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Teocrazìa.

Forma di governo in cui il potere politico viene esercitato in nome e per conto della divinità. Nei regimi teocratici le leggi devono essere pertanto rispettate in quanto manifestazione della volontà divina e ogni infrazione viene considerata una disubbidienza a tale volontà e quindi un peccato. L'autorità politica e civile è detenuta da una casta sacerdotale o da uomini ritenuti in rapporto diretto con Dio. Questo è il caso, per esempio, della t. in vigore nell'Ebraismo antico o della t. islamica sciita, dove l'imám, considerato massimo conoscitore e interprete della dottrina religiosa, indirizza il popolo conformemente a questa. Una forma diversa di t. è quella in cui l'autorità politica viene esercitata da re o capi cui è attribuita natura divina in quanto discendenti diretti del Dio. La credenza in tale carattere divino, trasmesso di generazione in generazione, permetteva quindi il consolidamento delle dinastie. Esempi di un tale sistema teocratico erano le dinastie imperiali cinese e giapponese. • Encicl. - La dottrina teocratica trova il suo fondamento nell'affermazione di san Paolo "Non c'è autorità se non da Dio" (Romani 13, 1), nella quale si è voluta riconosce l'origine divina del potere politico. Tuttavia, già la posizione sviluppata dai pensatori cristiani dei primi secoli ribadisce soltanto la priorità dell'obbedienza dovuta a Dio rispetto a quella dovuta al principe, allorché il comando di quest'ultimo contrasti con gli insegnamenti divini. Durante tutto il Basso Medioevo il concetto della separazione tra potere spirituale e temporale non fu però mai chiaramente elaborato né concretamente applicato. La crisi, infine, scoppiò nel 1073 con la lotta per le investiture, che contrappose papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV. La superiorità del potere spirituale su quello temporale fu da Gregorio argomentata ricorrendo alla nozione dell'origine divina del Papato: al papa, in quanto massima autorità spirituale e morale della Chiesa, essa stessa manifestazione terrena dell'ordine divino, spettava il diritto e il dovere di vigilare su ogni membro della comunità cristiana, incluso l'imperatore, e di sanzionarne il comportamento; la scomunica lanciata a un re o allo stesso imperatore comportava come conseguenza il diritto di deporlo e di sciogliere i sudditi dall'obbligo di fedeltà e obbedienza. Oltre che da Gregorio VII, tale concezione del Papato fu sostenuta da altri papi, quali Innocenzo III e Bonifacio VIII. In sede teorica la derivazione dell'autorità temporale da quella spirituale fu enunciata da Onorio di Autun nella sua Summa gloria (1123). Sulla base di un'interpretazione della storia ebraica, per la quale il potere regio era stato istituito con la designazione di Saul da parte di Samuele che era un sacerdote, Onorio sosteneva che Cristo aveva fondato il potere sacerdotale e che gli imperatori, da Costantino in poi, erano stati investiti dell'autorità imperiale per concessione papale. Pertanto, gli imperatori avrebbero dovuto essere scelti dal papa col consenso dei principi. Anche san Tommaso mirava al rafforzamento della potestà pontificia, ma attraverso un diverso svolgimento dottrinale. Secondo Tommaso, il potere politico non è dato a nessun uomo singolo immediatamente da Dio. Da Dio viene la forma del potere, ciò che vi è di essenziale nell'idea del potere e dell'autorità, mentre nelle posizioni concrete, storiche del potere è la collettività a investire il principe, sempre che essa non pensi a esercitarlo direttamente. Il pensiero di Marsilio da Padova inaugurò la tendenza rinascimentale ad accentuare viceversa la secolarizzazione del potere politico e civile, e solo nel XVII sec. si ebbe una ripresa delle tesi teocratiche, sia pure accogliendo alcune istanze del diritto naturale, secondo il quale l'autorità politica viene esercitata dal principe in nome del popolo. La Riforma protestante riportò in auge la questione della superiorità temporale del pontefice romano, con il fine pratico di consolidare il potere dei principi protestanti, affermando, insieme all'antica idea dell'origine e sanzione divina della legge umana e civile, il principio che il sovrano deriva il suo potere da Dio e lo esercita come suo rappresentante. Così la dottrina teocratica diede origine alla dottrina del diritto divino dei re. Anche l'assolutismo monarchico francese si nutrì di tale dottrina in funzione difensiva contro le tendenze disgregatrici rappresentate, per esempio, dal Giansenismo: J.-B. Bossuet (esponente del pensiero teocratico seicentesco con R. Filmer, C. Salmasio e altri) ribadì che il potere politico è creazione diretta di Dio, sferrando contemporaneamente un duro attacco alle pretese pontificie di ingerirsi negli affari temporali. Liquidata dall'Illuminismo e dalla dottrina del diritto naturale, la concezione teocratica fu ripresa dai teorici del legittimismo durante la Restaurazione. Di tale linea di pensiero era stato antesignano J. de Maistre, che nei suoi scritti (soprattutto in Del papa, 1819) auspicò il ritorno a una società fondata sulla supremazia della Chiesa. A giustificazione della restaurazione cattolica e monarchica ci furono le prese di posizione dottrinali di pensatori come L.G.A. de Bonald, K.L. Haller, F.J. Stahl e, in Italia, L. Taparelli d'Azeglio. Riguardo ad essi si può parlare, più che di una vera e propria concezione teocratica, della necessità di sostenere l'ordine costituito contro i pericoli dell'ateismo e della rivoluzione, esplicitando i legami tra fede religiosa e ordine sociale e politico, di cui sarebbero tutori il potere pontificio e la Monarchia legittimista. Sconfitta in Francia sul piano politico con l'affermazione della Monarchia costituzionale seguita ai moti rivoluzionari del 1830, la dottrina cattolico-legittimistica ebbe in Italia i suoi sostenitori tra coloro che, come V. Gioberti, auspicavano che il processo di unità nazionale si attuasse d'accordo con la Chiesa e sotto la sua guida. In reazione allo Stato italiano, la cui costituzione era stata avversata dal Papato, privato del potere temporale con la dissoluzione dello Stato della Chiesa, si sviluppò una corrente associazionistica cattolica di ispirazione teocratica, organizzatasi nel 1875 nell'Opera dei Congressi. Caratterizzata dall'ostilità allo Stato laico e dal vagheggiamento del Medioevo quale modello di civiltà, la visione teocratica del Congresso era fondata sulla convinzione che il Cattolicesimo fosse una dottrina compiuta e immutabile, in grado di capire e risolvere i problemi sociali del mondo moderno e avente nel papa, considerato dottore infallibile della fede e della morale, il proprio capo indiscusso.