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Sumeri.

Antica popolazione, stanziata nella Mesopotamia meridionale (V. SUMER). Il termine S. è di origine moderna e venne coniato dall'assiriologo francese J. Oppert nel 1869, sulla base del termine accadico Sumer utilizzato nelle tavolette cuneiformi per indicare la basse valle dei due fiumi mesopotamici. Il nome con cui i S. chiamavano se stessi era invece Sag. gi (teste nere), motivo per cui si ritiene che appartenessero a un ceppo negroide. • St. - Popolazione sicuramente non autoctona, anche se la regione di provenienza non è stata ancora identificata, gli studiosi ritengono che i S. fossero già presenti in Sumer al principio del IV millennio a.C., dando vita alle culture di Eridu (V.) e al-Ubaid (4500-3500 a.C. circa), il cui elemento tipizzante è una ceramica grezza lavorata al tornio. Fin dagli albori della loro civiltà, i S. si presentarono in comunità frazionate, autonome e spesso in contesa tra loro per l'egemonia sulla regione. La divisione politica non impedì a questa popolazione di avviare quella che gli storici chiamano "rivoluzione urbana" e che ebbe, secondo le testimonianze archeologiche in nostro possesso, la sua prima realizzazione nel periodo protostorico di Uruk (3500-3000 a.C.), così chiamato dal nome della città economicamente più florida ed egemone sugli altri centri urbani vicini (Ur, Eridu, Umma, Lagash, Isin, Larsa, Nippur, Kish). Caratteristica di quest'epoca è anche la ceramica di Gemdèt Nasr (V.), attestata negli scavi di numerosi siti della bassa Mesopotamia. In Sumer durante il IV millennio a.C. furono introdotte innovazioni tecnologiche cruciali per la storia umana: l'aratro, presto perfezionato nel tipo a trazione animale, la ruota e la scrittura. Se i primi due ritrovati furono essenziali per lo sviluppo economico e sociale della civiltà urbana dei S. (V. OLTRE), la scrittura fu sicuramente esito delle necessità amministrative e di controllo di quello stesso sviluppo da parte dell'autorità centrale, cui competeva il calcolo della produzione agricola, la gestione della raccolta e del magazzino delle eccedenze alimentari e, infine, della loro redistribuzione. La crescente complessità di questi compiti portò al graduale sviluppo di un sistema di segni che ne facilitasse lo svolgimento, da cui a poco a poco si evolse la scrittura cuneiforme: il suo uso superò in un secondo momento le finalità meramente amministrative per dar vita alla più antica produzione letteraria dell'uomo (V. OLTRE). La documentazione epigrafica consente oggi una ricostruzione migliore della civiltà dei S. Gli studiosi fanno seguire alla fase protostorica la cosiddetta protodinastica, a sua volta distinta in più periodi, che abbracciano complessivamente gli anni tra il 3000 e il 2350 a.C. circa. Al primo periodo (2900-2750 a.C. circa) è associabile una documentazione assai scarsa: la Lista reale sumerica, che contiene gli elenchi delle maggiori dinastie reali sumeriche, riporta per quest'epoca (definita come quella precedente il diluvio) i nomi dei sovrani di alcune città (Eridu, Larak, Sippar), trascurando centri come Ur, Uruk, Lagash, la cui importanza si era forse ridotta. Il secondo periodo protodinastico (2750-2550 a.C. circa) è documentato da un maggior numero di fonti: in esse è citata, tra le altre, la I dinastia di Uruk, città ritornata egemone, e al suo interno il celebre re Gilgamesh, figura sicuramente storica, ancorché in seguito mitizzata (V. OLTRE). Il terzo periodo protodinastico (2550-2350 a.C. circa) si aprì con la supremazia regionale della I dinastia di Ur, benché fossero di una certa rilevanza anche le dinastie di Uruk e, soprattutto, di Lagash (particolarmente attivo fu il re Eannatum). L'intero protodinastico si caratterizzò, nei diversi centri, per la struttura politica della città-stato, fortemente centralizzata ma al cui interno spesso si scontravano due poteri paritetici: quello civile-militare del re e quello politico-religioso del tempio. Alla città di Lagash, in perenne lotta con la vicina