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Sòfocle.

Poeta tragico greco. Un'antica tradizione rapportava tutti e tre i grandi poeti tragici ateniesi alla battaglia di Salamina del 480 a.C.: Eschilo vi partecipò, Euripide sarebbe nato lo stesso giorno della battaglia e S. fu tra i giovani che intonarono il peana di celebrazione della vittoria. S. apparteneva a una famiglia dell'alto ceto ateniese e, per quanto ne sappiamo, non lasciò mai la sua città se non per svolgere incarichi al suo servizio; a differenza di Eschilo ed Euripide, partecipò intensamente non solo alla vita artistica di Atene ma anche a quella politica, ai più alti livelli. Nel 441-440 a.C. fu stratega con Pericle nella guerra di Samo e forse con Nicia nel 428-427 a.C. (quantunque il dato di questa seconda strategia sia assai incerto). Più importante di quella militare fu tuttavia la sua attività amministrativa, nella commissione finanziaria della polis di cui sembra probabile che avesse la presidenza nel 443-442 a.C., anno in cui furono introdotte riforme nel sistema tributario della lega marittima guidata da Atene. Dopo il fallimento della spedizione in Sicilia del 413 a.C., S. fu uno dei dieci probuli che dovevano gestire il passaggio a un Governo di tipo oligarchico, quello detto dei Quattrocento. La buona fama di cui godeva politicamente (immune com'era da estremismi) era tuttavia inferiore a quella che si guadagnò con la sua attività artistica: da giovane era stato attore, fu poeta lirico, ma in primo luogo tragediografo. Partecipò al primo agone tragico nel 468 a.C., conseguendo la prima delle sue 18 vittorie. In età alessandrina si conservavano ancora 130 fra tragedie e drammi satireschi di S.: a noi sono giunti solo 123 titoli e sette tragedie - Aiace, Antigone (V.), Edipo re (V.), Elettra (V.), Trachinie (V.), Filottete (V.), Edipo a Colono (V.) e circa una metà del dramma satiresco I cercatori di tracce -, mentre i suoi componimenti lirici e un trattato tecnico Sul coro sono andati persi. Secondo gli antichi, a S. si devono alcune importanti innovazioni tecniche nell'arte tragica: aumentò da 12 a 15 il numero dei membri del coro (coreuti), introdusse il terzo attore, proseguendo la riforma eschilea che già col secondo attore aveva limitato lo spazio del coro in favore della parola recitata (lo stesso Eschilo, poi, seguendo il collega più giovane utilizzò il terzo attore), arricchì la scenografia e i costumi (anche se non possiamo valutare adeguatamente questo dato, ricavato dalla Poetica di Aristotele, dal momento che non abbiamo testimonianze precise sulle tecniche scenografiche teatrali). Per quanto riguarda la struttura narrativa, infine, S. non seguì la forma unitaria delle trilogie di Eschilo, che legava i tre componimenti nel racconto tripartito di una stessa vicenda (Orestea, Sette contro Tebe, ecc.): S. divise la trilogia in tre drammi autonomi, conclusi in sé, e organizzati con rigore ed equilibrio compositivo, assumendo come tema cruciale e centrale della narrazione il destino del singolo protagonista. Le circostanze della morte di S. hanno variamente alimentato l'aneddotica biografica: secondo alcuni morì soffocato da un acino d'uva, secondo altri per lo sforzo seguito alla lettura pubblica di un lungo brano della sua Antigone, o, infine, per la gioia provata alla notizia di una vittoria. Si sa, tuttavia, che alla notizia della sua morte nel 406 a.C., Euripide, impegnato in una rappresentazione alle feste Dionisie, fece recitare il coro e gli attori vestiti a lutto e senza corona. Per quanto riguarda la cronologia delle tragedie note, l'Aiace pare la più arcaica, risalendo forse agli anni Cinquanta del V sec. a.C.; intorno al 442 a.C. (o comunque non molto prima dell'anno della strategia di S. con Pericle) va collocata l'Antigone; le Trachinie, secondo criteri di raffronto interno, sarebbero state composte dopo l'Antigone e prima dell'Edipo re; quest'ultimo, dal momento che è riconoscibile una parodia di un suo verso negli Acarnesi di Aristofane, è stato rappresentato prima del 425 a.C.; Elettra è opera tarda, rappresentata non molto prima o non molto dopo rispetto a Filottete, per il quale è certa la data del 409 a.C. Infine, l'Edipo a Colono fu rappresentato postumo nel 401 a.C. ║ L'opera: l'elemento tragico dell'opera sofoclea scaturisce in primo luogo dallo scollamento che i personaggi vivono tra il tempo umano e quello divino, tra il progetto di vita del singolo e il volere della divinità. Tanto Eschilo prima quanto Euripide poi si erano chiesti, davanti al dolore, se gli dei fossero giusti; di ciò invece S. non appare mai dubitare: gli dei sono sempre giusti. L'artista si impegna piuttosto nella ricerca e nel racconto di come agisca questa giustizia divina attraverso il dolore dei migliori (Aiace, Edipo, Eracle, Antigone, ecc.) che ne risultano abbattuti. Anche quando sussista una colpa (ad esempio nel caso di Aiace che ha peccato di superbia nei confronti di Atena), il castigo sortisce una purificazione, una gloria superiore in vista della quale gli dei l'avevano inflitto o permesso. La drammaticità si pone dunque non nel dubbio che riguarda la giustizia divina, ma nel limite umano che non è in grado di scorgere, nello svolgersi del suo tempo terreno, l'inevitabilità e la provvidenzialità della sofferenza, chiave di accesso alla pace e alla gloria dell'eterno. In questa incapacità di comprensione da parte dell'uomo affonda le sue radici la cosiddetta “ironia tragica”, che rappresenta un tratto caratteristico dell'arte di S.: quanto più un personaggio cerca di sottrarsi alla ineludibilità degli eventi, tanto più contribuisce al loro necessario accadere. L'uomo non è passivo nel dipanarsi del proprio destino, ma contribuisce alla sua realizzazione, anche se essa si rivela, tragicamente, opposta ai suoi progetti: così, ad esempio, Deianira spera di riconquistare l'amore del marito Eracle offrendogli una camicia che invece gli dà la morte; Edipo crede di salvare Tebe dalla pestilenza e invece scopre di esserne lui la causa. Il volere divino opera dunque oscuramente dall'interno dell'uomo e all'uomo non resta che confidare nella divinità che infine, al di là del dolore, si dimostra misericordiosa. Questa è la pietas religiosa di S., che un verso delle Trachinie riassume potentemente: “Nulla [vi è] in tutto ciò che non sia Zeus” (Colono 496 a.C. - Atene 406 a.C.).