(dal greco
theós: dio e
lógos: discorso, ragionamento). Trattazione, dottrina, riflessione
inerente alla divinità, ai suoi attributi e alla religione in senso lato.
║ Con accezione più ristretta, speculazione in merito alle
verità rivelate (V. RIVELAZIONE). •
Filos. - Il primo uso tecnico del termine è attestato in Platone, a
indicare l'insieme - vario e composito - dei miti e delle
"disquisizioni" a proposito degli dei. Anche Aristotele
definì
theológoi i poeti, come Esiodo e Omero, che
narravano le vicende divine, contrapponendoli ai
phísikói
della Ionia, impegnati intorno alle questioni sulle origini delle cose. Tuttavia
fu proprio Aristotele il primo a considerare la
t. come
un'attività razionale, una scienza (
theologhiké
epistéme), il cui oggetto era l'essere in quanto tale, cioè la
sostanza, e in particolare la sostanza eterna, immobile e immutabile,
cioè Dio. La
t. era dunque per lo Stagirita la "scienza
prima", la metafisica, posta al culmine della filosofia teorica, al di
sopra della matematica e della fisica stessa. Gli stoici dettagliarono
ulteriormente la
t. come dottrina tripartita relativa alle cose divine:
vi era infatti la
t. mitica o
favolosa dei poeti, la
t.
civile o
politica che presiedeva ai culti pubblici e alla religione
di Stato e la
t. naturale o
fisica dei filosofi.
Quest'ultima, secondo lo stoico Cleante, era parte integrante della filosofia e
aveva il compito di interpretare la mitologia e le figure divine come
personificazioni delle forze naturali. I neoplatonici, e Plotino in particolare,
includevano nella
t. la stessa fisica, perché essa aveva come
oggetto i principi primi delle cose. Anche nella cultura latina il termine
t. veicolò l'insieme delle riflessioni sulla causa prima del cosmo
e sulle possibili interpretazioni della tradizione religiosa classica. A causa
dell'accezione schiettamente pagana del vocabolo, dunque, né il Nuovo
Testamento né i primi autori cristiani (che pure non rifuggirono i
composti con primo membro
theós: si pensi al
theóphilos del Vangelo di Giovanni) lo utilizzarono mai per
indicare la dottrina della nuova religione: gli apologeti, anzi, contrapponevano
alla
t. dei pagani il Cristianesimo come "vera filosofia".
Nell'Oriente dell'Impero, Clemente Alessandrino, che definiva Omero ed Esiodo
come i "vecchi teologi", riconosceva ai filosofi del mondo antico un
genuino sforzo nella ricerca della verità, che però non poteva
essere rinvenuta nella "mitologia di Dioniso" ma solo nella
"
t. del Verbo divino". Questo primo riferimento del termine a
contenuti cristiani portò a ulteriori evoluzioni semantiche: Origene lo
utilizzò per significare non solo le dottrine religiose greco-romane, ma
anche quelle persiane o egizie, cioè per indicare il pensiero religioso
in generale; anche il significato originario del verbo
theologhéin
(celebrare la divinità) slittò verso il senso assoluto di
"confessione della fede in Cristo". Con Eusebio di Cesarea e,
più tardi, con Dionigi l'Areopagita, il concetto di
t. venne
definitivamente incluso nella terminologia cristiana: teologi non erano
più i poeti antichi ma i profeti dell'Antico Testamento, gli evangelisti,
Paolo, ecc. Per
t. si intese la vera dottrina di Dio, cioè il
Cristianesimo secondo la predicazione della Chiesa. Nel IV sec., quello delle
grandi dispute dottrinali, con
t. si indicava direttamente la
"dottrina della Trinità" (Atanasio) e teologi erano chiamati
i difensori di questa ortodossia trinitaria (Gregorio di Nazanzio). Fu a causa
di tale ulteriore specificazione semantica che in Oriente si operò la
partizione (poi sopravvissuta nella Chiesa ortodossa) tra
t., in quanto
dottrina inerente all'intima natura di Dio, ed
economia, cioè
l'insieme delle dottrine sull'opera divina di salvezza (incarnazione, morte e
risurrezione) e sull'ecclesiologia. A fronte dell'evoluzione terminologica
operata dalla Patristica orientale, in Occidente (sede delle più
agguerrite reminiscenze dell'antica religione romana) il termine
t.
