LE FORME E I LUOGHI DEL TEATRO
Il primo spazio
teatrale fu probabilmente un prato.
I Greci pensarono di sfruttare l'invaso
tra due colline sistemandolo a gradini di terra battuta, in fondo ottenevano lo
spazio per gli attori. Dalle gradinate gli spettatori godevano di ottima
visibilità e potevano essere raccolti in gran numero in spazio
limitato.
In seguito i Greci costruirono gradini di pietra e muri di
sostegno rimanendo pero vincolati a uno spiazzo naturale.
I Romani invece
di utilizzare un luogo naturale, costruirono un contenitore semicircolare;
dentro sistemarono la stessa pianta dei Greci.
STORIA DEL TEATRO
Forse il teatro è la più
antica forma d'espressione dell'uomo; forse ancor prima di imparare a parlare
gli uomini hanno dato forma alle loro gioie e al loro dolore rappresentandoli
con un misto di gesti di suoni e di danze; per mezzo del teatro hanno comunicato
i loro stati d'animo ai compagni: insieme hanno celebrato feste.
è
poi noto che i bambini imparano prima a giocare che a parlare, e nessuno insegna
alla bambina a recitare da mamma per la sua bambola o al bambino a travestirsi
da Indiano.
La capacità di fare teatro non è peculiare
dell'uomo, anche gli animali ne fanno: il gallo ottiene il dominio del pollaio
non solo con la forza, ma anche «facendo il galletto», cioè
inscenando visivamente la propria forza in una esibizione teatrale. Il colombo
per corteggiare la sposa esegue un numero di varietà con appropriati
gorgheggi e passi di danza. Senza contare le finte battaglie dei bisonti e dei
cervi, cerimonie in cui i maschi esibiscono la propria forza per ottenere il
dominio del branco. La prima società umana, formata da cacciatori, ha
cercato di ottenere il controllo sugli animali per mezzo della magia e ha
inventato maschere, indossato pellicce e imitato i movimenti delle fiere.
Insomma ha fatto del teatro.
Quando l'umanità ha tentato di dare una
spiegazione alla propria origine e al proprio destino, attraverso il mito ha
provato a dare delle risposte. E ancora una volta è il teatro a
rappresentare il mito e a dare figura agli eroi. Anche la religione, con i canti
e le musiche, le cerimonie per propiziarsi gli dei, si è servita del
teatro. Quando i gruppi sociali definitivamente antagonisti prendono coscienza
della propria storia, non è più possibile ricomporre il dissidio
tra le classi in un'unica e superiore visione delle cose, non si celebrano
più miti, il teatro diventa critico; nasce il teatro moderno. Aristofane,
Molière, Shakespeare, Brecht, sono in disarmonia con la propria
società.
Nessuna forma d'espressione è ricca e complessa
quanto il linguaggio teatrale. L'atto di rappresentare, nato insieme all'atto di
comunicare (un gesto mimico accompagnato da un grido affettivo o onomatopeico)
in un primo tempo si è sviluppato di pari passo con la lingua di
comunicazione, passando da uno stadio prevalentemente mimico a uno stadio
prevalentemente fonetico. Infatti presso i popoli primitivi prevalevano la
pantomima e la danza. Poi ogni conquista sul piano dell'espressione è
confluita nel teatro che ha assimilato ai propri bisogni mimica, danza, parola,
pittura, scultura, musica, architettura, restituendoli in una sintesi dinamica
che costituisce appunto il linguaggio teatrale.
La scenografia che in
origine ricreava un ambiente determinato storicamente e realisticamente (un
bosco o l'esterno di una reggia) oggi viene usata in modo da esprimere
fantasticamente il luogo del dramma, così come le luci che servivano
semplicemente a illuminare le scene, oggi sono espressive di uno stato d'animo o
di una situazione. La musica non è più semplicemente funzionale
(ad esempio una fanfara per l'ingresso dell'esercito) ma anch'essa sottolinea
psicologicamente la recitazione, crea tensioni, trasmette idee. Lo stesso
concetto vale per la recitazione, il gesto, il trucco. In conclusione, ogni
elemento costitutivo del linguaggio teatrale è nato come imitazione della
natura e della realtà e ha poi subito un processo di trasposizione
simbolica.
Questo lavoro di sintesi e di stilizzazione nel teatro
occidentale è avvenuto molto lentamente; anzi durante l'ascesa della
società borghese si è andati in direzione opposta, verso il
più crudo e piatto verismo: quel che accade sul palcoscenico è un
frammento di realtà, spiato dal buco della serratura.