Umma, subentrò nuovamente nell'egemonia Uruk, con il re Lugalzaggisi; durante il suo Regno, nel 2350 a.C. circa, ebbe fine la secolare indipendenza della civiltà sumerica, assoggettata dal semita Sargon di Accad e dai suoi successori per poco meno di due secoli. Quando la dinastia di Sargon, ormai indebolita, venne travolta dalle scorrerie dei Gutei, i centri sumerici ne approfittarono per ricostituire la propria autonomia. Per quanto riguarda il periodo cosiddetto neosumerico (2150-2000 a.C. circa), dopo un'iniziale preminenza di Uruk (IV dinastia), la vicenda meglio documentata è quella della città di Lagash, governata dalla II dinastia (il più celebre tra i "governatori di Lagash" fu Gudea, che le fonti ricordano come un sovrano pacificatore, che diede impulso ai commerci e allo sviluppo edile della città). Seguì una nuova fase egemonica di Uruk, il cui re Utu-Kheghal liberò la Mesopotamia, cacciando definitivamente dalle sue terre i Gutei. Tuttavia il momento della massima espansione dei S. coincise con la dominazione della III dinastia di Ur (2111-2000 a.C.), durante la quale le terre comprese tra l'Elam (l'attuale altopiano dell'Iran) e il Mediterraneo furono unificate; il primo sovrano e artefice di questa straordinaria espansione della civiltà sumerica, non più solo culturale ma anche politica, fu Ur-Nammu, che si attribuì per la prima volta il titolo "re di Sumer e di Accad". I suoi successori (in particolare suo figlio Shulgi che regnò per ben 48 anni), intrapresero ulteriori guerre di conquista verso le terre degli Elamiti a Est, opponendo nel contempo opere di fortificazione e difesa contro le scorrerie dei nomadi di stirpe semitica a Ovest. Al tempo dell'ultimo sovrano di Ur, Ibbi-Sin, l'instabilità politica in Mesopotamia era alta, a causa delle continue minacce di invasione sia da parte dei nomadi amorriti sia da parte elamita: infine Ur venne distrutta da questi ultimi e numerosi centri sumerici riconquistarono la loro autonomia dal potere centrale. La massiccia e vittoriosa penetrazione degli Amorrei in Sumer e in tutta la Mesopotamia segnò il definitivo passaggio, alla fine del III millennio, dalla supremazia politico-culturale dell'elemento sumerico a quella delle dinastie semitiche (V. anche MESOPOTAMIA e BABILONIA). Struttura politica ed economica: le condizioni ambientali che caratterizzavano la bassa valle di Tigri ed Eufrate quando vi si insediarono i S. furono determinanti nella successiva evoluzione delle loro società. Il clima subdesertico, con scarse precipitazioni, limitava a una stretta fascia lungo le sponde dei fiumi la terra fertile e coltivabile, per altro sempre minacciata dalle esondazioni dei due corsi d'acqua. Con gli insediamenti stabili di popolazioni neolitiche e poi dei S. si cominciò a realizzare, prima a livello di villaggio e solo in seguito su estensioni di terre più ampie, un'agricoltura irrigua che, mediante la costruzione di canali di scolo delle acque fluviali, rendeva più fertili zone prima aride. Già in età protostorica, la necessità di controllare il flusso delle acque, nonché di creare una vasta, razionale e capillare rete di canalizzazione favorì la nascita di una classe di potere centralizzata preposta a intere regioni, con funzione sia esecutiva sia di controllo dei lavori e della manutenzione. In un ambiente dove le forze naturali (acqua, fiume, vento, aria, ecc.) erano determinanti per la sopravvivenza dell'uomo e la buona riuscita del raccolto da cui dipendeva il suo sostentamento, tali forze venivano concepite come temibili divinità e gli uomini che ne consentivano il controllo e ne garantivano la benevolenza come uomini sacri, cioè sacerdoti. L'economia di questo periodo era a base pastorale e, soprattutto, agricola: rispetto alle unità ristrette e indipendenti della civiltà neolitica e calcolitica, però, la rendita del raccolto consentita dalla canalizzazione dei fiumi era, ad esempio per il cereale più diffuso cioè l'orzo, in un rapporto anche di 1:100. Si produceva perciò un'eccedenza alimentare tale da sostenere