(dal greco
strateghía: comando
dell'esercito; carica di stratego; arte militare). Nell'arte militare, la
tecnica di pianificare e coordinare le operazioni belliche al fine di conseguire
gli obiettivi generali e finali di una guerra utilizzando al meglio le risorse
disponibili:
s. offensiva. ║ Il particolare modo con cui i
comandanti militari pianificano e portano a compimento l'azione bellica dei loro
eserciti:
la s. napoleonica a Waterloo. ║ Per estens. - La tecnica
di individuare i modi e i mezzi più opportuni per conseguire gli
obiettivi generali in qualsiasi settore pubblico e privato:
s. di gara.
║ Nell'uso corrente, modo di agire, di procedere, accortamente diretto al
raggiungimento di un fine:
se vuoi conquistare quel ragazzo,
devi
cambiare s. • St. -
S. della tensione: nell'Italia degli anni
Settanta, disegno eversivo basato su una serie preordinata di atti terroristici,
allo scopo di destabilizzare l'ordine costituito e favorire l'avvento di un
regime autoritario. • Stat. - Nella teoria dei giochi e in applicazioni
statistiche, regola generale di condotta che stabilisce quali linee di azione si
debbano seguire per il conseguimento dell'obiettivo. • Encicl. -
Già presso gli Assiri erano noti e applicati i principi della
s.;
nella storia greco-antica, la vittoria della lega panellenica sull'esercito del
re persiano Serse si può far risalire all'accorta condotta di guerra
delle truppe di terra e alla
s. vivacemente offensiva posta in essere
dalla flotta greca. Un importante documento per la storia della
s.
è il discorso nel quale Pericle (in Tucidide) espone i criteri strategici
che Atene avrebbe dovuto seguire per sconfiggere Sparta. Il generale tebano
Epaminonda fu tra i maggiori innovatori della
s. nel mondo antico:
impresse razionalità all'azione bellica e superò la tradizione di
sospendere le operazioni nella stagione invernale. Con la dinastia macedone,
Filippo e soprattutto Alessandro, si affinò il metodo dei collegamenti
logistici, necessari a manovrare l'esercito entro territori vastissimi. Lo
straordinario successo militare dei Romani traeva origine, oltre che dalla
temibile forza d'urto degli eserciti ben addestrati e psicologicamente motivati,
da un'organizzazione del territorio che consentiva di condurre le campagne
belliche contando su una rete di punti d'appoggio e canali di approvvigionamento
per le truppe. Esemplare della
s. romana fu la conduzione della guerra
romano-cartaginese da parte di Scipione e Annibale, finalizzata alla ricerca del
grande scontro risolutivo, dopo una marcia di penetrazione fino all'interno dei
rispettivi Paesi. I Romani sfruttarono l'efficacia dell'azione combinata di
esercito e flotta; quest'ultima funzionò in talune occasioni da ponte per
il rifornimento dell'esercito stanziato in regioni povere di risorse. Giulio
Cesare, il più grande stratega dell'antichità latina, seppe
asservire la consolidata tradizione organizzativa romana al suo lungimirante
progetto politico. Anche le campagne augustee ebbero carattere nettamente
offensivo; si videro eserciti agire secondo un unico piano o un esercito
marciare con diverse colonne convergenti sullo stesso obiettivo. Dall'inizio
dell'età imperiale fino a tutto il III sec., la
s. romana si
trasformò, man mano che si esauriva la fase dell'espansione territoriale,
da offensiva a difensiva, concretizzandosi nella realizzazione di opere di
fortificazione lungo l'immane sviluppo dei confini dell'Impero. Con il
disgregamento di un potere politico forte e l'infiltrazione dei popoli barbari,
la
s. divenne sostanzialmente una
s. di logoramento, consistendo
soprattutto nell'occupazione e nel presidio dei punti dominanti aree di
passaggio obbligato; frequenti le operazioni di assedio, per lo più
inutili e limitate nel tempo per l'inadeguatezza dell'apparato bellico e per le
difficoltà di trasporto e vettovagliamento. Alla grande battaglia
risolutiva subentrò lo scontro tra un numero limitato di combattenti
(cavalieri armati di lancia), sovente in luoghi stabiliti in precedenza.
