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Sèrbia.

Stato (88.361 kmq, comprendente 55.968 kmq della S., 21.506 kmq della Vojvodina e 10.887 kmq del Kosovo; 9.993.000 ab., di cui 5.466.009 in S., 2.031.992 in Vojvodina e 2.325.000 in Kosovo) dell'Europa balcanica. Confina a Nord con l'Ungheria, a Nord-Est con Romania, a Est con la Bulgaria, a Sud con la Macedonia e l'Albania, a Ovest con la Bosnia-Erzegovina e a Nord-Ovest con la Croazia; a Sud-Ovest si affaccia sul Mar Adriatico. Capitale: Belgrado. Città principali: Novi Sad, Pristina, Kragujevac, Nis, Subotica. Ordinamento: Repubblica federale, guidata dal presidente eletto per quattro anni dal Parlamento. La provincia autonoma del Kosovo, amministrata dall'ONU dal 1999, ha un'Assemblea formata da 120 membri eletti a suffragio universale e un presidente eletto dall'Assemblea. Moneta: nuovo dinaro jugoslavo in S. ed euro in Kosovo. Lingua ufficiale: serbo-croato; è diffuso l'albanese. Religione: in maggioranza ortodossa; numerosi sono i musulmani sunniti e i cattolici. Popolazione: serba; esistono minoranze di Albanesi.

GEOGRAFIA


Il Paese si presenta prevalentemente montuoso, a eccezione della pianeggiante regione della Vojvodina a Nord. Qui una vasta pianura alluvionale, bagnata dai fiumi Danubio e Tibisco, si congiunge con le pianure ungherese e romena. I rilievi, balcanici nel centro del Paese e dinarici a Sud, hanno un'altitudine media di 1.000-2.000 m. Gli altopiani sono solcati da fiumi che incidono profonde vallate, la più importante delle quali è quella della Morava. Le zone più elevate sono ricoperte da pascoli e boschi; avvicinandosi alla costa, i rilievi, di origine calcarea e interessati da fenomeni carsici, diventano aridi e spogli. I fiumi più importanti sono la Morava, la Sava e il Tibisco, tutti affluenti del Danubio, che per un tratto segna il confine con la Romania. Il clima è continentale nella pianura settentrionale e sui rilievi montuosi.
[i jugoslav.jpg Cartina della Serbia e del Montenegro]
Cartina della Serbia


ECONOMIA


Il Paese, la cui economia prima della seconda guerra mondiale si basava sull'agricoltura, dagli anni Cinquanta cominciò a industrializzarsi. L'agricoltura non ebbe modo di godere dei miglioramenti avvenuti negli altri settori: tuttora molti terreni coltivabili non sono sufficientemente irrigati e sono ancora troppo frammentati, nelle mani di piccoli proprietari, impedendo la meccanizzazione. Solo nella pianura solcata dal Danubio il terreno coltivabile è sfruttato razionalmente e si producono cereali (grano, granoturco, segale), frutta (abbondante la produzione di prugne) e colture industriali (tabacco, canapa, girasole e lino) concorrenziali per qualità e quantità sul mercato europeo. Ricco il patrimonio forestale e zootecnico; sono sviluppati l'allevamento suino, ovino e caprino e l'apicoltura. Prima dei bombardamenti della NATO (marzo-giugno 1999), l'industria sfruttava importanti risorse minerarie quali il piombo, lo zinco, il carbone e la bauxite ed era cresciuta nei settori siderurgico, meccanico e chimico. Sono lavorati artigianalmente pelli e tappeti. Vivo si mantiene il turismo: le mete più frequentate sono le montagne dello Zlatibor. La ricostruzione del Paese dopo il conflitto fu affidata all'Unione europea e alla Banca Mondiale.

