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Teologìa.

(dal greco theós: dio e lógos: discorso, ragionamento). Trattazione, dottrina, riflessione inerente alla divinità, ai suoi attributi e alla religione in senso lato. ║ Con accezione più ristretta, speculazione in merito alle verità rivelate (V. RIVELAZIONE). • Filos. - Il primo uso tecnico del termine è attestato in Platone, a indicare l'insieme - vario e composito - dei miti e delle "disquisizioni" a proposito degli dei. Anche Aristotele definì theológoi i poeti, come Esiodo e Omero, che narravano le vicende divine, contrapponendoli ai phísikói della Ionia, impegnati intorno alle questioni sulle origini delle cose. Tuttavia fu proprio Aristotele il primo a considerare la t. come un'attività razionale, una scienza (theologhiké epistéme), il cui oggetto era l'essere in quanto tale, cioè la sostanza, e in particolare la sostanza eterna, immobile e immutabile, cioè Dio. La t. era dunque per lo Stagirita la "scienza prima", la metafisica, posta al culmine della filosofia teorica, al di sopra della matematica e della fisica stessa. Gli stoici dettagliarono ulteriormente la t. come dottrina tripartita relativa alle cose divine: vi era infatti la t. mitica o favolosa dei poeti, la t. civile o politica che presiedeva ai culti pubblici e alla religione di Stato e la t. naturale o fisica dei filosofi. Quest'ultima, secondo lo stoico Cleante, era parte integrante della filosofia e aveva il compito di interpretare la mitologia e le figure divine come personificazioni delle forze naturali. I neoplatonici, e Plotino in particolare, includevano nella t. la stessa fisica, perché essa aveva come oggetto i principi primi delle cose. Anche nella cultura latina il termine t. veicolò l'insieme delle riflessioni sulla causa prima del cosmo e sulle possibili interpretazioni della tradizione religiosa classica. A causa dell'accezione schiettamente pagana del vocabolo, dunque, né il Nuovo Testamento né i primi autori cristiani (che pure non rifuggirono i composti con primo membro theós: si pensi al theóphilos del Vangelo di Giovanni) lo utilizzarono mai per indicare la dottrina della nuova religione: gli apologeti, anzi, contrapponevano alla t. dei pagani il Cristianesimo come "vera filosofia". Nell'Oriente dell'Impero, Clemente Alessandrino, che definiva Omero ed Esiodo come i "vecchi teologi", riconosceva ai filosofi del mondo antico un genuino sforzo nella ricerca della verità, che però non poteva essere rinvenuta nella "mitologia di Dioniso" ma solo nella "t. del Verbo divino". Questo primo riferimento del termine a contenuti cristiani portò a ulteriori evoluzioni semantiche: Origene lo utilizzò per significare non solo le dottrine religiose greco-romane, ma anche quelle persiane o egizie, cioè per indicare il pensiero religioso in generale; anche il significato originario del verbo theologhéin (celebrare la divinità) slittò verso il senso assoluto di "confessione della fede in Cristo". Con Eusebio di Cesarea e, più tardi, con Dionigi l'Areopagita, il concetto di t. venne definitivamente incluso nella terminologia cristiana: teologi non erano più i poeti antichi ma i profeti dell'Antico Testamento, gli evangelisti, Paolo, ecc. Per t. si intese la vera dottrina di Dio, cioè il Cristianesimo secondo la predicazione della Chiesa. Nel IV sec., quello delle grandi dispute dottrinali, con t. si indicava direttamente la "dottrina della Trinità" (Atanasio) e teologi erano chiamati i difensori di questa ortodossia trinitaria (Gregorio di Nazanzio). Fu a causa di tale ulteriore specificazione semantica che in Oriente si operò la partizione (poi sopravvissuta nella Chiesa ortodossa) tra t., in quanto dottrina inerente all'intima natura di Dio, ed economia, cioè l'insieme delle dottrine sull'opera divina di salvezza (incarnazione, morte e risurrezione) e sull'ecclesiologia. A fronte dell'evoluzione terminologica operata dalla Patristica orientale, in