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Stòria.

(dal latino historia, calco del greco historía: ricerca, indagine; derivati della radice indoeuropea con significato: vedere). Ordinato racconto di fatti ed eventi del passato, basato sulle risultanze di un'indagine volta ad appurarne il reale svolgimento, le cause, gli effetti e le eventuali connessioni che determinano uno sviluppo unitario. In questa accezione s. è talvolta contrapposta a cronaca, narrazione sì fattuale, ma in un'ottica meramente descrittiva, senza obiettivi di contestualizzazione, valutazione o spiegazione. ║ Il complesso stesso delle vicende umane che sono oggetto di indagine e poi di esposizione. ║ In senso lato, narrazione di fatti di ordine militare, politico, economico, sociale, ecc. Il termine è di norma delimitato mediante specificazioni: s. antica. ║ Descrizione di qualsiasi fatto o evento umano soggetto a evoluzione: s. della lingua. ║ Disciplina oggetto di insegnamento scolastico. ║ Con accezione generica, qualunque successione di eventi, anche su scala circoscritta o personale, oggetto di un racconto ordinato: la s. del quartiere. ║ Racconto di una vicenda, di una serie di avvenimenti, veri o immaginari: la s. di Biancaneve. ║ Questione, faccenda: si tratta di un'altra s. ║ Al plurale, problemi, complicazioni, sotterfugi: mi ha fatto un sacco di s.S. sacra: la narrazione contenuta nelle Sacre Scritture. ║ S. naturale: il gruppo di discipline che studiano i tre regni della natura (animale, vegetale e minerale) considerate nel loro insieme e secondo il loro aspetto descrittivo. ║ Padre della s.: locuzione riferita a Erodoto (V.), in quanto primo storiografo che intese la propria opera, secondo il valore etimologico del termine, nel senso della conduzione e dell'esposizione di un'indagine in merito a fatti. ║ Musa della s.: Clio, la prima delle nove Muse (V. MUSA). • Encicl. - Il termine s. ha in sé un'ambiguità originaria, dal momento che esso è utilizzato per indicare sia il racconto ragionato di una serie di eventi (e la disciplina scientifica che sovrintende tale attività) sia il complesso stesso di quei fatti e, nell'accezione più ampia, l'autocoscienza che la civiltà umana ha del proprio divenire. Attualmente però è prevalsa la consuetudine di recepire il primo gruppo di significati nel vocabolo storiografia (V.) e il secondo come effettivo contenuto del termine s., includendovi la valenza più propriamente filosofica, che collega il concetto alla domanda sul senso del divenire delle civiltà. La centralità del momento speculativo per quanto riguarda la ricerca storica (l'importanza cioè della metadomanda sulla s. che lo studioso si pone nel momento in cui indaga su di essa) risulta evidente, per contrasto, dalla convenzionale distinzione cronologica e disciplinare che si opera tra s. propriamente detta e preistoria, essendo quest'ultima definita non certo dall'assenza, nell'arco di tempo ad essa attribuita, di fatti ed eventi rilevanti per la specie umana, ma piuttosto per la mancanza di documenti ad essi relativi, per la mancanza cioè di un'attività di presa d'atto o di autoriflessione riferibile ai fatti medesimi. ║ Il concetto di s. nel pensiero occidentale: rifacendosi alla naturale circolarità del tempo stagionale, che annualmente ritornava sui propri passi, le filosofie classiche interpretarono le vicende umane secondo una concezione ciclica della loro scansione: la s. si configurava come l'eterno ritorno dell'identico, una ripetizione periodica e infinita che escludeva qualsiasi pretesa di novità. Questo modello includeva al suo interno l'interpretazione della s. come decadenza: ad esempio, la mitopoiesi di Esiodo sostanziava la visione circolare distinguendovi diverse età. Esse erano: quella dell'oro, in cui gli uomini vivevano come dèi; quelle dell'argento, del bronzo e degli eroi, che scandivano il progressivo declino, con la comparsa di fatica e malattia; quella degli uomini, al termine della quale l'universo fisico sarebbe stato distrutto per rinnovarsi e con esso la s. umana. L'idea del ciclo storico si tradusse, sul piano storiografico, in una lettura degli eventi come frutto del passato o come anticipazione del futuro: lo stesso Tucidide affermava che la sua opera aveva non solo lo scopo di chiarire il passato, ma anche di anticipare mediante quello i fatti che si sarebbero ripetuti in futuro in modo uguale. Solo Aristotele si distanziò in parte da tali intenti paradigmatici, affermando che lo storico doveva occuparsi degli individui e delle vicende da essi vissute nella loro individualità e particolarità, al contrario dell'arte che si occupa di tipi ideali e della filosofia che si occupa degli universali. ║ Già il pensiero veterotestamentario, che affermava da un lato la trascendenza di Dio e dall'altro il suo intervento nelle vicende del popolo di Israele, aveva evidenziato la profonda incompatibilità della fede in un Dio salvatore con l'idea del riproporsi ciclico di epoche ed eventi sempre uguali a se stessi. La tensione escatologica del Cristianesimo scalzò definitivamente la visione classica, sostituendo alla circolarità la linearità della s., scandita da momenti unici