Formulazione in forma sistematica di un complesso
di definizioni, principi e leggi che descrive o spiega uno o più aspetti
della realtà naturale o sociale:
la t. darwiniana dell'evoluzione.
║ Nel linguaggio ordinario, sinonimo di
ipotesi:
avrei una t. in
proposito. • Filos. - In filosofia della scienza, la nozione di
t. rimanda a tre differenti problemi: 1) che cos'è una
t.
scientifica; 2) quale rapporto sussiste tra una
t. e i fatti
dell'esperienza cui si applica; 3) qual è lo
status conoscitivo di
una
t. L'intreccio di questi problemi caratterizza tutta la riflessione
epistemologica del XX sec.; in questa direzione spinse indubbiamente la grande
influenza che agli inizi del XX sec. ebbe la posizione pragmatica sostenuta da
P. Duhem ed E. Mach, secondo i quali una
t. non sarebbe altro che un
insieme di proposizioni matematiche, ricavate da un ridotto numero di principi e
aventi per scopo l'organizzazione delle leggi sperimentali e la previsione dei
fenomeni. Tale ipotesi fu ripresa e rielaborata dal cosiddetto Neopositivismo
logico (O. Neurath, R. Carnap, C.G. Hempel), secondo cui una
t. sarebbe
un insieme di ipotesi tramite le quali può essere unificata e spiegata
un'ampia ed eterogenea gamma di regolarità empiriche; in questa
prospettiva, ciò che conta è l'osservabile e i termini e le leggi
teoriche hanno un senso solo laddove esista un sistema di leggi sperimentali la
cui validità sia stata provata indipendentemente dalla
t. Secondo
i neopositivisti, perciò, soltanto la concretezza dell'esperibile e del
verificabile dà sostanza alle
t., che di per sé non
sarebbero altro che mere astrazioni; il conseguente problema del tipo di
relazione esistente tra leggi teoriche e leggi sperimentali non fu, però,
risolto in maniera convincente, cosicché ebbero buon gioco K.R. Popper e
W.V.O. Quine, allorché evidenziarono le difficoltà implicite nella
distinzione tra enunciati e termini osservativi da un lato ed enunciati e
termini teorici dall'altro. Queste critiche furono, poi, estremizzate tra la
fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta ad opera di filosofi
della scienza come T. Kuhn e P.K. Feyerabend, che rilevarono come i fatti
sarebbero già carichi di
t.; in questo senso, l'osservazione
sarebbe influenzata e orientata sin dall'inizio da alcuni presupposti teorici e
le leggi sperimentali sarebbero ben lungi dall'essere immutabili. Così
Kuhn argomenta l'esistenza di intrecci assai profondi tra ipotesi teoriche,
osservazioni ed esperimenti che solo l'indagine storica può spiegare; da
ciò deriva, secondo Kuhn, che non è possibile fornire una
definizione astratta di
t. scientifica, ma ci si deve limitare a
descrivere l'attività degli scienziati, tentando di condurre a evidenza
quei paradigmi (qui intesi come insieme di presupposti metodologici, scientifici
e metafisici) che caratterizzano una particolare epoca della ricerca scientifica
e che sono destinati a essere sostituiti allorquando si verifica una
"rivoluzione scientifica". Allo stesso modo Feyerabend critica
quelle metodologie che cercano di costringere ciò che è
scientificamente accettabile all'interno di un determinato sistema di norme e
sostiene che la scienza necessita di una pluralità di standard svincolati
da qualsiasi autorità (
anarchismo metodologico); secondo
Feyerabend, a riprova di ciò vi sarebbe il fatto che nella storia della
scienza tutte le regole sono state più o meno esplicitamente violate e
senza queste violazioni non sarebbe stato possibile lo sviluppo della ricerca
scientifica. Questa corrente storicista del pensiero epistemologico, riducendo
le
t. scientifiche a visioni del mondo (valide, quindi, solo per un tempo
limitato), stimolò l'elaborazione di nuove ipotesi in merito al problema
dello
status conoscitivo della scienza al fine di sottrarre quest'ultima
alle secche del relativismo. Contro gli esiti relativisti e strumentalisti si
batterono, ad esempio, H. Putnam e lo stesso Popper, il primo ponendo l'accento
sul riferimento ontologico dei termini teorici e, poi, sviluppando la tesi del
cosiddetto realismo interno, il secondo insistendo sul fatto che la successione
delle varie
t. scientifiche si caratterizza per essere un asintotico
avvicinamento alla verità. Le ragioni del realismo furono ribadite
più avanti anche da autori come N. Cartwright e I. Hacking, i quali
sostennero il cosiddetto realismo sulle entità, secondo cui va attribuita
esistenza fisica almeno a quelle entità teoriche i cui poteri causali
possono essere controllati sperimentalmente. • Log. - Insieme di enunciati
di un linguaggio logico che rappresenti un dominio concluso di conoscenze su un
determinato campo. Una
t. logica prevede un linguaggio logico, un calcolo
logico relativo al linguaggio e un gruppo di enunciati detti
assiomi. Nel
caso l'insieme non sia deduttivamente chiuso (vale a dire, se esistono enunciati
ricavabili dagli assiomi non ancora appartenenti all'insieme degli assiomi), gli
assiomi devono essere distinti dai
teoremi; nel caso, invece, l'insieme
sia deduttivamente chiuso, tale distinzione non può essere fatta.