STORIA


Nel IV sec. a.C. la penisola balcanica fu popolata da genti provenienti dall'Illiria, dalla Tracia e dalla Pannonia. Nel II sec. a.C. Roma colonizzò la provincia dell'Illiria e furono fondate importanti città romane come Emona (Lubiana), Mursa (Osijek) e Singidunum (Belgrado). Tra il VI e il VII sec. i Croati e i Serbi si spostarono dall'Europa orientale alla regione balcanica ma, posti sotto la sovranità bizantina, costituirono con fatica uno Stato. Solo alla fine dell'XI sec. venne creato uno Stato unitario serbo ad opera del re Bela Uros, capostipite della dinastia dei Nemanja. Sotto questa famiglia regnante, durata più di 200 anni, la S. venne riconosciuta come Regno dalla Chiesa di Roma (1217) ed estese il proprio dominio alla Bosnia, all'Albania, all'Epiro e alla Tessaglia, giungendo a minacciare la stessa Costantinopoli. Con la fine dei Nemanja (1371) iniziò la decadenza del Regno serbo; nel 1389 l'esercito serbo fu sconfitto dai Turchi e il Paese fu sottomesso alla Turchia. Tra il XVI e il XVIII sec. i territori della regione furono suddivisi tra l'Impero ottomano (S., Bosnia, Erzegovina, Montenegro e Macedonia), gli Asburgo (Croazia, Slovenia, Slavonia, parte della Dalmazia e Vojvodina) e la Repubblica di Venezia (Istria e Dalmazia). Dopo la guerra russo-turca (1768-74), la Russia ottenne il diritto di proteggere la popolazione ortodossa dell'Impero ottomano e alla fine del XVIII sec. gli Austriaci occuparono i Balcani. In seguito alla prima insurrezione serba (1804-13), al conflitto russo-turco (1806-12) e alla seconda insurrezione serba (1815), il Pashalik balcanico (situato nel Nord della S.), possesso dell'Impero ottomano, ottenne l'autonomia. I capi politici e militari Georgi Cherni e Milos Obrenovic fondarono le dinastie regnanti della S. e nel 1829 la S. divenne Principato indipendente nell'ambito dell'Impero ottomano, retta dal principe Milos Obrenovic. Al Congresso di Berlino del 1878 le potenze europee riconobbero la piena indipendenza di S. e Montenegro, che divennero Monarchie rispettivamente nel 1882 e nel 1905. Nel 1882 la S. divenne Regno sotto la dinastia degli Obrenovic, ai quali, in seguito a una congiura militare, si sostituirono nel 1903 i Karageorgevic con re Pietro II. In questo periodo si andò sviluppando il panslavismo che, in chiave antiaustriaca e antiturca, predicava l'unione di tutti gli Jugoslavi in un solo Stato. Nelle guerre dei Balcani (1912-13), S., Montenegro, Grecia, Romania e Bulgaria si allearono inizialmente contro l'Impero ottomano, per poi contendersi il dominio della regione. La Macedonia fu spartita tra S., Grecia e Bulgaria. Durante la prima guerra mondiale, la S. fu occupata dall'Austria-Ungheria; in seguito alla sconfitta degli Imperi centrali, nel 1918 tutti gli Slavi del Sud si unirono in un unico Stato: il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni, comprendente la S., il Montenegro, la Slovenia, la Croazia, la Slavonia, la Bosnia e l'Erzegovina. Nel 1920, si ratificò una nuova Costituzione che sancì l'egemonia del gruppo serbo, al quale apparteneva la famiglia reale, sui Croati e sugli Sloveni. La reazione sfociò in atti terroristici che spinsero il re Alessandro I Karageorgevic a sciogliere il Parlamento e ad instaurare la dittatura nel 1929, anno in cui lo Stato prese il nome di Regno di Jugoslavia (V.). La politica nazionalista del regime generò un forte movimento antiserbo tra i Croati che sfociò nell'assassinio del re Alessandro (1934). Gli successe il figlio Pietro II, che diede un'impronta liberale al Governo, concedendo una certa autonomia alla Croazia (1939). Dopo il colpo di Stato militare del 1941 il re Pietro II assunse i pieni poteri. Sempre nel 1941 le truppe italo-tedesche invasero la Jugoslavia, costringendo il re all'esilio, e nel Paese si organizzarono gruppi partigiani filo-monarchici e formazioni comuniste favorevoli all'unificazione della Jugoslavia, dirette da Josip Broz (noto come Tito). Dal 1943 gli alleati