Il teatro
orientale ha percorso fino in fondo la strada della stilizzazione caricando di
significato ogni minimo gesto, ogni dettaglio del costume, la più sottile
linea del trucco. Quest'arte ha saputo affinarsi e conservarsi per la relativa
immobilità delle società orientali che hanno subito radicali
trasformazioni solo negli ultimi decenni. Un'ultima considerazione: il teatro a
differenza di molte arti per realizzarsi non si affida al singolo, ma ha bisogno
dell'attore, del regista, dello scrittore, dello scenografo, del musicista e in
più è determinante l'apporto del costruttore delle scene, del
macchinista, dell'elettricista. Nasce dalla collaborazione di più
persone, e una volta che lo spettacolo è realizzato deve necessariamente
entrare in rapporto col pubblico, altrimenti non vive.
Adesso possiamo
capovolgere l'affermazione iniziale: nessuna forma di espressione può
essere povera ed essenziale come il linguaggio teatrale: un uomo che si rivolge
agli altri uomini, come alle origini.
Questa duttilità e la
capacità di entrare in presa diretta col pubblico, rendono il teatro uno
strumento in grado di comunicare con immediata evidenza ed efficacia. Con
ciò si spiega la messa al bando del teatro e l'accanirsi della censura in
ogni epoca e in ogni continente.
ATTORI E SPETTATORI
Certamente uno dei momenti più alti
della sua storia il teatro lo raggiunge in epoca primitiva, quando tutta la
comunità è riunita al centro del villaggio per celebrare un evento
importante. Tutti vi partecipano attivamente, non esiste la divisione fra
spettatori e attori, ognuno è al tempo stesso attore e spettatore.
Protagonista non è l'individuo, ma la comunità in cui ognuno si
riconosce. Durante quegli eventi teatrali la capacità di comunicare fra i
partecipanti deve essere stata enorme.
In un secondo tempo uno spazio
centrale venne riservato ai protagonisti del mito, gli altri partecipanti in
cerchio battevano il ritmo e incoraggiavano con la voce trasformandosi in
coro.
Il giorno in cui per facilitare la visione dello spettacolo si
pensò di erigere un palco per mettere in evidenza il gruppo di attori,
avvenne la definitiva divisione fra attori e pubblico. Questa divisione
implicava già una società articolata in classi, con
specializzazioni nelle diverse attività economiche, di guerra,
amministrative.
I Greci iniziarono a erigere edifici in grado di contenere
la comunità di attori e spettatori, ma le due entità erano
destinate a divergere sempre più nel corso dei secoli. Dopo le grandi
stagioni del teatro medievale con spettacoli in piazza con larga partecipazione
di popolo e del teatro elisabettiano che riservava una zona di palco ai nobili,
i primi posti ai borghesi e le ultime panche al popolo, il teatro divenne sempre
più aristocratico. Nacque l'uso di costruire edifici chiusi, il
palcoscenico si arricchì di complessi macchinari scenotecnici, una
cornice barocca chiamata boccascena servì a inquadrarlo. Infine un
sontuoso sipario di velluto rosso calò dall'alto separando il mondo reale
della platea da un artificioso mondo di sogni.
Il teatro borghese
dell'Ottocento non ha rotto questo schema ha semplicemente tentato di sostituire
alle favole e alle storie realistiche, brandelli di vita vera. Ma più il
quadro si arricchiva di particolari veri, più l'insieme risultava falso.
Il problema era un altro. La realtà non doveva irrompere nel palcoscenico
sotto forma di mobili e vestiti, ma in modo critico, agitando problemi e
idee.
Oggi il teatro ha rotto ogni schema e abbandonato ogni convenzione,
è uscito dal suo guscio, ha invaso le strade e le piazze, è sceso
nelle cantine, si è installato nelle fabbriche e nelle scuole, ha trovato
ospitalità nelle tende dei circhi. In breve, ha tentato di stabilire un
nuovo contatto con la realtà. Alcuni hanno sperato di ristabilire la
primitiva comunione fra pubblico e spettatori celebrando riti di sapore arcaico,
ma in una società complessa e disarticolata ciò si è
rivelato solo utopia. Non è tempo di misticismi. Il teatro deve essere
critico, dibattere idee, deve tornare a parlare dei grandi problemi
dell'esistenza.
SCENOGRAFIA
Insieme di elementi plastici, fondali
dipinti, proiezioni di immagini che consentono l'ambientazione del testo che si
intende rappresentare.
Fanno parte della scenografia la suddivisione degli
spazi internamente al palcoscenico, l'arredo, i costumi, il modo in cui è
inteso il rapporto fra testo, attore e spettatore.
In Occidente l'uso della
scenografia va fatto risalire al teatro greco. Per consentire rapidi cambiamenti
di scena venivano impiegati artifici quali prismi girevoli che portavano scene
dipinte, piattaforme scorrevoli, macchine di struttura rudimentale per
apparizioni dall'alto o dal basso di dei effetti di tuono e di
lampi.
Presso i Romani, nel periodo imperiale, i fondali mobili dipinti
vennero sostituiti con elementi architettonici fissi e le scene vennero
arricchite con raffinate decorazioni inserite fra le nicchie, le colonne, le
statue dell'elemento costruito.
