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Urbanìstica.

Disciplina che ha lo scopo di analizzare il territorio in generale e mettere a punto i mezzi tecnici, amministrativi e legislativi finalizzati alla progettazione dell'habitat urbano e delle infrastrutture. L'u., inoltre, si propone di disciplinare il rapporto della società con l'ambiente naturale. • Encicl. - Sul piano teorico, l'u. cominciò a prendere forma a partire dalla fine del Settecento e, più specificamente, dalla metà dell'Ottocento, quando conseguì una sua autonomia, pur avendo uno statuto ancora confuso. Lo sviluppo dell'u. si connetteva strettamente alle profonde modificazioni del tessuto urbano provocate dall'industrializzazione; nelle grandi città europee (a cominciare da Londra) e americane si denunciavano problemi simili, dovuti al sovraffollamento delle abitazioni, alle difficoltà viarie, alla mancanza di fondamentali strutture di carattere igienico, quali le reti fognarie. Per migliorare realtà urbane così degradate e scongiurare ribaltamenti di carattere politico legati a tale disagio, venivano richiesti incisivi interventi dell'autorità pubblica. Verso la fine del XIX sec. furono adottati così i primi provvedimenti di riordino e di ridefinizione delle competenze in materia (Public health act, 1875, in Gran Bretagna; legge sull'allineamento dei fronti edilizi, 1875, in Germania). Per quanto riguarda le trasformazioni dello spazio urbano, importanti furono in questa fase quelle attuate a Parigi (interventi di G.-E. Haussmann, 1852-70) e a Vienna (Ringstrasse, 1857). Sul piano teorico tendeva a emergere in maniera sempre più chiara l'esigenza di armonizzare i contributi parziali in un piano organico di sviluppo cittadino. Questa tendenza sistematica apparve evidente all'Esposizione internazionale di Berlino (1910). All'inizio del Novecento, peraltro, una novità importante fu costituita dalla creazione della città-giardino di Letchworth (1904-09) e dall'affermazione del quartiere-giardino in Inghilterra e in altri Paesi, che dimostrarono che i principi della casa circondata dal verde e della bassa densità di popolazione potevano diventare l'elemento costituivo delle nuove periferie. Nel periodo tra le due guerre vennero avanzate diverse proposte per i quartieri operai. Importanti sperimentazioni, nel tentativo di definire i migliori standard abitativi, si attuarono in complessi come le Siedlungen di B. Taut a Berlino (1925-31) e di W. Gropius a Dessau (1926-27) e i quartieri periferici di Parigi di M. Lods ed E. Beaudouin (1931-34). Significativi furono altresì i progetti di Le Corbusier (Ville contemporaine de 3 millions d'habitants, 1922; Plan Voisin, 1925; Ville Radieuse, 1930), nel segno di una totale rottura con gli schemi del passato (notevoli i grattacieli “cartesiani” circondati dal verde) e di F.L. Wright, che puntò a una diffusa urbanizzazione del territorio (Broadacre City, 1934). Un importante momento di confronto dei diversi progetti d'avanguardia fu rappresentato, a partire dal 1928, dai CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne), che affrontarono temi fondamentali quali l'alloggio minimo, la lottizzazione razionale, la città funzionale. Nell'ambito dei CIAM, che si tennero fino al 1959, venne elaborata la Carta d'Atene (apparsa poi nel 1941, in forma anonima), in cui fu fondamentale l'apporto di Le Corbusier: il documento, che rappresenta ancor oggi un punto di riferimento per i piani regolatori, diede organica sistemazione ai vari contributi. L'occasione di tradurre in pratica i nuovi progetti (fino ad allora rimasti a livello teorico) nel campo dell'u. si presentò con la necessità di ricostruire città distrutte dalla seconda guerra mondiale, quali Berlino, Dresda, Varsavia, Belgrado, Lipsia, Rotterdam, Coventry, Francoforte, Le Havre. In Gran Bretagna, nelle disposizioni legislative per la ricostruzione si sottolineò la necessità di circondare le città di vaste zone verdi; col New towns act del 1946, inoltre, fu approntato un imponente programma di decentramento urbano. Caratteri propri assunse la ricostruzione nei Paesi scandinavi: architetti quali A. Aalto e S. Markelius rivolsero l'attenzione al paesaggio naturali e alle tradizioni locali. Nel secondo dopoguerra i problemi legati a una grandissima necessità di abitazioni, i gravi danni arrecati al territorio dall'espansione urbana, nuove tendenze culturali fecero emergere un