Disciplina che sovrintende e regola,
secondo una propria metodologia scientifica, le attività di ricostruzione
e interpretazione di civiltà, epoche ed eventi passati, relativamente
alle loro dimensioni sociali, economiche, politiche e culturali in senso lato.
Oggetto della
s., si può dunque dire, è la storia
(V.). ║ Il complesso di opere di carattere
storico prodotte in un certo periodo di tempo, o in merito a un determinato
argomento, o secondo una comune metodologia:
s. del Risorgimento. •
Encicl. - Scopo della
s. è elaborare una narrazione ordinata,
coerente e il più possibile corrispondente al vero in merito a un passato
circoscritto in senso cronologico e geografico. L'opera storiografica si basa
sulla raccolta e interpretazione di fonti dirette e indirette, opportunamente
vagliate in ordine alla loro autenticità (se cioè una fonte
appartenga realmente, ad esempio, all'epoca e all'autore cui è stata
attribuita e se no a quale e a chi) e alla loro affidabilità (se
cioè le notizie contenute nella fonte siano veritiere o meno).
Benché infatti nel corso dei secoli il dibattito sulla metodologia
storiografica abbia riguardato una pluralità di metodi di indagine e
abbia assai ampliato le tipologie di fonti accettabili, è rimasta regola
sempre valida e imprescindibile la verifica di autenticità dei documenti.
La raccolta di questi ultimi ha comportato la crescita di un gruppo di
discipline (quali la paletnologia, l'archeologia, l'epigrafia, la numismatica,
la diplomatica, la paleografia, ecc.) note come "scienze ausiliarie"
della
s. Con ciò non si intende affermare, ovviamente, che esse
siano discipline prive di autonomia o di un oggetto di studio primario,
esclusivo e indipendente, ma piuttosto che i risultati raggiunti dalla loro
specifica indagine costituiscono per la
s. fonte di informazioni e dati
che aiutano la ricostruzione storica in senso lato. Con tali discipline,
inoltre, si sono aperti al lavoro dello storico una pluralità di campi di
grande interesse, come la storia del costume, la storia della cultura materiale,
la storia econometrica, la demografia storica, ecc.; grazie ad essi la
ricostruzione delle civiltà umane ha potuto emanciparsi dalla
monodirezionalità di una
s. interessata quasi esclusivamente alla
storia politica e militare delle Nazioni, favorendo invece una ricerca orientata
ad approfondire una pluralità di dimensioni e a redigere, se pur non
sempre con efficacia, una storia dei popoli e delle culture. ║ Una delle
principali acquisizioni della
s. moderna riguarda la concezione della
disciplina stessa come pluralistica, in quanto determinata da una
pluralità di oggetti, delimitati e delimitabili: è dunque corretto
affermare che la conoscenza di cui si occupa la
s. non è un
unicum senza soluzione di continuità, ma di volta in volta un
segmento, stabilito a priori, dell'indagine, entro una sequenza di eventi. I
principi storiografici a tutt'oggi basilari furono teorizzati a partire
dall'Umanesimo e dal Rinascimento, benché molti di essi fossero
già stati applicati anche in età classica. La conoscenza storica
è: 1)
prospettica, cioè riconosce il passato come distinto
e separato dal momento presente; la consapevolezza di tale irriducibile
alterità fu la principale conquista dell'Umanesimo, dal momento che
durante il Medioevo la prospettiva storica era ignota e i fatti più
remoti ed eterogenei venivano commisurati e assimilati alla
contemporaneità anziché essere considerati e compresi in relazione
al loro contesto temporale e geografico; 2)
individuante, poiché