appoggiarono Tito e, aiutati dall'Armata Rossa, i partigiani liberarono Belgrado nel 1944. Alle elezioni del 1945 il comunista Fronte popolare costituì una Repubblica federativa, inizialmente ispirata al modello sovietico, presieduta da Tito e sostenuta dall'Unione Sovietica. Il 29 novembre 1945 fu abolita la Monarchia e proclamato lo Stato federale composto da sei Repubbliche (Slovenia e Croazia a Nord-Ovest, S. a Est, Bosnia-Erzegovina e Montenegro al centro, Macedonia a Sud) e due province autonome (Vojvodina e Kosovo, rispettivamente a Nord-Est e Sud-Ovest della S.). La Jugoslavia entrò nel Cominform nel 1947, ma si ritirò nel 1948 per dissidi con la dirigenza del Partito comunista sovietico. L'URSS decretò così un embargo economico contro la Jugoslavia, obbligandola a rafforzare i legami con l'Occidente e il Terzo Mondo. Dopo una fase di amministrazione centralista dell'economia, caratterizzata dalla collettivizzazione forzata dell'agricoltura, nel 1950 Tito chiese aiuto ai Paesi occidentali, lasciando maggior spazio alla gestione privata nell'industria e nell'agricoltura. Dopo la morte di Stalin (1953), la Jugoslavia assunse una posizione di neutralità rispetto ai due blocchi occidentali e orientali. Nel 1953 fu privatizzata l'agricoltura e il PNL cominciò a crescere, ma aumentarono le tensioni interetniche e le differenze socioeconomiche tra il Nord industrializzato e il Sud sottosviluppato, tanto che nel 1970 Tito annunciò che la direzione del Paese sarebbe stata assunta da un Governo formato dai rappresentanti delle Repubbliche federali e delle province autonome. Nel 1971 e 1972 aumentarono i conflitti etnici, soprattutto tra Serbi e Croati, e nel 1974 fu varata una nuova Costituzione che prevedeva una struttura legislativa bicamerale (Camera federale e Camera delle Repubbliche). Nel 1975 fu sottoscritto con l'Italia l'Accordo di Osimo per la definizione dei confini tra i due Paesi. Dopo la morte di Tito (aprile 1980), il potere fu trasferito a una presidenza collegiale composta da un rappresentante di ogni Repubblica e provincia autonoma e dal presidente del Partito comunista. Il nuovo regime riconfermò la scelta di Tito a favore del non allineamento. Nel marzo 1981, nella provincia autonoma del Kosovo al confine con l'Albania, iniziarono a verificarsi disordini a opera della minoranza albanese che chiedeva l'autonomia. Le pressioni sociali causate dal dissolvimento dell'organizzazione statale fecero emergere due tendenze opposte: da un lato la tesi del decentramento sostenuta dal comunista riformatore Milan Kucan, che avrebbe evitato alle regioni più ricche di finanziare lo sviluppo di quelle più povere, e dall'altro la posizione del centralismo e della solidarietà all'interno della Federazione, sostenuta dal presidente serbo e leader del Partito socialista serbo Slobodan Milosevic. Nell'aprile 1990, alle prime elezioni pluripartitiche dalla seconda guerra mondiale trionfarono, ad eccezione della S. e del Montenegro, i gruppi nazionalisti favorevoli alla secessione o alla riforma della struttura confederale. Entrata in crisi l'economia nazionale e deterioratisi i meccanismi di governo federale, la Slovenia (1991) dichiarò la propria indipendenza. Dopo poco anche la Croazia si autoproclamò indipendente, provocando un'aspra reazione serba per la determinazione dei nuovi confini: l'esercito federale occupò un quarto del territorio croato (la Slavonia dell'Ovest e dell'Est e la Krajina che, alla fine del 1991, si proclamò Repubblica della Krajina Serba). In dicembre rassegnarono le dimissioni sia il presidente del Governo collegiale Stjepan Mesic sia il primo ministro A. Markovic, gli ultimi rappresentanti del Governo unico. L'avvento di Milan Panic al Governo della Federazione (1992) segnò un ammorbidimento dell'intransigenza serba verso le Repubbliche ribelli. Il 15 gennaio 1992 Croazia e Slovenia ottennero dalla CEE il riconoscimento della propria sovranità. Il 27 aprile il Parlamento, composto da deputati