continuò per lunghi secoli a essere percepito come inerente al
paganesimo. Solo nel XII sec. l'accezione cristiana di
t. fu legittimata
anche in Occidente, dove peraltro, grazie alla Scolastica
(V.), il termine assunse anche il senso di
organica e sistematica dottrina su Dio e sulle verità di fede. Abelardo
considerò la
t. una scienza razionale, entro cui esercitare gli
strumenti dialettici e razionali. Inserita nello schema aristotelico, la
t. ricoprì per la Scolastica il ruolo di regina delle scienze, di
cui la stessa filosofia diventava semplice
ancilla. Tommaso, ad esempio,
che in un primo momento aveva accolto l'identità aristotelica tra
t. e metafisica, definì poi la
t. "scienza superiore,
che è scienza di Dio e dei beati", coincidente dunque con la
Rivelazione. Per Duns Scoto quella teologica era una scienza eminentemente
pratica, poiché il suo scopo era indurre l'uomo ad agire in ordine
alla propria salvezza, al contrario della metafisica che rappresentava invece
l'apice della scienza teoretica. Nella tarda Scolastica si consolidò la
concezione per cui la
t. non avesse importanza tanto in ambito
conoscitivo e razionale quanto in ambito pratico; ciò nonostante Occam
riteneva che essa fosse costituita da conoscenze sia pratiche sia teoretiche,
tutte però orientate al fine della salvezza. Tale accezione rimase
pressoché immutata fino al XVII sec., quando Bacone
(V. BACON, FRANCIS), nel suo trattato
De
augmentis scientiarum, operò una netta distinzione tra
t.
sacra, cioè la dottrina direttamente derivata dalla Rivelazione, e
t. naturale, cioè la conoscenza di Dio che si può
attingere con la sola indagine del creato secondo la ragione naturale. Ne
conseguiva che entrambe le
t. attenevano all'ambito metafisico, ma quella
naturale solo a una parte di esso. Pensatori successivi (Wolff, Baumgarten,
ecc.) sottolinearono il carattere razionale di questa seconda
t.
("la scienza di Dio in quanto è conoscibile senza la fede")
che come tale venne esaminata anche da Kant. Questi discriminò
ulteriormente il concetto di
t.: accanto alla
t. rivelata,
che corrispondeva sostanzialmente alla concezione medioevale del termine, egli
riconosceva una
t. razionale. Questa comprendeva a sua volta la
t.
trascendentale, che procede utilizzando solo i concetti trascendentali o a
priori, come quello di ente originario (
ontoteologia) o di realtà
ultima (
cosmoteologia), e la
t. naturale, che si vale
invece di concetti ricavabili dalla natura: quando essa ricava gli attributi di
Dio a partire dall'ordine del mondo, si configura come
t. fisica;
quando concepisce Dio come principio dell'ordine delle attività pratiche
e morali, si tratta di
t.
morale. Della partizione kantiana, che
fu seguita a lungo, permane oggi l'idea di una pluralità di discipline,
che condividono un oggetto comune ma si differenziano nei modi di indagine. Dopo
gli anni della Riforma protestante e dello sviluppo culturale che promosse
l'autonomia delle scienze storiche e impose nella filologia il metodo
storico-critico, anche in ambito teologico si distinsero così una branca
positiva (esegesi biblica, patrologia, storia del dogma, ecc.) e una speculativa
(
t. dogmatica, mistica, morale, ecc.). Citiamo ancora un ultimo indirizzo
della speculazione sul divino, quello della
t. negativa: sorta e
coltivata nell'ambito del misticismo (da quello patristico a quello moderno),
questa
t. si distingueva da quella, per così dire, positiva o
affermativa perché, ritenendo impossibile la determinazione diretta degli
attributi di Dio (atto che comporta una riduzione dell'infinito al finito),
riconosceva la Sua natura come eccedente ogni predicato, assolutamente
trascendente. • Encicl. -
T. cristiana
neotestamentaria: la Bibbia è il fondamento della
t.
