Voce ebraica: studio, insegnamento. Forma
abbreviata della titolazione completa
Talmud Tōrāh: studio
della Legge (in senso lato comprendente, oltre al Pentateuco, anche i Profeti e
gli Scritti). Il
T., infatti, rappresenta il canone in cui è stata
fissata la tradizione orale (
Tōrāh she-biktab) del prolifico
lavoro di esegesi che nei secoli l'Ebraismo in genere, e le scuole rabbiniche in
particolare, hanno prodotto studiando le Sacre Scritture e fornendone
l'interpretazione. Per il fatto di riconoscere l'autorità del
T.,
il rabbinismo (V.) fu anche detto
talmudismo, mentre le correnti dell'Ebraismo che si rifacevano alla sola
Bibbia (Sadducei e Caraiti) vennero definite
antitalmudiche; anche oggi
il pensiero e la prassi dell'Ebraismo ortodosso si basano sul
T. I testi
talmudici propriamente detti costituiscono due raccolte distinte: una più
antica, la
Mishnāh (V.), e una
più recente, la
Gëmarāh. La prima rappresenta il nucleo
originario della tradizione esegetica della
Tōrāh, di
impostazione minuziosa, sistematica e oggettiva; è strutturata in sei
sedarim (ordinamenti), ciascuno dei quali illustra norme relative a
settori specifici della vita: l'agricoltura, le celebrazioni religiose, il
matrimonio, il diritto penale e civile, le prescrizioni cultuali e alimentari,
la purezza rituale e la pulizia in genere. I sei
sedarim sono a loro
volta divisi in 63 trattati per un totale di 525 capitoli, ripartiti in singole
tesi. In base alla tipologia dell'esposizione e del contenuto, il testo
talmudico si distingue in
halakhāh (norma, con autorità
canonica, espressa in forma apodittica e di aforisma) e in
haggadāh
(brano narrativo a carattere edificante, esposto a sostegno di una determinata
affermazione). La
Mishnāh fu redatta dai maestri
tannaîm, lungo cinque o sei generazioni, sulla base di un
patrimonio orale che appare già stabilizzato nelle scuole rabbiniche alla
fine del I sec. La
Gëmarāh contiene invece i commenti relativi
alle norme della
Mishnāh e ci è nota in due redazioni
differenti: una elaborata nelle accademie di Palestina da più generazioni
di maestri
amorei (coloro che discutono [sulla
Mishnāh]) e
fissata nella forma attuale entro il V sec. d.C.; una seconda fu elaborata nelle
rinomate scuole rabbiniche di Babilonia, che vantavano una tradizione di studi
ininterrotta dai tempi del primo esilio babilonese, redatta nell'arco di sette
generazioni e conclusa un poco più tardi, tra il VI e il VII sec. Il
T. che affianca all'unica
Mishnāh il commento palestinese o
gerosolimitano è noto come
T. yerushalmī; quello che le
accosta invece il commento babilonese, assai più esteso, è il
T. bablī. Le due
Gëmarāh, tuttavia, a dispetto
della loro consistenza, non analizzano tutti e 63 i trattati dei
sedarim,
dal momento che ciascuna scuola di commentatori si riservò di studiare
quegli argomenti che risultassero di più immediato interesse e bisogno
per le comunità israelitiche di riferimento: così i maestri
babilonesi omisero, ad esempio, tutti i capitoli relativi ai sacrifici nel
Tempio, a causa della sua lontananza e della sua distruzione, o quelli relativi
alle pratiche agricole nelle terre di Palestina. Tuttavia il carattere peculiare
del commento talmudico (che procede per accostamenti analogici, richiami
lessicali, affinità di argomenti, ecc.) fa sì che molti capitoli e
trattati che non sono affrontati organicamente si trovino comunque considerati
qua e là nel testo. Le scuole che composero la versione palestinese
furono quelle di Tiberiade, Cesarea e Seffori: i loro studi considerano 39
trattati, relativi ai primi tre
sedarim della
Mishnāh, a una
parte del quarto e a pochi capitoli del sesto. La lingua in cui è redatto
il commento, più sintetico ed essenziale rispetto alla minuziosità
tipica invece della versione babilonese, è l'aramaico occidentale (affine
al samaritano), con evidenti prestiti dall'ebraico biblico e dal greco parlato
in Siria. Il
T. babilonese si formò principalmente nelle scuole di
Sura, Punbedita e Nehardea, la cui tradizione orale venne fissata in forma
scritta dai maestri
saborei (coloro che esprimono opinioni), ultima
generazione degli amorei babilonesi. Il commento, condotto secondo il metodo
minuzioso della discussione dei pareri e redatto in aramaico orientale (affine
al siriaco), aveva lo scopo di proporre per ogni singolo argomento o una norma
unica da considerare vincolante oppure una pluralità di atteggiamenti
ugualmente leciti e possibili. Il
T. babilonese, benché assai
più esteso di quello palestinese, analizza 36 dei 63 trattati della
Mishnāh, completando solo il terzo
seder, trascurando quasi
completamente il primo e il sesto e omettendo numerosi trattati dei restanti.
Tra gli Ebrei della Diaspora, la versione babilonese del
T. ebbe maggior
seguito rispetto a quella palestinese, che venne adottata - oltre che in
Palestina - solo dalle comunità dell'Italia meridionale. L'egemonia del
T. bablī venne sostenuta dapprima dalle comunità sefardite
orientali e nordafricane, poi, durante il Medioevo, anche da quelle europee e
occidentali. ║ Per la sua importanza nel pensiero e nella vita comunitaria
dell'ortodossia ebraica, il
T. venne fatto oggetto di continui attacchi
da parte dell'Inquisizione cattolica, che emise provvedimenti di censura,
interdizione alla pubblicazione e, nei secoli più bui, ordinò
anche roghi pubblici. Il primo di cui si abbia notizia fu organizzato nel 1242 a
Parigi, l'ultimo in Polonia nel 1757; i papi emanarono anche numerose bolle di
condanna e divieto alla diffusione dei testi talmudici. Ciò non
impedì, tuttavia, che il testo continuasse a essere trascritto e
tramandato: la prima edizione a stampa completa che si conosce del
T.
babilonese è quella veneziana del 1520-23, preparata da D. Bomberg. A
tutt'oggi non esistono ancora edizioni critiche delle due versioni del
T.
e le numerose corruttele, che appaiono difficilmente sanabili, sono imputabili
sia agli interventi di censura ecclesiastica sia alla preventiva autocensura dei
copisti ebraici.