(dall'arabo
tarsī':
incrostazione). Arte dell'intarsio; tecnica di decorazione che consiste nel
comporre insieme materiali diversi o tipi diversi di uno stesso materiale
(legno, pietra, marmo), tagliati precedentemente secondo un determinato disegno:
pavimento a t. ║ L'opera, il lavoro eseguito secondo questa
tecnica. • Encicl. - Le origini della
t. marmorea risalgono
all'antichità; affermatasi in età ellenistica, questa tecnica ebbe
larga diffusione nella civiltà romana: venne utilizzata per rivestire
pareti e pavimenti di case, palazzi, edifici pubblici, celle di templi (venivano
usati marmi bianchi e colorati e diversi motivi geometrici, quali dischi,
losanghe, triangoli, cerchi, denti di lupo). In età imperiale la
t. marmorea ebbe un particolare utilizzo nelle terme, in virtù
della sua maggiore resistenza all'umidità rispetto alla decorazione a
stucco o pittorica. Un grande apprezzamento ebbe la
t. marmorea durante
il tardo Impero, come dimostrano le case ostiensi; al repertorio di fasce,
specchiature e motivi geometrici si affiancarono motivi figurati in pannelli
semplici o in composizioni complesse che potevano riprodurre anche temi
mitologici e decorativi (significativa in questo senso la decorazione della
basilica di Giunio Basso sull'Esquilino, del IV sec. d.C.). Importanti esempi di
t. marmorea, risalenti ai secc. V-VI, troviamo in alcune basiliche, come
Santa Sabina di Roma. Grande fortuna ebbe la
t. marmorea durante il
periodo romanico, quando venne applicata alla decorazione di facciate e interni
di chiese, di amboni, plutei, colonnine di chiostro; significativa fu l'opera
dei Cosmati a Roma, che si avvalsero di questa tecnica per creare note di colore
(chiostri di San Giovanni in Laterano e San Paolo fuori le Mura).
Importantissima anche l'opera degli architetti toscani: a Firenze (di cui si
ricorderà San Miniato al Monte) venne utilizzata per le facciate delle
chiese una
t. larga di marmi bianchi e verdi; in altre città
(Lucca, Pisa, Pistoia) prevalsero forme più minute con influssi
orientali. La
t. marmorea non ebbe grande fortuna durante il periodo
gotico (a Venezia, tuttavia, si mantenne in auge, nelle facciate dei palazzi e
delle chiese, in tutto il periodo compreso tra il romanico e il XVI sec.), e nel
Rinascimento fu più direttamente legata all'architettura, lasciando in
secondo piano il gusto coloristico. Tra gli esempi di
t. architettonica
di questo periodo si ricorderanno la facciata di Santa Maria Novella a Firenze,
quella di Santa Maria delle Carceri a Prato, il tempio Malatestiano a Rimini;
più legato al gusto tardo gotico si presenta, invece, il pavimento del
duomo di Siena. Alla fine del Cinquecento ebbe ampia diffusione, particolarmente
a Firenze, la
t. a pietre dure, utilizzata per l'architettura degli
interni, nonché per decorare strutture di piccola dimensione come altari,
monumenti funebri, tavoli e tabernacoli. Nel Seicento la
t., molto
apprezzata, venne impiegata per rivestire pareti e pilastri: si indicheranno a
questo proposito la navata di San Pietro a Roma, la cappella della Santa Sindone
a Torino, la cappella Paolina in Santa Maria Maggiore a Roma. Grande sfarzo e
magnificenza si ottennero con il ricorso alla
t. (con incrostazioni di
pietre preziose), nel Seicento, in costruzioni minori, come altari, tombe e
cibori. Nei secoli successivi per la
t. marmorea cominciò la
parabola discendente; dal XIX sec. in avanti il ricorso a questa tecnica fu
sempre più raro e di modesta rilevanza artistica. La
t. lignea
venne impiegata soprattutto nel periodo gotico e rinascimentale (secc.
XIV-XVI); inizialmente, oltre alla
t. prospettica e figurata,
caratterizzata dalla semplicità della linea e utilizzata per decorare
armadi, sedie, porte, cassoni, si fece ricorso alla
t. alla
certosina, composta con piccole tessere poligonali, disposte in forma
geometrica, di vari materiali (legno, osso, metallo, madreperla): questo genere
di
t. ebbe largo impiego nella decorazione di piccoli oggetti. La
t. geometrica, che si distingueva dalla certosina per una maggiore
varietà nella lavorazione e nelle forme, fu, a sua volta, ampiamente
utilizzata, fino al Quattrocento, per mobili, banconi, stalli di coro. Il
periodo di maggiore splendore della
t. lignea italiana (comprendente il
XV sec. e i primi decenni del XVI sec.) fu, però, contrassegnato dalla
t. pittorica, utilizzata in composizioni figurate o con vari
motivi, quali fiori, anfore, stemmi, nastri, putti. A Siena la
t.
pittorica ebbe una fioritura precoce già alla fine del Trecento, con
maestri quali Vanni dell'Ammannato, che lavorò al coro del duomo di
Orvieto. Grandi maestri espresse Firenze: Giuliano da Maiano, Baccio Pontelli
(che lavorò per il palazzo ducale di Urbino) Baccio d'Agnolo, Francesco
di Giovanni. Questi artisti sovente lavoravano su disegni preparati da famosi
pittori dell'epoca. La raffinata tecnica utilizzata (legni di vario colore,
ricorso ai ferri roventi per disegnare le ombre, al
silio, un legno
chiarissimo, per le luci) si perfezionò col tempo a tal punto da arrivare
a tingere il legno nei colori prescelti. Verso la fine del Cinquecento, inoltre,
vennero introdotti nella lavorazione legni preziosi e pietre dure (celebri i
mobili donati dai Medici alle corti di tutta Europa); successivamente si
mutuò dalla Francia l'utilizzo di altri materiali (argento, rame,
tartaruga, madreperla), che illeggiadrirono i mobili del Settecento. Le
novità progressivamente introdotte condussero, però, ad alterare
la tecnica e provocarono il suo decadimento estetico. Se i tentativi
ottocenteschi di richiamarsi ai modelli del Quattrocento non sortirono
importanti risultati, attualmente diversi istituti d'arte hanno recuperato la
t., precedentemente confinata a livello artigianale, alla sua
dignità artistica.