cristiana, che deve i suoi due dogmi primari alle concezioni ebraiche
dell'Antico Testamento: il radicale monoteismo, già emendato da ogni
residuo politeista e da ogni deriva panteista, e la creazione
ex nihilo,
concetto che era estraneo al pensiero religioso mediterraneo. Il nucleo
teologico della nuova religione è però contenuto nel
corpus
del Nuovo Testamento e in particolare nei Vangeli: questi testi, infatti, non
solo propongono la persona stessa di Gesù come principale contenuto della
Rivelazione (V.) salvifica e dunque della
t., ma veicolano importanti contenuti dottrinali nel racconto della sua
vita. Ne risulta che, pur radicato nell'Ebraismo della setta farisea del tempo,
Gesù con la sua predicazione accentuò e innovò alcuni
caratteri del profetismo biblico, tra cui: la concezione di Dio come Essere
misericordioso, che prevale sulla nozione di rigida giustizia dello Yahwé
veterotestamentario; la necessità di conversione (
metánoia:
mutamento di vita e mentalità) da parte del singolo; il messianismo, nel
senso di attesa del Regno imminente; il superamento della Legge e del culto del
Tempio in favore di una religiosità interiore e non legalista e di
un'etica in cui il primato spetti non all'osservanza dei precetti in sé e
per sé, ma all'amore per il prossimo e alla capacità di perdono.
Gli studiosi moderni si sono anche interrogati su quanto e se la
t., per
così dire, degli Evangelisti e delle loro fonti si sia sovrapposta
all'originale visione teologica di Gesù. Infatti, soprattutto i tre
sinottici (Matteo, Marco e Luca) lasciano trasparire un corale lavoro di
risistemazione da parte delle comunità sulle testimonianze dirette sulla
vita di Cristo: fu questa una prima riflessione teologica, centrata su
Gesù, sulle sue opere e sulla sua predicazione. La lettura di questi tre
Vangeli mostra come i problemi più sentiti dai primi fedeli fossero: la
divinità di Cristo, il suo rapporto con l'Ebraismo e con i Gentili, il
suo atteggiamento nei confronti della legge mosaica e dell'autorità
romana, il culto (del Tempio o dello Spirito?), la seconda venuta
(
paroúsia). Una vera e personale
t. è quella di
Giovanni (V.), che insieme a Paolo è
considerato il primo teologo cristiano, condensata nel prologo del suo Vangelo:
nell'affermazione della coeternità di Dio e del
Logos ("il
Logos era presso Dio") e della loro coessenza ("e il Logos era
Dio") si fondano i dogmi successivamente enunciati dalla Chiesa della
Trinità e della consustanzialità delle Persone divine. Il
principale sistematore della dottrina cristiana è tuttavia Paolo
(V.) di Tarso, la cui
t. si caratterizza
per originalità e innovazione di contenuti cristologici, soteriologici ed
escatologici: l'apostolo, che a differenza degli altri non aveva conosciuto
Gesù durante la sua vita terrena, fu il primo a porre al centro del
chérugma (annuncio) Cristo morto e risorto, la fede nella persona
storica e determinata di Cristo (non in una divinità indefinita e
impersonale), più che i suoi insegnamenti o il suo esempio morale.
Infine, nella concezione teologica delle prime generazioni di cristiani ebbe
grande spazio la tematica escatologica: la convinzione che la seconda venuta di
Gesù (
paroúsia) fosse imminente indirizzò la
riflessione sulle "cose ultime" (
eschatá), dando vita
a testi come l'
Apocalissi. ║
La t. nell'epoca della
Patristica: durante i primi secoli, la Chiesa fu obbligata a definire una
vera
t.: da un lato per rispondere alle necessità apologetiche e
difendersi dalle accuse rivolte contro i cristiani dai pagani, dall'altra per
combattere al proprio interno le numerose derive eterodosse ed eretiche. La
catechesi ebbe dunque il compito di istruire i fedeli sui contenuti della
Rivelazione, senza che essa assumesse mai carattere filosofico; nella polemica
antipagana, invece, le verità che il cristiano riconosceva per fede in
quanto rivelate (ad esempio: unità, perfezione, trascendenza di Dio)
venivano giustificate dagli apologeti sulla base della filosofia platonica o
aristotelica. Grazie a questi autori (Giustino, Atenagora, Quadrato, Taziano,
ecc.), dunque, si realizzò quel fecondo contatto tra il Cristianesimo e
le categorie della speculazione filosofica mutuate dalla civiltà
ellenica, da cui si evolverà più tardi la
t. medioevale
come scienza razionale (V. PATRISTICA). Tra il II
e il III sec., con l'insorgere delle eresie, la trattatistica teologica ebbe
carattere monografico: contro l'errore ariano si illustrava il dogma della
Trinità, contro quello nestoriano l'Incarnazione, contro quello pelagiano
la Grazia, contro quello donatista la Chiesa, ecc. La prima opera di
t.