Le sacre rappresentazioni medioevali si
avvalevano, quale luogo scenografico, direttamente della chiesa e del sagrato ad
essa antistante.
Il teatro rinascimentale adottò due tipi di scene,
entrambe di ambiente esterno ed a prospettiva geometrica con fuoco centrale: una
riproduceva un ambiente urbano costruito (piazze, strade, palazzi, ecc.);
l'altra un paesaggio naturale. Veniva fatto largo uso di carri allegorici e di
addobbi.
In età barocca gli spettacoli divengono capolavori di
ingegneria meccanica: la scenografia si sbizzarrisce alla ricerca di effetti
sorprendenti con l'ausilio di congegni elaboratissimi che permettono una rapida
e silenziosa sostituzione delle scene. Oggi non esistono più schemi fissi
in teatro: scenografo e regista collaborano all'impostazione tecnico-artistica
di tutto lo spettacolo che conducono unitariamente.
La scenografia
cinematografica e quella televisiva pongono problemi del tutto diversi da quelli
riguardanti la scenografia teatrale: mentre lo spettatore teatrale ha una
visione unica della scena, lo spettatore cinematografico e televisivo ne ha
visioni parziali e scelte dal regista attraverso le inquadrature e i movimenti
della macchina da presa.
LA COMMEDIA DELL'ARTE
Le vie del teatro sono molte. La Commedia
dell'Arte rappresenta un momento del grande teatro tipicamente italiano; ha il
suo punto di forza non nel testo prefissato, ma appunto nell'arte degli attori,
che partendo da un canovaccio scritto creavano le battute e sviluppavano le
scene. Questo modo di far teatro si diffuse in tutta Europa a partire dal XVI
secolo, ottenendo grande fortuna, testimoniata dalle numerose imitazioni dei
personaggi. Il Pierrot francese, il mister Punch inglese, il Petruska russo non
sono altro che reincarnazioni del nostro Pulcinella. Il grande Molière
per creare i suoi immortali personaggi ha saccheggiato ampiamente il repertorio
di tipi della commedia italiana che in quel tempo soggiornava con enorme
successo a Parigi. I comici italiani, primo esempio di compagnia di attori
organizzata professionalmente e che traeva il sostentamento dall'esercizio della
propria arte, erano merce ideale per l'esportazione. Affidando gran parte della
loro espressività ai lazzi, alle acrobazie, alle maschere, alla musica e
al canto, erano in grado di farsi comprendere da qualsiasi pubblico. La loro
attività internazionale è stata così incisiva che ancor
oggi se una compagnia italiana vuol avere successo all'estero è costretta
spesso a proporre la Commedia dell'Arte. Valga come esempio la lunghissima
tournée dell'Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo Teatro di
Milano. Tale situazione spinge a proporre degli stereotipi che non rispecchiano
affatto la complessità e la vera natura del teatro italiano
odierno.
La vitalità della Commedia dell'Arte si è estinta
fuori dai confini nazionali alle soglie della Rivoluzione francese. Come ha
potuto giungere fino a noi trasformandosi in una sorta di mito? Soprattutto per
opera di pittori francesi (i comici italiani avevano trovato una sistemazione
confortevole a Parigi) che hanno presentato in centinaia di tele i personaggi e
le scene del teatro all'italiana. La vita avventurosa delle compagnie girovaghe
ha anche fornito materia a romanzi, celebri fra tutti il Roman comique del
francese Paul Scarron (1610-1660) e il Capitan Fracassa del francese
Théophile Gautier (1811-1872). Jacques Callot (1592-1635), famoso
incisore e pittore francese, in una celebre serie di stampe ha fissato tipi,
maschere, atteggiamenti di quel teatro in modo tanto persuasivo da servire come
modello per le successive riproposte avvenute specialmente in epoca romantica da
parte della cultura francese e tedesca. In tempi più recenti il teatro
d'avanguardia russo nato con la Rivoluzione, per rompere con l'accademismo e la
tradizione, si è ispirato alla Commedia dell'Arte. In conclusione la
Commedia dell'Arte è nata in Italia, è emigrata in Europa e ci
è stata restituita sotto forma di uno stereotipo, pericoloso come tutti
gli stereotipi; come dire che tutti gli Italiani cantano «O sole mio»
e mangiano spaghetti.
EDIPO NOSTRO CONTEMPORANEO
L'Edipo re di Sofocle è una antica
tragedia della Grecia del V secolo avanti Cristo? L'Amleto è un tipico
dramma inglese del tempo della regina Elisabetta? L'Avaro di Molière
è una commedia che si recitava alla corte di Luigi XIV di
Francia?
