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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - IL TEATRO

LE FORME E I LUOGHI DEL TEATRO

Il primo spazio teatrale fu probabilmente un prato.
I Greci pensarono di sfruttare l'invaso tra due colline sistemandolo a gradini di terra battuta, in fondo ottenevano lo spazio per gli attori. Dalle gradinate gli spettatori godevano di ottima visibilità e potevano essere raccolti in gran numero in spazio limitato.
In seguito i Greci costruirono gradini di pietra e muri di sostegno rimanendo pero vincolati a uno spiazzo naturale.
I Romani invece di utilizzare un luogo naturale, costruirono un contenitore semicircolare; dentro sistemarono la stessa pianta dei Greci.

STORIA DEL TEATRO

Forse il teatro è la più antica forma d'espressione dell'uomo; forse ancor prima di imparare a parlare gli uomini hanno dato forma alle loro gioie e al loro dolore rappresentandoli con un misto di gesti di suoni e di danze; per mezzo del teatro hanno comunicato i loro stati d'animo ai compagni: insieme hanno celebrato feste.
è poi noto che i bambini imparano prima a giocare che a parlare, e nessuno insegna alla bambina a recitare da mamma per la sua bambola o al bambino a travestirsi da Indiano.
La capacità di fare teatro non è peculiare dell'uomo, anche gli animali ne fanno: il gallo ottiene il dominio del pollaio non solo con la forza, ma anche «facendo il galletto», cioè inscenando visivamente la propria forza in una esibizione teatrale. Il colombo per corteggiare la sposa esegue un numero di varietà con appropriati gorgheggi e passi di danza. Senza contare le finte battaglie dei bisonti e dei cervi, cerimonie in cui i maschi esibiscono la propria forza per ottenere il dominio del branco. La prima società umana, formata da cacciatori, ha cercato di ottenere il controllo sugli animali per mezzo della magia e ha inventato maschere, indossato pellicce e imitato i movimenti delle fiere. Insomma ha fatto del teatro.
Quando l'umanità ha tentato di dare una spiegazione alla propria origine e al proprio destino, attraverso il mito ha provato a dare delle risposte. E ancora una volta è il teatro a rappresentare il mito e a dare figura agli eroi. Anche la religione, con i canti e le musiche, le cerimonie per propiziarsi gli dei, si è servita del teatro. Quando i gruppi sociali definitivamente antagonisti prendono coscienza della propria storia, non è più possibile ricomporre il dissidio tra le classi in un'unica e superiore visione delle cose, non si celebrano più miti, il teatro diventa critico; nasce il teatro moderno. Aristofane, Molière, Shakespeare, Brecht, sono in disarmonia con la propria società.
Nessuna forma d'espressione è ricca e complessa quanto il linguaggio teatrale. L'atto di rappresentare, nato insieme all'atto di comunicare (un gesto mimico accompagnato da un grido affettivo o onomatopeico) in un primo tempo si è sviluppato di pari passo con la lingua di comunicazione, passando da uno stadio prevalentemente mimico a uno stadio prevalentemente fonetico. Infatti presso i popoli primitivi prevalevano la pantomima e la danza. Poi ogni conquista sul piano dell'espressione è confluita nel teatro che ha assimilato ai propri bisogni mimica, danza, parola, pittura, scultura, musica, architettura, restituendoli in una sintesi dinamica che costituisce appunto il linguaggio teatrale.
La scenografia che in origine ricreava un ambiente determinato storicamente e realisticamente (un bosco o l'esterno di una reggia) oggi viene usata in modo da esprimere fantasticamente il luogo del dramma, così come le luci che servivano semplicemente a illuminare le scene, oggi sono espressive di uno stato d'animo o di una situazione. La musica non è più semplicemente funzionale (ad esempio una fanfara per l'ingresso dell'esercito) ma anch'essa sottolinea psicologicamente la recitazione, crea tensioni, trasmette idee. Lo stesso concetto vale per la recitazione, il gesto, il trucco. In conclusione, ogni elemento costitutivo del linguaggio teatrale è nato come imitazione della natura e della realtà e ha poi subito un processo di trasposizione simbolica.
Questo lavoro di sintesi e di stilizzazione nel teatro occidentale è avvenuto molto lentamente; anzi durante l'ascesa della società borghese si è andati in direzione opposta, verso il più crudo e piatto verismo: quel che accade sul palcoscenico è un frammento di realtà, spiato dal buco della serratura.
Il teatro orientale ha percorso fino in fondo la strada della stilizzazione caricando di significato ogni minimo gesto, ogni dettaglio del costume, la più sottile linea del trucco. Quest'arte ha saputo affinarsi e conservarsi per la relativa immobilità delle società orientali che hanno subito radicali trasformazioni solo negli ultimi decenni. Un'ultima considerazione: il teatro a differenza di molte arti per realizzarsi non si affida al singolo, ma ha bisogno dell'attore, del regista, dello scrittore, dello scenografo, del musicista e in più è determinante l'apporto del costruttore delle scene, del macchinista, dell'elettricista. Nasce dalla collaborazione di più persone, e una volta che lo spettacolo è realizzato deve necessariamente entrare in rapporto col pubblico, altrimenti non vive.
Adesso possiamo capovolgere l'affermazione iniziale: nessuna forma di espressione può essere povera ed essenziale come il linguaggio teatrale: un uomo che si rivolge agli altri uomini, come alle origini.
Questa duttilità e la capacità di entrare in presa diretta col pubblico, rendono il teatro uno strumento in grado di comunicare con immediata evidenza ed efficacia. Con ciò si spiega la messa al bando del teatro e l'accanirsi della censura in ogni epoca e in ogni continente.

