(dal greco
týpos: impronta e
grápho: scrivo). Procedimento di stampa rilievografica diretta
realizzato mediante una forma in rilievo, composta manualmente con caratteri
mobili (
tipi), oppure mediante un processo di composizione meccanica; gli
elementi in rilievo, preventivamente inchiostrati, vengono applicati a pressione
sul supporto (carta, ecc.), lasciando l'impronta sullo stesso. ║ Per
estens. - La tecnica e l'attività del comporre e stampare, o anche
l'insieme delle arti grafiche:
la storia della t. veneziana. ║ Per
estens. - Stabilimento industriale o artigianale, chiamato altrimenti
officina grafica o
tipografica, o
stamperia, nel quale si
eseguono le operazioni di composizione, impaginazione e stampa in rilievo con
caratteri mobili:
il manoscritto è già in t. • Tecn.
- La stampa tipografica si avvale di
forme, in un solo pezzo o composte,
piane o cilindriche, che presentano elementi stampanti in rilievo in materiale
rigido (piombo). L'inchiostro viene trasferito direttamente dalla forma al
supporto, generalmente cartaceo, tramite una forte pressione uniforme. La
t., pur essendo il sistema di stampa più antico e nonostante sia
stato utilizzato per ben cinque secoli, è oggi in rapido declino, a causa
dell'ingombro eccessivo e del peso delle forme e, soprattutto, della lentezza
del procedimento che porta alla creazione del prodotto finito. Si ricorre alla
t. solo in pochi casi (fustellatura, numerazione progressive, stampa di
buste, ecc.) in cui sono richieste basse tirature; la stampa tipografica
è stata sostituita dalla stampa offset (V.)
e roto-offset (V.). • Encicl. - L'arte
tipografica fiorì nei Paesi dell'Europa occidentale all'inizio
dell'età moderna. I caratteri mobili comparvero per la prima volta nel
1450, allorché l'orefice di Magonza J. Gutenberg mise a punto una tecnica
di fabbricazione di tipi alfabetici per la stampa consistente nell'incisione in
rilievo dei segni delle lettere su un punzone metallico e nella coniazione, a
partire da quest'ultimo, di una matrice riproducente in incavo i segni dello
stesso; i caratteri erano ottenuti versando piombo fuso sulle matrici serrate
entro una forma regolabile, in modo da assicurare rapporti e dimensioni costanti
per ogni serie di tipi così fabbricata. Opportunamente accostati e
ordinati, questi caratteri componevano specularmente intere pagine di un testo
le quali, disposte sul piatto fisso di un torchio e debitamente inchiostrate,
lasciavano la loro impronta su un foglio di carta inumidita, fatto aderire
all'impronta stessa mediante la pressione esercitata dal piatto mobile.
Assicurando rapidità di composizione e durevole fungibilità, i
tipi metallici inventati da Gutenberg contribuirono in misura notevole al
rinnovamento delle antiche tecniche editoriali, consolidate dalla tradizione e
dall'uso del libro manoscritto. La prima innovazione si verificò nel
disegno del carattere le cui forme, inizialmente molto varie, furono ridotte a
quelle tuttora utilizzate del tondo (o romano) e del corsivo (o italico). Il
libro a stampa poteva iniziare con il testo (
incipit), con la dedica o
con l'indice dei capitoli; nel 1476 comparve il frontespizio, che con la marca
editoriale e la paginazione contribuì all'affermazione della figura dello
stampatore, che per la prima volta si vide riconoscere un'identità nuova
e diversa rispetto al manoscritto. Entro la prima metà del Cinquecento il
frontespizio iniziò a essere regolarmente usato in apertura dei libri a
stampa e a riportare, oltre al nome dell'autore e al titolo dell'opera, anche le
note tipografiche (luogo e data di stampa, nome dell'editore e del tipografo).
