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Sunna.

Voce araba: condotta abituale, tradizione. Il vocabolo, che esprimeva in senso generico il concetto di "consuetudine", venne utilizzato per indicare in senso specifico e per antonomasia il "comportamento di Maometto". Le parole e gli atti del Profeta in varie circostanze della sua esistenza, ma anche le sue omissioni, cioè la scelta di non agire o i silenzi, costituiscono infatti per il fedele dell'Islam non solo un modello da imitare ma una vera e propria regola di vita. Infatti, dal momento che Maometto era ispirato da Dio, la sua condotta quotidiana è da considerarsi come dotata di efficacia normativa per i musulmani sia in ambito religioso individuale sia in ambito giuridico. Fonte del diritto e del potere legittimo, infatti, sono il Corano (diretta rivelazione della parola di Allah), la S. (tradizione relativa a Maometto) e il consenso della comunità. Come la Parola di Allah è trasmessa per mezzo del Profeta, così la S. del Profeta è trasmessa per mezzo di testimoni che ne hanno visto e raccontato la condotta di vita. La S., che è la seconda fonte del diritto dopo il Corano, è costituita da un insieme di aneddoti (hadith), raccolti nella tradizione canonica, prodotto finale della trasmissione orale operata da una catena (isnad) di trasferenti (rawi) dei detti e degli atti del Profeta. La loro funzione è quella di rendere più chiara la volontà di Dio che non sempre il Corano esprime in modo sufficientemente esplicito per ogni questione. I requisiti necessari perché un hadit sia accettato come valido furono stabiliti nel IX sec. dal giurista al-Shafi: prima di allora esisteva una tradizione relativa alla S. del profeta, ma veniva intesa come norma in evoluzione; con al-Shafi, invece, agli hadith venne attribuita un'assoluta autorità, in quanto fonti di normativa vincolante per i fedeli. Ne discese la necessità di individuare con sicurezza quali dei racconti fossero genuini e quali invece spuri, perciò dotati solo di un valore edificante ma non normativo. Il criterio fondamentale per accettare un hadith come valido non consisteva in un'analisi critica del suo contenuto logico, quanto nell'esame e nella valutazione della sua catena di trasferenti, attraverso la quale si poteva far risalire il racconto dell'episodio fino al Profeta o ai suoi immediati seguaci, provando così la sua autenticità. Solo la possibilità di appurare la qualità della catena, l'affidabilità, la buona fede e il credito personale dei diversi trasferenti che la componevano permetteva di accettare un hadith. L'eventuale documentazione scritta non aveva alcun valore, il dato essenziale era costituito dal fatto che l'episodio fosse stato raccontato e ascoltato, coinvolgendo in questa tradizione orale figure di sicura fede. Questo immane lavoro si concluse durante il IX sec. con la compilazione della tradizione canonica, che raccoglieva in sei libri (al-kutub al-sitta) il corpus della S. di Maometto; essa risulta così costituita dai soli hadith "sani", isolati dalla massa dei cosiddetti "deboli" o spuri, che ebbero nell'Islam valore analogo a quello che assunsero nel Cristianesimo, dopo l'adozione dei quattro Vangeli canonici, i cosiddetti Vangeli apocrifi. La S., così stabilita, è accettata nell'Islam non solo dai sunniti, ma anche dagli sciiti, che però rivendicano il valore normativo anche della parola degli Imam, i discendenti di Maometto.