Occidente (sede delle più agguerrite reminiscenze dell'antica religione romana) il termine t. continuò per lunghi secoli a essere percepito come inerente al paganesimo. Solo nel XII sec. l'accezione cristiana di t. fu legittimata anche in Occidente, dove peraltro, grazie alla Scolastica (V.), il termine assunse anche il senso di organica e sistematica dottrina su Dio e sulle verità di fede. Abelardo considerò la t. una scienza razionale, entro cui esercitare gli strumenti dialettici e razionali. Inserita nello schema aristotelico, la t. ricoprì per la Scolastica il ruolo di regina delle scienze, di cui la stessa filosofia diventava semplice ancilla. Tommaso, ad esempio, che in un primo momento aveva accolto l'identità aristotelica tra t. e metafisica, definì poi la t. "scienza superiore, che è scienza di Dio e dei beati", coincidente dunque con la Rivelazione. Per Duns Scoto quella teologica era una scienza eminentemente pratica, poiché il suo scopo era indurre l'uomo ad agire in ordine alla propria salvezza, al contrario della metafisica che rappresentava invece l'apice della scienza teoretica. Nella tarda Scolastica si consolidò la concezione per cui la t. non avesse importanza tanto in ambito conoscitivo e razionale quanto in ambito pratico; ciò nonostante Occam riteneva che essa fosse costituita da conoscenze sia pratiche sia teoretiche, tutte però orientate al fine della salvezza. Tale accezione rimase pressoché immutata fino al XVII sec., quando Bacone (V. BACON, FRANCIS), nel suo trattato De augmentis scientiarum, operò una netta distinzione tra t. sacra, cioè la dottrina direttamente derivata dalla Rivelazione, e t. naturale, cioè la conoscenza di Dio che si può attingere con la sola indagine del creato secondo la ragione naturale. Ne conseguiva che entrambe le t. attenevano all'ambito metafisico, ma quella naturale solo a una parte di esso. Pensatori successivi (Wolff, Baumgarten, ecc.) sottolinearono il carattere razionale di questa seconda t. ("la scienza di Dio in quanto è conoscibile senza la fede") che come tale venne esaminata anche da Kant. Questi discriminò ulteriormente il concetto di t.: accanto alla t. rivelata, che corrispondeva sostanzialmente alla concezione medioevale del termine, egli riconosceva una t. razionale. Questa comprendeva a sua volta la t. trascendentale, che procede utilizzando solo i concetti trascendentali o a priori, come quello di ente originario (ontoteologia) o di realtà ultima (cosmoteologia), e la t. naturale, che si vale invece di concetti ricavabili dalla natura: quando essa ricava gli attributi di Dio a partire dall'ordine del mondo, si configura come t. fisica; quando concepisce Dio come principio dell'ordine delle attività pratiche e morali, si tratta di t. morale. Della partizione kantiana, che fu seguita a lungo, permane oggi l'idea di una pluralità di discipline, che condividono un oggetto comune ma si differenziano nei modi di indagine. Dopo gli anni della Riforma protestante e dello sviluppo culturale che promosse l'autonomia delle scienze storiche e impose nella filologia il metodo storico-critico, anche in ambito teologico si distinsero così una branca positiva (esegesi biblica, patrologia, storia del dogma, ecc.) e una speculativa (t. dogmatica, mistica, morale, ecc.). Citiamo ancora un ultimo indirizzo della speculazione sul divino, quello della t. negativa: sorta e coltivata nell'ambito del misticismo (da quello patristico a quello moderno), questa t. si distingueva da quella, per così dire, positiva o affermativa perché, ritenendo impossibile la determinazione diretta degli attributi di Dio (atto che comporta una riduzione dell'infinito al finito), riconosceva la Sua natura come eccedente ogni predicato, assolutamente trascendente. • Encicl. - T. cristiana neotestamentaria: la Bibbia è il fondamento della t. cristiana, che deve i suoi due dogmi primari alle concezioni ebraiche dell'Antico Testamento: il radicale