Stato (88.361 kmq, comprendente 55.968 kmq della
S., 21.506 kmq della
Vojvodina e 10.887 kmq del Kosovo; 9.993.000 ab., di cui 5.466.009 in
S.,
2.031.992 in Vojvodina e 2.325.000 in Kosovo) dell'Europa balcanica. Confina
a Nord con l'Ungheria, a Nord-Est con Romania, a Est con la Bulgaria, a Sud
con la Macedonia e l'Albania, a Ovest con la Bosnia-Erzegovina e a Nord-Ovest
con la Croazia; a Sud-Ovest si affaccia sul Mar Adriatico. Capitale: Belgrado.
Città principali: Novi Sad, Pristina, Kragujevac, Nis, Subotica. Ordinamento:
Repubblica federale, guidata dal presidente eletto per quattro anni dal Parlamento.
La provincia autonoma del Kosovo, amministrata dall'ONU dal 1999, ha un'Assemblea
formata da 120 membri eletti a suffragio universale e un presidente eletto
dall'Assemblea. Moneta: nuovo dinaro jugoslavo in
S. ed euro in Kosovo.
Lingua ufficiale: serbo-croato; è diffuso l'albanese. Religione: in maggioranza
ortodossa; numerosi sono i musulmani sunniti e i cattolici. Popolazione: serba;
esistono minoranze di Albanesi.
GEOGRAFIAIl Paese si presenta
prevalentemente montuoso, a eccezione della pianeggiante regione della Vojvodina
a Nord. Qui una vasta pianura alluvionale, bagnata dai fiumi Danubio e Tibisco,
si congiunge con le pianure ungherese e romena. I rilievi, balcanici nel centro
del Paese e dinarici a Sud, hanno un'altitudine media di 1.000-2.000 m. Gli altopiani
sono solcati da fiumi che incidono profonde vallate, la più importante
delle quali è quella della Morava. Le zone più elevate sono ricoperte da pascoli
e boschi; avvicinandosi alla costa, i rilievi, di origine calcarea e interessati da
fenomeni carsici, diventano aridi e spogli. I fiumi più importanti sono
la Morava, la Sava e il Tibisco, tutti affluenti del Danubio, che per un tratto
segna il confine con la Romania. Il clima è continentale nella pianura settentrionale
e sui rilievi montuosi.
[i jugoslav.jpg Cartina della Serbia e del Montenegro]
Cartina della Serbia
ECONOMIA
Il Paese, la cui economia prima della seconda guerra
mondiale si basava sull'agricoltura, dagli anni Cinquanta cominciò a
industrializzarsi. L'agricoltura non ebbe modo di godere dei miglioramenti
avvenuti negli altri settori: tuttora molti terreni coltivabili non sono
sufficientemente irrigati e sono ancora troppo frammentati, nelle mani di
piccoli proprietari, impedendo la meccanizzazione. Solo nella pianura solcata
dal Danubio il terreno coltivabile è sfruttato razionalmente e si producono
cereali (grano, granoturco, segale), frutta (abbondante la produzione di
prugne) e colture industriali (tabacco, canapa, girasole e lino) concorrenziali
per qualità e quantità sul mercato europeo. Ricco il patrimonio forestale e
zootecnico; sono sviluppati l'allevamento suino, ovino e caprino e l'apicoltura.
Prima dei bombardamenti della NATO (marzo-giugno 1999), l'industria sfruttava
importanti risorse minerarie quali il piombo, lo zinco, il carbone e la bauxite ed
era cresciuta nei settori siderurgico, meccanico e chimico. Sono lavorati
artigianalmente pelli e tappeti. Vivo si mantiene il turismo: le mete più
frequentate sono le montagne dello Zlatibor. La ricostruzione del Paese dopo
il conflitto fu affidata all'Unione europea e alla Banca Mondiale.