il mantenimento di una larga fetta di popolazione non direttamente produttrice, come carpentieri, artigiani, sacerdoti-amministratori, ecc. La terra apparteneva al dio e i suoi incaricati ne governavano lo sfruttamento in nome del dio stesso, cui era consacrata la città (per ogni città, una diversa divinità del pantheon sumerico) e per il quale veniva edificato il Tempio, vera e unica agenzia sia economica sia politica di quell'epoca. Nel periodo protostorico i S. (se pur divisi in diversi centri urbani) svilupparono una comune economia templare, un'organizzazione statale teocratica e una società fortemente ideologizzata: in nome del dio, infatti, la classe sacerdotale non solo operava un prelievo o in forma di decima sul raccolto o, più spesso, in forma di lavoro coatto (corvées) da svolgere nelle terre direttamente possedute dal Tempio, ma gestiva direttamente la redistribuzione delle eccedenze o come mantenimento dei lavoratori coatti o come bene intermedio per i commerci. Gli artigiani che lavoravano stabilmente per il Tempio, invece, venivano retribuiti mediante il diritto di usufrutto di lotti di terreno. Lo sviluppo economico, demografico e sociale delle città-stato e la rivalità per l'egemonia regionale tra i diversi centri comportarono un aggravio dei compiti organizzativi ed esecutivi, di modo che, in età protodinastica, il potere sacerdotale affidò parte di essi (e in primis quelli militari e di amministrazione della giustizia) a un sovrano, in origine sacerdote lui stesso o di famiglia sacerdotale. In epoca dinastica, questa sorta di diarchia subì un processo di laicizzazione, durante il quale il potere effettivo passò dal Tempio al Palazzo, che si era via via accreditato come agenzia economica e amministrativa di maggior importanza. In età storica la struttura statale, che spesso travalicava quella della città-stato e governava estensioni territoriali assai più vaste e comprensive di altre città sottomesse, e quella economica si fecero più complesse: accanto a una burocrazia statale di governatori preposti alle diverse regioni o città, sviluppatissimi apparati amministrativi controllavano e registravano le attività, i bilanci, i commerci, affinando sempre più a tal fine lo strumento della scrittura già utilizzato dall'economia templare e palatina. Accanto alla sempre maggioritaria produzione agricola, le attività economiche più rilevanti erano l'allevamento ovino, la tessitura di stoffe di lana, l'artigianato di metalli o di pietre dure. Questi ultimi, essendo la Mesopotamia priva di qualsiasi materia prima (compresa la pietra in genere, al punto che tutti gli edifici erano costruiti in mattoni di fango essiccati al sole), erano il frutto di un ramificato commercio, in cui l'intermedio poteva essere tanto l'argento quanto, assai più spesso, l'orzo o la lana grezza o tessuta. La giustizia già in epoca neosumerica era amministrata sulla base di codici scritti che prevedevano frequentemente la pena capitale, ma in cui era assente la pena del taglione; la donna era tutelata più che presso altri popoli antichi. Il codice di Ur-Nammu (III dinastia di Ur) fu forse il modello del successivo e più celebre codice di Hammurabi. • Rel. - La religione dei S., la cui comprensione è essenziale per valutarne la società in genere, presentava i caratteri tipici delle civiltà agricole complesse e a struttura specializzata: in quanto politeismo di impronta naturistica, riconosceva un elevato numero di divinità, tra loro in rapporto gerarchico e genealogico, che personificavano, pur senza una completa identificazione, gli elementi naturali. Gli dei erano concepiti come antropomorfi tanto esteriormente (nell'iconografia una tiara adorna di corni animali era l'unica distinzione rispetto ai comuni mortali) quanto nell'indole (condividevano la natura umana in tutto, ad eccezione della vulnerabilità e della mortalità: amori, litigi, paure, raggruppamenti familiari, ecc.). Ciò si evince dal patrimonio mitologico, i cui racconti erano anche il fondamento della concezione magico-analogica, per