Tuttavia si possono ancora citare esempi di campagne improntate ad avanzati
concetti strategici di manovra, intesa a colpire il nemico nei suoi gangli
vitali; tra queste, le guerre gotiche dei generali bizantini Belisario e Narsete
e quelle dei re franchi contro Arabi, Longobardi e Sassoni. La
s. di
logoramento caratterizzò anche il periodo storico contrassegnato
dall'affermarsi delle municipalità e dalla formazione delle prime
Monarchie nazionali. Nonostante la visione politica fosse più lucida e
consapevole e fosse migliorata la disponibilità di uomini e mezzi, la
condotta bellica fu condizionata dall'impiego di truppe mercenarie, i cui
capitani tendevano ovviamente a limitare al massimo le perdite evitando gli
scontri risolutivi e cercando di logorare il nemico in attesa di una soluzione
politica del conflitto. L'età moderna della
s. è segnata
dal progresso tecnologico delle armi da fuoco e dall'impiego differenziato della
fanteria e della cavalleria leggera. Spiccano, in questo momento storico, le
capacità strategiche di alcuni condottieri, tra i quali H. de Turenne,
che tendeva a colpire le linee di comunicazione più che arrivare allo
scontro, e Federico II, la cui
s. militare fu in armonia con il complesso
svolgimento politico delle sue guerre. La Rivoluzione francese portò a
una visione nuova degli schemi bellici. Nella lotta contro l'assolutismo, la
Francia si avvalse di truppe formate da volontari e coscritti, comandate spesso
da generali improvvisati. Tuttavia, la scarsa professionalità
dell'esercito così formato fu compensata da una straordinaria carica
ideale che ebbe ragione delle forze avversarie. Al successo dei Francesi
contribuì una
s. nettamente offensiva, che li portava a combattere
sul territorio nemico, del quale sfruttavano le risorse vivendo di prede e
saccheggi, liberi dagli impacci logistici che invece gravavano sugli avversari,
resi così incapaci di reagire ai mutamenti di situazione con la dovuta
prontezza. L'eccezionale efficacia strategica di Napoleone Bonaparte fu dovuta
in primo luogo alla sua capacità di galvanizzare i combattenti e
instillare loro un sentimento di appartenenza e identità nazionale. A
ciò si aggiungeva la predisposizione di piani strategici offensivi
genialmente elaborati e condotti con estrema energia, che tendevano
all'annientamento dell'esercito nemico durante un'unica battaglia risolutiva; la
s. difensiva era solo un elemento di manovra per i fronti secondari o un
atteggiamento temporaneo per riprendere al più presto l'iniziativa delle
operazioni. Nell'Ottocento, l'obbligo della leva istituito dagli Stati nazionali
ebbe importanti conseguenze dal punto di vista sia politico sia operativo.
Intanto, i principi e i piani strategici furono maggiormente determinati e
condizionati dalle scelte governative e dall'ordinamento politico vigente. In
secondo luogo, poter disporre di un esercito nazionale articolato e
numericamente consistente complicò moltissimo la conduzione delle
campagne militari. L'allargamento dei fronti di guerra rese indispensabile la
creazione delle armate, unità strategiche i cui comandanti avevano un
ruolo di maggiore autonomia decisionale, sia pure nei limiti delle direttive
impartite dal comando supremo. La concezione tedesca, che si rifaceva da vicino
alla
s. offensiva napoleonica, si rivelò dapprima vincente e fu
presa a modello. Tuttavia, la difficoltà di manovrare gli enormi eserciti
moderni e l'avvento delle armi automatiche, che rendevano vulnerabili le
concentrazioni di forza, misero in crisi la
s. offensiva tradizionale. La
prima guerra mondiale fu guerra di trincea, con innumerevoli attacchi frontali,
regolarmente respinti dai difensori con terribili perdite per gli attaccanti.
Negli anni Venti e Trenta il progresso dell'aeronautica permise di colpire
obiettivi strategici nemici anche a grande distanza dal fronte, mentre a terra
il perfezionamento di un veicolo bellico come il carro armato offrì nuove
possibilità di manovra e, aumentando la potenza di fuoco, rese decisivo e
penetrante l'urto. Nella seconda guerra mondiale fu messo in pratica dai
belligeranti il principio della distruzione di tutte le energie avversarie.