monoteismo, già emendato da ogni residuo politeista e da ogni deriva panteista, e la creazione ex nihilo, concetto che era estraneo al pensiero religioso mediterraneo. Il nucleo teologico della nuova religione è però contenuto nel corpus del Nuovo Testamento e in particolare nei Vangeli: questi testi, infatti, non solo propongono la persona stessa di Gesù come principale contenuto della Rivelazione (V.) salvifica e dunque della t., ma veicolano importanti contenuti dottrinali nel racconto della sua vita. Ne risulta che, pur radicato nell'Ebraismo della setta farisea del tempo, Gesù con la sua predicazione accentuò e innovò alcuni caratteri del profetismo biblico, tra cui: la concezione di Dio come Essere misericordioso, che prevale sulla nozione di rigida giustizia dello Yahwé veterotestamentario; la necessità di conversione (metánoia: mutamento di vita e mentalità) da parte del singolo; il messianismo, nel senso di attesa del Regno imminente; il superamento della Legge e del culto del Tempio in favore di una religiosità interiore e non legalista e di un'etica in cui il primato spetti non all'osservanza dei precetti in sé e per sé, ma all'amore per il prossimo e alla capacità di perdono. Gli studiosi moderni si sono anche interrogati su quanto e se la t., per così dire, degli Evangelisti e delle loro fonti si sia sovrapposta all'originale visione teologica di Gesù. Infatti, soprattutto i tre sinottici (Matteo, Marco e Luca) lasciano trasparire un corale lavoro di risistemazione da parte delle comunità sulle testimonianze dirette sulla vita di Cristo: fu questa una prima riflessione teologica, centrata su Gesù, sulle sue opere e sulla sua predicazione. La lettura di questi tre Vangeli mostra come i problemi più sentiti dai primi fedeli fossero: la divinità di Cristo, il suo rapporto con l'Ebraismo e con i Gentili, il suo atteggiamento nei confronti della legge mosaica e dell'autorità romana, il culto (del Tempio o dello Spirito?), la seconda venuta (paroúsia). Una vera e personale t. è quella di Giovanni (V.), che insieme a Paolo è considerato il primo teologo cristiano, condensata nel prologo del suo Vangelo: nell'affermazione della coeternità di Dio e del Logos ("il Logos era presso Dio") e della loro coessenza ("e il Logos era Dio") si fondano i dogmi successivamente enunciati dalla Chiesa della Trinità e della consustanzialità delle Persone divine. Il principale sistematore della dottrina cristiana è tuttavia Paolo (V.) di Tarso, la cui t. si caratterizza per originalità e innovazione di contenuti cristologici, soteriologici ed escatologici: l'apostolo, che a differenza degli altri non aveva conosciuto Gesù durante la sua vita terrena, fu il primo a porre al centro del chérugma (annuncio) Cristo morto e risorto, la fede nella persona storica e determinata di Cristo (non in una divinità indefinita e impersonale), più che i suoi insegnamenti o il suo esempio morale. Infine, nella concezione teologica delle prime generazioni di cristiani ebbe grande spazio la tematica escatologica: la convinzione che la seconda venuta di Gesù (paroúsia) fosse imminente indirizzò la riflessione sulle "cose ultime" (eschatá), dando vita a testi come l'Apocalissi. ║ La t. nell'epoca della Patristica: durante i primi secoli, la Chiesa fu obbligata a definire una vera t.: da un lato per rispondere alle necessità apologetiche e difendersi dalle accuse rivolte contro i cristiani dai pagani, dall'altra per combattere al proprio interno le numerose derive eterodosse ed eretiche. La catechesi ebbe dunque il compito di istruire i fedeli sui contenuti della Rivelazione, senza che essa assumesse mai carattere filosofico; nella polemica antipagana, invece, le verità che il cristiano riconosceva per fede in quanto rivelate (ad esempio: unità, perfezione, trascendenza di Dio) venivano giustificate dagli apologeti sulla base della filosofia platonica o aristotelica. Grazie a questi autori (Giustino, Atenagora, Quadrato, Taziano, ecc.), dunque, si realizzò quel fecondo contatto tra il Cristianesimo e le categorie della speculazione filosofica mutuate dalla civiltà ellenica, da cui si evolverà più tardi la t. medioevale come scienza razionale (V. PATRISTICA). Tra il II e il III sec., con l'insorgere delle eresie, la trattatistica teologica ebbe carattere monografico: contro l'errore ariano si illustrava il dogma della Trinità, contro quello nestoriano l'Incarnazione, contro quello pelagiano la Grazia, contro quello donatista la Chiesa, ecc. La prima opera di t. sistematica fu forse il De principiis di Origene (V.), in cui la filosofia venne utilizzata anche in ordine all'illustrazione del dogma. Presso Alessandria e Antiochia, infatti, al principio del III sec. erano sorte due scuole di t., che concorsero allo sviluppo di questa disciplina: la prima si caratterizzò per la lettura in senso allegorico delle Sacre Scritture e per l'esplicito Platonismo. Le riflessioni dei teologi alessandrini erano infatti improntate a una strenua difesa della perfetta divinità del Figlio (il Lógos: Verbo), ma correvano il rischio di trascurare, o perfino di mettere in dubbio, l'umanità di Cristo. La scuola di Antiochia, per converso, interpretava letteralmente le Scritture e ne conduceva l'esegesi alla luce della filosofia aristotelica: i teologi antiocheni ritenevano fondamentale nel dogma trinitario la distinzione tra le Persone e sottolineavano in special modo la natura umana del Figlio. La t. di Antiochia si esponeva al rischio di sottacere il legame tra umanità e divinità nell'unica persona del Salvatore e di cadere in una sorta di triteismo. Il mondo latino, in particolare con Tertulliano, sviluppò invece una riflessione teologica di ambito morale che, riprendendo motivi di origine stoica, propose il Cristianesimo, in antitesi alla corruzione dei costumi, secondo un'angolatura etica. Del resto, la sempre maggior diffusione della nuova religione, che venne prima ufficialmente tollerata e poi elevata addirittura a religione di Stato, impose ai vescovi di ampliare il quadro di riferimento concettuale mutuato dall'Antico Testamento e dall'Ebraismo, con un sistema intellettuale più sofisticato e integrato. Il IV sec. inaugurò la stagione dei concili ecumenici, il cui scopo fu quello di stabilire con chiarezza le verità di fede, e delle dispute dogmatiche. Il Concilio di Nicea (325) affermò la consustanzialità del Padre e del Figlio; quello di Costantinopoli (381) deliberò sulla divinità dello Spirito e in generale sul dogma trinitario (i teologi greci avevano infatti elaborato i concetti di sostanza e di sussistenza, mediante i quali era possibile conciliare da un lato l'unica natura sostanziale di Dio e dall'altro il suo triplice sussistere nelle persone del Padre del Figlio e dello Spirito); infine, il Concilio di Calcedonia (451) riuscì a trovare una formula unitaria riguardo il problema cristologico, affermando che nella sussistenza (persona) del Figlio si univano natura umana e divina. L'Occidente (che pure contò figure della levatura di Ilario di Poitiers, Ambrogio o Girolamo) contribuì significativamente alla definizione della t. cristiana solo a partire da Agostino (V. AGOSTINO, AURELIO, SANTO): le sue opere rappresentarono fino almeno al XIII sec. la fonte privilegiata per quanto riguardava la t. trinitaria, la dottrina sacramentale, le questioni sulla Grazia e l'ecclesiologia. Ad Agostino risale inoltre il principio metodologico fondamentale della ricerca teologica, in cui intelletto e fede devono sostenersi reciprocamente (crede ut intellegas et intellege ut credas): in quest'ottica Agostino rivalutò e promosse gli studi profani (greco, latino, dialettica, retorica, grammatica, scienza dei numeri, storia, diritto, ecc.), contribuendo significativamente alla cristianizzazione della cultura pagana, da lui orientata al compito speculativo della verità di fede. ║ La t. nel Medioevo (secc. VI-XV): dopo Agostino, dal V sec. in poi, la riflessione teologica perse di originalità ma guadagnò in organicità. Furono composte sintesi teologiche (dette catenae e in seguito summae) in cui si raccoglievano i commenti dei Padri alla Sacra Scrittura e ai singoli temi teologici. In tal modo venivano meglio chiariti concetti fondamentali come: housía (sostanza), phýsis (natura), prósopon (persona), ecc. Il lavoro teologico consisteva in quei secoli più nella conservazione e nel commento di quanto già detto dai predecessori che in elaborazioni originali. Si andava affermando il principio dell'auctoritas, in base al quale le divergenze dottrinali andavano risolte secondo l'interpretazione proposta dagli autori che la tradizione indicava, appunto, come autorevoli: ai teologi spettava dunque il compito di conciliare tra loro le diverse auctoritates. Mentre l'Oriente continuava a produrre le sintesi dogmatiche più importanti (tra tutte spicca nell'VIII sec. quella di Giovanni Damasceno), in Occidente, a partire dal IX sec., le arti liberali del trivium e del quadrivium (grammatica, dialettica, retorica; aritmetica, geometria, musica e astronomia) venivano insegnate nelle scuole ecclesiastiche come propedeutiche allo studio delle Sacre Scritture. Proprio da tali scuole, tuttavia, ebbe origine il grande movimento teologico della Scolastica (V.), che spostò nell'Occidente romano il primato della t. speculativa, fino ad allora tipicamente greco-orientale. Tra le figure più significative della prima t. medioevale ricordiamo: Scoto Eriugena, che incise in particolar modo sullo sviluppo della t. negativa; Bernardo di Chiaravalle, rappresentante della cosiddetta t. monastica e della mistica benedettina, legata all'eredità agostiniana e alla strenua affermazione della priorità della fede sulla ragione; Abelardo, che applicando il metodo del sic et non all'analisi razionale delle proposizioni, precorse la tecnica del ragionamento filosofico per quaestiones; Anselmo, considerato il fondatore della vera e propria Scolastica, perché fu il primo ad applicare alla t. nella sua summa il metodo dialettico aristotelico; sulla stessa linea procedettero Ugo e Riccardo da San Vittore, mentre Pietro Lombardo compendiò nei suoi Libri IV sententiarum tutta la riflessione teologica a lui precedente (questo testo fu adottato in tutte le scuole per essere sostituito solo da quello di Tommaso). Il XIII sec. fu quello delle grandi summae teologiche, profondamente influenzate dalla rinnovata conoscenza dell'Organon di Aristotele, di cui fino ad allora era nota la sola dialettica. D'altra parte, anche la vicenda umana ed ecclesiale di Francesco d'Assisi (che tante conseguenze ebbe per la Chiesa) influì sulla t. del tempo, al punto che fu riconoscibile una vera e propria scuola teologica francescana, i cui interpreti furono, tra gli altri, Alessandro di Hales, Bonaventura, Duns Scoto, ecc. Di ascendenza platonica e agostiniana, l'approccio francescano (e di Bonaventura in particolare) esaltava più l'aspetto antropologico e di adesione etica e spirituale della fede che non la sua dimensione cosmologica e intellettiva: al centro della speculazione si trovava non tanto il come dell'universo e di Dio, ma piuttosto l'uso che l'uomo fa del primo e la sua relazione con il divino, nella persona di Gesù. L'orientamento aristotelico fu invece proprio della scuola domenicana, di cui furono massimi maestri Alberto Magno e Tommaso d'Aquino: essi affermavano l'intelligibilità dell'ordine universale e razionale, che ha in Dio la sua causa prima e il suo fine ultimo. Come la ragione è strumento adeguato per ottenere una conoscenza obiettiva della natura, così essa deve essere un mezzo altrettanto idoneo per raggiungere una conoscenza analogica del vero rivelato nella Bibbia. A partire dai principi primi (cioè i dogmi) è possibile procedere con rigore razionale per risalire dalle verità conosciute a quelle meno conosciute. Nella