Queste domande apparentemente ovvie contengono solo una parte di
verità. Quando pensiamo a Edipo o ad Amleto non possiamo far altro che
pensarli come personaggi fondamentali della nostra cultura e della nostra vita,
sono addirittura entrati a far parte del linguaggio comune: si dice infatti
«complesso di Edipo» e «dubbio amletico». Se assistiamo a
una recita dell'Avaro, le peripezie di Arpagone ci coinvolgono perché
toccano argomenti e sentimenti che fanno parte della nostra esistenza. Sentiamo
nostre anche le fatali sventure di Edipo il quale compie delitti involontari di
cui solo dopo si sente colpevole, quando ormai il male è irrimediabile.
Il male di vivere di Amleto, i suoi smarrimenti, le sue angosce sono anche
nostri sentimenti. In altre parole noi siamo portati a considerare Sofocle,
Shakespeare, Molière nostri contemporanei e i loro personaggi archetipi
umani con cui confrontarci e in cui specchiarci.
Naturalmente ciò
vale non solo per Sofocle e Shakespeare, ma per tutte le tragedie greche che ci
sono pervenute e per la maggior parte degli autori elisabettiani. In quelle
grandi epoche del teatro uomini come noi, coi nostri problemi e le nostre
angosce, hanno avuto la capacità di far agire sul palcoscenico, in modo
semplice quanto sublime, personaggi in cui ognuno di noi può
riconoscersi.
VARIETÀ
Nato nei café-chantant, il
varietà si evolve nel corso del secolo scorso, quando passa in appositi
locali. Qui il programma prevedeva un inizio a carattere musicale (canzonette,
romanze, pezzi d'orchestra, ecc.), una parte centrale costituita da numeri di
abilità (acrobati, giocolieri, prestigiatori, ecc.) e un finale di prosa
(un breve atto a carattere comico). La presenza di un personaggio (attore o
cantante) celebre, la vedette serviva di richiamo per il pubblico e la sua
esibizione diventava il pezzo forte dell'intero spettacolo.
Celebri teatri
di varietà vennero aperti già nel secolo scorso in diversi Paesi;
il più famoso, per il gran numero di ballerine e gli spettacolari
apparati scenografici, era quello parigino delle
Folies-Bergère.
Attori e cantanti di varietà raggiunsero a
volte grande popolarità; sono rimasti famosi i francesi Joséphine
Baker, Maurice Chevalier e in Italia Ettore Petrolini (1886-1936), attore dotato
di grande abilità di improvvisazione che usava satira e sarcasmo nelle
sue macchiette.
Dal varietà nascono la rivista e l'avanspettacolo.
Quest'ultimo termine, oggi usato in senso dispregiativo per indicare uno
spettacolo di quart'ordine, indicava i numeri proposti al pubblico
cinematografico tra una proiezione e l'altra o alla fine del film. Rivolto a
spettatori popolari faceva largo uso di una comicità grossolana.
La
rivista, sorta dall'incontro del varietà con l'operetta, conosce in
Italia un momento di difficoltà durante il fascismo quando non può
utilizzare la satira politica. Si trasforma allora accentuando gli aspetti
più spettacolari: imponenti coreografie, numerosi ballerini, vedettes
particolarmente gradite al pubblico. In questa forma diventa un genere popolare
nel secondo dopoguerra,
grazie anche alla presenza di personaggi di grande
notorietà come Totò (Antonio de Curtis), Erminio Macario, Carlo
Dapporto, Renato Rascel, Ugo Tognazzi, molti dei quali passarono poi al
cinema.
Il tramonto della rivista viene deciso dalla televisione che
tuttavia negli spettacoli popolari ne recupera molti aspetti: la scansione in
numeri, la successione alternata di sketch (dall'inglese = «schizzo,
abbozzo») e pezzi musicali tenuti assieme dal filo conduttore di un
presentatore.
Il cabaret è un tipo di spettacolo rivolto a un
pubblico più ristretto e più esigente, che non si accontenta di
danze e musiche, ma vuole essere divertito dalla battuta raffinata, attenta alla
satira di costume; risultati brillanti in questo campo hanno ottenuto attori
come Dario Fo, Franco Parenti, Paolo Poli.
MUSIC-HALL
Il termine (dall'inglese music =
«musica» e hall = «sala») è usato per indicare uno
spettacolo costituito essenzialmente da numeri musicali con inframmezzati giochi
di abilità e di prestigio. In questo senso il music-hall corrisponde al
caffè-concerto o al café-chantant.
L'origine del music-hall
è da ricercare nell'abitudine dei proprietari di osterie e di taverne
inglesi di offrire ai loro clienti spettacoli di varietà, oltre al
servizio di ristoro. Quando, verso la metà del secolo scorso, si diffuse
l'uso di far pagare un biglietto di ingresso per assistere alle
rappresentazioni, lo spettacolo di varietà cominciò ad assumere
sempre più importanza e ad aver bisogno di maggior spazio. I tavoli
vennero soppressi, il servizio di ristoro passò in secondo piano e
finì per nascere un locale dove si svolgevano solo spettacoli, veri e
propri teatri di varietà.