ATTORI E SPETTATORI

Certamente uno dei momenti più alti della sua storia il teatro lo raggiunge in epoca primitiva, quando tutta la comunità è riunita al centro del villaggio per celebrare un evento importante. Tutti vi partecipano attivamente, non esiste la divisione fra spettatori e attori, ognuno è al tempo stesso attore e spettatore. Protagonista non è l'individuo, ma la comunità in cui ognuno si riconosce. Durante quegli eventi teatrali la capacità di comunicare fra i partecipanti deve essere stata enorme.
In un secondo tempo uno spazio centrale venne riservato ai protagonisti del mito, gli altri partecipanti in cerchio battevano il ritmo e incoraggiavano con la voce trasformandosi in coro.
Il giorno in cui per facilitare la visione dello spettacolo si pensò di erigere un palco per mettere in evidenza il gruppo di attori, avvenne la definitiva divisione fra attori e pubblico. Questa divisione implicava già una società articolata in classi, con specializzazioni nelle diverse attività economiche, di guerra, amministrative.
I Greci iniziarono a erigere edifici in grado di contenere la comunità di attori e spettatori, ma le due entità erano destinate a divergere sempre più nel corso dei secoli. Dopo le grandi stagioni del teatro medievale con spettacoli in piazza con larga partecipazione di popolo e del teatro elisabettiano che riservava una zona di palco ai nobili, i primi posti ai borghesi e le ultime panche al popolo, il teatro divenne sempre più aristocratico. Nacque l'uso di costruire edifici chiusi, il palcoscenico si arricchì di complessi macchinari scenotecnici, una cornice barocca chiamata boccascena servì a inquadrarlo. Infine un sontuoso sipario di velluto rosso calò dall'alto separando il mondo reale della platea da un artificioso mondo di sogni.
Il teatro borghese dell'Ottocento non ha rotto questo schema ha semplicemente tentato di sostituire alle favole e alle storie realistiche, brandelli di vita vera. Ma più il quadro si arricchiva di particolari veri, più l'insieme risultava falso. Il problema era un altro. La realtà non doveva irrompere nel palcoscenico sotto forma di mobili e vestiti, ma in modo critico, agitando problemi e idee.
Oggi il teatro ha rotto ogni schema e abbandonato ogni convenzione, è uscito dal suo guscio, ha invaso le strade e le piazze, è sceso nelle cantine, si è installato nelle fabbriche e nelle scuole, ha trovato ospitalità nelle tende dei circhi. In breve, ha tentato di stabilire un nuovo contatto con la realtà. Alcuni hanno sperato di ristabilire la primitiva comunione fra pubblico e spettatori celebrando riti di sapore arcaico, ma in una società complessa e disarticolata ciò si è rivelato solo utopia. Non è tempo di misticismi. Il teatro deve essere critico, dibattere idee, deve tornare a parlare dei grandi problemi dell'esistenza.

