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Tucìdide.

Storico greco. Proveniente da una facoltosa famiglia ateniese, si formò al pensiero filosofico sofista (i suoi maestri furono quasi certamente il filosofo Anassagora e l'oratore Antifonte). Contrasse la peste - che causò la morte di Pericle - durante l'epidemia che infuriò ad Atene nel 429 a.C. Fu eletto stratego nel 424 a.C. Ebbe l'incarico di sorvegliare con la flotta le coste della Tracia unitamente a Eucle, con il quale condivideva il comando marittimo del settore settentrionale dei possessi ateniesi. Mentre Eucle si trovava ad Anfiboli, città della Tracia presso la foce del fiume Strimone, il condottiero spartano Brasida attaccò quella roccaforte. T., che sostava con le sue navi a Taso, corse in aiuto al collega, ma giunse troppo tardi, essendosi Anfiboli già arresa al nemico. Sottoposto a processo, T. sarebbe stato condannato all'esilio, oppure si sarebbe volontariamente allontanato ritirandosi in Tracia, dove la sua famiglia aveva in appalto alcune miniere d'oro, e sarebbe rientrato in patria solo dopo 20 anni. Tuttavia la precisione con cui egli riporta nei suoi scritti i fatti ateniesi hanno fatto formulare l'ipotesi di una sua presenza in città. Secondo la tradizione, T. sarebbe morto di morte violenta ad Atene o in Tracia, forse ucciso nel periodo dei Trenta Tiranni. L'opera cui T. attese tutta la vita è la storia della guerra del Peloponneso, combattuta dal 431 al 404 a.C. da Atene contro Sparta per la conquista dell'egemonia sulla Grecia. La narrazione, che giunge sino al 411 a.C., riguarda quindi avvenimenti contemporanei, i soli ritenuti da T. accertabili attraverso l'accesso diretto alle fonti (mentre Erodoto aveva fatto iniziare l'indagine storica dai miti della pseudostoria antichissima). Il titolo con il quale l'opera è nota, La guerra del Peloponneso, e la sua divisione in 8 libri non sono dovuti all'autore, ma a grammatici posteriori. Il I libro contiene la cosiddetta archeologia, sintesi degli eventi anteriori della storia greca dei quali T. si sforza di capire la causa e lo sviluppo in funzione dello scatenarsi del conflitto panellenico. Excursus riguardanti un passato anche remoto non mancano neanche nel VI libro, dove i capitoli sulle origini siceliote introducono le narrazione della spedizione ateniese in Sicilia degli anni 415-13 a.C. Dal II al V libro si svolge il racconto della cosiddetta guerra archidamica, dal 431 a.C. fino alla Pace di Nicia (421 a.C.), e del periodo successivo, dalla ripresa del conflitto fino all'inverno del 416 a.C. In questa narrazione T. procede secondo uno schema annalistico, dividendo ogni anno in estate e inverno. Nel VI e VII libro è narrata la grande spedizione degli Ateniesi in Sicilia conclusasi con la disfatta del 413 a.C. Nell'VIII libro, rimasto incompiuto, T. cominciò a elaborare i materiali per la storia della cosiddetta guerra deceleica, da lui considerata una continuazione della guerra archidamica, giungendo sino alla fine dell'estate del ventunesimo anno di guerra (411 a.C.). A differenza di Erodoto, che introduce l'intervento divino nelle cose umane, T. mira a ricostruire i fatti e a individuarne le cause profonde secondo un razionalismo laico dovuto indubbiamente all'influenza del pensiero sofista e dell'indagine medico-scientifica a lui contemporanei. Con eccezionale acume e ampiezza di visione storica, nell'archeologia del I libro egli chiarisce come si è formata l'egemonia ateniese nella quale, a suo avviso, va ravvisata la vera causa della guerra al di là di ogni pretesto contingente. Fervente ammiratore di Pericle e della Costituzione ateniese, T. seppe tuttavia comprendere le ragioni degli Spartani e denunciare gli errori dei suoi concittadini. La sua opera segna l'inizio dello sviluppo della storiografia scientifica, basata sul rifiuto di ogni abbellimento poetico e tesa al superamento di una visione frammentaria e cronachistica, tipica della storiografia ionica. Quella di T. è una storiografia meno interessata agli aspetti di storia del costume e delle tradizioni dei popoli, e rivolta prevalentemente alla narrazione e spiegazione delle vicende politiche e militari, secondo un'impostazione successivamente fatta propria dalla storiografia moderna. Il fine di T. è infatti eminentemente pratico, fondato sulla convinzione che la conoscenza della storia, prodotta dalle azioni degli uomini nel perseguimento dei loro fini, possa essere una fonte di insegnamento per la costruzione del futuro. Anche lo stile e il linguaggio usati da T. partecipano degli elementi che caratterizzano il suo pensiero. Tipici sono i discorsi (famosi quelli di Pericle), un artificio attraverso il quale T. cerca di chiarire a se stesso e al lettore i moventi e le ragioni di fondo degli atti dei protagonisti della storia. La passione e la densità di pensiero nonché la consapevolezza di accostarsi in modo nuovo a una materia anch'essa, almeno in parte, nuova, conferiscono alla prosa attica di T. un andamento nervoso, spezzato, talvolta oscuro, quasi egli cercasse di piegare la lingua alle sue intenzioni. Egli ricerca vocaboli anche nuovi o usati con altri significati, evitando in ogni circostanza di ricorrere a luoghi comuni e a frasi fatte. Un'erma bifronte (Museo archeologico nazionale, Napoli), copia di un originale della metà del IV sec. a.C., lo raffigura insieme a Erodoto (460 a.C. circa - 400 circa a.C.).