L'ETÀ DI OTTAVIANO
Rientrato a Roma,
Ottaviano, dovette affrontare la difficile crisi sociale che stava imperversando
su tutta la penisola. Le guerre civili e i ripetuti scontri con le popolazioni
straniere avevano impoverito la plebe, reso critica la situazione delle
province, sottoposte ad oneri sempre più pesanti, ed accentuato la
diversità di interessi delle varie classi sociali. Il compito di
Ottaviano non era quindi semplice e richiedeva una restaurazione del potere
centrale; a questo proposito egli poté approfittare del momento per
instaurare un regime guidato da un solo cittadino. Il popolo, i cavalieri e i
senatori, stanchi di guerra e desiderosi di un lungo periodo di calma, si
dimostrarono ormai disposti ad accettare un regime monarchico capace, nella
persona di un unico principe, di riorganizzare lo Stato in modo efficiente, di
conciliare i differenti interessi, di rielaborare i privilegi e i principi
giuridico-economici e di creare un sistema amministrativo veramente efficace ed
adatto alla nuova estensione dello Stato.
Ottaviano, pur rispettando le
strutture esteriori della repubblica e riconoscendo la validità del
Senato, ebbe così la possibilità di divenire il detentore di tutti
i poteri. Come console, ininterrottamente dal 31 al 23 a.C., esercitava il
potere esecutivo; come proconsole presiedeva al governo di tutte le province;
come tribuno della plebe godeva dell'inviolabilità, del diritto di veto
su tutte le deliberazioni dei pubblici poteri e della facoltà di
convocare il popolo e di proporre le leggi; come imperatore era il comandante in
capo di tutte le forze armate; come principe, cioè primo fra tutti i
cittadini, rappresentava lo Stato nelle relazioni internazionali; ed infine come
pontefice massimo vigilava sul culto. Non vi fu quindi un passaggio netto da
repubblica a monarchia, ma un lento processo evolutivo ed Ottaviano, in ogni
caso, era considerato come un semplice magistrato. La repubblica, che aveva
portato solo lotte, contrasti e tensione politica, scomparì
progressivamente, a mano a mano che la popolarità di Ottaviano
aumentava.
Le sue riforme gli valsero il titolo di Restauratore dell'Ordine
e della Pace ed egli conobbe il massimo momento di gloria nel gennaio del 27
a.C.. In quell'occasione, mentre Ottaviano presentava le dimissioni da tutte le
cariche e assegnava il governo di Roma in mano al Senato e a i suoi cittadini,
tutti i magistrati lo supplicarono di mantenere la guida dello Stato e gli
conferirono il titolo di Augustus (ossia «degno di venerazione») che
lo consacrava signore della capitale e che gli rimase come nome proprio, con il
quale è ancora oggi ricordato.
Sebbene Ottaviano Augusto non volesse
farsi chiamare re o dittatore o sovrano, durante il suo regno il termine
«imperatore» mutò di significato e, da comandante
dell'esercito, passò ad indicare la figura di un monarca vero e
proprio.
L'attività politica di Augusto fu molto intensa: dopo aver
dato una salda unità al suo governo, egli si gettò a capofitto
nell'organizzazione di tutto il regno romano, istituendo una burocrazia centrale
stabile e stipendiata - formata da ministri, funzionari e impiegati, che aveva
il compito di risolvere tutti i problemi amministrativi dello Stato. Per
migliorare l'amministrazione delle province, egli si preoccupò inoltre di
dar vita ad una burocrazia periferica, dipendente dal potere centrale, capace di
eliminare tutte le ingiustizie cui erano sottoposti in precedenza i sudditi
stranieri.
L'ORDINAMENTO AUGUSTEO
Nella sua opera riformatrice Ottaviano Augusto si
dedicò attivamente alla ristrutturazione, soprattutto amministrativa, dei
territori dell'impero. L'Italia fu suddivisa in 11 regioni, ognuna delle quali
era retta da un apparato burocratico indipendente e locale, che si occupava
della vita sociale e amministrativa della popolazione, rendendo partecipe degli
sviluppi l'imperatore stesso. L'undicesima regione italiana era la Gallia
Cisalpina che, in quegli ultimi anni, aveva ottenuto la cittadinanza
romana.
Tutto il resto dell'impero fu invece suddiviso in venticinque
province, distinte in «province senatorie» e «province
imperiali».
Le province senatorie erano tutte quelle terre, di antica
conquista, caratterizzate da una situazione sostanzialmente pacifica e quindi di
facile dominio. Queste terre, che non richiedevano la presenza di contingenti
militari, erano governate da proconsoli nominati dal Senato e quindi
appartenenti alla nobilitas romana. Le più importanti province senatorie
erano la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, la Macedonia, l'Illiria, l'Asia, la
Bitinia, il Ponto e la Grecia (denominata dai romani «Acaia»).
Le
province imperiali erano invece quelle terre di recente conquista e quindi
più facilmente soggette a ribellioni ed invasioni
dall'esterno.
Questi territori erano governati direttamente dall'imperatore
per mezzo di un gruppo di uomini fidati; questi ultimi, meglio conosciuti come i
«legati di Augusto», avevano il preciso compito di mantenere sotto
controllo la situazione politica della provincia e di provvedere al comando
delle forze armate stanziate in quella zona. Fra le province imperiali possiamo
facilmente individuare: la Siria, in stretto contatto con la popolazione dei
Parti da sempre ostile al dominio romano; la Spagna, caratterizzata dai continui
movimenti rivoluzionari dei Lusitani e dei Celtiberi; ed infine la Gallia del
nord, a stretto contatto con le popolazioni germaniche e quindi soggetta ad un
continuo pericolo di invasione e considerata da Augusto come un'ottima base
strategica per sferrare un attacco alla Britannia, come aveva già fatto
anni prima Giulio Cesare.
A tutti questi territori va aggiunto il regno
d'Egitto che, dopo la successione di Augusto a Cleopatra, era divenuto un
territorio privato dell'imperatore. Vale la pena di sottolineare il fatto che
l'accesso al regno d'Egitto era vietato ai senatori e ai cavalieri che non
avessero ottenuto dal principe il permesso esplicito di recarvisi. Non potendo
naturalmente occuparsi personalmente del governo di questa provincia, Augusto
incaricò dei luogotenenti, che curavano l'amministrazione con la carica
di prefetti.