serbi e montenegrini, annunciò la fondazione della nuova Repubblica federale di Jugoslavia, composta da S. e Montenegro rette da un sistema parlamentare unico. Intanto proseguivano i combattimenti nelle regioni interessate dal conflitto interetnico, soprattutto in Bosnia Erzegovina, indipendente dal 7 aprile. L'intransigenza serba indusse la CEE a dichiarare (28 maggio) un embargo commerciale contro la Jugoslavia. All'opposizione della comunità internazionale al Governo di Belgrado si aggiunse quella interna: così il 24 maggio nacque il Movimento democratico della Serbia (Demos) a difesa di una Costituzione democratica. Le elezioni generali della nuova Federazione, svoltesi il 31 maggio, rafforzarono la posizione di Slobodan Milosevic il cui partito ottenne il 70,6% dei voti in S.. L'opposizione democratica, le minoranze Albanesi e i musulmani della regione del Sandzak boicottarono le elezioni. Con l'elezione dello scrittore Dobrica Cosic alla carica di presidente federale (15 giugno) e di Milan Panic alla carica di primo ministro (14 luglio), la dirigenza serba dimostrò una maggiore disponibilità al negoziato. Nel dicembre 1992 tuttavia, nuove consultazioni elettorali assegnarono la vittoria a Milosevic, leader dell'ala radicale, malgrado le accuse di brogli avanzate da Panic. Il 19 febbraio 1993 vennero eletti alle cariche di presidente della Repubblica e di primo ministro rispettivamente Zoran Lilic del PSS (Partito socialista serbo) e Radoje Kontic del PDSM (Partito democratico dei socialisti del Montenegro). Nell'aprile dello stesso anno la capitale della Bosnia, Sarajevo, fu assediata dalle truppe serbe. Neppure l'intervento dei "caschi blu" dell'ONU riuscì a porre termine all'aspra guerra civile. Di pari passo con l'aumento di autoritarismo della presidenza di Milosevic e del partito di Governo (SPS), si intensificò la pressione internazionale e si aggravò la crisi sociale ed economica. Il 1994 segnò un deciso rivolgimento delle sorti, con il prevalere dei musulmani di Bosnia sulle milizie serbo-bosniache. Con l'intervento della Croazia, impegnata nella riconquista della Kraijna (posta anch'essa ufficialmente sotto la protezione dell'ONU) e nella creazione di un asse croato-bosniaco in funzione antiserba, il conflitto si inasprì. Milosevic fece arrestare i suoi maggiori rivali politici e collaborò in parte con il Tribunale per i crimini di guerra dell'Aja, con l'obiettivo di indurre l'ONU a sospendere le sanzioni, imposte sulla Jugoslavia dal maggio 1992. Il 24 settembre 1994 le Nazioni Unite decisero una sospensione parziale delle sanzioni per un periodo di 100 giorni, autorizzando i voli internazionali e gli scambi culturali e sportivi. Questo successo diplomatico di Milosevic, in precedenza accusato di essere la principale causa della guerra nei Balcani, contribuì ad accrescere la sua popolarità all'interno della Federazione. Dopo la sanguinosa conquista di Srebrenica e Zepa in luglio da parte dei Serbo-Bosniaci, i Croati invasero i territori della Krajina. Solo nel settembre 1995 si giunse a un accordo di pace e al conseguente ritiro delle truppe serbo-bosniache da Sarajevo. La conclusione del conflitto fu decretata ufficialmente dagli Accordi di Dayton (14 dicembre 1995), che prevedevano la divisione della Bosnia in due entità dotate ciascuna di un proprio Governo, ma costituenti lo Stato unitario della Bosnia-Erzegovina, avente come capitale la città di Sarajevo: la Federazione croato-musulmana, con il 51% del territorio, e la Repubblica serba di Bosnia, con il 49%. Con gli Accordi di Dayton, venne riconosciuta anche la sovranità croata, dietro assicurazione del rispetto della minoranza serba e della concessione di un'ampia autonomia alla medesima. La popolarità di Milosevic aumentò nuovamente quando gli Stati Uniti ritirarono le sanzioni contro la Jugoslavia a seguito della firma dell'accordo di Parigi (14 dicembre 1995). Le elezioni parlamentari del novembre 1996, contrassegnate da brogli, decretarono