STORIA
Nel IV sec. a.C. la penisola balcanica fu popolata da genti provenienti
dall'Illiria, dalla Tracia e dalla Pannonia. Nel II sec. a.C. Roma colonizzò
la provincia dell'Illiria e furono fondate importanti città romane come
Emona
(Lubiana),
Mursa (Osijek) e
Singidunum (Belgrado). Tra il VI e
il VII sec. i Croati e i Serbi si spostarono dall'Europa orientale alla
regione balcanica ma, posti sotto la sovranità bizantina, costituirono con
fatica uno Stato. Solo alla fine dell'XI sec. venne creato uno Stato unitario
serbo ad opera del re Bela Uros, capostipite della dinastia dei Nemanja. Sotto
questa famiglia regnante, durata più di 200 anni, la
S. venne riconosciuta
come Regno dalla Chiesa di Roma (1217) ed estese il proprio dominio alla Bosnia,
all'Albania, all'Epiro e alla Tessaglia, giungendo a minacciare la stessa
Costantinopoli. Con la fine dei Nemanja (1371) iniziò la decadenza del Regno
serbo; nel 1389 l'esercito serbo fu sconfitto dai Turchi e il Paese fu sottomesso
alla Turchia. Tra il XVI e il XVIII sec. i territori della regione furono
suddivisi tra l'Impero ottomano (
S., Bosnia, Erzegovina, Montenegro e
Macedonia), gli Asburgo (Croazia, Slovenia, Slavonia, parte della Dalmazia e
Vojvodina) e la Repubblica di Venezia (Istria e Dalmazia). Dopo la guerra
russo-turca (1768-74), la Russia ottenne il diritto di proteggere la popolazione
ortodossa dell'Impero ottomano e alla fine del XVIII sec. gli Austriaci occuparono i
Balcani. In seguito alla prima insurrezione serba (1804-13), al conflitto
russo-turco (1806-12) e alla seconda insurrezione serba (1815), il
Pashalik balcanico (situato nel Nord della
S.), possesso dell'Impero
ottomano, ottenne l'autonomia. I capi politici e militari Georgi Cherni e Milos
Obrenovic fondarono le dinastie regnanti della
S. e nel 1829 la
S.
divenne Principato indipendente nell'ambito dell'Impero ottomano, retta dal
principe Milos Obrenovic. Al Congresso di Berlino del 1878 le potenze europee
riconobbero la piena indipendenza di
S. e Montenegro, che divennero
Monarchie rispettivamente nel 1882 e nel 1905. Nel 1882 la
S. divenne
Regno sotto la dinastia degli Obrenovic, ai quali, in seguito a una congiura
militare, si sostituirono nel 1903 i Karageorgevic con re Pietro II. In questo
periodo si andò sviluppando il panslavismo che, in chiave antiaustriaca e
antiturca, predicava l'unione di tutti gli Jugoslavi in un solo Stato. Nelle guerre
dei Balcani (1912-13),
S., Montenegro, Grecia, Romania e Bulgaria si allearono
inizialmente contro l'Impero ottomano, per poi contendersi il dominio della regione. La
Macedonia fu spartita tra
S., Grecia e Bulgaria. Durante la prima guerra mondiale,
la
S. fu occupata dall'Austria-Ungheria; in seguito alla sconfitta degli
Imperi centrali, nel 1918 tutti gli Slavi del Sud si unirono in un unico Stato: il
Regno dei Serbi-Croati-Sloveni, comprendente la
S., il Montenegro, la Slovenia,
la Croazia, la Slavonia, la Bosnia e l'Erzegovina. Nel 1920, si ratificò una nuova
Costituzione che sancì l'egemonia del gruppo serbo, al quale apparteneva la famiglia
reale, sui Croati e sugli Sloveni. La reazione sfociò in atti terroristici che
spinsero il re Alessandro I Karageorgevic a sciogliere il Parlamento e ad instaurare
la dittatura nel 1929, anno in cui lo Stato prese il nome di Regno di Jugoslavia (V.).
La politica nazionalista del regime generò un forte movimento antiserbo tra i Croati
che sfociò nell'assassinio del re Alessandro (1934). Gli successe il figlio Pietro II,
che diede un'impronta liberale al Governo, concedendo una certa autonomia alla Croazia
(1939). Dopo il colpo di Stato militare del 1941 il re Pietro II assunse i pieni poteri.