speculazione di Tommaso, t. dogmatica, morale, mistica e sacramentaria confluiscono nell'unico e organico corpus della Summa theologica. La sua t., acquisito il metodo e il rango di vera e propria scienza, entrò a far parte degli studi universitari e costituì una delle specializzazioni professionali pubblicamente riconosciute, come la medicina e il diritto. Tra il XIII e il XVI sec. furono istituite numerose cattedre teologiche in tutto l'Occidente, le più rinomate delle quali furono Parigi, Oxford, Bologna e Padova. Con il tempo, mentre la speculazione teologica perse vigore, spesso disperdendosi in dispute oziose, acquisirono crescente importanza quei settori della t. contigui al diritto, da cui gemmarono poi le discipline (assai rilevanti per le ricadute pratiche e politiche) del diritto ecclesiastico e del diritto canonico. Particolarmente dibattuti, in questo campo, erano i problemi relativi alla giurisdizione vescovile, a quella monastica, al primato petrino, ai processi ecclesiastici, ecc. Durante il XV sec., tuttavia, si rese evidente la frattura nella Chiesa tra speculazione teologica (che viveva delle dispute di "scuola" tra tomisti, scotisti, nominalisti, ecc.) e movimenti spirituali (ordini mendicanti, beghinaggi, ecc.), spesso accusati di tendenze eretiche, in cui la ricerca di autenticità evangelica si traduceva nell'accesso diretto alla Bibbia, letta e interpretata senza intermediari. Più ortodossa nei rapporti con la gerarchia ecclesiale fu la t. mistica, che ebbe la sua massima espressione nell'autore dell'Imitazione di Cristo, che perorava il valore di una fede interiore e genuina, del silenzio, dell'amore operoso verso il prossimo e, appunto, l'assunzione di Cristo come modello di vita e di comportamento. ║ La t. cattolica dell'epoca moderna (secc. XV-XIX): il clima di profondo rinnovamento storico e culturale dell'Umanesimo e del Rinascimento ebbe significative ricadute anche sul pensiero teologico. L'opera di Erasmo da Rotterdam testimonia il tentativo di recuperare i contenuti essenziali sul piano intellettuale ed etico del Cristianesimo attraverso lo studio critico delle fonti neotestamentarie e patristriche. Si afferma la necessità di declinare la speculazione teologica con lo studio rigoroso del testo, con l'analisi critica, con la ricerca di un dato positivo e storico che sostenesse il bisogno interiore e spirituale. Queste esigenze furono meglio accolte e realizzate dalla t. luterana e protestante (V. OLTRE) che non dalla gerarchia cattolica, che solo dopo il dispiegarsi dei movimenti riformatori (V. RIFORMA) prese atto di tali necessità. Per iniziativa del pontefice Paolo III, che convocò il Concilio di Trento, la Chiesa si accinse a una nuova sistemazione delle sue basi dogmatiche, soprattutto per quanto riguardava la discussa dottrina dei Sacramenti e i problemi della Grazia e della giustificazione per la fede o per le opere. Due furono gli ordini che si impegnarono in campo teologico durante gli anni post-tridentini: quello domenicano (con i grandi commentatori Tommaso de Vio, M. Cano, D. de Soto, ecc.) e quello gesuita, cui si deve in gran parte la formazione del nuovo Cattolicesimo romano in opposizione dottrinale al Protestantesimo (Ignazio di Loyola, R. Bellarmino, ecc.). Benché i teologi dei due ordini si trovassero talvolta in contrasto (ad esempio nella questione del rapporto tra Grazia e libero arbitrio), essi concorsero nella difesa e legittimazione dottrinale della gerarchia e della struttura della Chiesa. Tra la metà del XVII e il XVIII sec., si sviluppò ulteriormente la cosiddetta t. positiva o storica, con la pubblicazione di numerose e importanti edizioni critiche (tanto dei testi sacri quanto delle opere patristiche e dei mistici), di testi di storia della Chiesa, storia del dogma, ecc. La t. mistica, che nel XVI sec. aveva ricevuto il contributo di santi come Francesco di Sales e Teresa d'Avila, fu continuata nel XVIII