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Umanésimo.

Movimento culturale sviluppatosi dalla metà del XIV sec. al XV sec. ad opera di intellettuali attivi soprattutto in alcuni centri dell'Italia centro-settentrionale (Padova, Vicenza, Firenze, Arezzo). Da qui il fenomeno si diffuse in Europa, animando il dibattito culturale, assumendo atteggiamenti e producendo esiti molto diversi in funzione dei luoghi e delle personalità che ne accolsero l'influenza. Elemento caratterizzante dell'U. è una concezione dell'uomo quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della ricerca e della conoscenza del mondo. In tale generale accezione il termine è usato per designare indirizzi o correnti di pensiero di tutte le epoche, che riprendano il senso e i valori affermatisi nell'U. storicamente definito; si parla quindi di U. di Socrate, U. di Cicerone, U. del Settecento, U. politico, U. scientifico. In relazione, poi, al Classicismo, che accompagnò la nascita e lo sviluppo dell'U. rinascimentale, si parla anche di U. carolingio (o Rinascita carolina) per indicare il fervore di studi corrispondente al regno di Carlo Magno, e di U. bizantino con riferimento al periodo della letteratura bizantina compreso tra il XII e il XIV sec. Il termine italiano U., nell'accezione di privilegio riconosciuto agli studi classici per la formazione dell'individuo, è stato introdotto dalla storiografia ottocentesca probabilmente derivandolo dal tedesco Humanismus, e trova il suo fondamento nel concetto latino di humanitas, ovvero di condizione dell'uomo nel suo operare intellettuale e civile. Del resto, il termine humanista, impiegato dagli studiosi sin dal Quattrocento per designare se stessi, attesta in loro la consapevolezza di perseguire uno specifico ideale culturale ed educativo; gli studia humanitatis, secondo un'espressione ciceroniana, divennero lo strumento per la formazione e l'elevazione morale e spirituale dell'uomo. Il fatto che il rinnovamento culturale sia avvenuto soprattutto nell'ambito degli studi letterari e dell'esegesi dei testi antichi, ha in passato avvalorato un concetto di U. come fenomeno eminentemente retorico ed erudito. Invece, l'esigenza di ricollocare l'U. rinascimentale in una più esatta prospettiva ha fatto sì che ne venisse riconosciuta la complessità dei caratteri distintivi, determinandone l'allargamento da un piano puramente grammaticale-filologico a un piano più generale, che coinvolge ogni disciplina (ars dictandi, ma anche arti figurative, architettura urbanistica, tecniche e scienze) e che modifica alla radice il modo stesso di concepire la realtà e la vita. Se è pur vero che durante il Medioevo non si era persa la memoria degli autori antichi (come Virgilio, Ovidio, Cicerone e Seneca), né della mitologia classica (sia pure trasformata e mascherata), e che in ambito filosofico la Patristica aveva ripreso Aristotele e le nuove traduzioni dal greco, ciò che muta è l'atteggiamento con il quale gli umanisti si pongono nei confronti dei classici (includendo tra questi anche Dante o Petrarca). Per la cultura scolastica medioevale, infatti, le opere dell'antichità classica avevano costituito modelli di perfezione formale, nei quali ricercare elementi di verità che le accomunassero alla morale cristiana; per la cultura umanistica, l'opera degli scrittori greci e latini era espressione in sé compiuta di un momento ben definito della storia dell'umanità, alla quale attingere per ripristinare la continuità del cammino dell'uomo stesso entro la storia. Uno dei più importanti risultati del cambiamento prodotto dall'U. fu l'apparizione e poi la netta prevalenza dell'intellettuale “laico”, non appartenente cioè a nessun ordine ecclesiastico, in coincidenza con lo sviluppo della società comunale e mercantile. Questi intellettuali giunsero alla consapevolezza che la conoscenza della cultura classica consentiva loro di allargare notevolmente il campo della propria competenza, facendone non solo dei critici di testi del passato, ma dei critici del costume, degli uomini e delle istituzioni. Un esito essenziale della riflessione degli umanisti fu la presa di coscienza della dignità propria e della dignità delle arti, non solo delle arti del discorso, ma della morale, della politica e della poesia, derivando tale dignità non dalla nobiltà del suo oggetto (la teologia da Dio), ma dal rigore dei suoi procedimenti e dal grado di certezza raggiungibile. Questo nuovo modo di concepire il sapere porterà, alla fine, a collocare non solo la matematica e la logica, ma anche la poesia e le arti, ben al di sopra della metafisica e della teologia. Precursori di questo nuovo atteggiamento furono gli intellettuali della scuola padovana, rappresentati esemplarmente da Albertino Mussato. Egli, all'inizio del XIV sec., oltre a comporre la prima tragedia modellata sull'esempio dei classici, teorizzò il recupero e lo studio dei testi antichi in prospettiva preumanistica. Negli stessi anni Marsilio da Padova argomentò il principio della laicità dello Stato, contribuendo alla dissoluzione della cultura medioevale, monopolizzata dalla Chiesa e inquadrata nella dogmatica cristiana, e alla costituzione delle basi della cultura moderna. La nuova stagione culturale già avviata da Petrarca fu proseguita, in ambito fiorentino, da Coluccio Salutati sul finire del Trecento. Quello di Salutati è stato definito un U. civile, ovvero una forma di classicismo militante fortemente impegnato in un progetto di