identifica di volta in volta un evento come unico e irrepetibile. Valenza
individuante hanno anche gli strumenti storiografici: le coordinate
spazio-temporali, le fonti, che ineriscono a quello e a quel solo fatto, la
stessa scelta dello studioso, che indagando un oggetto preciso lo individua,
appunto, nella sua singolarità; 3)
selettiva, cioè tende a
scegliere ciò che, nella congerie degli eventi passati, assume valore
significante in ordine a un
focus di ricerca, a un'ipotesi storiografica;
4) diretta alla spiegazione
condizionale e non
causale, alla
ricostruzione cioè non delle relazioni deterministiche di causa-effetto
(la cui valenza storica sarebbe di difficile dimostrazione) ma piuttosto delle
condizioni generali che hanno catalizzato l'evento. La rinuncia a uno schema
causale (per il quale data una certa premessa doveva necessariamente seguire
quel particolare evento oggetto di indagine) comporta l'impegno, da parte dello
storico, di descrivere anche le cosiddette "probabilità
retrospettive", cioè il corso che gli eventi avrebbero potuto
prendere in alternativa, date le medesime e determinate condizioni. ║
S. antica: la
s. occidentale nacque nell'alveo culturale greco,
così come il termine ad essa connesso:
historía,
cioè indagine, osservazione. Nella fase più arcaica della
civiltà greca, il passato era concepito solo all'interno del condiviso
patrimonio mitologico, in cui vicende umane e divine venivano tessute insieme in
risposta a un soverchiante bisogno eziologico: il passato ricostruito in forma
mitica aveva come sua funzione precipua la spiegazione del presente, di cui
doveva da un lato fornire le cause, dall'altro garantire l'accettabilità
(V. MITO). I poemi omerici e le opere di Esiodo
costituirono la massima espressione di questa tradizione orale e poetica. A
partire dal VI sec. a.C. circa, nella Ionia (cioè nelle città
greche d'Asia Minore) si delineò una nuova coscienza culturale, per la
quale il passato mitico diventava opinabile, o meglio soggetto a critica,
cioè al giudizio personale secondo ragione. Ciò ovviamente non
poteva ancora comportare una negazione del mito in quanto tale, tuttavia
consentì di proporre modifiche, rettifiche e interpretazioni del mito
stesso che superassero o risolvessero contraddizioni e divergenze sia interne al
sistema sia emerse dal raffronto con il mondo attuale. Scaturirono da questo
processo da un lato le prime speculazioni filosofiche (V.
PRESOCRATICI) dall'altro l'attività dei primi logografi
(V.), tra cui Ecateo di Mileto. Ad essi si deve in
certo modo la nascita della
s.: le loro opere ebbero carattere
periegetico (V. PERIEGESI), ma realizzarono
attraverso l'indagine dei fenomeni naturali, dei costumi e delle condizioni
materiali di vita dei popoli limitrofi, una vera produzione storiografica (in
prosa!), il cui carattere precipuo è il vaglio critico delle informazioni
raccolte. Dal medesimo
milieu culturale emerse nel V sec. a.C. l'opera di
Erodoto (V.) di Alicarnasso, che mise a frutto
l'esperienza dei logografi (Erodoto stesso cita tra le sue fonti Ecateo), ma la
rese assai più incisiva con il piegarla all'esigenza di descrivere e
rendere ragione di un fatto sentito come preminente su tutti gli altri: le
guerre persiane (V. PERSIANO). Individuando in
questo conflitto il nucleo aggregante della sua opera, organizzò con
mentalità storiografica tutte le osservazioni geografiche e sui costumi e
le credenze dei popoli allo scopo di spiegare l'insorgere della guerra entro
un'ipotesi interpretativa più ampia, l'antagonismo tra Greci e barbari.