Sempre nel 1941 le truppe italo-tedesche invasero la Jugoslavia, costringendo il re
all'esilio, e nel Paese si organizzarono gruppi partigiani filo-monarchici e formazioni
comuniste favorevoli all'unificazione della Jugoslavia, dirette da Josip Broz (noto
come Tito). Dal 1943 gli alleati appoggiarono Tito e, aiutati dall'Armata Rossa, i
partigiani liberarono Belgrado nel 1944. Alle elezioni del 1945 il comunista Fronte
popolare costituì una Repubblica federativa, inizialmente ispirata al modello
sovietico, presieduta da Tito e sostenuta dall'Unione Sovietica. Il 29 novembre
1945 fu abolita la Monarchia e proclamato lo Stato federale composto da sei Repubbliche
(Slovenia e Croazia a Nord-Ovest,
S. a Est, Bosnia-Erzegovina e Montenegro al centro,
Macedonia a Sud) e due province autonome (Vojvodina e Kosovo, rispettivamente a
Nord-Est e Sud-Ovest della
S.). La Jugoslavia entrò nel Cominform nel 1947,
ma si ritirò nel 1948 per dissidi con la dirigenza del Partito comunista sovietico.
L'URSS decretò così un embargo economico contro la Jugoslavia, obbligandola a rafforzare
i legami con l'Occidente e il Terzo Mondo. Dopo una fase di amministrazione centralista
dell'economia, caratterizzata dalla collettivizzazione forzata dell'agricoltura, nel
1950 Tito chiese aiuto ai Paesi occidentali, lasciando maggior spazio alla
gestione privata nell'industria e nell'agricoltura. Dopo la morte di
Stalin (1953), la Jugoslavia assunse una posizione di neutralità rispetto ai
due blocchi occidentali e orientali. Nel 1953 fu privatizzata l'agricoltura e il
PNL cominciò a crescere, ma aumentarono le tensioni interetniche e le differenze
socioeconomiche tra il Nord industrializzato e il Sud sottosviluppato, tanto che nel
1970 Tito annunciò che la direzione del Paese sarebbe stata assunta da un Governo
formato dai rappresentanti delle Repubbliche federali e delle province autonome.
Nel 1971 e 1972 aumentarono i conflitti etnici, soprattutto tra Serbi e Croati,
e nel 1974 fu varata una nuova Costituzione che prevedeva una struttura legislativa
bicamerale (Camera federale e Camera delle Repubbliche). Nel 1975 fu sottoscritto
con l'Italia l'Accordo di Osimo per la definizione dei confini tra i due Paesi.
Dopo la morte di Tito (aprile 1980), il potere fu trasferito a una presidenza
collegiale composta da un rappresentante di ogni Repubblica e provincia autonoma e
dal presidente del Partito comunista. Il nuovo regime riconfermò la scelta di Tito
a favore del non allineamento. Nel marzo 1981, nella provincia autonoma del
Kosovo al confine con l'Albania, iniziarono a verificarsi disordini a opera della
minoranza albanese che chiedeva l'autonomia. Le pressioni sociali causate dal dissolvimento
dell'organizzazione statale fecero emergere due tendenze opposte: da un lato la
tesi del decentramento sostenuta dal comunista riformatore Milan Kucan, che
avrebbe evitato alle regioni più ricche di finanziare lo sviluppo di quelle più
povere, e dall'altro la posizione del centralismo e della solidarietà
all'interno della Federazione, sostenuta dal presidente serbo e leader del
Partito socialista serbo Slobodan Milosevic. Nell'aprile 1990, alle prime elezioni
pluripartitiche dalla seconda guerra mondiale trionfarono, ad eccezione della
S. e del Montenegro, i gruppi nazionalisti favorevoli alla secessione o alla
riforma della struttura confederale. Entrata in crisi l'economia nazionale e
deterioratisi i meccanismi di governo federale, la Slovenia (1991) dichiarò la
propria indipendenza. Dopo poco anche la Croazia si autoproclamò indipendente,
provocando un'aspra reazione serba per la determinazione dei nuovi confini: l'esercito
federale occupò un quarto del territorio croato (la Slavonia dell'Ovest e dell'Est e
la Krajina che, alla fine del 1991, si proclamò Repubblica della Krajina Serba). In
dicembre rassegnarono le dimissioni sia il presidente del Governo collegiale
Stjepan Mesic sia il primo ministro A. Markovic, gli ultimi rappresentanti del
Governo unico. L'avvento di Milan Panic al Governo della Federazione
(1992) segnò un ammorbidimento dell'intransigenza serba verso le Repubbliche
ribelli. Il 15 gennaio 1992 Croazia e Slovenia ottennero dalla CEE il
riconoscimento della propria sovranità. Il 27 aprile il Parlamento, composto da
