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Tantrismo.

Corrente di pensiero, di spiccata matrice esoterica, che si è peculiarmente sviluppata all'interno dei tre maggiori sistemi religiosi indiani: Induismo, Buddhismo e Giainismo. I testi che espongono le dottrine cui si riferiscono i diversi culti tantrici sono i tantra (V.), che furono redatti in forma scritta a partire dal V sec., ma venivano tramandati oralmente già in precedenza. Anche se storicamente il T. sembra un prodotto del periodo Gupta, in realtà esso rappresenta l'evoluzione di credenze tradizionali, solo in parte elaborate nella fase più antica della religione brahmanica. Non è ancora stato chiarito se il T. abbia avuto origine in ambito induista o buddhista, anche se alcuni studiosi ritengono che esso sia stato per la prima volta organizzato coerentemente all'interno del Buddhismo mahāyāna e tibetano, che proprio durante il V sec. viveva un periodo fortemente innovatore. Alla base di tutti i culti tantrici, tuttavia, sta il principio metafisico fondamentale in base al quale, al di là della ingannevole percezione della pluralità fenomenica, esiste un'identità assoluta tra spirito e materia, anima universale e anima individuale. Scopo del T. è quello di suscitare nell'adepto il riconoscimento di tale identità, risvegliando il principio divino che è presente in ogni singolo: ciascuno infatti costituisce in sé un microcosmo che riproduce il medesimo ordine del macrocosmo, cioè dell'intero universo. Il fine ultimo del T. è perciò sostanzialmente uguale (prescindendo dalle differenze lessicali con le quali il concetto è espresso) a quello di tutti i sistemi filosofici ortodossi dell'India (dars'ana); la differenza fondamentale emerge rispetto ai metodi e agli strumenti attraverso i quali ci si propone di ottenerlo. Là dove l'ortodossia brahmanica sosteneva che la moksha (liberazione) poteva essere ottenuta solo mediante la meditazione, l'ascesi, il distacco dal mondo materiale e fenomenico, la soppressione del desiderio e del piacere, le esperienze di contemplazione estatica, supersensoriale e sovrarazionale, il T. indicava invece come via di liberazione quella dell'esperienza diretta, affermando che nessun centro di percezione può essere tenuto sotto controllo se prima non viene conosciuto sperimentalmente dall'individuo. Infatti le passioni in sé non sono né buone né cattive, ma possono divenire strumento di liberazione se opportunamente sublimate. Ciascuno deve individuare quali sono le proprie passioni prevalenti e imparare a metterle sotto controllo seguendo, sotto la guida di un guru (maestro, lama in tibetano), il tantra a sé più congeniale e applicandosi a una disciplina di esercizi di grande concretezza. Mettendosi direttamente alla prova, l'iniziato (tantrika) raggiunge il controllo del proprio essere nelle sue dimensioni (fisica, psicologica, sensuale) e si sottrae alla sudditanza che l'uomo comune ha di norma nei confronti delle forme di godimento (cibo, bevande, rapporti sessuali, ecc.) o delle passioni (desiderio, collera, terrore, ecc.). Queste esperienze - sinteticamente indicate come pañcamakāra: le cinque M (madya: bevande alcoliche; mamsha: carni; mudya: coito; matsya: pesce; mudra: gesto rituale) - annullando i più radicati divieti della tradizione induista e brahmanica (ascesi, vegetarianesimo, continenza, ecc.) si propongono dunque di condurre alla moksha mediante l'esercizio di una sensualità distaccata e impassibile. Uno degli elementi più importanti e distintivi del T. è la mediazione operata dal principio femminile: nel T. buddhista esso simboleggia la fine del processo esoterico, cioè la conoscenza suprema (Prajñapāramitā); in quello induista è centrale invece la concezione della s'akti (V.), strumento della creazione da parte del dio maschile, personificazione della sua potenza ed energia. "Senza la s'akti" recita un testo "S'iva è un cadavere" e anche l'iconografia esprime questa visione, raffigurando il dio pallido come un morto e sdraiato immobile a terra, mentre la figura di Kālī - uno dei molteplici aspetti della s'akti - esegue sul suo corpo la danza della creazione. Il T. induista, infatti, è strettamente connesso con lo S'aktismo (V.) e lo S'ivaismo (V.): S'iva (individuato come Assoluto) senza la s'akti non solo sarebbe inerte e incapace di agire nell'universo, ma anche inaccessibile alla conoscenza. La s'akti è dunque l'energia dinamica del dio, ma anche l'unica via per ottenere la sapienza e la suprema consapevolezza (Jñanā, Vidyā, ecc.). La pluralità di figure femminili in cui si declina la s'akti del dio (Kālī, la Nera; Durgā, l'Inaccessibile; Devī, la Dea madre; Parvatī, Signora del monte, Umā, la Benevola; Satī, Colei che è, ecc.) rappresenta la molteplicità di aspetti del principio maschile in cui, in quanto Assoluto, ciascuna ipostasi finisce per essere riassorbita, immagine dell'unità di tutto l'universo, del monismo ontologico: il ricongiungersi del dio e della s'akti prefigura il ricongiungimento del sé individuale (ātman) al sé universale (brahman). Tale ricongiungimento è rappresentato anche attraverso i simboli del lingam (fallo) - cioè del principio creativo maschile - e della yoni (vagina) - cioè della natura femminile - dalla cui unione scaturisce appunto la vita. L'unione dei due sessi elimina la polarità degli opposti e ricostruisce l'unità originaria che precedette la creazione: con la sublimazione dell'atto sessuale nel rito, il T. si propone all'iniziato (rifuggendo le degenerazioni di puro erotismo e perseguendo invece l'indifferenza dei sensi durante il suo svolgimento) come esperienza diretta dell'annullamento del dualismo, anticipo del superamento di ogni dicotomia che coincide, appunto, con la moksha. Questa esperienza è però possibile solo tramite una disciplina di concentrazione e meditazione, che il T. realizza con precisi riti iniziatici. Tra questi ultimi, ricordiamo l'assunzione di determinate posizioni delle mani (mudra) - ciascuna delle quali ha un preciso significato - e il rituale detto nyāsa, mediante il quale il fedele dedica e assegna mentalmente alla divinità parti del suo corpo, simboleggiando così la presenza in esso del divino. Mudra e nyāsa vengono accompagnati dalla recitazione di formule sacre (bīja e mantra), la cui costante ripetizione genera un'energia mentale corrispondente al tipo di formula scelta. Ogni iniziato riceve dal suo guru un mantra personale, che non deve essere rivelato a nessun altro, dal quale dovrà trarre la forza necessaria al suo cammino di conoscenza. Altri strumenti di meditazione sono costituiti dai cosiddetti "diagrammi mistici", grazie ai quali l'iniziato si concentra sui simboli dell'energia divina fino a identificarsi con essi: gli yantra, mediante la loro struttura a linee e cerchi concentrici, rappresentano la convergenza del molteplice nell'Uno; i mandala, diagrammi circolari contenenti varie associazioni di figure geometriche, con al centro l'immagine della divinità, richiamano invece lo scaturire dall'Uno della creazione nella sua varietà e molteplicità.