Pur non restando esente talvolta da credulità e dalla contraddizione di
riconoscere il ruolo del Fato (
týche) nella storia, Erodoto
produsse la prima opera storiografica intesa come ricostruzione e
interpretazione di fatti. Il secondo grande esponente della
s. greca fu
Tucidide (V.), che si misurò con la crisi
del mondo ellenico del V sec. a.C., esplosa nella guerra del Peloponneso ma di
cui lo storico si avventurò a rintracciare le cause nei 50 anni
precedenti. Tucidide si mostrò un maestro della nuova disciplina non solo
per l'intuizione che lo mosse a riconoscere la rilevanza degli eventi di cui era
protagonista o diretto testimone - elemento questo di grande importanza
nell'opera sua come in quella erodotea, l'essere tanto vicino ai fatti narrati
(Tucidide addirittura contemporaneo!) da poter controllare personalmente
l'autenticità delle fonti e testimonianze -, ma anche per l'acume
interpretativo, il rigore documentario, la trasparenza ideologica delle
valutazioni. Durante il IV sec. a.C. operarono i suoi continuatori, sui quali
l'influenza tucididea operò con due importanti fattori: l'eliminazione di
ogni residuo etnografico (e anche periegetico, fatte salve le informazioni
geografiche necessarie alla comprensione degli eventi) e la predilezione per gli
eventi contemporanei o di poco anteriori (quanto più prossima all'autore
è la data di un fatto, quanto più spazio quest'ultimo occupa nella
trattazione). In particolare ricordiamo Senofonte
(V.), che con le
Elleniche proseguì
il racconto di Tucidide secondo un impianto annalistico, dal 411 al 362 a.C.,
cioè dalla fine dell'egemonia ateniese alla battaglia di Mantinea; Eforo
(V. EFORO DI CUMA), che nelle sue
Storie si
occupò non solo della storia greca ma anche di quella degli altri popoli
conosciuti, orientamento, questo, che ben si accordava con la fine dell'egemonia
delle
póleis; infine Teopompo (V.),
che si interessò solo di eventi contemporanei e a cui dobbiamo il primo
esempio di ricostruzione storica (le
Filippiche) incentrata su una sola
figura presentata come l'unico elemento determinante il corso degli eventi. Le
imprese fuori dal comune compiute da Alessandro Magno fornirono materia per la
nascita da un lato del genere biografico, dall'altro delle narrazioni miste di
realtà e immaginario, dove l'elemento fantastico e l'esotico tendono a
confondersi e a compenetrare i dati oggettivi fino a renderli indistinguibili.
L'incontro tra grecità e mondo romano impresse una svolta importante alla
tradizione storiografica greca, che acquisì carattere ecumenico (nel
senso etimologico di ciò che concerne le terre abitate dall'uomo). Al
termine del III sec. a.C., infatti, si costituì una
s. romana in
lingua greca, che aveva come propri destinatari le classi colte del mondo
ellenico, cui si voleva offrire una chiave di volta per la comprensione della
potenza di Roma. Si trattava di una produzione di matrice senatoria e a
carattere tutto politico, finalizzata alle esigenze di legittimazione egemonica
e culturale della Repubblica. Il materiale veniva diviso e narrato anno per
anno, secondo la struttura schiettamente romana degli
Annales maximi
compilati dal collegio pontificale (V.
PONTEFICE), ma si ricollegava apertamente, per la lingua usata e per i
continui riferimenti, alla
s. greca. I primi storiografi romani si
dissero perciò
annalisti; una prima generazione (Fabio Pittore,
Cincio Lucio Alimento) si concentrò sul problema delle origini, mentre
una seconda, successiva alla profonda crisi dell'età dei Gracchi, fu
più attenta alle vicende contemporanee, spesso interpretate secondo
esigenze di immediata propaganda politica (Licinio Macro, Valerio Anziate).
Posizione originale, rispetto al metodo annalistico, fu quella di Catone
(V. CATONE, MARCO PORCIO) che ne rifiutava
l'impostazione, polemizzando anche con la funzione celebrativa che le opere
svolgevano nei confronti delle
gentes di appartenenza degli autori.
Inoltre il Censore, marcatamente avverso alla moda ellenizzante, fu il primo
storico romano a scrivere in latino. Nella sua lingua madre, il greco, scrisse
invece Polibio (V.), la cui
Storia
rappresenta il più felice esito dell'incontro tra cultura ellenica ed
egemonia romana. Influenzato da Tucidide, pose al centro della sua narrazione
(dalle guerre puniche a quelle macedoniche, terminando nel 146 a.C., anno della
distruzione di Corinto) la nascita della potenza romana, interrogandosi su come
in così breve tempo Roma avesse potuto trasformarsi in una forza
politico-militare egemone e in grado di unificare l'ecumene. Giustificando tale
espansione secondo canoni interpretativi greci, Polibio stabilì i
presupposti per la profonda assimilazione tra il mondo ellenico e quello latino
che caratterizzò tutta l'età della tarda Repubblica e l'Impero.