deputati serbi e montenegrini, annunciò la fondazione della nuova
Repubblica
federale di Jugoslavia, composta da
S. e Montenegro rette da un sistema
parlamentare unico. Intanto proseguivano i combattimenti nelle regioni
interessate dal conflitto interetnico, soprattutto in Bosnia Erzegovina,
indipendente dal 7 aprile. L'intransigenza serba indusse la CEE a dichiarare (28
maggio) un embargo commerciale contro la Jugoslavia. All'opposizione della
comunità internazionale al Governo di Belgrado si aggiunse quella interna: così
il 24 maggio nacque il Movimento democratico della Serbia (Demos) a difesa di
una Costituzione democratica. Le elezioni generali della nuova Federazione, svoltesi il
31 maggio, rafforzarono la posizione di Slobodan Milosevic il cui partito ottenne il
70,6% dei voti in
S.. L'opposizione democratica, le minoranze Albanesi e i
musulmani della regione del Sandzak boicottarono le
elezioni. Con l'elezione dello scrittore Dobrica Cosic alla carica di presidente
federale (15 giugno) e di Milan Panic alla carica di primo ministro (14 luglio),
la dirigenza serba dimostrò una maggiore disponibilità al negoziato. Nel
dicembre 1992 tuttavia, nuove consultazioni elettorali assegnarono la vittoria a
Milosevic, leader dell'ala radicale, malgrado le accuse di brogli avanzate da
Panic. Il 19 febbraio 1993 vennero eletti alle cariche di presidente della
Repubblica e di primo ministro rispettivamente Zoran Lilic del PSS (Partito
socialista serbo) e Radoje Kontic del PDSM (Partito democratico dei socialisti
del Montenegro). Nell'aprile dello stesso anno la capitale della Bosnia,
Sarajevo, fu assediata dalle truppe serbe. Neppure l'intervento dei "caschi blu"
dell'ONU riuscì a porre termine all'aspra guerra civile. Di pari passo con
l'aumento di autoritarismo della presidenza di Milosevic e del partito di
Governo (SPS), si intensificò la pressione internazionale e si aggravò la crisi
sociale ed economica. Il 1994 segnò un deciso rivolgimento delle sorti, con il
prevalere dei musulmani di Bosnia sulle milizie serbo-bosniache. Con l'intervento della
Croazia, impegnata nella riconquista della Kraijna (posta anch'essa ufficialmente
sotto la protezione dell'ONU) e nella creazione di un asse croato-bosniaco in
funzione antiserba, il conflitto si inasprì. Milosevic fece arrestare i suoi maggiori
rivali politici e collaborò in parte con il Tribunale per i crimini di guerra dell'Aja,
con l'obiettivo di indurre l'ONU a sospendere le sanzioni, imposte sulla Jugoslavia dal maggio
1992. Il 24 settembre 1994 le Nazioni Unite decisero una sospensione
parziale delle sanzioni per un periodo di 100 giorni, autorizzando i voli
internazionali e gli scambi culturali e sportivi. Questo successo diplomatico di
Milosevic, in precedenza accusato di essere la principale causa della guerra nei
Balcani, contribuì ad accrescere la sua popolarità all'interno della
Federazione. Dopo la sanguinosa conquista di Srebrenica e Zepa in luglio da parte dei
Serbo-Bosniaci, i Croati invasero i territori della Krajina. Solo nel settembre
1995 si giunse a un accordo di pace e al conseguente ritiro delle truppe
serbo-bosniache da Sarajevo. La conclusione del conflitto fu decretata
ufficialmente dagli Accordi di Dayton (14 dicembre 1995), che prevedevano la
divisione della Bosnia in due entità dotate ciascuna di un proprio Governo, ma
costituenti lo Stato unitario della Bosnia-Erzegovina, avente come capitale la città
di Sarajevo: la Federazione croato-musulmana, con
il 51% del territorio, e la Repubblica serba di Bosnia, con il 49%. Con gli
Accordi di Dayton, venne riconosciuta anche la sovranità croata, dietro
assicurazione del rispetto della minoranza serba e della concessione di un'ampia
autonomia alla medesima. La popolarità di Milosevic aumentò nuovamente quando gli
Stati Uniti ritirarono le sanzioni contro la Jugoslavia a seguito della firma
dell'accordo di Parigi (14 dicembre 1995). Le elezioni parlamentari del novembre
1996, contrassegnate da brogli, decretarono la vittoria della coalizione guidata da
Milosevic, il quale, oltre tutto, annullò i risultati delle successive
elezioni comunali vinte dall'opposizione nelle sette principali città del Paese.