SCENOGRAFIA

Insieme di elementi plastici, fondali dipinti, proiezioni di immagini che consentono l'ambientazione del testo che si intende rappresentare.
Fanno parte della scenografia la suddivisione degli spazi internamente al palcoscenico, l'arredo, i costumi, il modo in cui è inteso il rapporto fra testo, attore e spettatore.
In Occidente l'uso della scenografia va fatto risalire al teatro greco. Per consentire rapidi cambiamenti di scena venivano impiegati artifici quali prismi girevoli che portavano scene dipinte, piattaforme scorrevoli, macchine di struttura rudimentale per apparizioni dall'alto o dal basso di dei effetti di tuono e di lampi.
Presso i Romani, nel periodo imperiale, i fondali mobili dipinti vennero sostituiti con elementi architettonici fissi e le scene vennero arricchite con raffinate decorazioni inserite fra le nicchie, le colonne, le statue dell'elemento costruito.
Le sacre rappresentazioni medioevali si avvalevano, quale luogo scenografico, direttamente della chiesa e del sagrato ad essa antistante.
Il teatro rinascimentale adottò due tipi di scene, entrambe di ambiente esterno ed a prospettiva geometrica con fuoco centrale: una riproduceva un ambiente urbano costruito (piazze, strade, palazzi, ecc.); l'altra un paesaggio naturale. Veniva fatto largo uso di carri allegorici e di addobbi.
In età barocca gli spettacoli divengono capolavori di ingegneria meccanica: la scenografia si sbizzarrisce alla ricerca di effetti sorprendenti con l'ausilio di congegni elaboratissimi che permettono una rapida e silenziosa sostituzione delle scene. Oggi non esistono più schemi fissi in teatro: scenografo e regista collaborano all'impostazione tecnico-artistica di tutto lo spettacolo che conducono unitariamente.
La scenografia cinematografica e quella televisiva pongono problemi del tutto diversi da quelli riguardanti la scenografia teatrale: mentre lo spettatore teatrale ha una visione unica della scena, lo spettatore cinematografico e televisivo ne ha visioni parziali e scelte dal regista attraverso le inquadrature e i movimenti della macchina da presa.

LA COMMEDIA DELL'ARTE

Le vie del teatro sono molte. La Commedia dell'Arte rappresenta un momento del grande teatro tipicamente italiano; ha il suo punto di forza non nel testo prefissato, ma appunto nell'arte degli attori, che partendo da un canovaccio scritto creavano le battute e sviluppavano le scene. Questo modo di far teatro si diffuse in tutta Europa a partire dal XVI secolo, ottenendo grande fortuna, testimoniata dalle numerose imitazioni dei personaggi. Il Pierrot francese, il mister Punch inglese, il Petruska russo non sono altro che reincarnazioni del nostro Pulcinella. Il grande Molière per creare i suoi immortali personaggi ha saccheggiato ampiamente il repertorio di tipi della commedia italiana che in quel tempo soggiornava con enorme successo a Parigi. I comici italiani, primo esempio di compagnia di attori organizzata professionalmente e che traeva il sostentamento dall'esercizio della propria arte, erano merce ideale per l'esportazione. Affidando gran parte della loro espressività ai lazzi, alle acrobazie, alle maschere, alla musica e al canto, erano in grado di farsi comprendere da qualsiasi pubblico. La loro attività internazionale è stata così incisiva che ancor oggi se una compagnia italiana vuol avere successo all'estero è costretta spesso a proporre la Commedia dell'Arte. Valga come esempio la lunghissima tournée dell'Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo Teatro di Milano. Tale situazione spinge a proporre degli stereotipi che non rispecchiano affatto la complessità e la vera natura del teatro italiano odierno.
La vitalità della Commedia dell'Arte si è estinta fuori dai confini nazionali alle soglie della Rivoluzione francese. Come ha potuto giungere fino a noi trasformandosi in una sorta di mito? Soprattutto per opera di pittori francesi (i comici italiani avevano trovato una sistemazione confortevole a Parigi) che hanno presentato in centinaia di tele i personaggi e le scene del teatro all'italiana. La vita avventurosa delle compagnie girovaghe ha anche fornito materia a romanzi, celebri fra tutti il Roman comique del francese Paul Scarron (1610-1660) e il Capitan Fracassa del francese Théophile Gautier (1811-1872). Jacques Callot (1592-1635), famoso incisore e pittore francese, in una celebre serie di stampe ha fissato tipi, maschere, atteggiamenti di quel teatro in modo tanto persuasivo da servire come modello per le successive riproposte avvenute specialmente in epoca romantica da parte della cultura francese e tedesca. In tempi più recenti il teatro d'avanguardia russo nato con la Rivoluzione, per rompere con l'accademismo e la tradizione, si è ispirato alla Commedia dell'Arte. In conclusione la Commedia dell'Arte è nata in Italia, è emigrata in Europa e ci è stata restituita sotto forma di uno stereotipo, pericoloso come tutti gli stereotipi; come dire che tutti gli Italiani cantano «O sole mio» e mangiano spaghetti.