Complessivamente, le trasformazioni operate da Augusto
nell'ambito dell'ordinamento provinciale furono un grande passo avanti per i
sudditi: l'amministrazione divenne molto più equa e, per quanto riguarda
la giustizia, fu riconosciuto il diritto di appellarsi all'imperatore, nel quale
i provinciali trovarono certamente un giudice molto più imparziale di
quelli dei tribunali romani sino ad allora riconosciuti.
Augusto
preferì, saggiamente, non restituire l'appalto delle imposte ai cavalieri
e scelse invece di affidare la riscossione dei tributi direttamente alle
comunità municipali cittadine, molto più affidabili e
giuste.
Nei confronti delle classi sociali, Ottaviano Augusto cercò
di mantenere un rapporto di imparzialità assoluta, dimostrando in ogni
occasione di non avere preferenze verso un ceto sociale particolare.
Egli
rispettò sempre l'autorità del Senato e, nei momenti di
difficoltà, non esitò a chiedere suggerimenti agli anziani
magistrati; ma, facendo valere il suo titolo di principe (cioè
«primo fra pari»), non si fece mai scavalcare dalla nobilitas
senatoriale romana, ribadendo sempre la propria autorità. Gli esponenti
delle più antiche famiglie senatoriali, con tutto il loro prestigio e la
loro esperienza politica, venivano spesso consultati da Augusto, che
assegnò loro le più importanti magistrature e i gradi più
elevati nell'esercito.
Per quanto riguarda la classe dei cavalieri,
l'abilità di Augusto consistette nell'impedire che questi uomini, la cui
potenza finanziaria era stata in gran parte distrutta dal periodo di guerre
civili, potessero ricostruire il loro antico potere sulle stesse basi. Egli
infatti negò ai cavalieri gli appalti delle imposte delle province, ma
offrì la possibilità concreta di intraprendere una carriera
statale che li poteva portare sino a posizioni di grande prestigio, quali quella
di «prefetto del pretorio», di «prefetto dell'Egitto», di
«prefetto dell'annona» oppure di «prefetto dei vigili».
Grazie a questa politica, Augusto ottenne uno sviluppo della classe degli
equites, che da grandi imprenditori commerciali divennero, col passare del
tempo, dei validi funzionari statali che, per il proprio interesse, lavoravano
costruttivamente per il miglioramento dall'amministrazione pubblica. Era infatti
possibile che l'imperatore promuovesse un comune cittadino, dimostratosi molto
zelante, alla classe dei cavalieri oppure un equites, fra i più
benemeriti, all'ordine senatoriale: in questo modo Augusto stimolò la
buona volontà della popolazione che, in cambio dell'impegno dimostrato,
poteva beneficiare di una carica di maggior prestigio.
Nei confronti delle
classi popolari dell'impero, Augusto si attenne ad una politica decisamente
conservatrice: fu mantenuta l'usanza di elargire gratuitamente, a spese dello
Stato, un certo quantitativo di cereali ai meno abbienti; furono aumentati i
terreni coltivabili mediante delle opere di bonifica; fu risollevata la piccola
proprietà agricola mediante la distribuzione di terre ai veterani; fu
favorito il ripopolamento delle campagne dando lavoro e benessere ai
disoccupati; ed infine fu incentivata la fondazione di nuove colonie destinate
con il tempo a divenire degli importanti centri urbani. Fra queste ultime
vogliamo ricordare Augusta Taurinorum (l'attuale Torino), Augusta Praetoria
(l'odierna Aosta) e Caesaraugusta (Saragozza).
Durante il suo governo,
Augusto si batté intensamente anche contro le manifestazioni di lusso ed
amoralità, da lui considerate come un flagello per la società.
L'intensa attività moralizzatrice dell'imperatore fu rivolta soprattutto
al rallentamento del crollo dell'istituzione della famiglia. L'amore per il
lusso e per il piacere più sfrenato spingeva molti esponenti delle classi
più abbienti al celibato oppure a matrimoni troppo tardivi, e quindi meno
ricchi di prole; senza tenere conto dei divorzi, che aumentavano in modo
impressionante. Nel tentativo di contrastare queste tendenze, Augusto
formulò una serie di leggi in difesa della famiglia: concesse vantaggi
nella carriera politica ai senatori padri di almeno tre figli; inasprì le
condanne per adulterio; rese più difficile la pratica del divorzio; ed
infine penalizzò fortemente i celibi, inasprendo il loro onere fiscale e
vietando l'accettazione di eredità provenienti da parenti non
strettissimi.
Nel campo religioso Augusto riformò le cariche e i
collegi sacerdotali e favorì il consolidarsi nelle province del culto
della dea Roma, al quale fu associato quello per l'imperatore.
L'ultimo
apparato statale a cui Augusto dedicò la sua intensa attività
riformatrice fu quello dell'esercito. Per dare più sicurezza all'impero
egli aumentò l'esercito permanente a venticinque legioni e per la
protezione marittima fece allestire tre imponenti flotte: una nell'Adriatico con
base a Ravenna, una nel Tirreno con base presso Napoli ed infine un'ultima in
Provenza con base a Frejus.
Per assicurarsi un esercito formato da soldati
professionisti, Augusto incentivò la coscrizione facoltativa offrendo una
serie di vantaggi ai volontari. Il periodo di ferma di un legionario durava
vent'anni e si concludeva con una «liquidazione» consistente in una
somma di denaro oppure in un appezzamento di terra. A questo proposito,
l'imperatore stabilì l'apertura di un fondo, chiamato «erario
militare», in cui venivano versate parte delle imposte e che era destinato
esclusivamente per la paga dei legionari.
Le varie legioni furono
affiancate da un nuovo corpo, quello degli «ausiliari», che era
numericamente identico a quello dei legionari. Gli ausiliari, arruolati fra i
sudditi delle province, erano per lo più dei soldati specializzati oppure
dei cavalieri professionisti. La «liquidazione» che gli ausiliari
ricevevano al momento del congedo era senz'altro molto ambita e consisteva nella
concessione della cittadinanza romana. L'ausiliario poteva così rientrare
nel suo paese non più come suddito, ma come un vero cittadino romano, con
tutti i diritti che ne derivavano.