Perché la trattazione logica della
t. abbia carattere di
effettività, occorre che l'insieme degli assiomi sia un insieme
decidibile o quantomeno generabile in modo effettivo; il suo essere
assiomatizzabile dipende, invece, dalla possibilità di assiomi in numero
finito. Linguaggio, calcolo e assiomi si danno in un linguaggio che non è
quello della
t. e che è noto come
metalinguaggio, dal
momento che serve per parlare di un altro linguaggio (a sua volta detto
linguaggio-oggetto); segni e regole (sintattiche e grammaticali) del
metalinguaggio sono, pertanto, differenti rispetto ai segni e alle regole del
linguaggio-oggetto. Quando ai segni della
t. corrispondono nomi di
oggetti, relazioni, ecc. appartenenti a un campo determinato, si ha un
modello o
interpretazione della
t.; i modelli sono oggetto
di studio di quella parte della logica nota come
t. dei modelli.
• St. - Nell'antica Grecia, ognuna delle delegazioni inviate dalle varie
città alle celebrazioni ginnico-religiose, nonché delle
delegazioni inviate dalla città ospitante la manifestazione presso le
altre città per invitarle a partecipare a queste celebrazioni. •
Mat. -
T. deduttiva: insieme di enunciati o formule, espresse in un
determinato linguaggio, suscettibili di opportune interpretazioni in alcuni
settori o aspetti della realtà. Alla definizione moderna di
t. si
è giunti nel corso dei secoli con una lenta evoluzione: fino al IV sec.
a.C. si considerava come
t. un qualsiasi insieme di enunciati matematici,
ritenuti veri perché intuitivamente evidenti o deducibili da altri
mediante valide argomentazioni. Nel corso dei secoli, tuttavia, maturò la
convinzione che il criterio dell'evidenza intuitiva non è né
oggettivo, né infallibile, fino a giungere alla concezione di
t.
deduttiva esposta da Aristotele; in essa si riconoscono un numero finito di
termini o
enti primitivi, la cui intelligibilità è
evidente; un numero finito di
assiomi o
postulati, dai quali
è possibile ricavare tutti gli enunciati della
t., mediante le
regole della logica deduttiva. In tale concezione, tuttavia, ha ancora posto il
criterio dell'evidenza intuitiva, seppur limitato all'intelligibilità dei
termini primitivi e alla verità degli assiomi; tale impostazione venne
messa in crisi con l'avvento delle geometrie non euclidee, nel XIX sec., che
decretò il definitivo abbandono del metodo assiomatico classico. Nella
moderna concezione di
t., infatti, gli assiomi sono considerati solo come
condizioni che devono essere soddisfatte dagli oggetti denotati come termini
primitivi, i quali, a loro volta, non sono definiti perché intelligibili
intuitivamente, ma sono definiti implicitamente dagli assiomi. In particolare,
una
t. si dice
formalizzata in senso stretto, o
formalismo
o
sistema formale, quando è costituita solamente dal suo
linguaggio, dal suo
apparato deduttivo e dai
teoremi
dimostrabili in essa, senza alcun riferimento esterno; una
t.,
invece, viene detta
deduttiva quando associa al sistema formale la sua
interpretazione in un insieme di oggetti, detto
universo
dell'interpretazione. L'insieme degli assiomi può essere suddiviso in due
sottoinsiemi, gli
assiomi logici, che appartengono all'apparato
deduttivo, e gli
assiomi propri; una
t. priva di assiomi propri
prende il nome di
calcolo formale. Una
t. formalizzata
T'
si dice
un'estensione o una
soprateoria della
t.
formalizzata
T se e solo se
T' ha lo stesso linguaggio di
T
e ogni teorema di
T è un teorema anche di
T'; due
t.
formalizzate si dicono equivalenti se ognuna è un'estensione dell'altra.
Una
t. si dice
assiomatizzata o
assiomatica se e solo se
l'insieme dei suoi assiomi è decidibile, cioè se esiste un
procedimento che permetta, in un numero finito di passi, di stabilire se una
formula è un assioma della
t. oppure no; una
t. si dice
assiomatizzabile se ammette una
t. equivalente assiomatica. Una
t. formalizzata si dice
contraddittoria o
incoerente o
inconsistente se e solo se esiste una formula della
t. tale che
essa e la sua negazione sono teoremi della
t. stessa; in caso contrario,
la
t. viene detta
non contraddittoria o
coerente o
consistente. Una
t. formalizzata, infine, si dice
decidibile se e solo se esiste un procedimento che permette, in un numero
finito di passi, di stabilire se una formula è un teorema della
t.
oppure no; in caso contrario la
t. si dice
indecidibile. In linea
di principio, per ogni
t. decidibile è possibile ideare una
macchina che, data una qualsiasi formula, sia in grado di stabilire se essa fa
parte o meno dei teoremi della
t.; nel caso di una
t. formalizzata
indecidibile, ciò non è possibile, e tale ricerca è
affidata esclusivamente all'intelligenza umana.