EDIPO NOSTRO CONTEMPORANEO

L'Edipo re di Sofocle è una antica tragedia della Grecia del V secolo avanti Cristo? L'Amleto è un tipico dramma inglese del tempo della regina Elisabetta? L'Avaro di Molière è una commedia che si recitava alla corte di Luigi XIV di Francia?
Queste domande apparentemente ovvie contengono solo una parte di verità. Quando pensiamo a Edipo o ad Amleto non possiamo far altro che pensarli come personaggi fondamentali della nostra cultura e della nostra vita, sono addirittura entrati a far parte del linguaggio comune: si dice infatti «complesso di Edipo» e «dubbio amletico». Se assistiamo a una recita dell'Avaro, le peripezie di Arpagone ci coinvolgono perché toccano argomenti e sentimenti che fanno parte della nostra esistenza. Sentiamo nostre anche le fatali sventure di Edipo il quale compie delitti involontari di cui solo dopo si sente colpevole, quando ormai il male è irrimediabile. Il male di vivere di Amleto, i suoi smarrimenti, le sue angosce sono anche nostri sentimenti. In altre parole noi siamo portati a considerare Sofocle, Shakespeare, Molière nostri contemporanei e i loro personaggi archetipi umani con cui confrontarci e in cui specchiarci.
Naturalmente ciò vale non solo per Sofocle e Shakespeare, ma per tutte le tragedie greche che ci sono pervenute e per la maggior parte degli autori elisabettiani. In quelle grandi epoche del teatro uomini come noi, coi nostri problemi e le nostre angosce, hanno avuto la capacità di far agire sul palcoscenico, in modo semplice quanto sublime, personaggi in cui ognuno di noi può riconoscersi.

VARIETÀ

Nato nei café-chantant, il varietà si evolve nel corso del secolo scorso, quando passa in appositi locali. Qui il programma prevedeva un inizio a carattere musicale (canzonette, romanze, pezzi d'orchestra, ecc.), una parte centrale costituita da numeri di abilità (acrobati, giocolieri, prestigiatori, ecc.) e un finale di prosa (un breve atto a carattere comico). La presenza di un personaggio (attore o cantante) celebre, la vedette serviva di richiamo per il pubblico e la sua esibizione diventava il pezzo forte dell'intero spettacolo.
Celebri teatri di varietà vennero aperti già nel secolo scorso in diversi Paesi; il più famoso, per il gran numero di ballerine e gli spettacolari apparati scenografici, era quello parigino delle Folies-Bergère.
Attori e cantanti di varietà raggiunsero a volte grande popolarità; sono rimasti famosi i francesi Joséphine Baker, Maurice Chevalier e in Italia Ettore Petrolini (1886-1936), attore dotato di grande abilità di improvvisazione che usava satira e sarcasmo nelle sue macchiette.
Dal varietà nascono la rivista e l'avanspettacolo. Quest'ultimo termine, oggi usato in senso dispregiativo per indicare uno spettacolo di quart'ordine, indicava i numeri proposti al pubblico cinematografico tra una proiezione e l'altra o alla fine del film. Rivolto a spettatori popolari faceva largo uso di una comicità grossolana.
La rivista, sorta dall'incontro del varietà con l'operetta, conosce in Italia un momento di difficoltà durante il fascismo quando non può utilizzare la satira politica. Si trasforma allora accentuando gli aspetti più spettacolari: imponenti coreografie, numerosi ballerini, vedettes particolarmente gradite al pubblico. In questa forma diventa un genere popolare nel secondo dopoguerra,
grazie anche alla presenza di personaggi di grande notorietà come Totò (Antonio de Curtis), Erminio Macario, Carlo Dapporto, Renato Rascel, Ugo Tognazzi, molti dei quali passarono poi al cinema.
Il tramonto della rivista viene deciso dalla televisione che tuttavia negli spettacoli popolari ne recupera molti aspetti: la scansione in numeri, la successione alternata di sketch (dall'inglese = «schizzo, abbozzo») e pezzi musicali tenuti assieme dal filo conduttore di un presentatore.
Il cabaret è un tipo di spettacolo rivolto a un pubblico più ristretto e più esigente, che non si accontenta di danze e musiche, ma vuole essere divertito dalla battuta raffinata, attenta alla satira di costume; risultati brillanti in questo campo hanno ottenuto attori come Dario Fo, Franco Parenti, Paolo Poli.

MUSIC-HALL

Il termine (dall'inglese music = «musica» e hall = «sala») è usato per indicare uno spettacolo costituito essenzialmente da numeri musicali con inframmezzati giochi di abilità e di prestigio. In questo senso il music-hall corrisponde al caffè-concerto o al café-chantant.
L'origine del music-hall è da ricercare nell'abitudine dei proprietari di osterie e di taverne inglesi di offrire ai loro clienti spettacoli di varietà, oltre al servizio di ristoro. Quando, verso la metà del secolo scorso, si diffuse l'uso di far pagare un biglietto di ingresso per assistere alle rappresentazioni, lo spettacolo di varietà cominciò ad assumere sempre più importanza e ad aver bisogno di maggior spazio. I tavoli vennero soppressi, il servizio di ristoro passò in secondo piano e finì per nascere un locale dove si svolgevano solo spettacoli, veri e propri teatri di varietà.

