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COLLETTIVIZZAZIONE DELL'AGRICOLTURA IN URSS
(1929). Mezzo scelto dal gruppo dirigente staliniano nel 1929 per risolvere la crisi degli approvvigionamenti cerealicoli sorta negli ultimi anni della Nep. Scopo della collettivizzazione era la creazione di grandi unità produttive nella campagna, al posto della miriade di piccole fattorie contadine, in modo da consentire il controllo diretto dello stato sulla produzione agricola, spezzando la resistenza del mondo rurale alla forsennata politica di industrializzazione forzata dello stalinismo. Preludio alla collettivizzazione furono le "misure straordinarie" imposte da Stalin all'inizio del 1928 per requisire il grano. Il successo ottenuto dalle requisizioni ebbe un ruolo determinante nella decisione, presa nel novembre del 1929 dal Politbjuro, di procedere alla "collettivizzazione totale" delle campagne, che segnò la definitiva sconfitta dell'opposizione di destra (vedi Bucharin). La collettivizzazione forzata venne messa in atto, per ondate successive, tra il 1930 e il 1934. Feroce guerra condotta dallo stato contro i contadini con l'uso di misure coercitive e repressive, la collettivizzazione ebbe costi spaventosi. Nel dicembre 1929 Stalin annunciò la liquidazione dei kulaki come classe. Per milioni di contadini (i kulaki, contadini ricchi, erano invece solo una sparuta minoranza) cominciò una spaventosa odissea. Scacciati dalle loro case, privati di tutti gli averi, furono costretti a entrare nelle fattorie collettive (kolchoz) con miserevoli paghe in natura; i più agiati vennero condannati alla deportazione. Stipati nei carri bestiame, molti morirono di fame e di stenti durante il viaggio. Si calcola che i contadini colpiti dal provvedimento siano stati tra i cinque e i dieci milioni, un terzo dei quali trovò subito la morte. Rivolte endemiche scoppiarono nelle campagne (nel solo 1929 ne vennero soffocate con le armi milletrecento). Terrorizzati, i contadini macellavano il bestiame, con grave danno per il patrimonio zootecnico del paese (nel 1940 era pari a quello del 1916, anno di guerra). Interi villaggi venivano abbandonati: per legare alla terra i contadini, alla fine del 1932 venne ristabilito il sistema dei passaporti interni. La conseguenza più spaventosa della collettivizzazione fu la fame che devastò, nell'inverno 1932-1933, le campagne dell'Ucraina, del Caucaso settentrionale, del Kazachistan e di altre regioni. Le vittime della fame furono, secondo stime ancora approssimative, tra i 4 e i 7,7 milioni. Con la collettivizzazione lo stato riuscì a organizzare l'estorsione del grano, ma non la produzione che, anzi, diminuì fino al 1937. Per far fronte alla situazione, il governo fu costretto, nel 1935, a concedere ai contadini piccoli appezzamenti di terra che, nonostante le tecniche primitive di conduzione agraria, contribuirono in modo sostanziale al sostentamento alimentare del paese (nel 1938, pur occupando solo il 3,9 per cento delle aree coltivate, fornivano il 45 per cento della produzione agricola totale). Condotta in nome della modernità, la collettivizzazione finì per riprodurre, in questo modo, l'arcaismo del mondo rurale tradizionale.

M. Ferretti
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