Dopo settimane di agitazioni e in seguito all'inchiesta svolta dall'OCSE che accertò
i brogli elettorali operati da Milosevic durante le elezioni invalidate, il presidente
serbo cedette alla pressione dei dimostranti riconoscendo la vittoria dell'opposizione
in alcune delle città contese. Nel 1997 si intensificarono gli scontri tra l'esercito
federale e la popolazione del Kosovo (per il 90% di origina albanese). Le elezioni del
luglio 1997 per l'assegnazione della carica di presidente della Federazione
serbo-montenegrina furono vinte da Milosevic, che lasciò la carica di presidente
della
S. a Milan Milutinovic, candidato del Partito socialista di Milosevic,
mentre le presidenziali del Montenegro furono vinte da Milo Djukanovic, del Partito
democratico dei socialisti opposta a Milosevic, a riprova della crescente insofferenza
del Montenegro nei confronti del regime autoritario della
S. Alla fine del 1997
si acuirono le tensioni nella provincia del Kosovo, abitata in maggioranza da
Albanesi che ne rivendicavano l'indipendenza. Nei mesi seguenti si verificarono
a Pristina, capoluogo del Kosovo, violenti scontri tra la popolazione albanese e
le forze dell'ordine serbe che sfociarono in una nuova guerra civile nei Balcani.
Tra febbraio e giugno 1998 le forze armate serbe repressero i movimenti di protesta del
Kosovo, provocando numerose vittime soprattutto tra la popolazione civile di
origine albanese. A fronte di tale gestione della crisi kosovara e del rifiuto
da parte della
S. di intraprendere la via del dialogo, le potenze occidentali
imposero sanzioni economiche contro la
S. (ma non contro
il Montenegro). Nel maggio 1998 le elezioni legislative in Montenegro sancirono
la vittoria della coalizione del presidente riformista Djukanovic, opposto al
Partito socialista di Milosevic. Nel giugno 1998, nuovi scontri nel Kosovo spinsero
alcuni Paesi della NATO a intervenire nella regione. Di fronte alla minaccia di
bombardamenti, Belgrado ritirò i reparti speciali che combattevano contro l'Esercito
di liberazione del Kosovo (UCK). Il cessate il fuoco si
interruppe in dicembre, quando si registrarono ulteriori scontri armati. Dopo
una dura campagna militare nel corso del 1999, il Kosovo passò sotto il
controllo delle forze dell'ONU, mentre il Montenegro cercò di distanziarsi
politicamente dalla
S.; il 21 novembre 1999 l'UCK venne formalmente sciolto
e convertito in una milizia civile, il Kosovo Protection Corps (TMK), mentre i
Serbi istituirono il Srpski Zastini Korpus (SZK), un proprio corpo di difesa.
Nel marzo 2000 si intensificarono le manifestazioni popolari a favore della deposizione
di Milosevic. In agosto il fronte dell'opposizione al regime si frantumò: il Partito di
rinnovamento serbo di Vuk Draskovic propose un candidato diverso (Vojslav
Mihailovic, sindaco di Belgrado) rispetto alla neonata coalizione di 17 partiti
(ODS, Opposizione democratica serba) che candidò Vojislav Kostunica, esponente del
Partito democratico serbo. Le elezioni, vinte da Kostunica, furono inizialmente
annullate dalla Corte costituzionale; la conseguente sollevazione popolare costrinse
Milosevic ad ammettere la sconfitta: subito dopo l'Unione europea revocò l'embargo.