LA DANZA

L'arte del balletto come la conosciamo oggi, l'arte, cioè, della danza teatrale basata su una tecnica codificata, inizia a svilupparsi all'incirca cinquecento anni fa, nell'Italia del Rinascimento. Maestri di danza, come Domenico da Piacenza e Guglielmo Ebreo, furono chiamati ad animare la vita sfarzosa delle corti rinascimentali e l'appuntamento con il balletto divenne immancabile in quasi tutte le manifestazioni di corte. La gamma dei movimenti era estremamente ridotta per l'uso dei pesanti abiti dell'epoca che celavano tutto il corpo; il gioco delle figure danzanti rimaneva, quindi, l'unico motivo di interesse.
I migliori maestri di ballo e musicisti italiani furono presto invitati anche alla corte di Francia; fra loro Baltazarini di Belgioioso, che nel 1581 rappresentò per Caterina de Medici il famoso Balletto Comico della Royne.
Ai balletti di corte prendevano parte i cortigiani stessi; Luigi XIV, per esempio, che era un appassionato della danza, apparve nel suo primo balletto a soli 12 anni e continuò a danzare in ruoli di primo piano finché l'obesità non lo costrinse al riposo. Nel 1661 Luigi XIV fondò l'Academie Royale de Danse, riunendo un certo numero di maestri di danza, i quali dovevano codificare le danze di corte e stabilire le regole per la loro esecuzione; nel 1669, poi istituì un'Opera di Stato a Parigi.
L'importanza dell'Accademia sta nel fatto che rappresentava il riconoscimento della necessità di una vera scuola per un'attività che stava diventando di tipo altamente professionale. L'Accademia francese di danza fu subito copiata da altre corti, a conferma di questa necessità.
Fino alla metà del XVIII secolo, gli opera-ballet restarono in scena all'Opera di Parigi, magnifici spettacoli composti da una serie di quadri, nei quali un'apertura lirica era seguita da una suite di danze. La più bella di queste, Les Indes Galantes di Jean Philippe Rameau, è stata nuovamente rappresentata con successo a Parigi, nel 1952.
All'inizio soltanto gli uomini apparivano sulla scena, ma presto ballerine professioniste invasero l'Opera. Mademoiselle La Fontaine, che interpretò il ruolo principale nel Trionfo dell'Amore di Lully, nel 1681, può essere definita la prima ballerina. La moda del tempo, corsetti strettissimi e lunghe sottogonne, impediva qualsiasi libertà di movimento (erano impossibili ad eseguirsi, per esempio, i passi saltati) ma gli uomini, meno ostacolati dai costumi, potevano esibirsi in passi molto più spettacolari. La brillante e vivace Marie-Anne de Cupis de Camargo accorciò il suo costume, per aumentare l'ampiezza e l'altezza dei passi, e perfezionare l'entrechat quatre (un passo saltato nel quale i piedi si incrociano due volte nell'aria).
La riforma dei costumi permise una maggiore libertà di movimento ai danzatori e un sensibile progresso tecnico. Il pubblico cominciò a rivolgere l'attenzione più ai piedi dei ballerini che al soggetto del balletto e l'aspetto tecnico finì col prevalere sullo stesso significato espressivo dello spettacolo.
Importante è stata l'esperienza del maestro di ballo John Weaver (1673-1760). A Londra produsse balletti-pantomime, nei quali la storia veniva svelata dalla musica e dove danzava e mimava da solo, senza far uso della voce.
Una nuova personalità entrò in scena nel 1760, quando il francese Jean Georges Noverre pubblicò le sue Lettres sur la Danse et sur les Ballets. Egli si espresse vigorosamente contro l'abuso del virtuosismo, e a favore «dell'azione e dell'espressione». Produsse i suoi Ballets d'Actions a Stoccarda e a Vienna, come a Londra e a Parigi. La sua influenza fu grande e i suoi scritti validi ancora oggi.
Il periodo romantico del balletto viene fatto iniziare nel 1832, con la produzione del balletto La Silfide, dove silfidi e naiadi conducevano i loro amori a tragica fine. Fu introdotto l'uso delle scarpette rosa di satin con la punta rinforzata in gesso, che permisero alla ballerina di danzare sur les pointes. In balletti come Giselle (1841), azione elaborata da Théophile Gautier, il ballerino aveva ancora un ruolo equivalente a quello della ballerina, mentre, in seguito, iniziò ad avere una funzione secondaria. La figura femminile cresceva invece d'importanza e grandi danzatrici come Maria Taglioni, Fanny Elssler (1810-1884) e Carlotta Grisi (1819-1899), che era stata la prima Giselle, ebbero uno straordinario successo.

