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RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
(XVII-XVIII secolo). Processo storico in seguito al quale la conoscenza scientifica, basata sulla nuova "filofosia naturale" di Galilei e di Newton, divenne parte integrante e determinante della cultura europea.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA E IL METODO GALILEIANO.
Il suo inizio si può far risalire però al 1543 con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico; la conclusione si può collocare nella prima metà del Settecento, quando la cultura scientifica ormai affermata divenne uno dei fattori che contribuirono all'affermarsi della rivoluzione industriale. Fino a metà del Cinquecento in tutte le università europee si insegnava ancora la scienza degli antichi greci, in sostanza quella di Aristotele e di Tolomeo, che considerava la Terra come il centro di un universo chiuso e limitato e i pianeti come corpi luminosi non costituiti da materia. Il risveglio culturale dovuto all'umanesimo e al Rinascimento aveva già portato a qualche progresso in alcune scienze pratiche, quali la matematica, l'astronomia applicata alla navigazione, la metallurgia e l'arte mineraria e insegnamenti basati sull'esperienza pratica si erano già avuti anche nel Medioevo (Taddeo Alderotti insegnava anatomia pratica all'Università di Bologna nel XIII secolo). La teoria eliocentrica di Copernico, che si contrapponeva a quella geocentrica di Tolomeo, all'inizio non ebbe molta fortuna: si tendeva ad accettarla sul piano matematico, ma a rifiutarne le conclusioni. La scienza ufficiale, che ignorava il principio d'inerzia, non riusciva a spiegare perché, se la Terra si muove con grande velocità da occidente verso oriente, i pesi in caduta libera non toccano terra più a ovest del punto dal quale sono caduti, o perché un colpo di cannone sparato verso est non risulta più corto di uno sparato verso ovest. Il grande astronomo danese Tycho Brahe (o Tyge Brahe, 1546-1601) propose quindi un suo sistema cosmologico (sistema ticoniano o ticonico) intermedio tra il tolemaico e il copernicano. Si dichiarava invece copernicano l'italiano Giordano Bruno (1548-1600), ma per motivi più filosofici che scientifici. All'inizio del Seicento quindi l'accettazione parziale delle teorie copernicane fece sì che esse venissero in gran parte riassorbite in un sistema di sapere tuttora fondato sulle concezioni aristoteliche sulla natura dell'universo, così che non esistevano le condizioni per uno scontro aperto tra i fautori della nuova scienza e i difensori della tradizione, tra i quali era in prima fila il clero cattolico. Si era allora in piena Controriforma e la Chiesa si sentiva minacciata da ogni parte: l'Europa settentrionale e occidentale era in mano ai protestanti, in Francia avevano molto seguito i filosofi scettici e un po' dappertutto spuntavano filosofie naturalistiche come quella di Giordano Bruno. In questo clima la nuova scienza, che per forza di cose si trovava spesso in disaccordo con la Bibbia, allora interpretata alla lettera, nasceva già in sospetto di eresia, e la pubblicazione del Dialogo sui massimi sistemi di Galileo Galilei (1632) fu il segnale d'inizio di uno storico conflitto tra la nuova scienza e la Chiesa di Roma: Galileo infatti introdusse per primo un metodo scientifico rigorosamente sperimentale. Convinto sostenitore della teoria copernicana, la portò alle sue logiche conseguenze ammettendo che tutti i corpi celesti (e non solo la Terra) fossero entità materiali, e osservandoli direttamente con il suo cannocchiale poté dimostrare, per esempio, che la Luna ha una superficie accidentata e montuosa. Nel 1604 aveva osservato l'apparizione di una nuova stella e ne aveva calcolato la distanza con il metodo della parallasse (già utilizzato da Tycho Brahe), concludendo che la sorgente luminosa si trovava ben oltre l'orbita della Luna e anzi a una distanza immensa dalla Terra: veniva così sfatato il mito aristotelico che voleva i cieli perfetti e immutabili. Con l'esperimento delle due palle da cannone, una più pesante dell'altra, lasciate cadere dalla torre di Pisa, egli dimostrò che, al contrario di quanto sosteneva Aristotele, la velocità dei corpi in caduta libera non è influenzata dal loro peso; infine, enunciando per la prima volta il principio d'inerzia, fornì il fondamento che ancora mancava per dimostrare al di là di ogni dubbio la validità delle teorie copernicane. La pubblicazione del Dialogo provocò un'immediata reazione da parte della Chiesa. I gesuiti, che già avevano avuto polemiche con Galilei, segnalarono all'Inquisizione la sua opera e il tribunale del Sant'Uffizio lo accusò di aver disobbedito al cardinale Roberto Bellarmino che già nel 1616 gli aveva ingiunto di abbandonare del tutto la teoria copernicana e di non tenerla, insegnarla o difenderla in qualsiasi modo. Alla fine del processo (22 luglio 1633) Galilei fu costretto all'abiura. Condannato tuttavia agli arresti domiciliari, fu controllato dall'Inquisizione perché non potesse più comunicare le sue idee, evitando così la nascita di una scuola galileiana in Italia. La sua riabilitazione ufficiale avvenne solo nel 1992 per volontà del papa Giovanni Paolo II, mentre il suo accusatore, il cardinale Bellarmino, era stato proclamato da Pio XI beato nel 1923, santo nel 1930 e dottore della Chiesa nel 1931.