atteggiamento fortemente critico nei confronti degli schemi dell'u. modernista, applicati con una mentalità rigida e burocratica. Emersero così nuove proposte; le “megastrutture” di K. Tange, per esempio, trovarono applicazione nei grandi edifici per uffici e centri commerciali costruiti, nei decenni Sessanta-Settanta, nei centri di grandi città come Londra e Bruxelles. Un testo fondamentale della nuova u. fu L'architettura della città (1966) di A. Rossi, che legava strettamente gli interventi urbanistici alla conoscenza dei caratteri della città esistente, incontrando in tal modo un sentire diffuso, che esaltava la bellezza delle costruzioni storiche a fronte delle anonime periferie moderne. Si andò affermando, quindi, una forte tendenza al recupero del tessuto storico delle città. Notevoli esempi di applicazione concreta di nuovi criteri urbanistici sono stati la grande mostra di architettura urbana di Berlino (1984-87), cui si è accompagnato un dettagliato piano di interventi edilizi, e l'opera di ristrutturazione urbana compiuta a Barcellona per i giochi olimpici del 1992, ristrutturazione condotta all'insegna della microurbanistica e dei progetti d'area. Negli ultimi decenni, peraltro, nel dibattito teorico hanno assunto sempre maggior rilievo concetti come area urbana e città regione, che richiamano l'attenzione su realtà che si estendono al di là dei confini amministrativi delle città. ║ L'u. in Italia: per quanto riguarda i più significativi interventi legislativi realizzati in Italia in campo urbanistico, si ricorderà innanzitutto la L. 17-8-1942, n. 1.550, cui si deve, in particolare, l'introduzione del piano regolatore generale comunale (PRG). Le istanze di riforma urbanistica legate alla forte crescita delle città nel dopoguerra trovarono un primo punto d'arrivo, dopo diversi tentativi, nella L. 18-4-1962, n. 167, con la quale vennero approntati il piano di edilizia economica e popolare (PEEP), della durata di dieci anni, che era obbligatorio per i comuni capoluogo o la cui popolazione superava i 50.000 abitanti, e il piano di zona. In linea di principio, con questa legge le amministrazioni comunali venivano investite di un ruolo regolatore del mercato fondiario, che nella prassi, tuttavia, per diverse ragioni, non furono in grado di esercitare. Con la L. 6-8-1967, n. 765 (legge ponte) si intendeva colpire l'espansione edilizia indiscriminata e il degrado delle città; tra gli strumenti più importanti predisposti da questa legge figuravano gli standard urbanistici, con i quali si mirava a garantire una minima presenza negli insediamenti abitativi di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Negli anni Settanta la competenza in materia di u. fu trasferita alle regioni. I tentativi legislativi di separare il diritto di costruire dalla proprietà del suolo (l'ultimo fu attuato con la L. 28-1-1977, n. 10) furono vanificati da sentenze della Corte Costituzionale. Nuovi temi, intanto, si andavano imponendo, come il recupero del patrimonio esistente e la qualità della vita; importante in questo senso l'introduzione del “piano di recupero” nella L. 8 agosto 1978, n. 457; in concreto, non si ottennero, però, grandi risultati, e mancarono un adeguato intervento pubblico e un'incisiva partecipazione dei privati. La seconda metà degli anni Ottanta fu caratterizzata da conflitti di competenza tra Governo centrale e regioni. Tra i temi centrali degli anni Novanta figura la riqualificazione delle periferie. Con la L. 8-6-1990, n. 142 si cercò di ridefinire il ruolo delle amministrazioni locali; si istituirono, infatti, le aree metropolitane e si assegnarono nuove competenze alle province. Negli anni Novanta, peraltro, i più significativi contributi legislativi in campo urbanistico sono arrivati non tanto da provvedimenti direttamente dedicati a tali tematiche, quanto da leggi nate con altre finalità; interessante, per esempio, è l'affermazione di concetti, come quello di programma integrato, che hanno posto l'accento sulla necessità di armonizzare da un lato le opere di natura residenziale con quelle di carattere non residenziale, dall'altro i finanziamenti pubblici con quelli privati. Degni di nota sono anche alcuni interventi legislativi settoriali, quali il piano del traffico (D.L. 26-5-1992, n. 285) e il piano delle opere pubbliche (L. 11-2-1994, n. 1), mentre continua a essere oggetto di discussione la nuova “riforma urbanistica”.