sistematica fu forse il
De principiis di Origene
(V.), in cui la filosofia venne utilizzata anche
in ordine all'illustrazione del dogma. Presso Alessandria e Antiochia, infatti,
al principio del III sec. erano sorte due scuole di
t., che concorsero
allo sviluppo di questa disciplina: la prima si caratterizzò per la
lettura in senso allegorico delle Sacre Scritture e per l'esplicito Platonismo.
Le riflessioni dei teologi alessandrini erano infatti improntate a una strenua
difesa della perfetta divinità del Figlio (il
Lógos:
Verbo), ma correvano il rischio di trascurare, o perfino di mettere in dubbio,
l'umanità di Cristo. La scuola di Antiochia, per converso, interpretava
letteralmente le Scritture e ne conduceva l'esegesi alla luce della filosofia
aristotelica: i teologi antiocheni ritenevano fondamentale nel dogma trinitario
la distinzione tra le Persone e sottolineavano in special modo la natura umana
del Figlio. La
t. di Antiochia si esponeva al rischio di sottacere il
legame tra umanità e divinità nell'unica persona del Salvatore e
di cadere in una sorta di triteismo. Il mondo latino, in particolare con
Tertulliano, sviluppò invece una riflessione teologica di ambito morale
che, riprendendo motivi di origine stoica, propose il Cristianesimo, in antitesi
alla corruzione dei costumi, secondo un'angolatura etica. Del resto, la sempre
maggior diffusione della nuova religione, che venne prima ufficialmente
tollerata e poi elevata addirittura a religione di Stato, impose ai vescovi di
ampliare il quadro di riferimento concettuale mutuato dall'Antico Testamento e
dall'Ebraismo, con un sistema intellettuale più sofisticato e integrato.
Il IV sec. inaugurò la stagione dei concili ecumenici, il cui scopo fu
quello di stabilire con chiarezza le verità di fede, e delle dispute
dogmatiche. Il Concilio di Nicea (325) affermò la consustanzialità
del Padre e del Figlio; quello di Costantinopoli (381) deliberò sulla
divinità dello Spirito e in generale sul dogma trinitario (i teologi
greci avevano infatti elaborato i concetti di
sostanza e di
sussistenza, mediante i quali era possibile conciliare da un lato l'unica
natura sostanziale di Dio e dall'altro il suo triplice sussistere nelle persone
del Padre del Figlio e dello Spirito); infine, il Concilio di Calcedonia (451)
riuscì a trovare una formula unitaria riguardo il problema cristologico,
affermando che nella sussistenza (
persona) del Figlio si univano natura
umana e divina. L'Occidente (che pure contò figure della levatura di
Ilario di Poitiers, Ambrogio o Girolamo) contribuì significativamente
alla definizione della
t. cristiana solo a partire da Agostino
(V. AGOSTINO, AURELIO, SANTO): le sue opere
rappresentarono fino almeno al XIII sec. la fonte privilegiata per quanto
riguardava la
t. trinitaria, la dottrina sacramentale, le questioni sulla
Grazia e l'ecclesiologia. Ad Agostino risale inoltre il principio metodologico
fondamentale della ricerca teologica, in cui intelletto e fede devono sostenersi
reciprocamente (
crede ut intellegas et intellege ut credas): in
quest'ottica Agostino rivalutò e promosse gli studi profani (greco,
latino, dialettica, retorica, grammatica, scienza dei numeri, storia, diritto,
ecc.), contribuendo significativamente alla cristianizzazione della cultura
pagana, da lui orientata al compito speculativo della verità di fede.