Del resto, anche i soldati romani
subivano il grande fascino dell'esercito: generalmente provenienti da famiglie
povere, vedevano nell'attività militare la possibilità di
ricoprire un ruolo dignitoso e rispettato all'interno della società.
Inoltre, una volta raggiunto un grado abbastanza alto all'interno della
gerarchia militare, il centurione poteva aspirare, se non per sé almeno
per i propri figli, ad una ulteriore promozione sociale.
Per la difesa
personale dell'imperatore, Augusto creò una nuova milizia, chiamata
«i pretoriani», costituita in gran parte da rappresentanti dell'ordine
equestre. Questo nuovo corpo, comandato da un prefetto del pretorio, avrebbe
svolto un ruolo decisivo, negli anni che seguirono, all'interno della politica
romana, giungendo anche in alcuni casi ad interferire nella nomina dello stesso
imperatore.
In conclusione, Ottaviano Augusto con un governo intelligente e
saggiamente impostato, riuscì a mantenere un'ordinata convivenza fra
tutti i popoli dell'impero, consentendo a tutti il pacifico godimento dei beni
della civiltà.
Nel 17 a.C., ripristinando un'antichissima
tradizione, Augusto celebrò i giochi secolari: una serie di cerimonie
solenni che dovevano segnare l'inizio di una nuova era.
Per questo suo
costante impegno in favore della pace e della prosperità dell'impero, nel
13 a.C. il Senato, assieme al popolo, decretò la costruzione di un
grandioso monumento in suo onore, detto Ara della Pace Augustea, che sorse nel
Campo Marzio lungo la via Flaminia.
Ottaviano Augusto morì nel 14
d.C. e fu seppellito nel Mausoleo da lui stesso fatto innalzare presso il
Tevere, nel lato nord del Campo Marzio.
L'impero sotto Augusto
Lo Stato sotto Ottaviano Augusto
LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA
Il regime imperiale istituito da Augusto si
dimostrò per quasi due secoli solido e vitale; sotto la guida delle
dinastie Giulio-Claudia e Flavia, Roma riuscì a superare gli inevitabili
momenti di crisi e seguì una linea di sviluppo molto coerente che la
portò al massimo splendore.
I vari imperatori, che durante questo
periodo si avvicendarono al governo mediante il principio della successione
ereditaria, svolsero una politica molto intelligente imperniata su una serie di
punti: innanzitutto furono uniformate le differenze fra l'Italia e le province,
estendendo la cittadinanza romana a sempre nuove popolazioni e aprendo le porte
del Senato anche agli aristocratici e ai mercanti provinciali; l'economia e la
burocrazia dello Stato vennero costantemente migliorate, in modo da stabilire
uno stretto contatto fra Roma e tutte le terre dell'impero; le differenze
sociali fra nobiltà e cavalieri furono gradatamente eliminate con la
nascita di un'unica classe di funzionari in cui il grado gerarchico non
dipendeva più dalla famiglia di provenienza, ma dagli effettivi meriti
dimostrati sul campo del lavoro.
Alla morte di Augusto, nel 14 d.C., la
successione spettò al figliastro Tiberio, che regnò
ininterrottamente sino al 37 d.C.
Durante il suo regno Tiberio
dedicò molte cure all'organizzazione dell'amministrazione pubblica e si
impegnò con molto fervore nello sviluppo delle attività
contadine.
Fu inoltre molto impegnato nella difesa dei confini dell'impero,
minacciati sia ad occidente che ad oriente. Fra il 14 e il 16 d.C. Tiberio
respinse, con l'aiuto del valido Germanico, il tentativo di invasione da parte
di alcune tribù teutoniche, riconfermando l'antico confine del fiume
Reno. In seguito, fra il 17 e il 19 d.C., consolidò la dominazione romana
in oriente, trasformando in province le regioni della Cappadocia e del Commagene
e concludendo un accordo con la popolazione dei Parti, da sempre nemica di
Roma.
Negli anni che seguirono Tiberio fu gravemente ostacolato dal Senato
e dall'ordine dei pretoriani che, nel 19 d.C., giunsero ad accusarlo della morte
di Germanico. Nel 31 d.C. Tiberio, venuto a conoscenza di un complotto contro di
lui, intervenne prontamente e fece arrestare il prefetto del pretorio, Seiano, e
tutti i suoi complici.
Sdegnato dalle ingiuste accuse contro di lui,
Tiberio si ritirò a vita privata nella sua villa di Capri dove, sei anni
più tardi, sarebbe morto in solitudine. Durante il suo regno, in Giudea,
il procuratore dell'Impero Romano Ponzio Pilato fece crocefiggere a Gerusalemme
Gesù Cristo, imputato di sacrilegio.
Il successore di Tiberio fu il
figlio di Germanico, Caio Cesare soprannominato Caligola, che con l'appoggio dei
pretoriani ottenne dal Senato l'alta onorificenza.
Dopo un periodo di
governo condotto saggiamente in cui si distinse per le vittoriose spedizioni in
Germania e in Gallia settentrionale, Caligola incominciò a dare segni di
squilibrio, promuovendo ogni sorta di stranezza e di crudeltà gratuita.
Per la prima volta nella storia di Roma egli pretese un cerimoniale monarchico
basato sugli inchini e sul bacio dei piedi ed arrivò a nominare senatore
il suo cavallo, in senso di disprezzo verso il lavoro svolto dagli alti
magistrati.
Nel 41 d.C. Caligola venne assassinato in un complotto cui
parteciparono anche i pretoriani.
Dopo la morte di Caligola, per iniziativa
dei pretoriani, fu eletto il fratello di Germanico, Claudio, uomo dedito allo
studio e alle arti e poco amante della vita politica e del potere. Nonostante
ciò egli si dimostrò un valido capo di governo e fu capace di
risollevare l'onore di Roma, leggermente incrinato dalle pazzie di
Caligola.