cui il passato mitico esercitava il proprio potere anche sul presente - si pensi ai miti cosmogonici (V. COSMOGONIA) - o, meglio ancora, era il fondamento ideologico dello stato presente: si pensi al mito secondo il quale gli esseri umani erano stati creati (da un impasto di argilla) per sostituire le divinità minori nel lavoro necessario a fornire il cibo alle divinità maggiori, rappresentazione questa che rispecchiava esattamente la struttura e la condizione produttiva della società sumerica. A questi elementi interni se ne aggiungevano altri esterni (classe sacerdotale gerarchicamente organizzata ed edifici di culto monumentali), mediante i quali l'impianto religioso esplicava tutta la sua valenza ideologica e di controllo sociale centrale. Si è già detto come il Tempio fungesse da agenzia economica e politica principale (almeno fino all'età storica, quando fu sostituito dal Palazzo, che peraltro utilizzò parimenti la religione come strumento e fondamento della propria autorità politico-militare): il prelievo forzoso di prodotti agricoli e lavoro, il sostanziale totalitarismo della città-stato sumerica poggiavano su un consenso popolare di tipo religioso. Ogni città era possesso della divinità: il sacerdote prima e il sovrano poi erano solo gli amministratori delle terre e del lavoro e in ciò agivano per conto del dio. Riguardo a questo è interessante notare come la relazione tra dei e città risultasse univoca e senza sovrapposizioni, distribuendosi le divinità maggiori tra le maggiori città dei S., quasi secondo una sapiente pianificazione. La divinità suprema, ma poco attiva, era An, dio del cielo, tutore dell'ordine naturale e capo nominale del consesso divino, venerato nella città di Uruk: il segno grafico del suo nome (una sorta di stella) diventò il simbolo stesso della nozione di divinità (dingir); Enlil, signore del vento e delle tempeste, dio atmosferico, era il vero depositario del potere decisionale e capo effettivo del pantheon (egli eleggeva i principi dei "quattro angoli della terra", nominandoli suoi "pastori") ed era venerato nella città di Nippur, che i S. ritenevano infatti la città santa per eccellenza; Enki era la divinità delle acque, in particolare delle acque dolci sotterranee e delle sorgenti (si ricordi l'importanza per la cultura sumerica dell'acqua dolce, contrapposta a quella salmastra che dal mare risaliva dalla zona paludosa del delta dei fiumi minacciando la bontà dei raccolti), dio della saggezza, delle arti e della magia, venerato nella città di Eridu. Accanto a questa triade cosmica, i S. prestavano culto a un'altra triade cosiddetta astrale: Nanna, la Luna, divinità maschile, personificazione degli aspetti logici connessi all'astro, come il computo del tempo o l'agrimensura, era venerato a Ur; Utu, il Sole, custode delle leggi e tutore della giustizia, aveva come simbolo un astro raggiante iscritto in un disco ed era venerato a Larsa; Inanna, signora del cielo, identificata con la stella Venere ma con caratteristiche prevalentemente lunari, dea della vegetazione e della fertilità, protettrice delle greggi, il suo simbolo era un fascio di canne palustri, le stesse che venivano utilizzate per costruire le porte degli ovili, ed era venerata con An ad Uruk. Ad Inanna si collegava Dumuzi, il suo divino amante, divinità minore con la quale ella celebrava le nozze sacre che assicuravano vita alla terra: secondo il mito, infatti, Dumuzi moriva ogni anno nel calore dell'estate ma la sua sposa Inanna, simbolo della vegetazione, lo seguiva agli Inferi e lo riportava sulla terra con il nuovo ciclo annuale. Lo hieròs gámos veniva celebrato tra il re-sacerdote e la sacerdotessa della dea, nella più importante e solenne cerimonia pubblica dopo quella per l'apertura del nuovo anno, per assicurare fertilità alla terra secondo la concezione magico-analogica sottesa alla religiosità sumerica. A livello privato e popolare il culto della fertilità veniva alimentato dall'istituto della prostituzione sacra, praticata all'interno dei templi delle dee. Il