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![]() DOGANALE, POLITICA Insieme di politiche economiche che influenzano gli scambi commerciali di un paese. Essa implica una opzione fondamentale fra libero scambio e protezionismo. Nel primo caso, il governo rinuncia a intervenire, ritenendo (come postulato dalla teoria economica standard del commercio internazionale) che la libertà di commercio porti a una allocazione ottimale delle risorse. Nel secondo, invece, impone delle restrizioni al commercio, soprattutto di importazione, per favorire lo sviluppo della produzione nazionale (o per impedirne la decadenza). Le importazioni possono essere proibite del tutto, fisicamente limitate (imponendo un tetto massimo detto quota) o semplicemente ostacolate con l'imposizione di pagamenti monetari (dazi) o con altre forme di barriere, dette non tariffarie (per esempio restrizioni sanitarie o qualitative). I dazi possono essere specifici (cioè in cifra fissa per unità di peso), ad valorem (cioè imposti in percentuale) e in genere sono riuniti in elenchi complessivi, detti tariffe. Spesso i dazi vengono stabiliti di comune accordo con trattati doganali fra due paesi; in altri casi viene accordato a un paese il diritto a pagare la tariffa minima stabilita in tutti gli accordi con paesi terzi ("clausola della nazione più favorita"). La storia doganale fu caratterizzata dall'alternarsi di fasi di politiche liberoscambiste e protezionistiche, con una prevalenza, nel complesso, delle seconde. Tutta la politica economica del mercantilismo si basò infatti su forme, spesso estreme, di protezionismo. A partire dalla metà del XVIII secolo il commercio venne progressivamente liberalizzato, prima imponendo tariffe al posto di proibizioni e poi riducendo i dazi stessi. La Gran Bretagna fu all'avanguardia di tale processo, culminato all'interno nell'abolizione delle corn laws (scuola di Manchester) e, all'esterno, in una serie di trattati doganali (di particolare importanza quello con la Francia del 1860, detto Cobden-Chevalier). Per circa un ventennio, il libero scambio prevalse in tutta l'Europa (salvo eccezioni, come la Russia). Tale orientamento cambiò con la crisi agricola degli anni ottanta dell'Ottocento, che, mettendo in pericolo i redditi delle classi agrarie dominanti, provocò un ritorno generalizzato al protezionismo in tutta l'Europa continentale e negli Usa. In Italia il cambiamento si concretizzò nelle tariffe del 1878 (molto moderate) e del 1887. Pur con differenze di livello assoluto fra i vari paesi, la politica protezionistica prevalse fino alla Seconda guerra mondiale. Il massimo venne raggiunto durante la grande crisi del 1929. Parecchi paesi tentarono infatti di ovviare alla crisi interna riducendo le importazioni (con ampio ricorso ad accordi bilaterali di baratto). Dopo la Seconda guerra mondiale il commercio fu progressivamente liberalizzato, nel quadro degli accordi Gatt. Politiche protezionistiche vennero però adottate da alcuni paesi in via di sviluppo negli anni sessanta e settanta ed erano ancora in vigore in alcuni paesi sviluppati (Cee, Giappone) per i prodotti agricoli all'inizio degli anni novanta. G. Federico |
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