Durante il suo regno Claudio si dedicò alla
riorganizzazione della gestione statale istituendo degli uffici specifici, quali
la segreteria generale e la segreteria delle finanze, che per le loro
caratteristiche possono essere considerati come gli antenati dei nostri
ministeri. Nel tentativo di eliminare le differenze sociali fra Romani e non,
estese la cittadinanza a nuove popolazioni e nel 48 concesse il diritto di
accedere al Senato all'alta aristocrazia della Gallia Cisalpina.
Durante il
suo regno, Claudio fu anche impegnato in campo estero con la conquista della
Britannia: la campagna militare contro i Britanni, che ebbe inizio nel 43 e
terminò poco prima del 54, portò all'occupazione della parte
meridionale e centrale dell'isola e realizzò pienamente il disegno
espansionistico pensato anni prima da Giulio Cesare.
Nel 53 Claudio, dopo
aver fatto assassinare la moglie Messalina colpevole di tramare contro di lui,
si risposò con Agrippina e adottò il figlio di lei, Lucio Domizio,
che in quell'occasione fu ribattezzato Nerone Claudio Cesare.
L'anno
successivo, il 54 d.C., Claudio morì improvvisamente e Nerone, malgrado
la sua giovane età, poteva considerarsi come uno dei più probabili
successori al trono. Dell'improvvisa morte di Claudio fu accusata Agrippina che,
prima ancora di dare la notizia della morte dell'imperatore, si accordò
con il prefetto del pretorio Afranio Burro per l'elezione di Nerone.
Il
Senato accettò la candidatura di Nerone, solo diciassettenne, sperando di
poterlo controllare grazie all'appoggio di Lucio Anneo Seneca, maestro ed
educatore del giovane imperatore.
Ma nel giro di pochi anni Nerone
dimostrò a tutto il mondo romano la sua instabilità psichica e la
sua incapacità di governare: nel 59 fece uccidere la madre, Agrippina,
per liberarsi della sua pesante tutela; nel 62 la stessa sorte toccò a
sua moglie Ottavia, figlia di Claudio; ed infine nel 62, con la morte di Burro e
il ritiro dalla vita pubblica di Seneca, diede inizio ad un periodo di
terrorismo e malgoverno. Numerose condanne a morte, seguite dalla confisca di
tutti i beni delle vittime, furono promosse contro gli esponenti
dell'aristocrazia e della borghesia romana. La megalomania di Nerone lo spinse a
presentarsi in pubblico nelle vesti di auriga, di poeta, cantante, musicista e
simili. Questi atteggiamenti dell'imperatore e le numerose condanne inflitte
ingiustamente aggravarono il malcontento popolare che negli anni a venire
avrebbe caratterizzato la vita politica romana.
Nell'estate del 64 d.C.
l'imperatore venne accusato dall'opinione pubblica di essere il responsabile di
un disastroso incendio che distrusse gran parte della città di Roma.
Nerone in quest'occasione riuscì però a salvarsi facendo ricadere
le colpe sui cristiani, che furono sottoposti ad una prima feroce
persecuzione.
Ma i moti rivoluzionari non cessarono e nel 65 Nerone
scoprì un complotto contro la sua persona ordito negli ambienti
senatoriali ed aristocratici.
L'imperatore decretò di conseguenza
una serie di condanne a morte, nel tentativo di ristabilire l'ordine interno; in
quest'occasione persino Seneca fu costretto a suicidarsi per non cadere nelle
mani di Nerone.
Negli anni successivi (dal 66 al 67) l'imperatore si
recò in Grecia, attratto dalla cultura e dalle arti tipiche della
società ellenica; dopo aver partecipato personalmente ai giochi olimpici,
in occasione del suo discorso d'addio proclamò la restituzione della
completa indipendenza alle popolazioni greche.
Tornato in patria nel 68
d.C., Nerone dovette affrontare un secondo moto rivoluzionario che, sviluppatosi
in occidente, trovò larghi consensi anche negli ambienti politici romani.
L'imperatore, abbandonato persino dai pretoriani, si vide costretto alla fuga
fuori Roma; nell'estate del 68 Nerone si suicidò poco prima di essere
catturato dalle truppe imperiali.
Dopo la morte di Nerone, Roma visse due
anni di instabilità politica fino all'acclamazione a imperatore di un
comandante dell'esercito d'oriente, Tito Flavio Vespasiano, fondatore della
dinastia Flavia.
Genealogia della famiglia Giulio-Claudia
Visita virtuale all’interno della Domus Aurea
LA DINASTIA FLAVIA
Il governo di Nerone e i due anni di crisi avevano
aggravato notevolmente la situazione di Roma: nelle province più
orientali, nel Ponto, l'autorità del potere centrale era entrata in
crisi; in Africa e nei territori al di là del Reno stavano nascendo dei
moti rivoluzionari tesi a sovvertire il dominio della capitale; la Britannia era
già entrata in contrasto con le istituzioni dell'impero; la città
di Gerusalemme, ricorsa alle armi, era ormai decisa a difendere la propria
indipendenza ad oltranza; le finanze, ormai da molto tempo in condizioni
disastrose, toccarono dei limiti minimi mai raggiunti nella storia
romana.
Vespasiano fu così impegnato, sin dai primi momenti del suo
impero, nell'organizzazione sistematica ed economica dello Stato.
Il nuovo
imperatore introdusse così una serie di riforme molto importanti che,
effettivamente, riuscirono a migliorare la condizione di Roma. L'esercito, ormai
corrotto e poco affidabile, fu sciolto e riorganizzato con nuove forze
reclutate, per lo più, nelle province della Gallia e della
Spagna.
Nel 74, nel tentativo di unificare maggiormente l'impero,
Vespasiano introdusse nel Senato numerosi esponenti della borghesia provinciale.
Le finanze furono ricostruite con l'aumento dei contributi delle province, con
la drastica riduzione della spesa pubblica e grazie ai bottini di guerra
guadagnati soprattutto a spese degli Ebrei di Gerusalemme.