In
S. venne nominato un Governo di transizione che guidò il Paese fino alle elezioni
del 23 dicembre 2000, che terminarono con la vittoria schiacciante della coalizione
riformista ODS, che ottenne il 64% dei consensi. Nel gennaio 2001 si formò dunque
un nuovo Governo, guidato da Zoran Djindjic, leader del Partito democratico, non
particolarmente amato in
S. perché considerato filo-occidentale. A questo
punto si aprì un conflitto (che verteva in primo luogo sull'atteggiamento da tenere
verso Milosevic) tra le autorità federali e il Governo serbo, ovvero tra Kostunica e
Djindjic, che minò la coalizione ODS. Il premier serbo Djindjic si schierò a favore
dell'arresto di Milosevic, mentre Kostunica affermò che non avrebbe concesso la sua
estradizione al Tribunale dell'Aia. Il 1° aprile 2001, l'ex leader serbo venne
arrestato; la magistratura serba, e non quella jugoslava come sarebbe
stato legittimo, emesse un mandato di cattura per l'ex presidente accusandolo di
malversazione e abuso di potere (Milosevic si sarebbe arricchito vendendo all'estero
una parte delle riserve auree del Paese). Il 28 giugno il Governo serbo consegnò
Milosevic ai funzionari del Tribunale dell'Aia. La sua consegna aprì
una grave crisi politica in seno alla Federazione: per protestare contro il
trasferimento deciso da Djindjic, il Partito socialista popolare (SNP,
montenegrino, in passato alleato di Milosevic) si ritirò dalla coalizione del
Governo federale e il suo leader Zoran Zizic si dimise dall'incarico di primo
ministro federale. Kostunica, dal canto suo, ritirò il suo partito, Partito
democratico serbo (DSS), dalla coalizione ODS che reggeva il Governo serbo.
Intanto il 29 giugno la conferenza dei Paesi donatori decise di concedere
a Belgrado aiuti per 1,25 miliardi di dollari e nel successivo mese di
settembre l'ONU tolse l'embargo sulla vendita di armi al Paese tre anni
dopo la sua messa in atto. A Milosevic vennero formalizzate nuove accuse, relative
ai crimini di guerra perpetrati in Croazia fra l'agosto 1991 e il giugno 1992.
Nel frattempo Kostunica avviò le consultazioni per la formazione di un
nuovo Governo e, poiché in base alla Costituzione se il presidente federale è
serbo, il primo ministro deve essere montenegrino, a luglio aveva dato
l'incarico all'ex ministro delle Finanze Dragisa Pesic, anch'egli esponente del
Partito socialista popolare del Montenegro, nel frattempo decisosi a rientrare
nella coalizione di Governo. In Kosovo, in novembre, si tennero le prime
elezioni politiche dalla fine della guerra, terminate con la vittoria della Lega
democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova. In Montenegro, il presidente Milo
Djukanovic, fautore dell'indipendenza, si pose in un atteggiamento di aperto contrasto
nei confronti di Kostunica. Per cercare di porre rimedio alla frattura apertasi tra
Federazione e Montenegro, nel marzo 2002 venne siglato un accordo di massima tra
esponenti federali e nazionali di
S. e Montenegro, promosso e sottoscritto
dall'Unione europea, per la creazione di un nuovo Stato denominato
Serbia e
Montenegro e non più Jugoslavia, la cui nascita ufficiale venne sancita il 4
febbraio. Il nuovo Stato ebbe un presidente, un ministro della Difesa e un ministro degli
Esteri federali, mentre le questioni economiche furono di pertinenza dei singoli Stati.