║
La t. nel Medioevo (
secc. VI-XV): dopo Agostino, dal V
sec. in poi, la riflessione teologica perse di originalità ma
guadagnò in organicità. Furono composte sintesi teologiche (dette
catenae e in seguito
summae) in cui si raccoglievano i commenti
dei Padri alla Sacra Scrittura e ai singoli temi teologici. In tal modo venivano
meglio chiariti concetti fondamentali come:
housía (sostanza),
phýsis (natura),
prósopon (persona), ecc. Il lavoro
teologico consisteva in quei secoli più nella conservazione e nel
commento di quanto già detto dai predecessori che in elaborazioni
originali. Si andava affermando il principio dell'
auctoritas, in base al
quale le divergenze dottrinali andavano risolte secondo l'interpretazione
proposta dagli autori che la tradizione indicava, appunto, come autorevoli: ai
teologi spettava dunque il compito di conciliare tra loro le diverse
auctoritates. Mentre l'Oriente continuava a produrre le sintesi
dogmatiche più importanti (tra tutte spicca nell'VIII sec. quella di
Giovanni Damasceno), in Occidente, a partire dal IX sec., le arti liberali del
trivium e del
quadrivium (grammatica, dialettica, retorica;
aritmetica, geometria, musica e astronomia) venivano insegnate nelle scuole
ecclesiastiche come propedeutiche allo studio delle Sacre Scritture. Proprio da
tali scuole, tuttavia, ebbe origine il grande movimento teologico della
Scolastica (V.), che spostò nell'Occidente
romano il primato della
t. speculativa, fino ad allora tipicamente
greco-orientale. Tra le figure più significative della prima
t.
medioevale ricordiamo: Scoto Eriugena, che incise in particolar modo sullo
sviluppo della
t. negativa; Bernardo di Chiaravalle, rappresentante della
cosiddetta
t. monastica e della mistica benedettina, legata
all'eredità agostiniana e alla strenua affermazione della priorità
della fede sulla ragione; Abelardo, che applicando il metodo del
sic et
non all'analisi razionale delle proposizioni, precorse la tecnica del
ragionamento filosofico per
quaestiones; Anselmo, considerato il
fondatore della vera e propria Scolastica, perché fu il primo ad
applicare alla
t. nella sua s
umma il metodo dialettico
aristotelico; sulla stessa linea procedettero Ugo e Riccardo da San Vittore,
mentre Pietro Lombardo compendiò nei suoi
Libri IV sententiarum
tutta la riflessione teologica a lui precedente (questo testo fu adottato in
tutte le scuole per essere sostituito solo da quello di Tommaso). Il XIII sec.
fu quello delle grandi
summae teologiche, profondamente influenzate dalla
rinnovata conoscenza dell
'Organon di Aristotele, di cui fino ad allora
era nota la sola dialettica. D'altra parte, anche la vicenda umana ed ecclesiale
di Francesco d'Assisi (che tante conseguenze ebbe per la Chiesa) influì
sulla
t. del tempo, al punto che fu riconoscibile una vera e propria
scuola teologica francescana, i cui interpreti furono, tra gli altri, Alessandro
di Hales, Bonaventura, Duns Scoto, ecc. Di ascendenza platonica e agostiniana,
l'approccio francescano (e di Bonaventura in particolare) esaltava più
l'aspetto antropologico e di adesione etica e spirituale della fede che non la
sua dimensione cosmologica e intellettiva: al centro della speculazione si
trovava non tanto il
come dell'universo e di Dio, ma piuttosto
l'
uso che l'uomo fa del primo e la sua relazione con il divino, nella
persona di Gesù. L'orientamento aristotelico fu invece proprio della
scuola domenicana, di cui furono massimi maestri Alberto Magno e Tommaso
d'Aquino: essi affermavano l'intelligibilità dell'ordine universale e
razionale, che ha in Dio la sua causa prima e il suo fine ultimo. Come la
ragione è strumento adeguato per ottenere una conoscenza obiettiva della
natura, così essa deve essere un mezzo altrettanto idoneo per raggiungere
una conoscenza analogica del vero rivelato nella Bibbia. A partire dai principi
primi (cioè i dogmi) è possibile procedere con rigore razionale
per risalire dalle verità conosciute a quelle meno conosciute. Nella
speculazione di Tommaso,
t. dogmatica,
morale, mistica e
sacramentaria confluiscono nell'unico e organico
corpus della
Summa
theologica. La sua
t., acquisito il metodo e il rango di vera e
propria scienza, entrò a far parte degli studi universitari e
costituì una delle specializzazioni professionali pubblicamente
riconosciute, come la medicina e il diritto. Tra il XIII e il XVI sec. furono
istituite numerose cattedre teologiche in tutto l'Occidente, le più
rinomate delle quali furono Parigi, Oxford, Bologna e Padova. Con il tempo,
mentre la speculazione teologica perse vigore, spesso disperdendosi in dispute
oziose, acquisirono crescente importanza quei settori della
t. contigui
al diritto, da cui gemmarono poi le discipline (assai rilevanti per le ricadute
pratiche e politiche) del diritto ecclesiastico e del diritto canonico.
