(dal greco
theós: dio e
phaíno: appaio). Apparizione, manifestazione della divinità
in forma sensibile. • St. delle rel. - Quasi tutte le tradizioni religiose
contemplano la possibilità che la divinità si manifesti, secondo
differenti modalità: nel caso in cui si legga la rivelazione del dio in
fenomeni naturali impersonali e ingovernabili (ad esempio il fulmine, il vento,
l'eclissi, ecc.), si ha la
ierofania (apparizione del sacro); nel caso in
cui a comunicarsi sia una divinità personale, si ha la
t. vera e
propria, che, a sua volta, può distinguersi in
t. indiretta
e
t. diretta. Al primo tipo si ascrivono le apparizioni in cui
il divino si rivela attraverso intermediari quali angeli, fenomeni naturali
straordinari (vento, colonne di fuoco, voci che scendono dal cielo, ecc.) o
animali; al secondo tipo (
epifania) appartengono le apparizioni dirette
della divinità, ovviamente in forme e modi accessibili alla percezione
umana, anche mediante atti e gesti. Tra gli esempi più vistosi di
t. esterne alla tradizione giudaico-cristiana, ricordiamo le apparizioni
delle divinità omeriche e classiche, in cui il dio antropomorfo si
mostrava circondato dall'inequivocabile segno del
nimbus (l'alone
luminoso che l'iconografia cristiana trasformerà poi nell'aureola) o
sotto le spoglie di altri uomini o di animali (la mitologia narra che Zeus si
sia avvicinato nell'una e nell'altra forma alle donne mortali di cui si era
invaghito). Anche l'Induismo offre numerosi esempi di
t. dirette, tra cui
spiccano i 10
avatāra di Vishnu, cioè le incarnazioni con cui
il dio si manifestò nelle diverse ere del mondo allo scopo di ristabilire
l'ordine del cosmo, e le apparizioni di
S'iva nell'aspetto del divino
asceta. ║ Per quanto riguarda l'Antico Testamento, le
t.
rappresentano l'eccezione alla regola che definisce Dio come trascendente
("nessuno può vedere Dio e poi vivere") e ineffabile
("nessuno può conoscere il vero nome di Dio, Egli è colui
che è:
Yahvé"). Per questa ragione, Mosè
è giudicato il più grande profeta della storia d'Israele
perché fu l'unico che "vide Dio faccia a faccia",
incontrandoLo dapprima nel fuoco del roveto ardente e poi sul Monte Sinai, dove
ricevette le tavole della Legge. Prima di lui, anche Abramo e Giacobbe avevano
incontrato il Signore, che però si era loro velato nella figura
rispettivamente dei tre pellegrini e dell'angelo combattente, per di più
coperto dal buio della notte. Di norma, nella vicenda veterotestamentaria, Dio
preferisce comunicarsi intervenendo direttamente nella storia del suo popolo;
solo i profeti fruiscono di
t. indirette (essi odono la Sua voce, o ne
avvertono la presenza nel vento, nel fuoco, ecc.). Al centro del Nuovo
Testamento vi è la
t. per eccellenza, cioè Cristo stesso,
la più diretta manifestazione di Dio, la sua Incarnazione. Non mancano
tuttavia, nel racconto evangelico e poi apostolico, altri eventi teofanici: la
nascita di Gesù e la venuta dei pastori, l'adorazione dei Magi (che venne
interpretata come l'epifania per antonomasia, il momento in cui Dio si manifesta
nelle forme di un bambino ai Grandi del mondo), il Battesimo di Gesù al
Giordano (in cui la Chiesa ortodossa legge l'epifania della Trinità, che,
secondo il racconto del Vangelo, si manifestò nella voce celeste del
Padre, nella persona del Figlio e nella forma di colomba dello Spirito),
l'episodio della Trasfigurazione di Gesù cui assistettero Pietro, Giacomo
e Giovanni, l'apparizione a Saulo sulla via di Damasco. Ancora
t. sono da
considerarsi tutte le apparizioni di Gesù dopo la sua morte e
Resurrezione: anche le
t. neotestamentarie, tuttavia, sono momenti
particolari, eccezioni alla norma, il cui scopo è quello di confermare
nella fede chi ne è destinatario e fare di lui un testimone, a sua volta
sostegno per la fede dei compagni. Il cammino pedagogico che Dio sceglie per la
Chiesa, infatti, non è quello della visione diretta del divino, ma della
sua percezione mediante la fede e la testimonianza, secondo le parole che Cristo
disse a Tommaso: "Beati quelli che senza vedere crederanno"
(V. anche
RIVELAZIONE). • Filos. - Nella storia del
pensiero filosofico, concezione cosmologica di tipo immanentista: essendo il
principio divino presente nel cosmo, quest'ultimo è anche una
manifestazione del divino stesso. Hanno carattere teofanico, ad esempio,
l'Immanentismo stoico (V. STOICISMO), ma anche
alcuni assunti del Neoplatonismo, in base ai quali qualsiasi ente, spirituale o
materiale che sia, reca in sé la traccia del principio ontologico
universale (l'
Uno). Riprendendo la concezione neoplatonica, il filosofo
medioevale Scoto Eriugena (V.) utilizzò il
termine
t. in senso tecnico: ogni livello ontologico, infatti,
rivelerebbe in sé la sua causa prima, cioè Dio, e ne sarebbe
quindi una manifestazione. Secondo la concezione teofanica, cioè, Dio si
invera nel reale nel momento in cui lo crea.