pantheon comprendeva altre divinità (Shara, il dio guerriero di Umma; Nergal, il dio dell'oltretomba venerato a Kutha con la sua paredra Ereshkigal, ecc.) e demoni (al cui potere malvagio si attribuiva, ad esempio, l'insorgere delle malattie). Il rapporto tra il fedele e la divinità, fatta salva la massiccia mediazione operata dalla classe sacerdotale, dai sacrifici pubblici eseguiti a nome della città e del suo popolo, e l'esistenza di tabù e obblighi religiosi volti a prevenire atti sacrileghi o trasgressivi, era di natura meramente esteriore e non fideistica. La preghiera consisteva essenzialmente in una richiesta al dio di benefici materiali e di protezione: a questo scopo i singoli deponevano nei templi statuine di oranti che, operando come sostituti del fedele al cospetto del dio, ne rappresentavano anche la preghiera ininterrotta e assicuravano la costante benevolenza divina. Rilevantissima, infine, era la pratica divinatoria, che poteva determinare anche le grandi scelte politiche delle città. Il pensiero escatologico, a quanto risulta dai documenti, non era molto sviluppato, pur rappresentando un oltretomba come triste "terra del non ritorno", priva di luce e di attività. • Ling. e Lett. - Le più antiche testimonianze in nostro possesso di una notazione grafica organica e coerente provengono dal IV livello stratigrafico della città di Uruk in Sumer e risalgono circa al 3200 a.C. È stata infatti la scrittura sumerica a stimolare la nascita, in realtà di poco posteriore, di quella protoelamitica e di quella egizia. I primi testi sumerici erano di natura prettamente contabile, registrazioni e conteggi di beni materiali (animali e cereali), basati su un complesso sistema numerico di tipo sessagesimale. In breve venne elaborato un metodo per rendere graficamente la lingua, mediante segni impressi con uno stilo di canna su una tavoletta di argilla fresca successivamente cotta in forni. Questa tecnica, poi tipica di tutta la Mesopotamia, determinò la tipologia della scrittura, che si stilizzò in cunei (donde il nome di cuneiforme) a causa del materiale utilizzato; inoltre le caratteristiche del supporto utilizzato hanno consentito la conservazione attraverso i secoli di un altissimo numero di tavolette negli archivi palatini e templari. Inizialmente la scrittura sumerica era di tipo pittografico, con circa 2.000 segni; essi vennero gradualmente schematizzati fino a costituire degli ideogrammi, in grado di designare tanto un oggetto quanto un concetto ad esso connesso (ad esempio, l'ideogramma a forma di stella indica sia il cielo, an, sia la divinità, dingir); infine, astraendo da quello semantico si arrivò ad attribuire un valore fonetico al segno (la stella cominciò a corrispondere semplicemente alla sillaba an) e, contestualmente, a ridurre il numero stesso dei segni utilizzati che, intorno al 2300 a.C., erano circa 600. Dal momento che la lingua dei S. contava per lo più parole monosillabiche o bisillabiche, la scrittura fu organizzata come sillabica, indicando ciascun segno non un singolo suono ma una sillaba. La serie consonantica comprende suoni dentali, labiali, velari, nasali, sibilanti e liquidi, le vocali a, e, i, u, oltre alle due semivocali. La lingua sumerica era di tipo agglutinante non flessivo, esprimeva cioè i rapporti logici non con coniugazioni o declinazioni, ma mediante l'uso di suffissi, prefissi e infissi. Infine, l'esistenza di numerosi omofoni ha fatto ipotizzare che essa, come ad esempio il cinese, conoscesse i toni. ║ La produzione letteraria sumerica in nostro possesso è abbondante e abbraccia numerosi generi letterari: racconti mitologici, poemi epici e storici, inni, e componimenti a carattere sapienziale. A dispetto di tanta abbondanza, tuttavia, non è possibile ricostruire una cronologia dei testi sufficientemente affidabile. Le redazioni che ci sono state tramandate mediante le tavolette, infatti, non sono mai contemporanee al momento della composizione delle opere, molto probabilmente frutto non solo di una tradizione orale ma anche di