Nell'attuazione della
s. di annientamento totale ebbe parte cospicua
l'aviazione, specialmente con il bombardamento strategico. L'immane potenziale
distruttivo delle armi nucleari causò un totale ripensamento delle basi
della
s. Nel secondo dopoguerra si affermò così il concetto
di deterrenza, per cui le armi nucleari dovevano servire per far recedere un
potenziale avversario dall'idea di un attacco. Quando agli Stati Uniti e ai loro
alleati fu chiaro che anche l'Unione Sovietica era diventata una potenza
nucleare, si instaurò il cosiddetto "equilibrio del terrore",
fondato sulla consapevolezza che, in caso di conflitto, l'uso delle armi
nucleari avrebbe condotto inevitabilmente alla mutua distruzione. Nel 1967 la
NATO adottò la
s. della risposta flessibile: a un attacco
sovietico si sarebbe risposto con armi nucleari in modo limitato, per farli
desistere e ristabilire la deterrenza. La fine della "guerra fredda"
condusse la NATO a ridurre ulteriormente il ruolo della
s. nucleare, che
dal 1991 è considerata praticabile solo in casi estremi. ║
S.
navale: volta al conseguimento del controllo del mare. Fin
dall'antichità il mare ha costituito una via di comunicazione di gran
lunga preferita a quella terrestre, più difficile e problematica. Quindi
il dominio del mare, almeno per un certo tempo e limitatamente a un'area
precisa, era lo scopo fondamentale delle operazioni navali. Esemplare fu la
s. navale posta in essere dai Greci nelle guerre contro i Persiani, e dai
Romani nelle guerre puniche. La scarsa autonomia delle navi a remi limitava la
possibilità di movimento strategico, che aumentò solo con il
progredire della tecnica a vela. Il periodo velico segnò probabilmente il
culmine della
s. navale pura, quando i grandi vascelli potevano
influenzare l'andamento delle guerre e assicurare al vincitore l'assoluto
dominio del mare. Nella guerra moderna la
s. navale pura ha ceduto il
passo alla
s.
marittima, che tende a impiegare in modo integrato
tutte le forze, navale, aerea e terrestre. ║
Grande s.: in tempo di
guerra, il più alto livello di pianificazione di operazioni belliche,
agli obiettivi delle quali vengono subordinate tutte le singole operazioni
strategiche e tattiche. Stabilisce il grado di interazione tra lo strumento
militare, l'azione politica e le attività economiche di uno Stato, al
fine di elaborare e realizzare i piani che conducano lo Stato a giocare un
determinato ruolo nello scenario internazionale. In passato ciò che
contava maggiormente per il conseguimento degli obiettivi della grande
s.
erano la quantità e la qualità delle forze armate, la presenza
dell'industria pesante, l'accesso alle materie prime; oggi sono diventati
rilevanti altri aspetti, come il grado di tecnologia delle comunicazioni, la
capacità di elaborare informazioni, ecc. ║
S. indiretta o
della manovra diversiva: effettuata portando all'avversario attacchi
diversivi, cioè tali da indurre le forze nemiche a sguarnire i punti su
cui effettivamente e di sorpresa verrà sferrato l'attacco principale.
Sono azioni di
s. indiretta anche quelle dirette a minare il sistema
offensivo e difensivo del nemico: per esempio, un'opera di disinformazione tesa
a indebolire il consenso dell'opinione pubblica, atti di terrorismo tendenti a
delegittimare il conflitto, ecc. • Econ. az. -
S. aziendale:
l'insieme delle scelte e delle azioni, coordinate e coerenti, operate
all'interno dell'azienda al fine di conseguire obiettivi che possono riguardare
risultati economici interni, risultati esterni riferiti al mercato in cui opera
l'azienda o risultati di carattere sociale. La
s. aziendale comporta
l'elaborazione di un piano definito in base agli obiettivi e alle
modalità di attuazione di tali obiettivi. Una volta intrapresa la
realizzazione del piano strategico, attraverso il controllo strategico viene
misurato lo scarto tra i risultati conseguiti e quelli previsti.
"La strategia globale" di Ettore Musco