e irrepetibili che si situano tra i nodi cruciali della creazione, della redenzione e della fine del mondo. A ciò si aggiunse la nozione di provvidenzialità (V. PROVVIDENZA e PREDESTINAZIONE), secondo la quale Dio stesso realizza nelle vicende umane un disegno: la s. si configura perciò nella concezione cristiana come attuazione progressiva della volontà provvidenziale di Dio, che è fonte della qualità e dell'unicità delle epoche, dei popoli e delle civiltà. Ogni momento storico (secondo quanto per primo esplicitò Agostino) acquisisce il proprio significato dal fatto di essere parte di questo progetto in fieri, che rivela e incarna l'opera della provvidenza. Tale convinzione fu variamente ma costantemente interpretata nel corso di tutto il Medioevo; in particolare, nello stesso modo in cui aveva costituito il fondamento delle credenze millenariste (V. MILLENARISMO), fu posta alla base delle predicazioni apocalittiche dei movimenti ereticali (si pensi ai dolciniani) o dei grandi mistici come Gioachino da Fiore (V.) o Ubertino da Casale (V.). ║ Durante Umanesimo e Rinascimento, la nozione filosofica della s. subì un processo di laicizzazione: la successione degli eventi venne letta secondo la chiave interpretativa di leggi interne ad essi. Con l'Illuminismo, la fiducia nella ragione umana portò a concepire la s. come progresso: tale progresso tuttavia doveva essere pensato come problematico e non come necessario o inevitabile, dal momento che un progresso necessario avrebbe finito per coincidere nuovamente con una visione provvidenziale, in cui ogni momento storico sarebbe stato in sé perfetto perché indispensabile nella realizzazione dell'insieme finale. L'idea illuminista intese invece il progresso come l'avvicinamento in tappe discrete (di momento in momento) a un modello, una norma, un ideale di riferimento, riconosciuto nel pieno dispiegarsi della ragione nelle azioni e nella cultura dell'uomo. La s. non contemplava tuttavia la possibilità di uno stadio di perfetta realizzazione dell'ideale (come invece, ad esempio, era accaduto nel Rinascimento che aveva giudicato modello di perfezione l'età classica), poiché ciò avrebbe significato la fine del progresso e perciò della s.: quest'ultima veniva così a definirsi come il processo di continua riduzione dell'imperfezione. Le diverse epoche e civiltà cominciarono quindi a essere considerate come momenti unici e peculiari degni di analisi, in cui rintracciare i fattori di causa ed effetto che avevano comportato i successivi avanzamenti della s. umana. Di importanza capitale fu l'opera di Voltaire, che si valse di un metodo razionalistico nella disamina delle fonti e delle notizie, ampliando contestualmente la sua indagine sia in senso cronologico sia geografico, e rivendicò la plurilinearità della s. (fino ad allora basata sulle due sole tradizioni ebraica e classica) comprovando la rilevanza delle grandi civiltà orientali. ║ Particolarmente significativa fu la riflessione sviluppata da G.B. Vico, la cui Scienza nuova costituisce un momento fondante della moderna filosofia della s. A partire dalla tesi che il solo oggetto conoscibile in piena verità è quello che è stato creato dal soggetto che vuole conoscere, Vico affermò che la natura, in quanto creazione, poteva essere nota nella sua interezza solo a Dio, mentre la s. degli uomini, in quanto fatta da loro stessi, costituiva l'unico possibile e adeguato oggetto della conoscenza umana. Pur riproponendo in certo modo la nozione di ciclicità sotto la forma di un paradigma entro cui tutte le Nazioni e i popoli devono passare, il filosofo vi coniugò l'idea di progresso: le età che in epoca classica si succedevano in ordine di decadenza, furono disposte da Vico secondo il flusso di una naturale evoluzione, nel corso della quale gli uomini (che "prima sentono senza avvertire, poi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura") svilupparono prima una civiltà basata sul senso, poi sulla fantasia e infine sulla ragione. Che questo percorso dalla barbarie alla civiltà razionale si ripeta più volte nella s. è possibilità prevista dalla filosofia vichiana, ma non necessità intrinseca: i ricorsi storici si verificano infatti in quanto la civiltà e la razionalità sono conquiste precarie e non garantite ed esse, quando vadano perdute, devono essere riconquistate dai singoli popoli. ║ La concezione illuministica di progresso storico subì una caratterizzazione immanentista, che ne stabiliva la necessità e il finalismo. Tipica espressione di questa impostazione fu il sistema hegeliano, fondato sul presupposto della necessità dello sviluppo dello Spirito assoluto nelle istituzioni storiche. Anche B. Croce si pose sulla medesima linea, affermando che la s. consiste in uno sviluppo dal bene al meglio, in un processo necessario di realizzazione dello Spirito; quest'ultimo infatti e non l'uomo è, nel sistema crociano, il soggetto attivo della s. Per quanto riguarda infine il materialismo storico marxista (V. MARX, KARL), esso è ascrivibile a buon diritto al novero delle concezioni necessaristiche, dal momento che l'evoluzione dello scontro di classe verso una società di eguali è giudicato inevitabile.