una scritta, benché per noi non disponibile. Gran parte dei testi ci è nota attraverso le copie tarde e in versione bilingue (sumerico e accadico) ritrovate negli scavi della biblioteca di Ninive, voluta dal re assiro Assurbanipal I (VII a.C.). Si ritiene, in generale, che la maggior parte delle redazioni a noi note risalga all'epoca neosumerica, anche se le composizioni vere e proprie potrebbero essere molto più antiche (ad esempio, il racconto di alcuni episodi mitici trova pieno riscontro nella loro rappresentazione su rilievi del principio del III millennio a.C.). I numerosi poemi mitologici avevano in primo luogo funzione eziologica, proponendo risposte alle domande sull'origine e la natura del mondo, dell'uomo ma anche delle cose (si pensi al poemetto Enki e la zappa, che narra la creazione di questo strumento, o ai testi che raccontano la creazione del grano e delle greggi). Questi poemi venivano recitati durante i riti, rendendo così nuovamente attuale l'evento remoto che ne era il soggetto. Moltissimi gli argomenti: la creazione degli uomini dall'argilla ad opera di Enki è narrata nel poema Enki e Nin-mah (ma una tradizione parallela affermava che gli uomini crebbero dalla terra come le piante!); l'origine della Luna era rappresentata nel poema La nascita di Nanna; la rivalità tra gli dei trovava esempio nel racconto Enki e Inanna; una rappresentazione del mondo infero veniva offerta nel poema La discesa di Inanna agli inferi, ricollegato al mito incentrato sulla figura di Dumuzi ed esplicativo del ciclico morire e rinascere della vegetazione (V. anche TAMMUZ); di argomento cosmologico (definito anche mito organizzativo) era il poema Enki e l'ordine del mondo, in cui il dio decretava il destino della terra di Sumer e ne stabiliva modi e attività; di particolare interesse infine, anche se il testo ci è pervenuto in modo frammentario, un racconto del diluvio che presenta ampie analogie con quello biblico: infatti quello sumerico fu la fonte del racconto del diluvio nei testi semiti, sia accadici sia ebraici (V. DILUVIO). Tra gli scritti a carattere epico e storico, miranti a documentare le origini della civiltà sumerica, merita la prima citazione la Lista reale sumerica che, elencando le dinastie di Sumer, risalì fino ai tempi antidiluviani; interessanti i poemetti relativi a singole città come il Lamento per la distruzione di Ur, composto dopo la sua devastazione ad opera degli Elamiti alla fine della III dinastia. Protagonisti delle composizioni epiche erano gli stessi sovrani già noti grazie alla Lista: vi si narravano, ad esempio, le imprese di Lugalbanda e di suo padre, sovrani di Uruk, nel corso di una serie di dispute con i popoli elamiti delle montagne. Il ciclo più famoso è però quello del re di Uruk Gilgamesh (figura storica ancorché mitizzata), di cui attualmente ci sono noti cinque episodi: la spedizione alla montagna dei cedri; la lotta contro il toro celeste scatenato da Inanna; la morte di Enkidu amico fraterno e compagno del re: la lotta contro Agga re di Kish; la morte di Gilgamesh. La tradizione sumerica concorse direttamente alla redazione babilonese del poema, più vasta e a noi meglio nota. Inni venivano composti in onore delle divinità, dei templi loro dedicati e, a partire dall'età neosumerica, ai re divinizzati: talvolta includevano anche una forma di preghiera. Ben documentata è la letteratura cosiddetta sapienziale, vale a dire un complesso di composizioni con finalità di ammonimento e insegnamento, come proverbi, favole e il particolare genere della "tenzone": esso metteva a confronto coppie di antagonisti, come i cereali e il bestiame, il contadino e il pastore, l'estate e l'inverno, ecc., che vantavano reciprocamente la propria superiorità sull'altro. Una figura esterna, di solito una divinità, decretava il vincitore. Di particolare interesse, infine, è il tema del "giusto sofferente", trattato in un poemetto che, ripreso dalla tradizione accadica e babilonese, passò attraverso queste all'Ebraismo, che ne trasse la figura esemplare di Giobbe.