Particolarmente dibattuti, in questo campo, erano i problemi relativi alla
giurisdizione vescovile, a quella monastica, al primato petrino, ai processi
ecclesiastici, ecc. Durante il XV sec., tuttavia, si rese evidente la frattura
nella Chiesa tra speculazione teologica (che viveva delle dispute di
"scuola" tra tomisti, scotisti, nominalisti, ecc.) e movimenti
spirituali (ordini mendicanti, beghinaggi, ecc.), spesso accusati di tendenze
eretiche, in cui la ricerca di autenticità evangelica si traduceva
nell'accesso diretto alla Bibbia, letta e interpretata senza intermediari.
Più ortodossa nei rapporti con la gerarchia ecclesiale fu la
t.
mistica, che ebbe la sua massima espressione nell'autore dell'
Imitazione di
Cristo, che perorava il valore di una fede interiore e genuina, del
silenzio, dell'amore operoso verso il prossimo e, appunto, l'assunzione di
Cristo come modello di vita e di comportamento. ║
La t. cattolica
dell'epoca moderna (
secc. XV-XIX): il clima di profondo rinnovamento
storico e culturale dell'Umanesimo e del Rinascimento ebbe significative
ricadute anche sul pensiero teologico. L'opera di Erasmo da Rotterdam testimonia
il tentativo di recuperare i contenuti essenziali sul piano intellettuale ed
etico del Cristianesimo attraverso lo studio critico delle fonti
neotestamentarie e patristriche. Si afferma la necessità di declinare la
speculazione teologica con lo studio rigoroso del testo, con l'analisi critica,
con la ricerca di un dato positivo e storico che sostenesse il bisogno interiore
e spirituale. Queste esigenze furono meglio accolte e realizzate dalla
t.
luterana e protestante (V. OLTRE) che non dalla
gerarchia cattolica, che solo dopo il dispiegarsi dei movimenti riformatori
(V. RIFORMA) prese atto di tali necessità.
Per iniziativa del pontefice Paolo III, che convocò il Concilio di
Trento, la Chiesa si accinse a una nuova sistemazione delle sue basi dogmatiche,
soprattutto per quanto riguardava la discussa dottrina dei Sacramenti e i
problemi della Grazia e della giustificazione per la fede o per le opere. Due
furono gli ordini che si impegnarono in campo teologico durante gli anni
post-tridentini: quello domenicano (con i grandi commentatori Tommaso de Vio, M.
Cano, D. de Soto, ecc.) e quello gesuita, cui si deve in gran parte la
formazione del nuovo Cattolicesimo romano in opposizione dottrinale al
Protestantesimo (Ignazio di Loyola, R. Bellarmino, ecc.). Benché i
teologi dei due ordini si trovassero talvolta in contrasto (ad esempio nella
questione del rapporto tra Grazia e libero arbitrio), essi concorsero nella
difesa e legittimazione dottrinale della gerarchia e della struttura della
Chiesa. Tra la metà del XVII e il XVIII sec., si sviluppò
ulteriormente la cosiddetta
t. positiva o storica, con la pubblicazione
di numerose e importanti edizioni critiche (tanto dei testi sacri quanto delle
opere patristiche e dei mistici), di testi di storia della Chiesa, storia del
dogma, ecc. La
t. mistica, che nel XVI sec. aveva ricevuto il contributo
di santi come Francesco di Sales e Teresa d'Avila, fu continuata nel XVIII sec.