LA DANZA
L'arte del balletto come la conosciamo
oggi, l'arte, cioè, della danza teatrale basata su una tecnica
codificata, inizia a svilupparsi all'incirca cinquecento anni fa, nell'Italia
del Rinascimento. Maestri di danza, come Domenico da Piacenza e Guglielmo Ebreo,
furono chiamati ad animare la vita sfarzosa delle corti rinascimentali e
l'appuntamento con il balletto divenne immancabile in quasi tutte le
manifestazioni di corte. La gamma dei movimenti era estremamente ridotta per
l'uso dei pesanti abiti dell'epoca che celavano tutto il corpo; il gioco delle
figure danzanti rimaneva, quindi, l'unico motivo di interesse.
I migliori
maestri di ballo e musicisti italiani furono presto invitati anche alla corte di
Francia; fra loro Baltazarini di Belgioioso, che nel 1581 rappresentò per
Caterina de Medici il famoso Balletto Comico della Royne.
Ai balletti di
corte prendevano parte i cortigiani stessi; Luigi XIV, per esempio, che era un
appassionato della danza, apparve nel suo primo balletto a soli 12 anni e
continuò a danzare in ruoli di primo piano finché l'obesità
non lo costrinse al riposo. Nel 1661 Luigi XIV fondò l'Academie Royale de
Danse, riunendo un certo numero di maestri di danza, i quali dovevano codificare
le danze di corte e stabilire le regole per la loro esecuzione; nel 1669, poi
istituì un'Opera di Stato a Parigi.
L'importanza dell'Accademia sta
nel fatto che rappresentava il riconoscimento della necessità di una vera
scuola per un'attività che stava diventando di tipo altamente
professionale. L'Accademia francese di danza fu subito copiata da altre corti, a
conferma di questa necessità.
Fino alla metà del XVIII
secolo, gli opera-ballet restarono in scena all'Opera di Parigi, magnifici
spettacoli composti da una serie di quadri, nei quali un'apertura lirica era
seguita da una suite di danze. La più bella di queste, Les Indes Galantes
di Jean Philippe Rameau, è stata nuovamente rappresentata con successo a
Parigi, nel 1952.
All'inizio soltanto gli uomini apparivano sulla scena, ma
presto ballerine professioniste invasero l'Opera. Mademoiselle La Fontaine, che
interpretò il ruolo principale nel Trionfo dell'Amore di Lully, nel 1681,
può essere definita la prima ballerina. La moda del tempo, corsetti
strettissimi e lunghe sottogonne, impediva qualsiasi libertà di movimento
(erano impossibili ad eseguirsi, per esempio, i passi saltati) ma gli uomini,
meno ostacolati dai costumi, potevano esibirsi in passi molto più
spettacolari. La brillante e vivace Marie-Anne de Cupis de Camargo
accorciò il suo costume, per aumentare l'ampiezza e l'altezza dei passi,
e perfezionare l'entrechat quatre (un passo saltato nel quale i piedi si
incrociano due volte nell'aria).
La riforma dei costumi permise una
maggiore libertà di movimento ai danzatori e un sensibile progresso
tecnico. Il pubblico cominciò a rivolgere l'attenzione più ai
piedi dei ballerini che al soggetto del balletto e l'aspetto tecnico finì
col prevalere sullo stesso significato espressivo dello
spettacolo.
Importante è stata l'esperienza del maestro di ballo
John Weaver (1673-1760). A Londra produsse balletti-pantomime, nei quali la
storia veniva svelata dalla musica e dove danzava e mimava da solo, senza far
uso della voce.
Una nuova personalità entrò in scena nel
1760, quando il francese Jean Georges Noverre pubblicò le sue Lettres sur
la Danse et sur les Ballets. Egli si espresse vigorosamente contro l'abuso del
virtuosismo, e a favore «dell'azione e dell'espressione». Produsse i
suoi Ballets d'Actions a Stoccarda e a Vienna, come a Londra e a Parigi. La sua
influenza fu grande e i suoi scritti validi ancora oggi.
Il periodo
romantico del balletto viene fatto iniziare nel 1832, con la produzione del
balletto La Silfide, dove silfidi e naiadi conducevano i loro amori a tragica
fine. Fu introdotto l'uso delle scarpette rosa di satin con la punta rinforzata
in gesso, che permisero alla ballerina di danzare sur les pointes. In balletti
come Giselle (1841), azione elaborata da Théophile Gautier, il ballerino
aveva ancora un ruolo equivalente a quello della ballerina, mentre, in seguito,
iniziò ad avere una funzione secondaria. La figura femminile cresceva
invece d'importanza e grandi danzatrici come Maria Taglioni, Fanny Elssler
(1810-1884) e Carlotta Grisi (1819-1899), che era stata la prima Giselle, ebbero
uno straordinario successo.
