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Subordinazionismo.

Teol. - Orientamento teologico della dottrina trinitaria che sostiene una subordinazione di dignità e potenza tra le tre persone della Trinità, pur nell'identità della sostanza e della natura divina. La difficoltà nell'elaborare una formulazione teologicamente adeguata a quanto il Nuovo Testamento affermava in merito ai rapporti tra Padre e Figlio e tra questi e lo Spirito (che si rifletteva anche nell'adozione di una pluralità di termini: persona, essenza, sostanza, ipostasi, ecc.), indusse gli apologisti, i teologi e i vescovi attivi prima del Concilio di Nicea (325) ad accentuare aspetti diversi del dato testamentario. Alcuni esaltarono a tal punto il momento dell'unità tra le persone divine, da cadere nell'eresia, negando addirittura la distinzione trinitaria e affermando l'identità di un'unica essenza divina, di cui Padre, Figlio e Spirito sarebbero solo tre modi di manifestazione, rispettivamente legislatore, redentore e santificatore (V. MONARCHIANISMO e MODALISMO). Sul finire del II sec. si affermò invece la tendenza detta poi S., sostenuta da vescovi e teologi desiderosi di reagire all'eterodossia dei monarchiani e di difendere le affermazioni bibliche sulla pluralità delle persone divine. Elementi di S. si ritrovano negli scritti di autori come Ireneo di Lione, Clemente Alessandrino, Origene, Ippolito e dello stesso Tertulliano, cui pure si deve il primo valido contributo in Occidente alla fissazione del lessico trinitario. Inizialmente non si trattò di una dottrina unitaria e compatta, ma di affermazioni non sistematiche; distinguendo tuttavia con forza tra le persone divine, si finì per cadere nell'eccesso opposto a quello combattuto, arrivando ad affermare che il Figlio, pur condividendo la natura divina del Padre, gli era però subordinato. Del resto, anche alcuni passi evangelici e dell'epistolario paolino potevano essere interpretati in tal senso (Giovanni 14, 28: "Il padre è più grande di me"; I Corinzi 15, 28: "Anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti"). È però significativo, soprattutto in riferimento ai successivi sviluppi eterodossi, che nella Patristica del III sec. solo Clemente di Alessandria e Origene interpretarono la subordinazione del Figlio come conseguenza necessaria di una natura inferiore a quella del Padre; nella maggior parte dei casi, tale subordinazione sembra risultare solo da una concettualizzazione teologicamente carente della funzione strumentale o meglio ministeriale del Figlio in riferimento ai misteri della Creazione e della Redenzione. Infatti, in particolare per quanto riguarda gli apologisti, quando dalla speculazione teologica si passa al momento della confessione di fede, essa risulta perfettamente ortodossa. Durante il IV sec., tuttavia, il S. fu accolto e portato alle estreme conseguenze eretiche nell'insegnamento di Ario (V. ARIO e ARIANESIMO): egli negò la divinità del Verbo incarnato, non consustanziale al Padre perché da Lui generato nel tempo. Il Figlio pertanto sarebbe inferiore al Padre, non sarebbe né divino né eterno, ma soltanto la prima e la suprema delle creature. Il Concilio di Nicea (325) e il simbolo redatto dai padri conciliari, unitamente alla vasta riflessione teologica condotta in particolare dai grandi autori della Cappadocia (tra cui Basilio, Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa), riuscirono infine a emendare questa deviazione eterodossa, conciliando la grande eredità veterotestamentaria dell'unità divina con la fede nella pluralità delle Sue persone, in tutto uguali e distinte (V. TRINITà).