MARIA TAGLIONI

Con questa, che fu definita una «silfide immortale», la ballerina divenne un idolo nel periodo compreso fra il 1830 e il 1840. Questa situazione doveva, però, condurre alla virtuale sparizione del partner maschile dalla scena.
Italiana ma nata a Stoccolma ed educata alla danza dal padre, il maestro Filippo Taglioni, Maria (1804-1884) possedeva tutti gli attributi fisici che potevano dare espressione all'ideale romantico di un'inaccessibile creatura, fragile ma perfetta.
Nel balletto La Silfide (1832), che vide suo padre come coreografo, ella trovò il miglior veicolo per esprimere il suo talento. Il balletto racconta di uno spirito dell'aria (una silfide appunto) che si innamora di un giovane scozzese, nel giorno in cui questo si deve sposare. Combattuto fra l'amore reale e quello ideale, il giovane decide di abbandonare la fidanzata per rivolgersi alla silfide. Una strega gli fa dono di una sciarpa ed egli, inconsapevole dell'incantesimo che gli è stato fatto, la usa per attirare a sé lo spirito amato che, preso alla vita, perde le ali e muore.

IL BALLETTO CONTEMPORANEO

Quando l'opera soppiantò il balletto come intrattenimento alla moda, questo cadde velocemente in declino. A Parigi divenne esclusivamente uno «spettacolo di gambe», a Londra si trasformò in music-hall. Le incomparabili scuole di Stato in Russia, aperte dall'imperatrice Anna nel 1735, misero a punto un sistema formativo che produsse, e produce tutt'oggi, i più grandi ballerini del mondo. Le Accademie russe di Mosca e di Pietroburgo si avvalsero all'inizio e per parecchio tempo di insegnanti francesi e italiani.
Le basi scientifiche dell'insegnamento del balletto moderno, furono formulate da un italiano, Carlo Blasis (1795-1878) e pubblicate nel suo Codice di Tersicore (1830), dove sono prescritti esercizi per sviluppare un corpo ad un tempo forte ed elastico.
I ballerini delle scuole di danza russe apparvero nella seconda metà del XIX secolo, inseriti molto spesso nelle coreografie di un francese, Marius Petipa, che proprio in Russia svolse la sua attività. I temi dei balletti, prevalentemente fiabeschi, erano semplici pretesti per mostrare la magnificenza della danza classica ed esaltare lo stile della ballerina classica. La struttura dei balletti di Petipa, sebbene la danza fosse superba, risultava tuttavia stereotipata.
Un grande rinnovamento, che rivitalizzò il balletto, fu opera dell'impresario russo Sergej Diaghilev, che portò i Balletti russi all'Ovest. Valendosi della presenza di alcuni tra i migliori danzatori del Balletto imperiale russo, come Karsavina Anna Pavlova, Vaslav Nijinsky, e aiutato da coreografi e musicisti famosissimi mise in scena spettacoli nei quali costumi, musica, scenari e coreografia, dovevano mescolarsi armoniosamente. I migliori pittori e musicisti dell'epoca collaborarono alla messa in scena dei balletti di Diaghilev.
Il primo coreografo di Diaghilev, Michel Fokine si ispirò ai principi di Noverre, e stabilì il modello per il balletto in un atto, così com'è ancora oggi.
Anna Pavlova rese il balletto popolare in tutto il mondo.
Ella era solita dire che «voleva ballare per il mondo intero», e così fece, lasciando Diaghilev, e girando con la propria compagnia in Australia, nelle foreste dell'America del Nord, luoghi nei quali il balletto non era mai stato portato prima.
Dopo la morte di Diaghilev e della Pavlova, artisti che avevano lavorato con loro mantennero vivo il balletto istituendo nuove scuole di ballo, o viaggiando molto, come fecero i balletti russi durante gli anni Trenta. La danza oggi è popolare in tutto il mondo; esistono compagnie di ballo in quasi tutte le grandi capitali, anche in Cina e in Giappone. I balletti russi, francesi e danesi, come quelli italiani, sono orgogliosi delle loro antiche tradizioni, ma artisticamente e tecnicamente sono stati affiancati dalle scuole inglese e americana. Il balletto inglese, durante gli ultimi quarant'anni, ha fatto notevoli progressi, grazie al lavoro di Dame Marie Rambert, che nei primi anni del 1930 convinse il pubblico inglese che i ballerini e coreografi nazionali potevano produrre lavori di qualità, e a Dame Ninette de Valois, che ha diretto poi la scuola del Royal Ballet.
In America la creazione della scuola dell'American Ballet nel 1933, condusse alla formazione della compagnia del New York City Ballet di oggi. Nel 1974 il New York City Ballet creò la prima compagnia di danza classica nera, il Dance Theatre di Harlem, diretta da Arthur Mitchel, il primo grande ballerino negro.
Il Novecento vede nascere il Balletto moderno, una versione coreografica rinnovata dello stile classico. La danza moderna nasce in America, Paese culturalmente giovane e poco influenzato dalla rigorosa tradizione classica, ma si afferma maggiormente in Europa. Isadora Duncan, Ruth Saint Denis, Martha Graham, Doris Humphrey e Mary Wigman, sono le avanguardie femminili della danza del Novecento.

