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COMUNE
Forma di governo autonomo diffusa in epoca medievale
soprattutto nei centri urbani. Le condizioni che consentirono il costituirsi,
in Italia e in Europa dopo il Mille, di tali nuovi e, per certi aspetti,
rivoluzionari governi cittadini furono la ripresa economica e demografica
e la riacquistata vitalità dei centri urbani, caratterizzati da
un tessuto sociale sempre più articolato e dinamico. Sebbene sia
improprio costruire schemi generali che riducano a unità il manifestarsi
delle varie esperienze, in rapporto sia alle origini delle istituzioni
comunali sia alla loro progressiva evoluzione, è però possibile
individuare alcuni tratti comuni.
DALL'AUTONOMIA DEL VESCOVO ALL'AUTONOMIA DEI CETI URBANI. Il movimento
comunale, grazie alla continuità dei centri urbani, si manifestò
più precocemente in Italia dove diede vita a istituzioni che raggiunsero
una più compiuta autonomia rispetto alle istanze superiori del
potere (impero, monarchie, principati feudali). In molte città
italiane si verificò, nel corso del X secolo, un progressivo accrescimento
di fatto del potere vescovile a spese di quello comitale. I vescovi, la
cui figura costituì spesso un punto di riferimento e quasi un simbolo
delle città, via via assunsero diritti di mercato e di riscossione
di imposte e pedaggi all'interno delle mura urbane e nel territorio circostante.
Decisiva fu inoltre la frequente acquisizione, da parte dei vescovi, del
diritto di fortificare le città: le mura urbane vennero a configurarsi
come territori la cui giurisdizione faceva capo a chi si assumeva l'onere
della loro difesa. I vescovi erano attorniati, e talora condizionati,
oltre che da un clero spesso inquieto, da gruppi, socialmente compositi,
che collaboravano al governo della cit-tà: membri dell'aristocrazia
terriera di origine militare, giuristi, mercanti, notai, tutti per lo
più qualificabili come possessores, detentori cioè
di beni fondiari nel contado. Da questi ambiti venivano tratti i vicedomini,
i consiliarii, gli advocati ecc., che mostrarono precocemente
una spiccata tendenza a rendere ereditarie le loro cariche e a conquistare
crescenti margini di autonomia di governo nei confronti del vescovo. Si
attuò per questa via un passaggio a nuovi ordinamenti, la cui elaborazione
fu però graduale e poté considerarsi realizzata solo quando
i cittadini presero chiara e formale coscienza di costituire un corpo
politico che aveva diritti, connotazioni e finalità unitari, pur
essendo rappresentato, a livello di gestione del potere, da un ceto ristretto.
Tra le prime espressioni di questa comune coscienza cittadina troviamo
di norma delle società o concordie, o paci giurate fra tutti i
cittadini, premessa al costituirsi, per lo più tra la fine dell'XI
secolo e la prima metà del XII, di magistrature collegiali (impersonate
dai consoli) cui accedevano esclusivamente i maiores della
città. Fu questa la prima fase, aristocratica, del comune. Il ceto
dei maggiorenti poté però esercitare il potere solo in quanto
seppe legare a sé, spesso con vincoli di carattere personale, il
resto della popolazione, coesa nell'appartenenza alla stessa città.
L'istituzione comunale ebbe quindi, fin dall'inizio, un fondamento territoriale
e i nuovi ordinamenti riguardarono tutto l'ambito cittadino e tutti gli
habitatores urbis, la cui volontà trovava espressione nell'assemblea
generale, detta arengo. È pertanto discutibile definire privato
e fondato esclusivamente su rapporti interpersonali il comune delle origini.
Il carattere pubblico originario dell'istituto comunale è provato
dal fatto che per tutto l'XI secolo venne preferito il termine civitas
per indicare la nuova realtà politica che sarebbe poi stata generalmente
definita commune. Gli organismi comunali dell'Italia centrosettentrionale
e, più lentamente e in minor misura, quelli dell'Italia meridionale
e del resto d'Europa, elaborarono un articolato quadro di istituzioni
politiche, militari, giudiziarie, fiscali, amministrative, religiose ecc.
e una loro propria, specifica cultura cittadina. Essi pervennero non solo
all'esautoramento delle gerarchie feudali-signorili all'interno delle
mura urbane, ma anche all'assoggettamento del contado gravitante intorno
alle loro città.
DOMINIO TERRITORIALE E SCONTRO TRA NOBILI E POPOLO. Si partiva
in quest'ultimo caso dal presupposto (espresso con la formula civitas
mater, comitatini filii) che la città avesse sulle vicine campagne
diritti "naturali" che le sarebbero spettati ab origine. Ma, a
parte le affermazioni teoriche, i comuni procedettero in modo empirico
nell'opera di sottomissione delle forze presenti nel contado, così
che le sacche di resistenza all'affermazione del potere comunale nelle
campagne, rappresentate soprattutto dalle forze signorili locali (laiche
ed ecclesiastiche), in grado di intervenire anche nelle lotte interne
cittadine, non furono mai del tutto debellate. La spinta al controllo
delle campagne accentuava poi inevitabilmente quei contrasti intercomunali,
di solito innescatisi per ragioni commerciali, che caratterizzarono fin
dalle origini il complesso rapporto tra i diversi comuni. Verso la fine
del XII secolo l'organismo comunale, anche se fra mille remore, si era
ormai imposto all'interno delle mura, si era liberato, pur nel formale
rispetto, dai condizionamenti dei poteri superiori, si era affermato sul
contado. Ma al tempo stesso, a seguito dell'incremento demografico e dell'allargarsi
dei suoi impegni e delle sue competenze, cominciò a essere pervaso
da una crescente conflittualità interna. Essa impose il ricorso
all'elezione, in luogo dei consoli, di un podestà,
cioè di un magistrato, prima locale, poi forestiero, teoricamente
imparziale ed estraneo agli schieramenti cittadini Nel corso del Duecento
si affermò poi quasi dovunque, intrecciandosi con le lotte di fazione,
la parte popolare, in opposizione alla parte dei nobili, e tale prevalenza
portò in molti comuni all'approvazione di una legislazione antimagnatizia.
Furono tuttavia i popolani più ricchi a emergere, e ciò
causò tensioni non solo con i ceti nobiliari, ma anche con gli
strati più bassi della popolazione i quali pure aspiravano ad avere
rappresentanti nei governi cittadini. Dalla fine del Duecento circa questa
situazione sfociò spesso nell'affermazione della signoria,
ma non di rado si riuscì ad adeguare gli organi di governo, spesso
modificatisi e anche assommatisi gli uni agli altri, alle dinamiche sociali
che portavano alla ribalta, di volta in volta, fazioni, gruppi e ceti
diversi. In alcuni casi le antiche organizzazioni comunali poterono in
questo modo perpetuarsi, dopo lunghi conflitti, sotto la veste di repubbliche
oligarchiche. In ogni caso crearono in tutta Europa (città libere
dell'impero) una tradizione di organismi di amministrazione locale autonoma
che nei vari paesi, nel corso del XIX secolo, all'uscita dall'ancien
régime poterono trasformarsi nelle moderne municipalità
democratiche su base elettiva, che in Italia riassunsero, anche laddove
l'avessero perso, l'antico nome di comune.
M. Luzzati
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