riorganizzazione del potere politico in un momento storico segnato dal prevalere dell'oligarchia economica cittadina. La generazione successiva di intellettuali fiorentini (Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Ambrogio Traversari) approfondirono la conoscenza critica dell'antico propugnando una sorta di sincretismo tra la lezione civile dei Romani e la caritas cristiana. Si venne affermando anche un nuovo ideale pedagogico grazie a educatori come Vittorino da Feltre e Guarino Guarini: all'impostazione basata sulla rigida precettistica medioevale si sostituì un processo formativo imperniato sull'esperienza e sull'approccio diretto agli autori e alle opere. In ambito filosofico, il più rilevante fenomeno del tempo fu la scoperta di Platone, destinata a influenzare diversi campi dello scibile ben oltre i confini geografici e cronologici dell'U. rinascimentale, costituendo il nucleo originario sia dell'Idealismo sia del Naturalismo, scuole di pensiero destinate a svilupparsi in età contemporanea. Al centro della speculazione degli umanisti (da Marsilio Ficino a Pico della Mirandola, a Nicola Cusano) non c'è solo la questione della dignitas hominis, ma del destino e della funzione dell'individuo nella società, del suo rapporto con il cosmo; la dialettica natura-cultura che emerge da questa riflessione mostra nell'U. l'inscindibilità dei due termini, rivelandone insieme la tensione e il rischio ricorrente di privilegiare l'uno a danno dell'altro. Centri propulsori della speculazione filosofica ed etico-politica dell'U. furono le accademie, così denominate sull'esempio dell'antica accademia platonica: l'Accademia Pontaniana; l'Accademia Platonica, fondata a Firenze da Ficino nel 1463; l'Accademia Romana, sciolta da papa Paolo II nel 1468 per sospetto di eresia. Tuttavia, fra le discipline umane coltivate nell'U. è la filologia ad assumere una posizione egemonica, proprio in base alla convinzione che è dallo studio delle opere del passato che si conquista quel senso dell'umanità, della cultura e della storia che è punto di partenza per un approccio razionalmente critico alla realtà. L'U. filologico, che ebbe i suoi antesignani ancora in Petrarca e Boccaccio, comportò la ricerca, il recupero, lo studio, il confronto e l'immissione nel circuito culturale di opere della letteratura classica fino ad allora trascurate dalla tradizione scolastica. Alla semplice ricezione medioevale si sostituì una lettura critica ad alto livello, che rappresenta il peculiare apporto dell'U. alla storia della cultura. Con la scoperta fatta da Coluccio Salutati nel 1392 delle epistole ciceroniane Ad familiares, si aprì un periodo di enorme fervore di ricerca che permise di mettere insieme il patrimonio attuale di autori latini: tra i ricercatori più alacri ci fu Poggio Bracciolini, scopritore, tra l'altro, del De rerum natura di Lucrezio, di orazioni ciceroniane, delle Selve di Stazio. Risultato eclatante della filologia umanistica fu la scoperta fatta da L. Valla, con l'ausilio dei soli strumenti filologici, della falsità del documento detto Donazione di Costantino, mentre sul finire del Quattrocento, con l'opera del Poliziano, vennero poste le basi metodologiche degli sviluppi più fecondi della disciplina. L'aspirazione a una riscoperta della grecità - di cui antesignani sono ancora Petrarca e Boccaccio - produsse a Firenze, sul finire del Trecento, l'attività di insegnamento di M. Crisolora, umanista bizantino, ma l'U. greco raggiunse la sua piena fioritura con l'arrivo in Italia di studiosi greci in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) e dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453). Il classicismo umanista significò una ricostruzione totale della lingua latina, più o meno corrotta durante il Medioevo, dal punto di vista grammaticale e stilistico (Elegantiae latinae linguae di Valla, 1444). Il latino diventò così la lingua letteraria per eccellenza, ma la produzione letteraria in latino, frutto del principio umanistico dell'imitazione, dovette cedere il passo alla nuova, grande letteratura in volgare. Il cosiddetto U. volgare fu una conseguenza naturale della stessa concezione umanistica della storia e della cultura. Dalla seconda metà del Quattrocento quindi il volgare diventò lo strumento linguistico non solo della poesia (Poliziano, M.M. Boiardo, I. Sannazzaro), ma anche della storiografia (N. Machiavelli e F. Guicciardini) e della prosa filosofica. Occorreva però che il volgare fosse sottratto all'arbitrio di ogni scrivente e sottoposto a regole fisse. La questione, già affrontata da Dante e riproposta da Petrarca e Boccaccio, giunse a piena maturazione nel primo Cinquecento con Pietro Bembo, che diede unità e norma grammaticali e stilistiche alla lingua letteraria italiana, in contrapposizione alla lingua popolare e domestica. Intanto, però, la spinta propulsiva dell'U. tendeva a esaurirsi in Italia sotto l'incalzare degli avvenimenti politici e religiosi. Il movimento si irrigidì entro istituzioni, riducendosi spesso a speculazioni di retroguardia. Pertanto, mentre in Italia l'U. rinascimentale andava estinguendosi, esso raggiungeva il massimo sviluppo in Germania, Francia, Inghilterra e in Olanda con Erasmo da Rotterdam. Alla fine del Cinquecento anche il primato filologico passò a Francesi, Olandesi, Tedeschi e Inglesi, ma si trattò di attività filologica nel senso moderno, che escludeva cioè quei fini di costruzione integrale dell'uomo che furono propri dell'U.