopo speculativo e sullo spirito di avventura di improvvisati uomini d'affari. Quando nell'autunno 1929 iniziarono a manifestarsi i primi segnali della crisi di sovrapproduzione che colpiva gli Stati Uniti a causa sia della ridotta offerta di moneta (per errore della Federal Reserve) sia della riduzione della domanda interna e delle sempre maggiori difficoltà di esportazione, l'ondata speculativa si orientò al ribasso, provocando immediatamente il crack. In seguito al crollo di Borsa, poi, si verificò una catena di fallimenti di banche, compagnie di assicurazioni e imprese private, con il conseguente aumento del numero di disoccupati, che andarono ad aggravare ancor di più la crisi della domanda e dunque la depressione. Nell'anno successivo la crisi borsistica si estese all'economia reale, prima americana e poi mondiale. Essa provocò una diminuzione del reddito e un rapido aumento della disoccupazione in tutto il mondo, anche se la sua gravità e durata furono diverse nei vari paesi (particolarmente gravi negli Usa e in Germania). I governi reagirono inizialmente svalutando la moneta (determinando fra l'altro la fine del gold standard) e imponendo misure restrittive al commercio internazionale (vedi autarchia), aggravando in tal modo ulteriormente la situazione. La ripresa fu lenta e contrastata e fu conseguita grazie a misure di sostegno della domanda (investimenti in opere pubbliche e varie forme di sussidio negli Stati Uniti, corsa al riarmo in Europa). M. Giordano ![]() J.K. Galbraith, Il grande crollo, Edizioni di Comunità, Milano 1962; W. Woytinsky, Dalla rivoluzione russa all'economia rooseveltiana, Il Saggiatore, Milano 1966. |
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