MARIA TAGLIONI
Con questa, che fu definita una
«silfide immortale», la ballerina divenne un idolo nel periodo
compreso fra il 1830 e il 1840. Questa situazione doveva, però, condurre
alla virtuale sparizione del partner maschile dalla scena.
Italiana ma nata
a Stoccolma ed educata alla danza dal padre, il maestro Filippo Taglioni, Maria
(1804-1884) possedeva tutti gli attributi fisici che potevano dare espressione
all'ideale romantico di un'inaccessibile creatura, fragile ma perfetta.
Nel
balletto La Silfide (1832), che vide suo padre come coreografo, ella
trovò il miglior veicolo per esprimere il suo talento. Il balletto
racconta di uno spirito dell'aria (una silfide appunto) che si innamora di un
giovane scozzese, nel giorno in cui questo si deve sposare. Combattuto fra
l'amore reale e quello ideale, il giovane decide di abbandonare la fidanzata per
rivolgersi alla silfide. Una strega gli fa dono di una sciarpa ed egli,
inconsapevole dell'incantesimo che gli è stato fatto, la usa per attirare
a sé lo spirito amato che, preso alla vita, perde le ali e
muore.
IL BALLETTO CONTEMPORANEO
Quando l'opera soppiantò il balletto
come intrattenimento alla moda, questo cadde velocemente in declino. A Parigi
divenne esclusivamente uno «spettacolo di gambe», a Londra si
trasformò in music-hall. Le incomparabili scuole di Stato in Russia,
aperte dall'imperatrice Anna nel 1735, misero a punto un sistema formativo che
produsse, e produce tutt'oggi, i più grandi ballerini del mondo. Le
Accademie russe di Mosca e di Pietroburgo si avvalsero all'inizio e per
parecchio tempo di insegnanti francesi e italiani.
Le basi scientifiche
dell'insegnamento del balletto moderno, furono formulate da un italiano, Carlo
Blasis (1795-1878) e pubblicate nel suo Codice di Tersicore (1830), dove sono
prescritti esercizi per sviluppare un corpo ad un tempo forte ed
elastico.
I ballerini delle scuole di danza russe apparvero nella seconda
metà del XIX secolo, inseriti molto spesso nelle coreografie di un
francese, Marius Petipa, che proprio in Russia svolse la sua attività. I
temi dei balletti, prevalentemente fiabeschi, erano semplici pretesti per
mostrare la magnificenza della danza classica ed esaltare lo stile della
ballerina classica. La struttura dei balletti di Petipa, sebbene la danza fosse
superba, risultava tuttavia stereotipata.
Un grande rinnovamento, che
rivitalizzò il balletto, fu opera dell'impresario russo Sergej Diaghilev,
che portò i Balletti russi all'Ovest. Valendosi della presenza di alcuni
tra i migliori danzatori del Balletto imperiale russo, come Karsavina Anna
Pavlova, Vaslav Nijinsky, e aiutato da coreografi e musicisti famosissimi mise
in scena spettacoli nei quali costumi, musica, scenari e coreografia, dovevano
mescolarsi armoniosamente. I migliori pittori e musicisti dell'epoca
collaborarono alla messa in scena dei balletti di Diaghilev.
Il primo
coreografo di Diaghilev, Michel Fokine si ispirò ai principi di Noverre,
e stabilì il modello per il balletto in un atto, così com'è
ancora oggi.
Anna Pavlova rese il balletto popolare in tutto il
mondo.
Ella era solita dire che «voleva ballare per il mondo
intero», e così fece, lasciando Diaghilev, e girando con la propria
compagnia in Australia, nelle foreste dell'America del Nord, luoghi nei quali il
balletto non era mai stato portato prima.
Dopo la morte di Diaghilev e
della Pavlova, artisti che avevano lavorato con loro mantennero vivo il balletto
istituendo nuove scuole di ballo, o viaggiando molto, come fecero i balletti
russi durante gli anni Trenta. La danza oggi è popolare in tutto il
mondo; esistono compagnie di ballo in quasi tutte le grandi capitali, anche in
Cina e in Giappone. I balletti russi, francesi e danesi, come quelli italiani,
sono orgogliosi delle loro antiche tradizioni, ma artisticamente e tecnicamente
sono stati affiancati dalle scuole inglese e americana. Il balletto inglese,
durante gli ultimi quarant'anni, ha fatto notevoli progressi, grazie al lavoro
di Dame Marie Rambert, che nei primi anni del 1930 convinse il pubblico inglese
che i ballerini e coreografi nazionali potevano produrre lavori di
qualità, e a Dame Ninette de Valois, che ha diretto poi la scuola del
Royal Ballet.
In America la creazione della scuola dell'American Ballet nel
1933, condusse alla formazione della compagnia del New York City Ballet di oggi.
Nel 1974 il New York City Ballet creò la prima compagnia di danza
classica nera, il Dance Theatre di Harlem, diretta da Arthur Mitchel, il primo
grande ballerino negro.