MARIUS PETIPA

Coreografo francese, Petipa (1822-1910) è considerato uno fra i migliori del periodo tardo romantico. Era figlio di ballerini itineranti. Dopo una lunga esperienza come ballerino, gli venne affidata la direzione del Balletto di Pietroburgo che sotto di lui divenne celebre in tutto il mondo.
Nelle sue più importanti coreografie, come La Bella Addormentata nel Bosco (1890) e Il Lago dei Cigni (1895) Petipa esprime compiutamente una sensibilità romantica. Nella prima favola il soggetto diventa un pretesto per glorificare la monarchia zarista; nella seconda, si narra la vicenda di una eroina da fiaba, ma di un'eroina romantica presentata nel suo duplice aspetto di purezza e di malvagità.

SERGEJ DIAGHILEV (1872-1929)

Diaghilev (1872-1929) viene all'unanimità considerato il creatore del balletto d'avanguardia. La sua prima stagione a Parigi, nel 1909, con nuovi ballerini, nuove coreografie, nuove scenografie e nuova musica, ebbe eccezionale successo. Durante i vent'anni di vita i Balletti russi di Diaghilev, offrirono partiture musicali di Stravinskij, Prokofev, Ravel, Debussy, Richard Strauss, scenografie di Picasso, Braque, Utrillo, Mirò, Matisse, De Chirico, coreografie di Michel Fokine, Vaslav Nizinskij e George Balanchine.
La prima rappresentazione messa in scena dai Balletti russi fu Les Sylphides (uno dei primi balletti astratti) con la coreografia di Michel Fokine. La compagnia non sopravvisse alla morte di Diaghilev e venne sciolta a Venezia nel 1929.

VASLAV NIZINSKIJ

Ballerino e coreografo russo (1890-1950). La carriera di Nizinskij è stata molto breve, clamorosa, brillante; l'interruzione drammatica, in seguito a una forma di instabilità mentale, contribuì a conferire alla vita dell'artista un'aura di mistero e di tragedia, alimentata da una biografia romanzata scritta dalla moglie. Nizinskij si formò alla scuola del Balletto imperiale russo di Pietroburgo. Si rivelò come uno dei ballerini più grandi di tutti i tempi; creò un tipo di danza espressivo caratterizzata dalla totale identificazione con il personaggio interpretato, talento che lo rese adatto alle coreografie di Michel Fokine. Ricordiamo Il pomeriggio di un fauno (1912) con musiche di Debussy e La sagra della primavera (1913) su musiche di Stravinskij.

MICHEL FOKINE

Ballerino e coreografo russo (1880-1942). Le sue teorie sono ancor oggi alla base del balletto contemporaneo. Influenzato anche dalle idee di Isadora Duncan, criticò l'uso di costumi e atteggiamenti fini a se stessi e propose che l'allestimento scenico fondesse insieme danza, musica pittura. Trovò la possibilità di realizzare le sue teorie lavorando con Diaghiliev, con cui mise in scena capolavori come L'uccello di fuoco (1910), Dafne e Cloe (1912).
Rotto il rapporto con Dighialiev lasciò definitivamente la Russia (1918) e si stabilì a New York dove continuò la sua opera come coreografo e direttore artistico.

GEORGE BALANCHINE

Coreografo statunitense di origine russa (1904-1987), Balanchine fece parte della compagnia di ballo di Diaghilev. Nel 1923 abbandonò l'Unione Sovietica, nel 1933 si recò negli Stati Uniti dove aprì una scuola e formò una compagnia, che in seguito diventò il New York City Ballet.

ANNA PAVLOVA

Danzatrice russa (1881-1931). Interprete impareggiabile de La morte del cigno, Anna Pavlova rappresenta l'immagine ideale della ballerina classica. Fece parte del Balletto imperiale di Pietroburgo, e proprio in quel periodo danzò il più famoso repertorio classico, impersonando una delle più grandi Giselle di tutti i tempi. Nei primi anni Venti, aveva fatto numerosi giri all'estero diventando una vera attrazione artistica.
Il suo repertorio era uno strano assortimento di piccoli pezzi, ma includeva anche produzioni dei classici. C'è un breve filmato sulla sua danza, girato dall'attore statunitense Douglas Fairbanks, che dà un'idea delle sue qualità artistiche.