Nell'estate del
70 d.C. Tito, figlio dell'imperatore, dopo aver sconfitto le linee difensive,
entrò in Gerusalemme e fece distruggere il tempio sacro. Da quel momento
gli Ebrei sopravvissuti non ebbero più una patria e incominciò la
lunga vicenda del popolo ebraico, conosciuta con il nome di diaspora (ovvero
«dispersione»).
Nella primavera del 71 Tito, tornato in patria
vittorioso venne festeggiato ed eletto collaboratore
dell'imperatore.
Così, quando nel 79 Vespasiano morì, Tito
gli succedette senza che nessuno tentasse di ostacolarlo.
Il governo di
Tito, durato solo due anni, dovette subito affrontare le conseguenze della
spaventosa eruzione del Vesuvio, che seppellì le città di Pompei,
Ercolano e Stabia (79). Nell'80 d.C. l'imperatore inaugurò l'Anfiteatro
Flavio (meglio conosciuto con il nome di Colosseo), iniziato anni prima su
disposizione di Vespasiano.
L'anno successivo Tito morì improvvisamente e
prematuramente, all'età di quarantun anni.
Il successore di Tito fu
suo fratello Domiziano che, nonostante le sue doti di attento amministratore,
non si dimostrò un valido uomo politico. Ispiratosi alla tradizione
greca, pretese il potere assoluto e umiliò il senato diminuendone
l'autorità.
Domiziano, che si faceva chiamare dominus e persino deus
noster, si accattivò le simpatie degli eserciti e dei pretoriani
concendendo loro ampie libertà; in questo modo egli mantenne il potere
nonostante l'avversione del senato e delle classi aristocratiche e
borghesi.
Dopo aver concesso larghe donazioni e l'aumento del salario ai
legionari, l'imperatore promosse nuove campagne militari: fra l'83 e l'89 d.C.
l'esercito romano fu impegnato contro i Catti in una campagna militare
vittoriosa che permise il rafforzamento del confine nord-europeo; a partire
dall'89 l'offensiva si spostò in Dacia (a Nord del Danubio) e
portò ad un accordo di alleanza fra Roma e le tribù della Dacia,
guidate da Decebalo.
In occasione degli scontri contro i Catti, Domiziano
fece erigere una colossale linea di fortificazione, composta di palizzate,
fossati e torri di guardia, che ebbe per lungo tempo un'importanza basilare
nella difesa dell'impero.
Nel 96 d.C. però, il malcontento
senatoriale ed aristocratico diede origine ad una rivolta che terminò con
l'uccisione di Domiziano stesso.
Il complotto contro l'imperatore diede
nuovamente autorità al Senato che, dopo aver eletto principe Cocceio
Nerva, stabilì la fine delle dinastie imperiali e istituì il
principio «dell'adozione del migliore», secondo il quale il successore
al trono non doveva essere scelto a seconda dei vincoli di parentela, ma solo
grazie alle sue qualità morali e alle sue doti politiche. Si
stabilì quindi che l'imperatore in carica scegliesse come successore un
uomo particolarmente degno e accetto al Senato e che quindi lo adottasse come
figlio.
Con la fine della dominazione flavia, si stabilì in questo
modo una intesa e una collaborazione reciproca fra Senato e imperatore, come non
si era mai vista nella storia dell'Impero Romano.
La dinastia flavia
La distruzione di Pompei
Ricostruzione dell’eruzione del Vesuvio e della distruzione di Pompei
IL PRINCIPATO ADOTTIVO
Il vecchio senatore Cocceio Nerva, una volta
eletto imperatore, si dedicò intensamente al risanamento della situazione
agricola romana, colpita da una grave crisi. Durante i suoi due anni di governo
(dal 96 al 98 d.C.) Nerva adottò come figlio Marco Ulpio Traiano,
comandante delle legioni stanziate sull'alto Reno e nativo della provincia
spagnola.
Nel 98 d.C. Marco Ulpio Traiano venne confermato dal Senato alla
guida dello Stato. Vorremmo a questo punto sottolineare che Traiano fu il primo
imperatore, della storia di Roma, di origine non italica.
Durante il suo
regno (dal 98 al 117) Roma visse un periodo di sviluppo e di crescita e lo
stesso Traiano si meritò il titolo di «ottimo principe»,
conferitogli dal Senato. Per capire la reale importanza dell'opera di questo
imperatore, basti pensare che dopo la sua morte i vari principi sarebbero stati
salutati con l'augurio «Che tu sia degno di Augusto e di
Traiano».
La politica interna di Traiano fu incentrata sullo sviluppo
delle risorse economiche italiane: per favorire la ripresa dell'agricoltura,
l'imperatore impose ai membri del Senato di investire almeno un terzo del loro
patrimonio nelle attività italiche tese allo sviluppo del lavoro dei
campi.
Inoltre, per migliorare l'unità di tutto l'impero, estese i
diritti di cittadinanza nelle varie province, promosse l'uso della lingua latina
e si dedicò personalmente al controllo delle amministrazioni
provinciali.
Ma il grande impegno dimostrato da Traiano negli anni del suo
governo, trova testimonianza nelle attività di politica estera.
Tra
il 101 e il 106 d.C. l'imperatore portò a termine la guerra contro i Daci
di Decebalo, con la conseguente occupazione del territorio che venne ridotto a
provincia dell'impero romano. L'attuale nome di quella regione, Romania, ci
può far capire come doveva essere profonda l'influenza romana a quei
tempi. Contemporaneamente alla campagna dacica, l'imperatore portò a
termine la conquista dell'Arabia nord-occidentale, che divenne a sua volta
provincia con il nome di «Arabica». Fra il 114 e il 116 d.C. Traiano
riprese l'offensiva contro i Parti che, secondo i suoi progetti, doveva portare
ad una penetrazione romana sino in India.
I piani dell'imperatore
però non si attuarono, a causa di una vasta insurrezione di quei popoli,
e il governo di Roma dovette accontentarsi di annettere all'impero le sole
province dell'Armenia, della Mesopotamia e dell'Assiria. Nel 117, mentre si
trovava ancora in Cilicia, Traiano fu colpito da una paralisi e morì
lontano da Roma.