la vittoria della coalizione guidata da Milosevic, il quale, oltre tutto, annullò i risultati delle successive elezioni comunali vinte dall'opposizione nelle sette principali città del Paese. Dopo settimane di agitazioni e in seguito all'inchiesta svolta dall'OCSE che accertò i brogli elettorali operati da Milosevic durante le elezioni invalidate, il presidente serbo cedette alla pressione dei dimostranti riconoscendo la vittoria dell'opposizione in alcune delle città contese. Nel 1997 si intensificarono gli scontri tra l'esercito federale e la popolazione del Kosovo (per il 90% di origina albanese). Le elezioni del luglio 1997 per l'assegnazione della carica di presidente della Federazione serbo-montenegrina furono vinte da Milosevic, che lasciò la carica di presidente della S. a Milan Milutinovic, candidato del Partito socialista di Milosevic, mentre le presidenziali del Montenegro furono vinte da Milo Djukanovic, del Partito democratico dei socialisti opposta a Milosevic, a riprova della crescente insofferenza del Montenegro nei confronti del regime autoritario della S. Alla fine del 1997 si acuirono le tensioni nella provincia del Kosovo, abitata in maggioranza da Albanesi che ne rivendicavano l'indipendenza. Nei mesi seguenti si verificarono a Pristina, capoluogo del Kosovo, violenti scontri tra la popolazione albanese e le forze dell'ordine serbe che sfociarono in una nuova guerra civile nei Balcani. Tra febbraio e giugno 1998 le forze armate serbe repressero i movimenti di protesta del Kosovo, provocando numerose vittime soprattutto tra la popolazione civile di origine albanese. A fronte di tale gestione della crisi kosovara e del rifiuto da parte della S. di intraprendere la via del dialogo, le potenze occidentali imposero sanzioni economiche contro la S. (ma non contro il Montenegro). Nel maggio 1998 le elezioni legislative in Montenegro sancirono la vittoria della coalizione del presidente riformista Djukanovic, opposto al Partito socialista di Milosevic. Nel giugno 1998, nuovi scontri nel Kosovo spinsero alcuni Paesi della NATO a intervenire nella regione. Di fronte alla minaccia di bombardamenti, Belgrado ritirò i reparti speciali che combattevano contro l'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK). Il cessate il fuoco si interruppe in dicembre, quando si registrarono ulteriori scontri armati. Dopo una dura campagna militare nel corso del 1999, il Kosovo passò sotto il controllo delle forze dell'ONU, mentre il Montenegro cercò di distanziarsi politicamente dalla S.; il 21 novembre 1999 l'UCK venne formalmente sciolto e convertito in una milizia civile, il Kosovo Protection Corps (TMK), mentre i Serbi istituirono il Srpski Zastini Korpus (SZK), un proprio corpo di difesa. Nel marzo 2000 si intensificarono le manifestazioni popolari a favore della deposizione di Milosevic. In agosto il fronte dell'opposizione al regime si frantumò: il Partito di rinnovamento serbo di Vuk Draskovic propose un candidato diverso (Vojslav Mihailovic, sindaco di Belgrado) rispetto alla neonata coalizione di 17 partiti (ODS, Opposizione democratica serba) che candidò Vojislav Kostunica, esponente del Partito democratico serbo. Le elezioni, vinte da Kostunica, furono inizialmente annullate dalla Corte costituzionale; la conseguente sollevazione popolare costrinse Milosevic ad ammettere la sconfitta: subito dopo l'Unione europea revocò l'embargo. In S. venne nominato un Governo di transizione che guidò il Paese fino alle elezioni del 23 dicembre 2000, che terminarono con la vittoria schiacciante della coalizione riformista ODS, che ottenne il 64% dei consensi. Nel gennaio 2001 si formò dunque un nuovo Governo, guidato da Zoran Djindjic, leader del Partito democratico, non particolarmente amato in S. perché considerato filo-occidentale. A questo punto si aprì un conflitto (che verteva in primo luogo sull'atteggiamento da tenere verso Milosevic) tra le autorità federali e il Governo serbo, ovvero tra Kostunica