dall'opera, tra gli altri, di B. Pascal e A. Arnaud. Questa corrente di pensiero
dovette però difendersi in seguito dalle accuse di quietismo
(V.), poiché riprendevano in parte la
mistica del completo abbandono in Dio. Dopo la Rivoluzione francese, la
t.
cattolica andò perdendo originalità ed efficacia, più
che altro impegnata in battaglie apologetiche contro posizioni protestanti,
razionaliste, deiste, ecc. Unica eccezione fu la scuola teologica di Tubinga di
A. Molher: la
t., il cui insegnamento era stato mantenuto in Germania non
solo nei seminari ma anche nelle università, venne lì coniugata
con l'orientamento idealistico della filosofia contemporanea, in particolare
nella visione della Chiesa, concepita come una realtà dinamica inserita
nella storia e tramite della Parola di salvezza in virtù della sua
tradizione vivente. Questi tentativi di riconciliare la
t. con la
filosofia (discipline divise fin dai tempi di Duns Scoto) non trovarono appoggio
da parte della gerarchia ecclesiale che, anzi, con Pio IX e il Concilio Vaticano
I (1870) si attestò su posizioni teologiche di assoluto tradizionalismo,
riconfermando il Tomismo come dottrina ufficiale della Chiesa. ║
La t.
cattolica contemporanea: i primi anni del XX sec. furono segnati dal
fenomeno del Modernismo (V.), le cui ricadute
anche teologiche furono decisamente avversate dal magistero. La condanna
antimodernista di Pio X e la sua volontà di restaurare il Tomismo in
t. vanificarono il potenziale di rinnovamento della recente dottrina
sociale di Leone XIII e della sua promozione degli studi esegetici e storici.
Ciò nonostante negli anni del dopoguerra si registrarono fermenti tra i
teologi cattolici, che traevano le proprie riflessioni sia da un lavoro diretto
sulle fonti del pensiero cristiano, sia dal proficuo contatto con la
realtà del mondo "laico", sia dal dialogo ecumenico con le
t. non cattoliche. Negli anni immediatamente precedenti e seguenti la
seconda guerra mondiale, si distinsero due correnti teologiche: la
t.
cherugmatica (dal greco
chérugma: annuncio) sottolineava la
necessità di aderire al dato rivelato senza pretendere di sistematizzarne
i contenuti in una forma valida in ogni periodo e in ogni luogo. I nuovi teologi
francesi (tra cui ricordiamo i gesuiti P. Teilhard de Chardin e H. de Lubac)
ritenevano invece necessario ricostituire i legami tra
t., scienze
naturali e scienze storiche, in un'operazione omologa a quella che a suo tempo
aveva compiuto lo stesso Tommaso d'Aquino, promuovendo l'incontro fecondo tra
verità rivelata e cultura contemporanea. L'ecclesiologia tornò a
essere uno dei più importanti motivi di riflessione teologica, insieme a
quello dello Spirito Santo e della Liturgia. Il Concilio Vaticano II
(V. VATICANO, CONCILIO) liberò tutte le
energie innovative sul piano spirituale e teologico, in vista di una Chiesa
rinnovata, evangelica, ecumenica e soprattutto in dialogo con il mondo
contemporaneo. La riflessione teologica della Chiesa si è necessariamente
concentrata, nei decenni successivi al Vaticano II, sul commento alle
costituzioni conciliari e, seguendo le esortazioni della
Gaudium et
Spes, sulla creazione di un rapporto tra Chiesa universale e locale e le
problematiche dell'uomo contemporaneo. Tra i nomi di maggior rilievo della
t. conciliare e postconciliare si contano quelli di K. Rahner, H.
Küng, H.U. von Balthasar. Gli ultimi sviluppi della
t. contemporanea
hanno posto al centro di questa disciplina il legame diretto tra fede e azione,
connotandosi di volta in volta per la dimensione della vita umana che viene
considerata senza pretesa di esaurire l'intero specchio delle problematiche
teologiche. Gli orizzonti ecclesiali e di fede vengono incarnati nell'interesse
per la sorte dell'uomo e del mondo: da questo atteggiamento sono nate, ad
esempio, la
t. ecumenica,
la
t.
politica, la
t.
dell'inculturazione, la
t. femminista, ecc. Particolarmente dibattuto
in seno alla Chiesa è stato l'orientamento noto come
t. della
liberazione: nata in America Latina ad opera dei francescani L. Boff e G.