Durante il I sec. a.C. Posidonio (V.)
continuò l'opera di Polibio con le sue
Storie (146-86 a.C.), come
fece in età augustea Strabone (V.); Diodoro
Siculo (V.) nella sua
Biblioteca si
basò su tutti questi predecessori e, infine, Dionigi di Alicarnasso
(V.) compose quello che è per noi il
più valido complemento all'opera di Livio, la
Storia antica di
Roma, più nota come
Antichità romane. Nei libri che ci
sono pervenuti (dieci di venti) sono narrati i principali avvenimenti della
storia romana dalle origini al 264 a.C.; essi hanno per noi valore di fonte
storiografica grazie alle numerose e ricche citazioni tratte dall'annalistica e
dalla legislazione romana antica, di cui spesso non resta altra testimonianza.
La crisi politico-culturale che Roma visse a partire dall'età dei Gracchi
determinò anche la nascita di generi letterari quali l'autobiografia e la
memorialistica, favorite dalla personalizzazione dello scontro politico. C.
Gracco, ad esempio, o Silla lasciarono scritti memoriali e di difesa della
propria vita pubblica e gli stessi
Commentarii di Cesare (
De bello
gallico e
De bello civili) non sono che la versione cesariana degli
eventi narrati, talvolta a scopo di giustificazione politica. Di particolare
rilievo fu l'opera di Sallustio (V.), che
interruppe con successo il modulo sempre dominante dell'annalistica e compose
due grandi monografie:
De coniuratione Catilinae e
Bellum
Iugurthinum, rispettivamente dedicate agli avvenimenti del 63 a.C., anno del
consolato di Cicerone e del colpo di Stato tentato dall'aristocratico Catilina,
e al conflitto che oppose Roma al re di Numidia tra il 111 e il 105 a.C. In
esse, come nelle più impegnative
Storie di cui purtroppo restano
solo pochi frammenti, Sallustio seppe individuare e descrivere, con evidente
malinconia, le cause della crisi repubblicana, indicandole nella degenerazione
della vita pubblica e del costume privato della classe dirigente; il modello
umano negativo è individuato in Catilina, mentre quello positivo nel
popolare Mario. La medesima tensione morale, lo stesso rimpianto per la fine
delle virtù repubblicane e la riprovazione per i guasti operati dalle
guerre civili ricorrono in Livio (V. LIVIO, TITO),
che fu non solo interprete dell'età di passaggio verso la Roma imperiale,
ma rappresentò anche il culmine della tradizione annalistica. La
s. romana aveva forti radici repubblicane e si confrontò
polemicamente con gli eventi che condussero alla nascita e al consolidamento del
Principato (età di Augusto e di Tiberio). L'eco delle rivendicazioni
dell'aristocrazia repubblicana si coglie ancora nell'opera di Tacito
(V. TACITO, PUBLIO CORNELIO) che, nelle sue
Historiae e negli
Annales, indagò
le ragioni della
decadenza di Roma. Egli assunse l'esistenza del principato come un male ormai
necessario, ma adottò come criterio di giudizio sull'operato dei singoli
imperatori la rispettiva disponibilità e capacità di mantenere
l'equilibrio tra prerogative imperiali e tradizione senatoria (vestigia della
storia repubblicana) che forse il solo Augusto fu in grado di realizzare. Il
racconto storiografico fu per Tacito l'occasione per considerare e comprendere
la natura del potere e i meccanismi della sua degenerazione assolutistica in
tirannia. La centralità attribuita da Tacito, nella dinamica storica,
agli imperatori, fu ulteriormente esasperata nella produzione a lui successiva,
che fu essenzialmente biografica: si pensi alle
Vite dei Cesari di
Svetonio (V. SVETONIO TRANQUILLO, CAIO) o alle
Vite parallele del greco Plutarco (V.) o
ancora alla più tarda
Historia Augusta di Mario Massimo. ║
La s. nel tardo Impero e nel Medioevo: il Cristianesimo introdusse in
ambito storiografico innovazioni di grande portata, che ne condizionarono
l'attività fino all'età moderna. Trascurando la
s.