sec. dall'opera, tra gli altri, di B. Pascal e A. Arnaud. Questa corrente di pensiero dovette però difendersi in seguito dalle accuse di quietismo (V.), poiché riprendevano in parte la mistica del completo abbandono in Dio. Dopo la Rivoluzione francese, la t. cattolica andò perdendo originalità ed efficacia, più che altro impegnata in battaglie apologetiche contro posizioni protestanti, razionaliste, deiste, ecc. Unica eccezione fu la scuola teologica di Tubinga di A. Molher: la t., il cui insegnamento era stato mantenuto in Germania non solo nei seminari ma anche nelle università, venne lì coniugata con l'orientamento idealistico della filosofia contemporanea, in particolare nella visione della Chiesa, concepita come una realtà dinamica inserita nella storia e tramite della Parola di salvezza in virtù della sua tradizione vivente. Questi tentativi di riconciliare la t. con la filosofia (discipline divise fin dai tempi di Duns Scoto) non trovarono appoggio da parte della gerarchia ecclesiale che, anzi, con Pio IX e il Concilio Vaticano I (1870) si attestò su posizioni teologiche di assoluto tradizionalismo, riconfermando il Tomismo come dottrina ufficiale della Chiesa. ║ La t. cattolica contemporanea: i primi anni del XX sec. furono segnati dal fenomeno del Modernismo (V.), le cui ricadute anche teologiche furono decisamente avversate dal magistero. La condanna antimodernista di Pio X e la sua volontà di restaurare il Tomismo in t. vanificarono il potenziale di rinnovamento della recente dottrina sociale di Leone XIII e della sua promozione degli studi esegetici e storici. Ciò nonostante negli anni del dopoguerra si registrarono fermenti tra i teologi cattolici, che traevano le proprie riflessioni sia da un lavoro diretto sulle fonti del pensiero cristiano, sia dal proficuo contatto con la realtà del mondo "laico", sia dal dialogo ecumenico con le t. non cattoliche. Negli anni immediatamente precedenti e seguenti la seconda guerra mondiale, si distinsero due correnti teologiche: la t. cherugmatica (dal greco chérugma: annuncio) sottolineava la necessità di aderire al dato rivelato senza pretendere di sistematizzarne i contenuti in una forma valida in ogni periodo e in ogni luogo. I nuovi teologi francesi (tra cui ricordiamo i gesuiti P. Teilhard de Chardin e H. de Lubac) ritenevano invece necessario ricostituire i legami tra t., scienze naturali e scienze storiche, in un'operazione omologa a quella che a suo tempo aveva compiuto lo stesso Tommaso d'Aquino, promuovendo l'incontro fecondo tra verità rivelata e cultura contemporanea. L'ecclesiologia tornò a essere uno dei più importanti motivi di riflessione teologica, insieme a quello dello Spirito Santo e della Liturgia. Il Concilio Vaticano II (V. VATICANO, CONCILIO) liberò tutte le energie innovative sul piano spirituale e teologico, in vista di una Chiesa rinnovata, evangelica, ecumenica e soprattutto in dialogo con il mondo contemporaneo. La riflessione teologica della Chiesa si è necessariamente concentrata, nei decenni successivi al Vaticano II, sul commento alle costituzioni conciliari e, seguendo le esortazioni della Gaudium et Spes, sulla creazione di un rapporto tra Chiesa universale e locale e le problematiche dell'uomo contemporaneo. Tra i nomi di maggior rilievo della t. conciliare e postconciliare si contano quelli di K. Rahner, H. Küng, H.U. von Balthasar. Gli ultimi sviluppi della t. contemporanea hanno posto al centro di questa disciplina il legame diretto tra fede e azione, connotandosi di volta in volta per la dimensione della vita umana che viene considerata senza pretesa di esaurire l'intero specchio delle problematiche teologiche. Gli orizzonti ecclesiali e di fede vengono incarnati nell'interesse per la sorte dell'uomo e del mondo: da questo atteggiamento sono nate, ad esempio, la t. ecumenica, la t. politica, la t. dell'inculturazione, la t. femminista, ecc. Particolarmente dibattuto in seno alla Chiesa è stato