Stats Tweet

Sàtira.

(dal latino satura, der. di satur: pieno, sazio, vario, misto). Componimento poetico che critica argutamente alcune debolezze comuni a tutta l'umanità, o proprie di una categoria di persone, o caratteristiche di un individuo in particolare, che contrastano con la morale comunemente accettata o con gli ideali dello scrittore. ║ Con valore collettivo, insieme dei componimenti satirici di un autore, di un periodo, di una letteratura: la s. latina. ║ Più astrattamente, il genere letterario: l'origine della s. è latina. ║ Per estens. - Discorso, scritto, spettacolo, atteggiamento che ha più o meno esplicitamente lo scopo di mettere in ridicolo ambienti, concezioni politiche, modi di vivere. ║ Fare la s. di qualcuno: rappresentarlo o descriverlo in modo da farne risaltare, in genere in forme caricaturali, i lati negativi. • Lett. - Il termine s. viene utilizzato, nel linguaggio comune, sia per indicare un particolare genere letterario di carattere polemico, parodistico, moralistico (comprendente forme letterarie quali brevi componimenti, poemi satirici, romanzi satirici, ecc.), sia per designare il caratteristico atteggiamento e il tono satirico che può caratterizzare generi letterari e artistici diversi. Tratti distintivi della s. sono considerati l'attenzione rivolta a temi di attualità e la varietà degli argomenti trattati, dalla riflessione politica, filosofica e morale alla polemica letteraria, al racconto di aneddoti. Prima ancora che esistesse la parola s. (coniata dai Latini), componimenti affini alle s. per caratteri e intenti si possono rintracciare nella produzione letteraria greca (le favole di Esopo, le commedie di Aristofane, ecc.). A Roma, in origine, la s. era uno spettacolo teatrale di provenienza etrusca che venne rappresentato per la prima volta nella capitale in occasione dei ludi scaenici del 364 a.C. Fu Ennio il primo che scrisse s. non teatrali in versi (non conservate), che si ispiravano alla poesia giambica greca, mescolando in esse riflessioni filosofiche, autobiografiche e favole. A Ennio fece seguito Lucilio (II sec. a.C.) che, spinto da forti interessi politici, incrementò considerevolmente la polemica e la foga moralistica del genere. A Lucilio si ispirò Persio (I sec. d.C.) che assunse le vesti di severo filosofo stoico, mentre Giovenale (secc. I-II) fece proprio un moralismo più pacato, specie nella s. dei costumi della Roma imperiale (restò celebre la sua s. contro le donne, che ebbe un lungo e fortunato seguito). I Sermones di Orazio, così chiamati per lo stile mediocre e colloquiale, si caratterizzarono per l'estrema varietà dei temi e l'analisi pungente dei difetti umani, condotta tuttavia con indulgenza e filtrata dalla saggezza dell'autore. A questi primi e illustri modelli si ispirarono in seguito Seneca il Giovane (I sec.), con la sua Apokolokyntosis o Ludus de morte Claudii, e pochi anni dopo Petronio, con il Satyricon, due opere ugualmente caratterizzate dall'alternanza di prosa e poesia. In epoca medioevale la s. assunse le forme più diverse (allegoria didattica, epistola, poemetto, profezia, lirica, narrativa) e poté essere suddivisa in due livelli distinti: un livello alto, che coinvolse il sistema generale delle idee e dei valori, e un livello basso, che indirizzò i suoi strali contro gli abitanti di determinate città e venne per questo denominata s. del villano. Tra le varie opere di questo periodo si distinsero: le cantigas d'escarnho e le cantigas de malzedir, di origine iberica; la tenzone in versi, che poneva a confronto voci e idee fra loro in contrasto; i fabbliaux francesi, brevi racconti in versi che analizzavano con tono aspro e mordace i costumi; i sirventesi, componimenti poetici provenzali di argomento politico; il ciclo narrativo francese del Roman de Renart (secc. XII-XIII), che trasfigurava la società del tempo in una favola satirico-allegorica di animali; i componimenti del francese Rutebeuf (XIII sec.), che colpivano senza pietà i vizi degli ecclesiastici; le poesie di Walter von der Volgeweide e dei rimatori toscani, primo fra tutti Guittone d'Arezzo, di argomento politico. In Italia, anche i tre grandi del Trecento si lasciarono sedurre dalla tradizione satirica: Dante (oltre a diversi passi dai toni satirici della Commedia, e in particolare dell'Inferno) scrisse una violenta tenzone in versi con Forese Donati; Petrarca si abbandonò alla polemica nelle Egloghe, nel Bucolicon carmen e in alcune epistole; Boccaccio, infine, fu celebre per il Corbaccio, una violenta s. misogina. La fortuna della s. continuò in epoca umanistico-rinascimentale, specie nel filone cosiddetto letterario, che si fondava sull'imitazione degli antichi e prendeva preferibilmente come oggetto aspetti vari del mondo culturale. Un esempio illustre furono le Epistulae obscurum virorum, con cui gli umanisti tedeschi rivolsero pungenti strali contro la cultura scolastica. Tra gli autori del XV sec. si distinsero A. Vinciguerra e N. Lelio Cosmico, che contribuirono ad affinare il genere dal punto di vista metrico; nel XVI sec., invece, prevalse il modello oraziano, ripreso da Ariosto e da numerosi autori minori, fra cui P. Nelli, E. Bentivoglio e C. Caporali. Di argomento politico sono poi le pasquinate romane che, inizialmente in latino colto, in seguito adottarono di preferenza il maccheronico, il volgare e infine il dialetto romanesco. Accanto a quello