Il Novecento vede nascere il Balletto moderno, una
versione coreografica rinnovata dello stile classico. La danza moderna nasce in
America, Paese culturalmente giovane e poco influenzato dalla rigorosa
tradizione classica, ma si afferma maggiormente in Europa. Isadora Duncan, Ruth
Saint Denis, Martha Graham, Doris Humphrey e Mary Wigman, sono le avanguardie
femminili della danza del Novecento.
MARIUS PETIPA
Coreografo francese, Petipa (1822-1910)
è considerato uno fra i migliori del periodo tardo romantico. Era figlio
di ballerini itineranti. Dopo una lunga esperienza come ballerino, gli venne
affidata la direzione del Balletto di Pietroburgo che sotto di lui divenne
celebre in tutto il mondo.
Nelle sue più importanti coreografie,
come La Bella Addormentata nel Bosco (1890) e Il Lago dei Cigni (1895) Petipa
esprime compiutamente una sensibilità romantica. Nella prima favola il
soggetto diventa un pretesto per glorificare la monarchia zarista; nella
seconda, si narra la vicenda di una eroina da fiaba, ma di un'eroina romantica
presentata nel suo duplice aspetto di purezza e di
malvagità.
SERGEJ DIAGHILEV (1872-1929)
Diaghilev (1872-1929) viene
all'unanimità considerato il creatore del balletto d'avanguardia. La sua
prima stagione a Parigi, nel 1909, con nuovi ballerini, nuove coreografie, nuove
scenografie e nuova musica, ebbe eccezionale successo. Durante i vent'anni di
vita i Balletti russi di Diaghilev, offrirono partiture musicali di Stravinskij,
Prokofev, Ravel, Debussy, Richard Strauss, scenografie di Picasso, Braque,
Utrillo, Mirò, Matisse, De Chirico, coreografie di Michel Fokine, Vaslav
Nizinskij e George Balanchine.
La prima rappresentazione messa in scena dai
Balletti russi fu Les Sylphides (uno dei primi balletti astratti) con la
coreografia di Michel Fokine. La compagnia non sopravvisse alla morte di
Diaghilev e venne sciolta a Venezia nel 1929.
VASLAV NIZINSKIJ
Ballerino e coreografo russo (1890-1950).
La carriera di Nizinskij è stata molto breve, clamorosa, brillante;
l'interruzione drammatica, in seguito a una forma di instabilità mentale,
contribuì a conferire alla vita dell'artista un'aura di mistero e di
tragedia, alimentata da una biografia romanzata scritta dalla moglie. Nizinskij
si formò alla scuola del Balletto imperiale russo di Pietroburgo. Si
rivelò come uno dei ballerini più grandi di tutti i tempi;
creò un tipo di danza espressivo caratterizzata dalla totale
identificazione con il personaggio interpretato, talento che lo rese adatto alle
coreografie di Michel Fokine. Ricordiamo Il pomeriggio di un fauno (1912) con
musiche di Debussy e La sagra della primavera (1913) su musiche di
Stravinskij.
MICHEL FOKINE
Ballerino e coreografo russo (1880-1942).
Le sue teorie sono ancor oggi alla base del balletto contemporaneo. Influenzato
anche dalle idee di Isadora Duncan, criticò l'uso di costumi e
atteggiamenti fini a se stessi e propose che l'allestimento scenico fondesse
insieme danza, musica pittura. Trovò la possibilità di realizzare
le sue teorie lavorando con Diaghiliev, con cui mise in scena capolavori come
L'uccello di fuoco (1910), Dafne e Cloe (1912).
Rotto il rapporto con
Dighialiev lasciò definitivamente la Russia (1918) e si stabilì a
New York dove continuò la sua opera come coreografo e direttore
artistico.
GEORGE BALANCHINE
Coreografo statunitense di origine russa
(1904-1987), Balanchine fece parte della compagnia di ballo di Diaghilev. Nel
1923 abbandonò l'Unione Sovietica, nel 1933 si recò negli Stati
Uniti dove aprì una scuola e formò una compagnia, che in seguito
diventò il New York City Ballet.
ANNA PAVLOVA
Danzatrice russa (1881-1931). Interprete
impareggiabile de La morte del cigno, Anna Pavlova rappresenta l'immagine ideale
della ballerina classica. Fece parte del Balletto imperiale di Pietroburgo, e
proprio in quel periodo danzò il più famoso repertorio classico,
impersonando una delle più grandi Giselle di tutti i tempi. Nei primi
anni Venti, aveva fatto numerosi giri all'estero diventando una vera attrazione
artistica.
Il suo repertorio era uno strano assortimento di piccoli pezzi,
ma includeva anche produzioni dei classici. C'è un breve filmato sulla
sua danza, girato dall'attore statunitense Douglas Fairbanks, che dà
un'idea delle sue qualità artistiche.