politica, che rimase inizialmente appannaggio dei pagani, i cristiani si
dedicarono a quella religiosa ed ecclesiastica: ricordiamo il genere delle
Cronache (in particolare quelle di san Gerolamo), che fondavano una
cronologia su base biblica, o le
Vite dei santi, in certo senso opposte
alle biografie classiche. La
s. pagana produsse nei secoli della tarda
antichità essenzialmente epitomi (Eutropio, Aurelio Vittore, ecc.), che
avevano lo scopo di fornire una rapida conoscenza della storia antica a una
classe dirigente che ne era sempre più digiuna. La
s. cristiana si
confrontò con quella pagana solo a partire da sant'Agostino, che
introdusse il principio dell'universalismo religioso-provvidenzialistico: da un
lato ci fu la sua
De civitate dei o le
Historiae adversus
paganos del suo discepolo Orosio, dall'altro le opere, soprattutto di
Greci come Eunapio e Zosimo, fortemente anticristiane. Meno polemica e
più moraleggiante fu infine la
Storia di Ammiano Marcellino, che
ripropose l'antica contrapposizione tra la decadenza dei tempi attuali e il
glorioso passato dell'Impero, senza peraltro intuire veramente le nuove forze in
azione: il Cristianesimo e le invasioni barbariche. La
s. medioevale
sviluppò il filone del provvidenzialismo agostiniano; la forza
dell'attesa escatologica depresse la prospettiva storica e semplificò la
vicenda dell'uomo in sei età modellate sullo schema dei sei giorni della
creazione. La storia passata fu spesso ridotta a raccolta di
exempla
allegorici, ma talvolta, rispondendo a curiosità e necessità
circoscritte, furono composte delle storie locali, come quelle di Gregorio di
Tours (sul popolo dei Franchi) o di Beda il Venerabile (sugli Angli) o di
Isidoro di Siviglia (sui Goti e i Vandali) o di Paolo Diacono (sui Longobardi).
Nei monasteri o nelle curie dei sovrani si perpetuò la forma degli
Annales, come annotazioni dei fatti più importanti. A partire dai
secc. X-XI, con la nascita dell'Impero carolingio prima, e sassone poi, si
delineò l'orientamento storiografico che ne affermò la natura
provvidenziale; in seguito, la lotta per le investiture venne interpretata come
lotta tra
civitas dei e
civitas diaboli (si pensi, ad esempio, al
Chronicon di Ottone di Frisinga). Nel Basso Medioevo si svilupparono
invece le cronache cittadine, che mostrano in controluce la nascita dei nuovi
ideali comunali e le vicende municipali e, via via, signorili. Con la decadenza
della civiltà comunale, decadde anche questo tipo di
s.
cronologicamente e geograficamente delimitata, sostituita da opere nate alle
corti dei nuovi principi e con intenti più panegiristici. Durante i secc.
XIV-XV, si affermò anche in ambito storiografico l'uso del volgare: valga
per tutti gli esempi dei fiorentini D. Compagni e G. Villani. ║
Umanesimo e Rinascimento: si ebbe la ripresa di un atteggiamento laico
anche nei confronti della storia. Un orientamento secolare si affermò
compiutamente nelle
opere di N. Machiavelli (V.
MACHIAVELLI, NICCOLÒ) e F. Guicciardini (V.
GUICCIARDINI, FRANCESCO), che differirono tra loro nel piegare il primo
la storia alla politica, il secondo nel considerare questa come conoscenza
primaria e autonoma. Al centro della ricerca storiografica sta l'uomo, di cui si
indaga la natura e il comportamento nella ciclicità delle fasi di
progresso e di decadenza; la conoscenza storica rivela nella grande
s.
fiorentina il suo valore pedagogico quale insegnamento per l'azione. In seguito
l'interesse storiografico si spostò dalla dimensione regionale a quella
nazionale, in ciò favorito dal tramonto dell'unità cristiana in
Occidente dopo la Riforma (significata da opere quali la
Centurie di
Magdeburgo del luterano Flavio Illirico
o gli
Annales
ecclesiastici di C. Baronio). Durante il Seicento anche la
s.
mostrò le diffuse preoccupazioni moralistiche e religiose: la sola opera
di valore indiscusso è l'
Istoria del Concilio tridentino di P.