e Djindjic, che minò la coalizione ODS. Il premier serbo Djindjic si schierò a favore dell'arresto di Milosevic, mentre Kostunica affermò che non avrebbe concesso la sua estradizione al Tribunale dell'Aia. Il 1° aprile 2001, l'ex leader serbo venne arrestato; la magistratura serba, e non quella jugoslava come sarebbe stato legittimo, emesse un mandato di cattura per l'ex presidente accusandolo di malversazione e abuso di potere (Milosevic si sarebbe arricchito vendendo all'estero una parte delle riserve auree del Paese). Il 28 giugno il Governo serbo consegnò Milosevic ai funzionari del Tribunale dell'Aia. La sua consegna aprì una grave crisi politica in seno alla Federazione: per protestare contro il trasferimento deciso da Djindjic, il Partito socialista popolare (SNP, montenegrino, in passato alleato di Milosevic) si ritirò dalla coalizione del Governo federale e il suo leader Zoran Zizic si dimise dall'incarico di primo ministro federale. Kostunica, dal canto suo, ritirò il suo partito, Partito democratico serbo (DSS), dalla coalizione ODS che reggeva il Governo serbo. Intanto il 29 giugno la conferenza dei Paesi donatori decise di concedere a Belgrado aiuti per 1,25 miliardi di dollari e nel successivo mese di settembre l'ONU tolse l'embargo sulla vendita di armi al Paese tre anni dopo la sua messa in atto. A Milosevic vennero formalizzate nuove accuse, relative ai crimini di guerra perpetrati in Croazia fra l'agosto 1991 e il giugno 1992. Nel frattempo Kostunica avviò le consultazioni per la formazione di un nuovo Governo e, poiché in base alla Costituzione se il presidente federale è serbo, il primo ministro deve essere montenegrino, a luglio aveva dato l'incarico all'ex ministro delle Finanze Dragisa Pesic, anch'egli esponente del Partito socialista popolare del Montenegro, nel frattempo decisosi a rientrare nella coalizione di Governo. In Kosovo, in novembre, si tennero le prime elezioni politiche dalla fine della guerra, terminate con la vittoria della Lega democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova. In Montenegro, il presidente Milo Djukanovic, fautore dell'indipendenza, si pose in un atteggiamento di aperto contrasto nei confronti di Kostunica. Per cercare di porre rimedio alla frattura apertasi tra Federazione e Montenegro, nel marzo 2002 venne siglato un accordo di massima tra esponenti federali e nazionali di S. e Montenegro, promosso e sottoscritto dall'Unione europea, per la creazione di un nuovo Stato denominato Serbia e Montenegro e non più Jugoslavia, la cui nascita ufficiale venne sancita il 4 febbraio. Il nuovo Stato ebbe un presidente, un ministro della Difesa e un ministro degli Esteri federali, mentre le questioni economiche furono di pertinenza dei singoli Stati. Il nuovo Stato entrò subito in crisi a causa dei disordini conseguenti all'assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic (marzo 2003), in seguito al quale furono arrestati alcuni membri di associazioni criminali legate a Milosevic. Sempre in marzo il Parlamento centrale elesse Svetozvar Marovic alla presidenza federale dello Stato. Nei primi mesi del 2004 si riacutizzarono le tensioni tra i Serbi e gli Albanesi del Kosovo, tanto che la NATO rinforzò le truppe lì dislocate. Nel giugno 2004 fu eletto nuovo presidente di Serbia e Montenegro il democratico Boris Tadic, che si pose come obiettivi primari l'ingresso del Paese nell'Unione europea e la distensione dei rapporti con le minoranze albanesi della provincia del Kosovo. Nel febbraio 2005 il Montenegro propose alla S. di sciogliere l'unione tra le due Repubbliche per formare due entità statali indipendenti; la proposta, inizialmente respinta dal premier serbo Kostunica, venne in un secondo momento accettata: con il referendum del 21 maggio 2006 la Repubblica del Montenegro diventò nuovamente uno Stato indipendente. La S. fu riconosciuta Stato indipendente il 4 giugno 2006, il giorno successivo il riconoscimento dell'indipendenza del Montenegro.