ISADORA DUNCAN
Ballerina e coreografa statunitense,
Isadora Duncan (1878-1927) è considerata la precorritrice della danza
moderna. Opponendosi alle tradizionali norme della danza accademica, che
limitavano la possibilità espressiva del corpo, elaborò un tipo di
danza basata sulla spontaneità e semplicità di pochi movimenti
naturali.
Conseguentemente abbandonò i costrittivi costumi usati
fino ad allora ed anche le tradizionali scarpette con la punta rinforzata. La
Duncan non codificò mai la sua tecnica condannando così al
fallimento le scuole da lei aperte in tutta Europa. Personalmente godette di uno
straordinario successo. Nel 1922 aprì una scuola di danza a Mosca dove
sposò il poeta russo Sergej Esenin suicidatosi tre anni dopo.
La
Duncan morì tragicamente nel 1927 sulla Costa Azzurra, strozzata dalla
sciarpa impigliatasi tra le ruote dell'automobile dove stava
viaggiando.
MARTHA GRAHAM
Le scuole e i balletti della coreografa
americana Martha Graham (1900-1991) sono stati di estrema importanza per lo
sviluppo della modern dance. La tecnica della Graham, adottata ancora oggi in
numerose scuole di balletto, si basa essenzialmente sulla formula della
«contrazione-rilassamento», movimenti che imprimono energia vitale
alla danza. Fra le coreografie principali della Graham ricordiamo Episodes su
soggetto dello scrittore austriaco Stefan Zweig (1881-1942) e musiche del
compositore austriaco Anton von Webern (1883-1945). Il balletto creato in
collaborazione con George Balanchine, è un tentativo di fusione dello
stile di danza classica con lo stile moderno.
CARLA FRACCI
Carla Fracci nasce a Milano nel 1936. Nel
1954 si diploma alla scuola di danza del Teatro alla Scala di Milano e debutta
nel 1957 al festival di Nervi. Nel giro di un anno diventa prima ballerina alla
Scala ed inizia, con una serie di tournee all'estero, la sua brillante carriera.
Interpreta Giselle a New York e danza con i più grandi ballerini, da
Nureyev a Barishnikov a Vassiliev a Janku. Per lei vengono creati numerosi
balletti, quali Giulietta e Romeo, da John Cranko, su musica di Prokofiev, La
strada, da Mario Pistoni, su musica di Nino Rota, La figlia di Iorio, da Amedeo
Amodio, su musica di Hazon. Per molti anni ballerina dell'American National
Ballet di New York, nel tempo si è divisa anche nell'interpretazione di
spettacoli di prosa, film e sceneggiati televisivi. Ha diretto i corpi di ballo
del Teatro San Carlo di Napoli e dell'Arena di Verona.
Carla Fracci
LESSICO DEL BALLETTO
Cinque posizioni
Si chiamano così
le posizioni base dei piedi dalle quali iniziano e alle quali terminano la
maggior parte dei passi nel balletto classico. Furono in uso per la prima volta
verso la fine del XVII secolo.
Jeté
Uno slancio da un piede all'altro. Un salto che
termina in qualsiasi posizione richiesta. Il grand jeté si sviluppa in
senso orizzontale.
Pas de deux (= «passo a due»)
è costituito dal duetto dei protagonisti
maschile e femminile, del balletto, di cui rappresenta il clou. Nei balletti del
XIX secolo, il pas de deux aveva un preciso sviluppo coreografico: 1,
entrée (= «entrata» dei due ballerini), 2, variazione maschile,
3, variazione femminile, 4, coda, esibizione virtuosistica
culminante.
Pirouette
Un giro completo del corpo, eseguito su una sola
gamba. Esistono numerosi tipi di pirouette; ciò che li distingue è
la posizione del corpo e la direzione verso la quale si rivolge. Durante
l'esecuzione di pirouette multiple, il ballerino fissa i suoi occhi su di un
punto preciso evitando così il capogiro.
Plié
Letteralmente «a gambe piegate» (in
francese, plier = «piegare»). Come esercizio si esegue all'inizio di
ogni lezione; plié vengono fatti alla sbarra per iniziare a scaldare i
muscoli. I plié costituiscono inoltre la posizione di partenza e d'arrivo
di qualsiasi genere di salto.
Sbarra
Pertica di legno fissata orizzontalmente sui muri
delle sale delle scuole di danza, approssimativamente all'altezza della cintola.
I ballerini la usano durante i loro primi esercizi come leggero supporto. Con
l'eccezione di alcuni ardui esercizi di riscaldamento, soltanto le dita della
mano poggiano sulla sbarra.
Tutù
Termine in uso per indicare il tipo di gonna
corta e vaporosa indossata dalle ballerine di danza classica. Fatto di numerosi
strati di mussolina leggera, il tutù è diventato il costume di
scena della ballerina in lavori classici e contemporanei.