Sarpi (V. SARPI, PAOLO). ║
La s.
illuminista: le scoperte geografiche, il riconoscimento di una bontà
naturale anche esterna alla tradizione cristiana e le nuove conoscenze
documentarie sia scientifiche sia storiche, che minavano l'assolutismo culturale
cattolico, esercitarono la loro influenza anche in campo storiografico.
Già L.A. Muratori (V. MURATORI, LUDOVICO
ANTONIO) aveva costruito la sua opera sulla base di una metodologia
scientifica nello studio dell'antichità, attraverso un'attenta e paziente
analisi delle fonti, rifiutando ogni sintesi incerta e frettolosa e basandosi su
un accorto studio filologico. Nella prima metà del Settecento si
affermò la visione della
s. come momento di oggettivizzazione
della storia medesima, basata sulla raccolta e sullo studio dei documenti. Nella
seconda metà del secolo, invece, ebbe fortuna un orientamento
pluridimensionale, che, con Voltaire, ruppe con la tradizione annalistica e si
occupò non tanto di fatti, quanto di economia, costume, società,
ecc. Il passato non fu più considerato come una sorta di età
dell'oro, ma come un momento di passaggio lungo un cammino di progresso. In
questa stessa ottica si pose la grande
s. inglese - D. Hume
(V. HUME, DAVID) in primo luogo - e tedesca.
║
La s. dall'Ottocento ai giorni nostri: all'impostazione
illuminista e razionalista reagì il Romanticismo, che contrappose al
cosmopolitismo settecentesco l'Idealismo di matrice nazionale. Lo spirito
peculiare animante la storia di ciascun popolo divenne la chiave interpretativa
del corso degli eventi di una Nazione. In Germania la
s. fu grandemente
influenzata dall'Idealismo hegeliano ed ebbe come suo oggetto privilegiato le
civiltà macedone ed ellenistica. La
s. francese si
concentrò invece sul problema delle origini dei Franchi e sulla storia
patria recente: lo storico più rappresentativo del periodo può
forse essere riconosciuto in A. de Tocqueville (V.
TOCQUEVILLE, ALEXIS DE). In Italia, il Risorgimento esaltò la
finalità pratica e di immediata attualizzazione degli studi storici, poi
sopravanzata con l'avvento del Positivismo, quando ebbe maggior successo la
scuola economico-giuridica. Infatti, l'Ottocento non vide solo lo sviluppo della
s. in quanto indagine rigorosa per la ricostruzione di avvenimenti
determinati, ma produsse anche una decisiva riflessione teorica sulla natura e
sui metodi della
s., opera compiuta principalmente da Hegel
(V. HEGEL, GEORG WILHELM FRIEDRICH) e da K. Marx
(V. MARX, KARL). Al materialismo
(V.) storico si oppose, nel Novecento, B. Croce
(V. CROCE, BENEDETTO), che ripropose una
concezione etico-politica della
s., che attribuiva preminenza alle
ideologie, ai valori-guida dello spirito di un popolo, all'evoluzione politica,
diplomatica e militare degli Stati, svalutando le dimensioni dei fattori
economici e dei rapporti di classe, invece determinati nella visione
materialista. Oltre all'Idealismo crociano, un'altra importante corrente che si
oppose alla
s. marxista fu il Neostoricismo tedesco, di cui massimi
esponenti furono M. Weber (V. WEBER, MAX) ed E.
Troeltsch (V. TROELTSCH, ERNST), caratterizzati da
un forte interesse sociologico. In Italia ebbe particolare valore l'opera di A.
Gramsci (V. GRAMSCI, ANTONIO) che, in alternativa
all'egemonia e alla scuola crociana, costituì il punto di riferimento per
le nuove generazioni di storici formatesi dopo la seconda guerra mondiale. Una
notevole importanza ha rivestito, specialmente in Francia, l'indirizzo
strutturalista (V. STRUTTURALISMO), sviluppatosi
secondo la metodologia già propria delle scienze antropologiche e
rispetto al quale è attualmente in atto, parallelamente alla sempre viva
discussione sul materialismo storico, il più vivace dibattito tra i
cultori della disciplina.