Gutierrez, stabilisce la priorità dell'esperienza umana della
liberazione, assunta come scopo dell'agire mondano. In essa, la
t.
(come momento teorico) deve seguire e non precedere la dimensione pratica della
vita cristiana, anzi la
t. deve derivare dalla
prassi, chiarendo e
illuminando dall'interno la concreta lotta per la liberazione dei popoli
sud-americani dall'oppressione politico-economica. Questa corrente teologica,
tuttavia, è stata formalmente condannata dal Vaticano, a causa della sua
contiguità con il Marxismo, le cui analisi storico-sociali sono state
dichiaratamente assunte come valide dai suoi fondatori. In sintesi, al di
là della ricca varietà di orientamenti specifici in cui la
t. si è declinata negli ultimi decenni, tutti i teologi
contemporanei mostrano di caratterizzare la domanda sul divino nel senso della
sua
relazione con l'uomo e con la creazione, meno interessati alla sua
dimensione, per così dire, metafisica o di accessibilità
conoscitiva. ║
T. protestante: M. Lutero condusse un profondo
riesame della tradizione teologica dei suoi tempi, operandone la rielaborazione
secondo un criterio scritturale e che lasciasse maggior spazio
all'interiorità e alla soggettività del singolo fedele, sulla base
dei dogmi fondamentali (trinitario e cristologico). Questa impostazione rispose
al diffuso bisogno di spiritualità, che la Chiesa del tempo non era in
grado di percepire, anche perché venne concepita come un impegno
integrale da parte del teologo, non solo intellettuale ma anche esistenziale: la
t. era frutto dell'esperienza e la fede stessa, secondo Lutero, non era
uno stato d'animo ma un'esperienza nata dall'ascolto della Parola e dalla
pubblica confessione della propria adesione ad essa. In forza di ciò, la
t. assumeva carattere
pastorale più che mistico,
diffondendosi mediante la predicazione. Punti focali della
t. luterana
erano: la giustificazione per la fede (V.
GIUSTIFICAZIONE); la signoria di Cristo; il sacerdozio universale;
l'elezione (V. PREDESTINAZIONE). Rifiutando
l'Aristotelismo, Lutero respinse anche lo strumento del pensiero e dei concetti
filosofici astratti, ancorandosi alla sola Scrittura e ridimensionando
l'autorevolezza della Scolastica quanto di molta Patristica. Per Lutero oggetto
della
t. non era la conoscenza di Dio, perseguita mediante le limitate
categorie dell'intelletto e della ragione, ma piuttosto la Scrittura, da
interpretare secondo il suo valore genuino, senza perdersi nel sofisma di troppi
allegorismi. Dalla Scrittura indicata come oggetto teologico sortiva una nuova
dialettica: il rapporto ragione e rivelazione, ordine naturale e ordine
metafisico (problemi tipici della speculazione scolastica) vennero sostituiti
dall'opposizione Legge-Grazia. Il Vangelo, secondo Lutero, nel momento in cui si
poneva come perfezionamento e superamento della Legge mosaica, rappresentava
anche l'insediamento della Grazia come sola fonte di giustificazione e dunque di
salvezza. Ne conseguiva che l'unica autorità normativa era la Bibbia, cui
ogni dottrina doveva essere sottoposta, che la salvezza eterna era opera
gratuita di Dio, per la quale l'uomo non aveva strumenti né titoli per
collaborare, che la Chiesa era la comunità dei predestinati, al cui
interno non aveva senso né il primato papale, né il sacerdozio
ministeriale (sostituito da quello universale), né la gerarchia. Sulla
linea di Lutero si pose anche la
t. di Calvino, il quale però
elaborò una
t. più sistematica e rigida, meno
immediatamente conseguente alla sola spiritualità. L'epoca delle guerre
di religione, in particolare comportò un progressivo irrigidimento degli
assunti teologici luterani, fino al delinearsi di una sorta di ortodossia
protestante o, come la definirono alcuni, di una
Scolastica protestante.
Per maggiori approfondimenti V. RIFORMA.
Il teologo Ulrich Zwingli