ISADORA DUNCAN

Ballerina e coreografa statunitense, Isadora Duncan (1878-1927) è considerata la precorritrice della danza moderna. Opponendosi alle tradizionali norme della danza accademica, che limitavano la possibilità espressiva del corpo, elaborò un tipo di danza basata sulla spontaneità e semplicità di pochi movimenti naturali.
Conseguentemente abbandonò i costrittivi costumi usati fino ad allora ed anche le tradizionali scarpette con la punta rinforzata. La Duncan non codificò mai la sua tecnica condannando così al fallimento le scuole da lei aperte in tutta Europa. Personalmente godette di uno straordinario successo. Nel 1922 aprì una scuola di danza a Mosca dove sposò il poeta russo Sergej Esenin suicidatosi tre anni dopo.
La Duncan morì tragicamente nel 1927 sulla Costa Azzurra, strozzata dalla sciarpa impigliatasi tra le ruote dell'automobile dove stava viaggiando.

MARTHA GRAHAM

Le scuole e i balletti della coreografa americana Martha Graham (1900-1991) sono stati di estrema importanza per lo sviluppo della modern dance. La tecnica della Graham, adottata ancora oggi in numerose scuole di balletto, si basa essenzialmente sulla formula della «contrazione-rilassamento», movimenti che imprimono energia vitale alla danza. Fra le coreografie principali della Graham ricordiamo Episodes su soggetto dello scrittore austriaco Stefan Zweig (1881-1942) e musiche del compositore austriaco Anton von Webern (1883-1945). Il balletto creato in collaborazione con George Balanchine, è un tentativo di fusione dello stile di danza classica con lo stile moderno.

CARLA FRACCI

Carla Fracci nasce a Milano nel 1936. Nel 1954 si diploma alla scuola di danza del Teatro alla Scala di Milano e debutta nel 1957 al festival di Nervi. Nel giro di un anno diventa prima ballerina alla Scala ed inizia, con una serie di tournee all'estero, la sua brillante carriera. Interpreta Giselle a New York e danza con i più grandi ballerini, da Nureyev a Barishnikov a Vassiliev a Janku. Per lei vengono creati numerosi balletti, quali Giulietta e Romeo, da John Cranko, su musica di Prokofiev, La strada, da Mario Pistoni, su musica di Nino Rota, La figlia di Iorio, da Amedeo Amodio, su musica di Hazon. Per molti anni ballerina dell'American National Ballet di New York, nel tempo si è divisa anche nell'interpretazione di spettacoli di prosa, film e sceneggiati televisivi. Ha diretto i corpi di ballo del Teatro San Carlo di Napoli e dell'Arena di Verona.
Carla Fracci


LESSICO DEL BALLETTO

Cinque posizioni

Si chiamano così le posizioni base dei piedi dalle quali iniziano e alle quali terminano la maggior parte dei passi nel balletto classico. Furono in uso per la prima volta verso la fine del XVII secolo.

Jeté

Uno slancio da un piede all'altro. Un salto che termina in qualsiasi posizione richiesta. Il grand jeté si sviluppa in senso orizzontale.

Pas de deux (= «passo a due»)

è costituito dal duetto dei protagonisti maschile e femminile, del balletto, di cui rappresenta il clou. Nei balletti del XIX secolo, il pas de deux aveva un preciso sviluppo coreografico: 1, entrée (= «entrata» dei due ballerini), 2, variazione maschile, 3, variazione femminile, 4, coda, esibizione virtuosistica culminante.

Pirouette

Un giro completo del corpo, eseguito su una sola gamba. Esistono numerosi tipi di pirouette; ciò che li distingue è la posizione del corpo e la direzione verso la quale si rivolge. Durante l'esecuzione di pirouette multiple, il ballerino fissa i suoi occhi su di un punto preciso evitando così il capogiro.

Plié

Letteralmente «a gambe piegate» (in francese, plier = «piegare»). Come esercizio si esegue all'inizio di ogni lezione; plié vengono fatti alla sbarra per iniziare a scaldare i muscoli. I plié costituiscono inoltre la posizione di partenza e d'arrivo di qualsiasi genere di salto.

Sbarra

Pertica di legno fissata orizzontalmente sui muri delle sale delle scuole di danza, approssimativamente all'altezza della cintola. I ballerini la usano durante i loro primi esercizi come leggero supporto. Con l'eccezione di alcuni ardui esercizi di riscaldamento, soltanto le dita della mano poggiano sulla sbarra.

Tutù

Termine in uso per indicare il tipo di gonna corta e vaporosa indossata dalle ballerine di danza classica. Fatto di numerosi strati di mussolina leggera, il tutù è diventato il costume di scena della ballerina in lavori classici e contemporanei.