Il nuovo Stato entrò subito in crisi a causa dei disordini conseguenti
all'assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic (marzo 2003), in seguito
al quale furono arrestati alcuni membri di associazioni criminali legate a
Milosevic. Sempre in marzo il Parlamento centrale elesse Svetozvar Marovic alla
presidenza federale dello Stato. Nei primi mesi del 2004 si riacutizzarono le
tensioni tra i Serbi e gli Albanesi del Kosovo, tanto che la NATO rinforzò le
truppe lì dislocate. Nel giugno 2004 fu eletto nuovo presidente di Serbia e
Montenegro il democratico Boris Tadic, che si pose come obiettivi primari
l'ingresso del Paese nell'Unione europea e la distensione dei rapporti con le
minoranze albanesi della provincia del Kosovo. Nel febbraio 2005 il Montenegro
propose alla
S. di sciogliere l'unione tra le due Repubbliche per formare
due entità statali indipendenti; la proposta, inizialmente respinta dal premier
serbo Kostunica, venne in un secondo momento accettata: con il referendum del 21
maggio 2006 la Repubblica del Montenegro diventò nuovamente uno Stato
indipendente. La
S. fu riconosciuta Stato indipendente il 4 giugno 2006, il giorno
successivo il riconoscimento dell'indipendenza del Montenegro.
ARTESeppur legata al
mondo bizantino, l'arte serba subì molteplici influenze dalle regioni
vicine che ne impedirono uno sviluppo unitario. Le invasioni slave distrussero
gli insediamenti protobizantini, cosicché i monumenti più antichi
conservati dell'arte serba risalgono solo alla seconda metà del XII sec.,
allorché si formò il primo Stato serbo nella Raška. Durante il
Medioevo le architetture furono quasi esclusivamente ecclesiastiche e religiose,
di stile non necessariamente bizantino ma, anzi, spesso romanico (chiesa di San
Nicola a Kuršumlija, 1168 circa; chiesa del monastero di Studenica,
1190-96; chiesa del monastero di Žča, 1207-19; chiesa del monastero di
Sopoćani, 1262 circa; chiesa del monastero di Dečani, 1325-37). Nella
S. meridionale, più legata alla tradizione bizantina, predomina lo
schema a croce (chiesa della Bogorodica Ljeviška a Prizren, 1307; chiesa a
cinque cupole di Staro Nagoričino, 1312-13), mentre a Nord, verso la fine del
XIV sec., comparve, introdotta dalla scuola della Morava, la soluzione a triconco
(chiesa di Ravanica, 1375 circa; chiesa di Kruševac, 1380 circa). La
scultura fu di carattere strettamente ornamentale e seguì spesso modelli
romanici (chiesa di Studenica); maggiori affinità con l'arte bizantina si
riscontrano nella
S. meridionale, mentre nella vallata della Morava
prevalgono legami con il Caucaso e con la cultura islamica. Le decorazioni
pittoriche furono, invece, principalmente di carattere monumentale (affreschi
della chiesa della Vergine a Studenica, 1208; affreschi della chiesa
dell'Ascensione di Mileševo, 1236; decorazioni della chiesa della
Trinità di Sopoćani, XIII sec.). All'inizio del XIV sec. si diffuse,
sotto l'influsso dell'arte paleologa, l'utilizzo di proporzioni ridotte e di un
maggior realismo. Gli affreschi a carattere spiccatamente narrativo a Visoki
Dečani rivelano, invece, rapporti con la pittura italiana, mentre nella
vallata della Morava si nota una comune tendenza ornamentale (pitture del
monastero di Manasija, 1407-18). Frequentissimi, ovunque, furono i ritratti.
Verso la metà del XVIII sec. iniziò l'epoca moderna dell'arte serba; la
frattura con la tradizione fu evidente soprattutto nella pittura, che si
sviluppò attraverso il Barocco (T. Kračun), il Classicismo (A.
Teodorovič, K. Danil), il Romanticismo patriottico (P. Simić, N.
Radonić), il Realismo (M. Tenković, D. Krstić, U. Predić),
l'Impressionismo (M. Milovanović, N. Petrović), giungendo a
soluzioni cubiste, futuriste e surrealiste. La scultura fu dominata dalla figura
di I. Meštrović (monumento al milite ignoto sull'Avala, Belgrado),
mentre in architettura emersero verso la fine del XIX sec. K.K. Jovanović e
A. Bugarski, che imitarono i motivi del Rinascimento e del Barocco, e S.
Ivačković e V. Nikolić, che guardarono, invece, all'antica arte
serba e bizantina. • Ling. e Lett. - V. SERBO-CROATO.
Belgrado: veduta dalla Sava
Belgrado: la chiesa ortodossa