Una terza innovazione, dettata dal gusto e dalle tendenze culturali dell'epoca,
si verificò nel 1501 con il lancio, per iniziativa di A. Manuzio, di un
formato portatile. Generalmente i primi tipografi, soprattutto se erano orafi o
maestri di zecca, procedevano anche all'incisione dei punzoni e alla fusione dei
caratteri da utilizzare nelle proprie edizioni. Questa produzione individuale
dei tipi all'interno di ciascuna officina ebbe fine negli ultimi decenni del
Quattrocento, allorché iniziò a svilupparsi un commercio regionale
e nazionale di matrici. Nei primi decenni del Cinquecento la fusione e la
vendita dei caratteri subirono un ulteriore incremento e il commercio delle
matrici si organizzò su scala internazionale: in un primo tempo i tipi
furono prodotti da grandi stamperie, quindi, a partire dal 1530 circa, da
piccole fonderie indipendenti. Da uno dei più attivi e prosperi centri
culturali e commerciali d'Italia, Venezia, si diffuse un carattere tondo, inciso
e utilizzato (1470) dal francese N. Jenson. Da Venezia si diffusero in seguito
anche i tondi e, per ultimo, i corsivi (1501); questi ultimi, incisi per Manuzio
dal bolognese F. Griffi, riprendevano una scrittura umanistico-cancelleresca in
voga tra i colti funzionari della curia romana. Sorto da modelli italiani, il
corsivo si diffuse rapidamente oltralpe, dove subì originali modifiche;
fu quindi reintrodotto in Italia attraverso i tipi tedeschi di Basilea e Colonia
(1518-49), e quelli francesi disegnati e incisi da R. Granjon (1543-77) e P.
Haultin (1558). A quest'epoca si affermarono numerosi incisori di caratteri,
quali i francesi C. Garamond e Guillaume Le Bé, che si specializzarono
nella fabbricazione su vasta scala di punzoni e matrici: dopo il 1550 la loro
produzione raggiunse rapidamente l'intera Europa e, sostituendo definitivamente
il tondo di disegno veneziano e i corsivi italiani, fornì i tipi che
avrebbero dominato per due secoli in tutte le stamperie occidentali. Intorno
alla metà del XV sec. F. Feliciano, L.B. Alberti, Damiano da Moyle, L.
Pacioli e altri elaborarono un metodo di costruzione geometrica delle maiuscole
dell'alfabeto latino sulla base di stabili rapporti matematici tra altezza,
larghezza e spessore delle lettere e delle aste. Tale metodo, utilizzato in
seguito anche per gli alfabeti minuscoli, fu rigorosamente messo in pratica
nello schema fissato da una commissione dell'Académie Royale des Sciences
di Parigi, incaricata nel 1693 di studiare e descrivere le tecniche di stampa e
di incisione. Portate avanti da W. Caslon I e dai suoi successori (Londra,
1725), le tradizioni grafiche del Cinquecento e del Seicento furono rielaborate
originalmente da J. Baskerville (Birmingham, 1752-75), che restituì al
carattere la rotondità del disegno e la larghezza degli avvicinamenti. Le
nuove tendenze “matematiche” culminarono nell'invenzione di un
metodo unificato di misurazione tipografica che, anticipato da Grandjean e
teorizzato da P.-S. Fournier (1737), fu messo in pratica e diffuso da F.-A.
Didot (1775). L'introduzione dell'esatta misurazione del carattere sulla base
del
punto tipografico (0,376 mm) permise non solo di eliminare le
incertezze della vecchia nomenclatura (dovute alla pratica di indicare con nomi
convenzionali le dimensioni dei tipi), ma anche di comporre con tipi provenienti
da fonderie diverse. Lo stile “moderno” così elaborato
trovò la sua massima espressione nella produzione di F.-A. Didot
(“gros romain”, del 1784), del figlio Firmin e di G.B. Bodoni. Dopo
aver lavorato come compositore nella Stamperia di Propaganda Fide a Roma,
quest'ultimo accettò la proposta di impiantare e dirigere la Stamperia
palatina di Parma (1768), affiancandola poco dopo con una propria fonderia
(1770) e, quindi, con una propria
t. privata (1783). Con la
pubblicazione, nel 1771, del primo campionario di
Fregi e maiuscole,
Bodoni diede inizio a una divulgazione sistematica del proprio lavoro di
disegnatore e incisore di caratteri, che culminò nella stampa di un
grande
Manuale tipografico (1788). Nel corso del XIX sec., accanto ai
modelli dominanti di Didot e di Bodoni, si svilupparono caratteri romantici di
fantasia; allo stesso tempo il libro, grazie alla nascita di nuove tecniche di
illustrazione e di nuovi procedimenti meccanici d'impressione e di composizione,
si trasformò in un prodotto decisamente industrializzato. In tempi
più recenti la produzione, soprattutto inglese e americana, di matrici
per la composizione linotipica ripropose e rielaborò sapientemente i
migliori modelli dei secc. XVI-XVII, conciliando in questo modo i valori della
tradizione, le innovazioni tecniche e le esigenze del mercato editoriale.