Alla morte di Traiano si registra la massima espansione
dell'impero. È bene precisare a questo punto che Traiano non si dedicò
intensamente alla politica estera solo per una smania espansionistica
ingiustificata ma che egli cercava in questo modo di risollevare la
difficilissima situazione economica italiana, portando a Roma grandi bottini,
risorse minerarie (come quelle della Dacia, ricca di oro) e nuove masse di
schiavi.
Traiano adottò come erede Publio Elio Adriano, che nel 117
venne eletto imperatore dal Senato.
Adriano, anch'egli di origine spagnola,
resosi conto che le finanze dell'impero non potevano permettere altre campagne
militari, preferì tornare ad una politica estera di semplice
contenimento. Una testimonianza di questo atteggiamento può essere
considerato il Vallum Adriani (il «Vallo di Adriano»), cioè un
bastione difensivo fatto costruire in Britannia dall'imperatore contro le
irruzioni delle tribù scozzesi.
Durante il suo regno Adriano
portò a compimento un vasto programma di riorganizzazione dell'impero,
compiendo una lunga serie di ispezioni in tutte le province romane ed
occupandosi personalmente e con grande assiduità dei problemi
amministrativi delle varie zone. Nonostante la sua indole pacifica, anche
Adriano fu costretto a ricorrere alle armi per sopprimere un'aspra rivolta
scatenata dagli Ebrei. Fra il 131 e il 135 le legioni romane affrontarono
vittoriosamente le popolazioni ebraiche, che subirono un'ennesima persecuzione e
furono allontanate definitivamente dalla loro terra.
Nel 138, alla morte di
Adriano, salì al potere Tito Aurelio Antonino, soprannominato
«Pio» per il suo zelo nel voler rinnovare i culti religiosi. Antonino,
di origine gallica, diede vita al regno più pacifico della storia romana
che, dal 138 al 161, non conobbe il benché minimo scontro bellico.
Antonino Pio si dedicò intensamente alla diffusione della lingua e delle
tradizioni romane nelle varie province dell'impero e, avvertita la grave crisi
religiosa che minacciava la stabilità del regno, si mostrò molto
tollerante con i Cristiani. Al contrario di Traiano e di Claudio, Antonino Pio
non lasciò mai l'Italia e morì a Roma nel 161 d.C.. Il periodo di
pace instaurato da quest'ultimo imperatore non ci deve far pensare ad un periodo
di prosperità o di benessere generale. Nascosto fra le pieghe di questa
tranquillità stava nascendo e crescendo un moto di trasformazioni
economiche, culturali e spirituali che, negli anni a venire, avrebbero messo in
crisi tutta l'organizzazione statale, provocando il crollo della civiltà
di Roma.
Nel 161 d.C. il titolo di imperatore passò a Marco Aurelio,
una delle personalità più illustri della storia di Roma: saggio
amministratore ed abile uomo politico, egli fu anche un apprezzato scrittore e
filosofo.
Durante il suo governo la società romana venne scossa
dalla pressione barbarica che ormai stava assumendo caratteri preoccupanti. I
Britanni, i Renani e i Danubiani rappresentavano i maggiori pericoli per la
sopravvivenza dello Stato.
Mentre l'impero stava vivendo un momento di
difficoltà a causa di una pestilenza, le tribù dei Quadi e dei
Marconanni attraversarono i confini danubiani e giunsero sino alle porte
dell'Italia settentrionale.
Marco Aurelio fu così costretto ad una
difficile controffensiva e giunse a patti nel 175 d.C., concedendo un lembo di
territorio in prossimità del Danubio in cambio della collaborazione nella
difesa dell'Impero Romano. Nel 180 d.C. Marco Aurelio morì a Vindobona
(Vienna), lasciando l'Impero Romano in una situazione tanto delicata quanto
precaria. Alla sua morte il titolo di imperatore fu attribuito al figlio
diciannovenne, Commodo, ch'era stato associato al governo sin dal 176 d.C..
Commodo si dimostrò immediatamente un pessimo politico e stratega,
decidendo di abbandonare la lotta contro i barbari ed anzi concedendo a Quadi e
Marcomanni una serie di donazioni. Non rendendosi conto dell'importanza del suo
ruolo, Commodo snobbò spesso la vita politica per dedicarsi ai propri
piaceri e capricci. L'aristocrazia romana, ben conscia del pericolo,
tentò ripetutamente di sovvertire la situazione con ripetuti complotti.
Nel 183 Commodo scoprì il primo di questi colpi di stato e, dopo aver
punito i colpevoli in modo molto crudele, cercò di attirarsi le simpatie
delle milizie e dei pretoriani concedendo larghe donazioni in cambio di
protezione. Nel 189 scoppiò una seconda sommossa, questa volta guidata da
esponenti del popolo, e nel 192 d.C. Commodo venne travolto dal malcontento
popolare.
Il vallo di Adriano
LA CRISI DELL'IMPERO
Il III e il IV secolo della storia dell'impero
furono caratterizzati da una crisi generale che toccò tutti i settori e
gli ambienti dell'economia e della società romana.
La crisi
economica fu essenzialmente causata dal crollo dell'agricoltura, dalla scomparsa
dell'artigianato e dalla diminuzione dei commerci. L'agricoltura romana si
trovò in grandissima difficoltà a causa della diminuzione della
manodopera e dell'aumento della concorrenza dei prodotti stranieri.
Allo
stesso modo l'artigianato subì un calo di vendite vertiginoso, dovuto
alla miseria della plebe cittadina, che poteva acquistare solo i beni di
primissima necessità. A peggiorare la situazione contribuì
l'indebolimento dell'autorità del principe, a causa dell'inettitudine di
alcuni imperatori, a vantaggio della classe militare. Infatti, dopo la morte di
Marco Aurelio, l'elezione imperiale cadde nelle mani delle legioni, che
acclamavano alla suprema carica chi si impegnava a pagarle di più. Questa
situazione di estremo decadimento e di corruzione, fu peggiorata dall'immissione
di un grande numero di barbari nelle file dell'esercito legionario. La forza
difensiva del regno romano veniva così a perdere quelle caratteristiche
di stabilità e di sicurezza che le erano state attribuite durante gli
anni di massimo splendore.