l'orientamento noto come t. della liberazione: nata in America Latina ad opera dei francescani L. Boff e G. Gutierrez, stabilisce la priorità dell'esperienza umana della liberazione, assunta come scopo dell'agire mondano. In essa, la t. (come momento teorico) deve seguire e non precedere la dimensione pratica della vita cristiana, anzi la t. deve derivare dalla prassi, chiarendo e illuminando dall'interno la concreta lotta per la liberazione dei popoli sud-americani dall'oppressione politico-economica. Questa corrente teologica, tuttavia, è stata formalmente condannata dal Vaticano, a causa della sua contiguità con il Marxismo, le cui analisi storico-sociali sono state dichiaratamente assunte come valide dai suoi fondatori. In sintesi, al di là della ricca varietà di orientamenti specifici in cui la t. si è declinata negli ultimi decenni, tutti i teologi contemporanei mostrano di caratterizzare la domanda sul divino nel senso della sua relazione con l'uomo e con la creazione, meno interessati alla sua dimensione, per così dire, metafisica o di accessibilità conoscitiva. ║ T. protestante: M. Lutero condusse un profondo riesame della tradizione teologica dei suoi tempi, operandone la rielaborazione secondo un criterio scritturale e che lasciasse maggior spazio all'interiorità e alla soggettività del singolo fedele, sulla base dei dogmi fondamentali (trinitario e cristologico). Questa impostazione rispose al diffuso bisogno di spiritualità, che la Chiesa del tempo non era in grado di percepire, anche perché venne concepita come un impegno integrale da parte del teologo, non solo intellettuale ma anche esistenziale: la t. era frutto dell'esperienza e la fede stessa, secondo Lutero, non era uno stato d'animo ma un'esperienza nata dall'ascolto della Parola e dalla pubblica confessione della propria adesione ad essa. In forza di ciò, la t. assumeva carattere pastorale più che mistico, diffondendosi mediante la predicazione. Punti focali della t. luterana erano: la giustificazione per la fede (V. GIUSTIFICAZIONE); la signoria di Cristo; il sacerdozio universale; l'elezione (V. PREDESTINAZIONE). Rifiutando l'Aristotelismo, Lutero respinse anche lo strumento del pensiero e dei concetti filosofici astratti, ancorandosi alla sola Scrittura e ridimensionando l'autorevolezza della Scolastica quanto di molta Patristica. Per Lutero oggetto della t. non era la conoscenza di Dio, perseguita mediante le limitate categorie dell'intelletto e della ragione, ma piuttosto la Scrittura, da interpretare secondo il suo valore genuino, senza perdersi nel sofisma di troppi allegorismi. Dalla Scrittura indicata come oggetto teologico sortiva una nuova dialettica: il rapporto ragione e rivelazione, ordine naturale e ordine metafisico (problemi tipici della speculazione scolastica) vennero sostituiti dall'opposizione Legge-Grazia. Il Vangelo, secondo Lutero, nel momento in cui si poneva come perfezionamento e superamento della Legge mosaica, rappresentava anche l'insediamento della Grazia come sola fonte di giustificazione e dunque di salvezza. Ne conseguiva che l'unica autorità normativa era la Bibbia, cui ogni dottrina doveva essere sottoposta, che la salvezza eterna era opera gratuita di Dio, per la quale l'uomo non aveva strumenti né titoli per collaborare, che la Chiesa era la comunità dei predestinati, al cui interno non aveva senso né il primato papale, né il sacerdozio ministeriale (sostituito da quello universale), né la gerarchia. Sulla linea di Lutero si pose anche la t. di Calvino, il quale però elaborò una t. più sistematica e rigida, meno immediatamente conseguente alla sola spiritualità. L'epoca delle guerre di religione, in particolare comportò un progressivo irrigidimento degli assunti teologici luterani, fino al delinearsi di una sorta di ortodossia protestante o, come la definirono alcuni, di una Scolastica protestante. Per maggiori approfondimenti V. RIFORMA.
Il teologo Ulrich Zwingli