ARTE


Seppur legata al mondo bizantino, l'arte serba subì molteplici influenze dalle regioni vicine che ne impedirono uno sviluppo unitario. Le invasioni slave distrussero gli insediamenti protobizantini, cosicché i monumenti più antichi conservati dell'arte serba risalgono solo alla seconda metà del XII sec., allorché si formò il primo Stato serbo nella Raška. Durante il Medioevo le architetture furono quasi esclusivamente ecclesiastiche e religiose, di stile non necessariamente bizantino ma, anzi, spesso romanico (chiesa di San Nicola a Kuršumlija, 1168 circa; chiesa del monastero di Studenica, 1190-96; chiesa del monastero di Žča, 1207-19; chiesa del monastero di Sopoćani, 1262 circa; chiesa del monastero di Dečani, 1325-37). Nella S. meridionale, più legata alla tradizione bizantina, predomina lo schema a croce (chiesa della Bogorodica Ljeviška a Prizren, 1307; chiesa a cinque cupole di Staro Nagoričino, 1312-13), mentre a Nord, verso la fine del XIV sec., comparve, introdotta dalla scuola della Morava, la soluzione a triconco (chiesa di Ravanica, 1375 circa; chiesa di Kruševac, 1380 circa). La scultura fu di carattere strettamente ornamentale e seguì spesso modelli romanici (chiesa di Studenica); maggiori affinità con l'arte bizantina si riscontrano nella S. meridionale, mentre nella vallata della Morava prevalgono legami con il Caucaso e con la cultura islamica. Le decorazioni pittoriche furono, invece, principalmente di carattere monumentale (affreschi della chiesa della Vergine a Studenica, 1208; affreschi della chiesa dell'Ascensione di Mileševo, 1236; decorazioni della chiesa della Trinità di Sopoćani, XIII sec.). All'inizio del XIV sec. si diffuse, sotto l'influsso dell'arte paleologa, l'utilizzo di proporzioni ridotte e di un maggior realismo. Gli affreschi a carattere spiccatamente narrativo a Visoki Dečani rivelano, invece, rapporti con la pittura italiana, mentre nella vallata della Morava si nota una comune tendenza ornamentale (pitture del monastero di Manasija, 1407-18). Frequentissimi, ovunque, furono i ritratti. Verso la metà del XVIII sec. iniziò l'epoca moderna dell'arte serba; la frattura con la tradizione fu evidente soprattutto nella pittura, che si sviluppò attraverso il Barocco (T. Kračun), il Classicismo (A. Teodorovič, K. Danil), il Romanticismo patriottico (P. Simić, N. Radonić), il Realismo (M. Tenković, D. Krstić, U. Predić), l'Impressionismo (M. Milovanović, N. Petrović), giungendo a soluzioni cubiste, futuriste e surrealiste. La scultura fu dominata dalla figura di I. Meštrović (monumento al milite ignoto sull'Avala, Belgrado), mentre in architettura emersero verso la fine del XIX sec. K.K. Jovanović e A. Bugarski, che imitarono i motivi del Rinascimento e del Barocco, e S. Ivačković e V. Nikolić, che guardarono, invece, all'antica arte serba e bizantina. • Ling. e Lett. - V. SERBO-CROATO.
Belgrado: veduta dalla Sava

Belgrado: la chiesa ortodossa