Questa grave crisi preoccupò molto gli
imperatori, che già nel terzo secolo tentarono con ogni mezzo, sia con
provvedimenti militari che con leggi, di ristabilire il benessere e di arrestare
in qualche modo la decadenza dell'impero. Alla morte di Commodo, i pretoriani e
i legionari imposero come imperatore Settimio Severo, un comandante nativo della
Libia che si era dimostrato molto valido sui campi di battaglia. Salito al trono
nell'estate del 193, Settimio Severo trasformò l'impero in una monarchia
assoluta e, con l'appoggio dei militari, escluse da ogni attività
governativa il Senato.
Rafforzò le legioni e si dedicò
incessantemente alla difesa dei confini del dominio romano: la sua
attività lo portò dall'Africa al Danubio, dall'occidente
all'oriente mesopotamico. Nel 211 morì in Britannia, dopo aver stabilito
il confine definitivo al Vallo Adriano. In suo ricordo i Romani eressero, ai
piedi del Campidoglio, un grandioso Arco Trionfale. Il figlio di Settimio
Severo, Caracalla, fu il successore al titolo e continuò energicamente la
politica del padre. Nel 212 d.C. il nuovo sovrano promulgò la
Costituzione Antoniniana (Constitutio Antoniniana de Civitate) che prevedeva
l'estensione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero. Con
questa importante legge politica, Caracalla portò a termine il processo
di parificazione giuridica del mondo mediterraneo, che era iniziato, dopo la
guerra sociale, con la concessione della cittadinanza romana agli italici.
Caracalla, deciso a fondare la sua autorità sull'esercito, come il padre,
escluse dal governo il Senato e cercò di guadagnarsi le simpatie dei
legionari aumentando loro le paghe e conducendo diverse campagne militari. Dopo
aver ottenuto numerosi successi contro i barbari, nel 217 in Siria fu
assassinato durante una congiura organizzata dai più alti ufficiali del
suo esercito. Dopo cinque anni di disordini, il titolo di imperatore
passò ad Alessandro Severo il quale, saggiamente consigliato,
tentò di ristabilire un rapporto di collaborazione con il Senato.
Nonostante la buona volontà del nuovo sovrano, la situazione era ormai
diventata ingovernabile, soprattutto a causa dell'impossibilità di
esercitare una seria autorità sui pretoriani e sull'esercito. Dopo una
campagna militare fallita contro i Parti, Alessandro Severo rimase vittima di
una rivolta guidata da alcuni reparti dell'esercito imperiale (235
d.C.).
Dopo la morte di Alessandro Severo, che chiuse la dinastia dei
Severi, seguì un cinquantennio di anarchia militare che vide un caotico
succedersi di sovrani, eletti arbitrariamente dalle legioni, le quali miravano
solo ad ottenere una serie di privilegi, senza preoccuparsi del futuro del
Paese. La situazione cominciò a migliorare tra il 270 e il 275, quando
salì al potere un sovrano illirico, Domizio Aureliano. Il nuovo
imperatore si impegnò militarmente nella difesa dei confini
settentrionali dell'impero contro i Germani, e di quelli orientali contro il
regno di Palmiria. Egli inoltre promosse la costruzione di una poderosa cerchia
di mura intorno a Roma, lunga quasi diciannove chilometri e nella quale si
aprivano sedici porte.
Alla morte di Aureliano seguì un altro
decennio di confusione e di crisi e finalmente, nel 285, salì al potere
un altro sovrano di origine illirica, Valerio Diocleziano, che riuscì a
restaurare il prestigio e l'efficienza dell'autorità imperiale.
Caio
Valerio Diocleziano, già dai primi anni del suo governo, si dedicò
alla riorganizzazione del dominio romano animato dalla ferrea volontà di
riportare Roma ai vertici della vita mediterranea. Nel 285, per rendere meno
difficile il governo di un così vasto dominio, suddivise l'impero in due
parti: l'occidentale e l'orientale. Diocleziano stesso si occupò della
parte orientale, cui aveva imposto come capitale la città di Nicomedia;
mentre la parte occidentale, con capitale Mediolanum, fu affidata al suo
valoroso amico Valerio Massimiano.
Per risolvere definitivamente il
problema della successione al trono, Diocleziano introdusse un nuovo sistema,
che passò alla storia con il nome di «tetrarchia» che significa
«comando a quattro». I due sovrani, uno dell'occidente e l'altro
dell'oriente, presero il nome di «Augusti» ed ebbero la facoltà
di scegliere il proprio successore che, col nome di «Cesare», veniva
affiancato immediatamente alla guida del governo. Al termine del mandato dei due
Augusti, che durava vent'anni, i due Cesari avrebbero potuto prenderne il posto,
scegliendosi a loro volta due successori. La tetrarchia diede ottimi frutti e
l'Impero Romano poté godere di alcuni anni di pace; la divisione del
dominio in due sfere d'influenza permise agli Augusti e ai Cesari di controllare
in modo migliore le possibili rivolte interne e le eventuali invasioni da parte
di popoli stranieri.
Inoltre Diocleziano, durante il suo regno,
tentò di risollevare la società romana dalla gravissima crisi
economica che ostacolava ogni possibile sviluppo dello Stato; nel tentativo di
risolvere il problema agricolo rese obbligatorio ereditariamente il lavoro dei
campi, mentre per combattere l'inflazione che aumentava inesorabilmente i prezzi
delle merci, emanò il celebre «Editto dei prezzi», con cui
stabilì i valori massimi per ogni tipo di prodotto. Ma ambedue i
provvedimenti non diedero gli effetti sperati dall'imperatore e ben presto le
disposizioni furono annullate. Le cause del fallimento di queste leggi sono
molto semplici: lo spopolamento delle campagne era dovuto all'impressionante
diminuzione delle nascite e quindi sancire l'ereditarietà del lavoro
agricolo non risolveva nulla; mentre il problema dei prezzi si rivelò ben
più complesso di quanto pensasse Diocleziano. Di fronte a dei prezzi
fissati per legge, i mercanti imboscarono le merci più costose rispetto
ai valori sanciti dall'editto, dando vita a una sorta di «mercato
nero» dei beni di prima necessità.