letterario, a poco a poco si andò affermando nella cultura umanistica un secondo filone satirico che, passando attraverso la polemica, sfociò poi nell'utopia come interpretazione del mondo. In particolare, ebbe fortuna il motivo della follia, elevato a punto di vista privilegiato con cui osservare la realtà: basti pensare alla Nave dei folli di S. Brant, all'Encomion Moriae di Erasmo da Rotterdam, all'Utopia di Tommaso Moro. Lo scontro religioso Riforma-Controriforma offrì uno spunto satirico a parecchi autori, quali U. von Hutten, T. Murner e H. Sachs in Germania, C. Marot, P. de Ronsard e P. Viret in Francia. Nel XVII sec. la s. ebbe un periodo di straordinaria fioritura, elevandosi a strumento privilegiato di analisi mondana e di polemica culturale. In Gran Bretagna si distinsero: J. Marston (The scourge of villanie) e B. Jonson, che inaugurarono un violento dibattito sul teatro; i poemi satirici filomonarchici di J. Dryden che si ispiravano al conflitto religioso-sociale innescato dalla guerra civile; le poesie antipuritane di J. Hall; il poema eroicomico Hudibras di S. Butler; la s. di costume di J. Wilmot, conte di Rochester. In Germania ebbero un ruolo di rilievo nella s. contro i costumi dell'epoca J. Laurenberg, J. Rachel e, principalmente, il predicatore Abraham a Sancta Clara con il racconto Judas der Ertzschelm. Nelle letterature del Sud dell'Europa l'invenzione fantastica predominò sull'invettiva, come pure l'ironia sul grottesco. Lo testimoniano in Francia le Satyres d'argomento letterario di N. Boileau, Les caractères di J. La Bruyère, le favole di J. La Fontaine, le commedie di Molière e le Lettres provinciales di B. Pascal. Per quanto riguarda la letteratura satirica spagnola si ricordano Los sueños di F. de Quevedo e il romanzo picaresco El diablo cojuelo di L. Vélez de Guevara. Con riferimento alla produzione italiana, vanno menzionati i Sermoni di G. Chiabrera, le s. di S. Rosa e B. Menzini, nonché le s. in latino di S.L. Sergadi, cui si deve anche un celebre capitolo in forma di dialogo dal titolo La conversazione delle donne di Roma. Nel XVIII sec. l'affermazione del Razionalismo illuministico, che fece della critica agli errori del passato la propria bandiera, contribuì al successo della s. che travalicò i confini del genere per diffondersi all'intero universo letterario. In Italia, dopo Il Giorno di G. Parini, senza dubbio l'esito satirico più alto, degni di nota furono i Sermoni di G. Gozzi e le Satire di V. Alfieri. In Francia, la s. registrò consensi non solo tra i maggiori intellettuali illuministi (Montesquieu con le Lettres persanes, D. Diderot con la Satire I sur les caractères, Voltaire con il Candide), ma anche fra i loro avversari (N.J.L. Gilbert con Le dix-huitième siècle, A. Piron con i suoi epigrammi contro Voltaire). In Gran Bretagna il massimo rappresentante del genere satirico in versi dell'epoca fu A. Pope con The raper of lock e The Dunciad, mentre per la satira in prosa si distinsero D. Defoe e J. Swift, entrambi fedeli alla forma del pamphlet. In Germania, infine, predominò un filone favolistico della s. (C. Furchtegott Gellert, J.L.W. Gleim); una menzione a parte merita anche la narrativa di C.M. Wieland che, soprattutto nel romanzo Die Abderiten, mosse un'aspra critica al provincialismo culturale tedesco. Nel XIX sec. si assistette a un'espansione del campo della s. che conquistò ai suoi principi forme non letterarie come il giornalismo, il disegno e il teatro, traendo spesso spunto da situazioni di attualità politica e di costume. In Germania, oltre a J.W. Goethe (cui vanno ascritte opere satiriche per il teatro), fecero ricorso alla s. i romantici (J.L. Tieck, C. Brentano e H. Heine) e gli avversari di questi ultimi (K.A. Platen), principalmente per illustrare la loro poetica. In Gran Bretagna, il giovane Byron compose pungenti versi satirici all'indirizzo dei suoi critici più severi (English bards and Scottish reviewers), mentre C. Dickens (Martin Chuzzlewit) e W.M. Thackeray (The book of snobs) si concentrarono su particolari abitudini della società inglese e nord-americana. In Francia, V. Hugo con le sue opere satiriche contro Napoleone III (Napoléon le petit, les chátements) contribuì a innalzare nuovamente il genere alle altezze della dimensione civile. In Italia, nella prima metà del XIX sec., accanto alla poesia dialettale di C. Porta e G. Belli e al moralismo scherzoso di G. Giusti, furono i testi dell'ultimo Leopardi (La ginestra, I nuovi credenti, Aspasia) a costituire gli esiti più alti della letteratura satirica; nella seconda metà del secolo, invece, si distinse il Carducci che, nell'opera Giambi ed epodi, condusse una pungente polemica contro il suo tempo. Nel XX sec., infine, la s. smarrì del tutto la propria fisionomia, rendendo sempre più labili i confini che la separavano dalla parodia e dalla libellistica e preferendo sempre più alla poesia la narrativa e il teatro. Nella narrativa, in particolare, ebbe grande successo il racconto fantastico (ad esempio, La fattoria degli animali di G. Orwell), mentre nel teatro si conquistarono un grande seguito autori come B. Brecht e F. Dürrenmatt, che svolsero una critica aspra e radicale della condizione storica ricorrendo all'apologo e alla tecnica dello straniamento. In Italia le personalità più significative del Novecento in campo satirico furono per lo più narratori, quali C.E. Gadda e V. Brancati.