Sottoprodotto dell'uranio, è una sostanza radioattiva e altamente tossica; è chiamato
"impoverito" perché è
costituito dall'isotopo U-238 e contiene una piccola percentuale dell'isotopo
fissionabile U-235. È meno radioattivo dell'uranio naturale, perché privo di
radio e di altri prodotti di decadimento, ma emette particelle "alfa" che sono
più insidiose delle "gamma" dell'uranio 235, perché possono essere respirate.
L'
u.i. viene usato per costruire mine, proiettili anticarro (il suo
alto peso specifico lo rende più efficace del piombo e in grado di forare con facilità
le corazze dei carri armati), come zavorra e contrappeso in aerei ed elicotteri civili
e militari, come schermante nelle stanze degli ospedali, come combustibile nelle
centrali nucleari. Un proiettile all'
u.i., esplodendo, libera
microscopiche particelle radioattive estremamente volatili. Queste, trasportate
dal vento, contaminano aree estese, pozze d'acqua e colture, provocando disastrose
conseguenze ambientali. Quando il pulviscolo viene ingerito dall'uomo, si deposita
nelle ossa e nei reni, rischiando di generare gravi danni a livello polmonare, forme
tumorali, leucemie, malformazioni genetiche. Nonostante gli evidenti rischi, continuano
a essere prodotti e impiegati armamenti all'
u.i., anche perché il loro
costo industriale è molto basso, mentre possiedono una capacità distruttiva elevatissima.
Oltre tutto l'
u.i. è in grado di autoincendiarsi a temperatura ambiente
in determinate condizioni e, conseguentemente, di innescare incendi; in questo caso
si formano i diossidi di uranio, i cui effetti sulla popolazione sono evidenti in
Iraq dove, durante la guerra del Golfo del 1991, vennero bruciate 300 tonnellate di
u.i. L'
u.i. utilizzato in quell'occasione dalle forze
statunitensi e inglesi, ma anche quello impiegato dalla NATO durante le operazioni
Deliberate Force in Bosnia (1995) e Allied Force in Kosovo (1999), non provocò
gravissimi problemi di salute esclusivamente alle popolazioni locali, ma anche ai
soldati stanziati in quelle zone.