(dal distretto di
Tulare, in
California, dove tale malattia era endemica). Patol. e Veter. - Zoonosi a
carattere setticemico, particolarmente diffusa nei roditori selvatici (lepri,
conigli, scoiattoli, ratti) e in altri animali (gatti, maiali, montoni, ecc.),
occasionalmente trasmissibile all'uomo, provocata da
Francisella
tularensis, un batterio gramnegativo, pleiomorfo, immobile, asporigeno,
aerobio. Fu descritta per la prima volta nel 1911 da G.W. McCoy nel distretto di
Tulare in California, dove era endemica. Tra gli animali l'infezione si propaga
per mezzo di insetti ematofagi; i germi vengono espulsi nelle deiezioni e nelle
secrezioni. L'uomo può contagiarsi per contatto con carogne e pelli di
animali infetti, oppure tramite punture di zecche o altri artropodi, o ancora
con l'ingestione di acque o carni contaminate. In base alla via di penetrazione
del germe nell'organismo, si possono distinguere diverse forme cliniche della
t.: forma ulcero-ghiandolare (la più frequente), cutanea e mucosa
(comprendente la forma oculo-ghiandolare, trasmessa per via congiuntivale),
polmonare, tifoidea, forme ghiandolari pure. Nell'uomo la
t. si manifesta
dopo un breve periodo di incubazione (da due a cinque giorni) con febbre alta,
brividi, eccesso di sudorazione, vomito, cefalea, prostrazione; il decorso
successivo può presentare diversi aspetti clinici. Nella forma
ulcero-ghiandolare si osserva la comparsa nel punto di inoculazione
(generalmente le mani) di una papula dolorosa che, necrosandosi, si ulcera,
mentre i linfonodi regionali si tumefanno. La febbre scompare definitivamente in
circa 20 giorni. Oltre alla forma ulcero-ghiandolare, si possono verificare
forme oculo-ghiandolari (con edema congiuntivale, papule sclerocorneali,
reazione linfoghiandolare ascellare e latero-cervicale), forme polmonari (dovute
a inalazione di polveri), forme tifoidee (con stato tifoso), forme ghiandolari
pure (con tumefazioni linfonodali). La diagnosi clinica, piuttosto difficile,
deve essere confermata dalle prove di laboratorio. La prognosi della malattia,
in seguito all'introduzione degli antibiotici, è favorevole; la terapia
specifica si avvale della streptomicina, delle tetracicline, del cloramfenicolo.
Per coloro che svolgono occupazioni a rischio di contagio (macellai, conciatori
di pelli, cacciatori, ecc.) è consigliata una forma di vaccinazione con
germi vivi attenuati che offre una discreta protezione immunitaria.