IL GRANDE IMPULSO DEI RAZIONALISTI E DI NEWTON. La condanna di Galilei ebbe effetti importantissimi sulla diffusione del sapere scientifico. In Italia segnò praticamente la fine di ogni ricerca originale, anche se la scienza empirica continuò a essere praticata; nei paesi protestanti invece le nuove teorie vennero accolte con maggior entusiasmo proprio perché invise al papato e alla Chiesa cattolica. In quei paesi si potevano stampare liberamente le opere scientifiche più avanzate, così che da allora il progresso scientifico fu associato sempre più strettamente alle culture protestanti dell'Europa settentrionale, procedendo di pari passo con la diffusione della stampa alla quale era naturalmente legato. Il tedesco Keplero seppe utilizzare la grande massa di dati astronomici raccolti da Tycho Brahe a Praga per arrivare a formulare le leggi che costituiscono il fondamento di tutta l'astronomia moderna. Pur senza essere un grande innovatore del pensiero scientifico, Keplero dimostrò con le sue scoperte l'importanza del lavoro metodico di gruppo e delle attrezzature scientifiche. Poco dopo la condanna di Galilei anche la sua opera fu messa all'indice e vi rimase, come tutte le altre opere che sostenevano le teorie copernicane, fino al 1821. L'inglese Francesco Bacone (1561-1626) mise in evidenza per primo l'importanza sociale della nuova scienza; egli concepì il sapere scientifico soprattutto come accumulazione, nella più grande quantità possibile, di conoscenze sulla natura, e come uomo politico seppe apprezzare con grande chiarezza le possibilità pratiche delle arti meccaniche per l'arricchimento e beneficio della vita umana al servizio dello stato protestante. Inoltre, come Galilei, egli scrisse nella sua lingua nazionale anziché in latino per poter essere capito dal maggior numero possibile di persone. Alla generazione successiva appartiene il francese Cartesio (1596-1650) che, considerato il "padre" della filosofia moderna per il suo razionalismo, contribuì pure al progresso dell'ottica e della meccanica. La sua cosmologia era basata sull'idea che il vuoto non esiste, e che lo spazio è pieno di un elemento sottile o elemento del fuoco che forma dei vortici, ai quali sarebbe dovuto il moto di rivoluzione dei pianeti e dei satelliti. Francese fu anche Pierre de Fermat (1601-1665), contemporaneo e grande avversario di Cartesio, il maggior matematico francese del secolo; benché dilettante (non scrisse mai libri ma solo note e lettere agli amici, pubblicate dopo la sua morte) è considerato il fondatore della teoria dei numeri, tanto avanzata da essere ripresa con successo solo dai matematici moderni, e diede grandi contributi anche alla geometria analitica (nella quale fu superiore a Cartesio), alla geometria pura, all'algebra e al calcolo infinitesimale. Nello stesso secolo fu Blaise Pascal (matematico, fisico, inventore, filosofo, vicino ai giansenisti e avversario dei gesuiti) a tentare una soluzione al contrasto tra fede e scienza affermandone la separazione, in quanto la fede religiosa va al di là della ragione e coinvolge il cuore e il sentimento dell'uomo. Per i suoi studi sulla curva cicloide Pascal si era servito del metodo degli indivisibili, sviluppato tra il Cinque e il Seicento da vari matematici (soprattutto italiani: L. Valerio, B. Cavalieri, E. Torricelli) che si rifacevano ai metodi infinitesimali di Archimede. Dello stesso metodo si erano serviti anche i francesi, applicandolo all'algebra e alla geometria. Fu però la scuola inglese, culminata con Isacco Newton (1642-1727), a riunire in un insieme organico le scoperte di questi precursori arrivando al calcolo infinitesimale che, permettendo di risolvere ogni sorta di problemi di geometria, di algebra e di meccanica, aprì definitivamente le porte alla scienza moderna. La sua paternità fu oggetto di una delle più famose contese della storia della scienza, quella tra Newton e il tedesco G.W. Leibniz (1646-1716) e i rispettivi sostenitori. La disputa durò decenni, contrapponendo inglesi e tedeschi fin quasi a trasformarsi in una questione politica (oggi si tende ad attribuire il merito a entrambi, in quanto avrebbero lavorato in gran parte indipendentemente). Certo è però che Newton ebbe la capacità di una grande sintesi che all'evoluzione del pensiero matematico seppe unire un trattamento sistematico dei grandi problemi della meccanica e della cosmologia: per questo è riconosciuto come la figura culminante della rivoluzione scientifica, che con lui giunse alla conclusione, ponendo l'esperienza e la razionalità matematica alla base della conoscenza e coniugando sapere tecnico e astrazione logica.

P. Schiannini
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