Poeta elegiaco greco. Scarse e incerte sono le
notizie sulla sua vita: originario di Megara (quasi certamente Megara Nisea,
città dorica sullo stretto di Corinto) apparteneva all'alta aristocrazia
locale; tuttavia, ben presto l'avvento al potere di nuove classi sociali,
seguìto alla crisi del regime aristocratico e alle successive lotte
politiche, lo gettò in disgrazia e lo condannò a una vita di
esilio in varie regioni del Mediterraneo: nei suoi versi afferma di essersi
recato esule in Sicilia (forse a Megara Iblea, come si evince da un'allusione di
Platone), nell'Isola di Eubea, a Sparta, sempre accolto benevolmente, ma
straziato nel cuore per la lontananza dalla patria amata (
Elegie, versi
783-88). Della sua opera poetica è giunta una cospicua raccolta
(
Elegie, o anche
Sentenze) di 1.389 versi, molti dei quali sono
stati però riconosciuti dagli studiosi come non autentici; di fatto, la
ricostruzione dell'originale silloge teognidea costituisce un problema ancora
aperto e oggetto di numerose congetture. Tra le principali difficoltà
sono: la presenza di brani scritti da altri poeti o da questi ripresi con lievi
modifiche; l'esistenza di numerose ripetizioni, simili a variazioni su uno
stesso tema, difficilmente attribuibili a un solo autore; la molteplicità
degli interlocutori del poeta; l'estraneità di alcuni distici
all'intonazione gnomica caratteristica di
T.; infine, alcuni problemi
cronologici (taluni versi sembrano indicare un contesto del VII sec. a.C., altri
alludono ad avvenimenti dell'inizio del V sec. a.C.). La chiave per la scoperta
dei versi autentici di
T. dovrebbe trovarsi nei versi 19-23, dove il
poeta fa riferimento a un "sigillo" della sua opera, ma non
v'è accordo fra i critici sulla natura di questo segnale: l'ipotesi
più comune è che si tratti del nome di un giovanetto, Cirno, al
quale sono indirizzate molte poesie. Queste ultime hanno nella maggior parte un
chiaro intento gnomico, di ammonimento morale; vi si trova più volte
ripetuta la massima del
medén ágan (nulla di troppo),
insieme al riconoscimento che la dismisura (
hýbris), l'eccesso e
la presunzione costituiscono un grave pericolo per l'uomo e sono duramente
puniti dagli dei. Altri temi di ispirazione etica ricorrenti delle
Elegie
sono il senso della caducità della vita, l'infelicità
dell'uomo e la tristezza per l'essere nati; ad essi si uniscono anche distici di
contenuto politico, dai quali, oltre all'amarezza dell'esule, emergono
l'orgoglio dell'aristocratico, l'identificazione fra virtù e
nobiltà e il disprezzo per i vili (Megara Nisea fine VI sec. - inizio V
sec. a.C.).