Nel 305 d.C. Diocleziano e
Massimiano, dopo vent'anni di governo, si ritirarono, come avevano loro stessi
deliberato, lasciando il posto ai due Cesari, che divennero Augusti a loro
volta.
LE PERSECUZIONI DEI CRISTIANI
Mentre a Roma era in pieno sviluppo l'impero di
Augusto, a Betlemme, in Giudea, nasceva Gesù, detto poi Cristo (dal greco
«unto» o anche «messia»). La storia della vita di
Gesù, tramandataci dal Vangelo dei suoi discepoli, contiene tutti gli
elementi della religione che dal suo nome verrà chiamata Cristianesimo.
La predicazione di Gesù Cristo risultò all'epoca come uno scandalo
vero e proprio: egli annunciava un regno nel quale le gerarchie sociali
sarebbero state rovesciate, in cui i poveri e i perseguitati sarebbero stati
premiati e, ancora peggio, in cui i ricchi e i potenti avrebbero dovuto
affrontare povertà e tristezza. La legge che Gesù proponeva era
basata sull'amore fra tutti gli uomini e non sulla superiorità del
più forte sul più debole. Dopo la condanna a morte e la
crocefissione, che consacrarono la figura di Cristo, gli apostoli, convinti
della sua natura divina, divulgarono la sua dottrina in tutto il mondo. La prima
comunità cristiana fu costituita a Gerusalemme per opera dell'apostolo
Pietro, che Gesù stesso aveva nominato capo della Chiesa. Usciti dai
confini della Palestina, gli altri apostoli portarono la parola di Cristo in
tutto l'Impero Romano e fondarono numerose comunità di cristiani in
Siria, in Asia Minore, in Egitto, in Africa e in Europa. Le prime
comunità cristiane, composte per lo più da esponenti delle classi
sulbalterne, non avevano un'organizzazione gerarchica e vivevano semplicemente,
dedicandosi alla preghiera, alla meditazione e anche alle opere di assistenza
verso i bisognosi, gli ammalati e chiunque chiedesse loro aiuto. In seguito,
verso il II secolo, le comunità cristiane sentirono la necessità
di organizzarsi. Nacquero così le prime chiese (dal greco
ekklesía, «adunanza»), che erano rette da un consiglio di
anziani (presbyteroi) che provvedeva alla istruzione religiosa dei fedeli e
celebrava il rito della preghiera e della meditazione. I presbiteri erano
affiancati nella loro opera da un gruppo di «sorveglianti»
(epìscopoi) che curavano l'amministrazione dei beni della
comunità, l'assistenza ai poveri e agli ammalati e i vari servizi del
culto. Alle chiese di un determinato territorio presiedeva un vescovo, scelto
dai fedeli fra i presbiteri più degni. L'unione di tutte le chiese
formava la Chiesa Cattolica, cioè universale, che riconosceva come suo
capo l'apostolo Pietro e considerava la chiesa di Roma come la madre di tutta la
cristianità.
La rapida diffusione del Cristianesimo fu senz'altro
avvantaggiata dall'unificazione dei popoli mediterranei sotto le leggi e la
lingua di Roma. Secondo un'antica tradizione, San Pietro giunse per la prima
volta a Roma verso il 45 d.C.. Ma per avere notizie sicure sull'esistenza di una
comunità cristiana nella capitale dell'impero, dobbiamo risalire all'anno
51 quando, come racconta Tacito, l'imperatore Claudio espulse dalla città
gli Ebrei, colpevoli di frequenti tumulti a causa dei contrasti che avevano con
i seguaci di Cristo.
San Pietro tornò poi a Roma tra il 55 e il 60
d.C. e vi si stabilì definitivamente. Nel 61 anche Paolo di Tarso
raggiunse in Roma il principe degli Apostoli.
Paolo di Tarso portò
un grandissimo contributo alla diffusione del Cristianesimo, chiarendo il vero
ruolo di Gesù come redentore dell'umanità e predicando la
necessità di obbedire allo spirito e non alla lettera; egli infatti
sosteneva che le leggi del cristianesimo non possono essere desunte da nessun
testo scritto, ma interpretate secondo la bontà e l'amore presenti in
ogni uomo.
Le persecuzioni operate dai Romani contro i cristiani furono
dovute non solo a una diversa concezione religiosa, ma soprattutto al differente
concetto di moralità.
Il Senato, gli aristocratici e tutte le classi
altolocate romane vedevano nel Cristianesimo un reale pericolo per la
stabilità dell'Impero. Questa dottrina infatti, pur non promuovendo una
rivoluzione politica, gettò le basi morali per la soppressione dello
schiavismo, sostenendo l'uguaglianza fra tutti gli uomini; inoltre mise in luce
la dimensione fondamentale dello spirito, legata solo ai doveri verso Dio, non
preoccupandosi di ribadire la giustezza dei doveri nei confronti
dell'imperatore. Tutti questi concetti allarmarono le classi più alte
dell'impero, che decretarono, a ripetute riprese, le famose persecuzioni contro
i cristiani. La prima persecuzione fu condotta nel 64 d.C. su ordine di Nerone:
in quel caso non vi furono dei veri motivi religiosi o politici; Nerone volle
semplicemente scaricare sui seguaci di Cristo la responsabilità
dell'incendio che distrusse Roma in quell'anno, di cui lui stesso era stato
accusato. In quell'occasione persero la vita anche San Pietro e San Paolo,
costretti a subire il martirio.
Le persecuzioni che seguirono, a partire da
quella ordinata nel 95 da Domiziano sino al 311, anno in cui Galerio le sospese,
furono tutte determinate dalla convinzione che la nuova religione violasse le
leggi dell'impero e possedesse una forte carica eversiva delle istituzioni. I
cristiani vennero così accusati di essere «nemici della
patria», di tramare segretamente contro l'impero e di sdegnare il culto
degli dei dello Stato. Le persone denunciate come cristiane venivano convocate
davanti a un consiglio di magistrati, i quali le sottoponevano ad un
interrogatorio per accertare la verità del sospetto, e quindi le
invitavano a fare sacrifici agli dei di Roma e all'immagine dell'imperatore: se
accettavano erano lasciate libere, mentre se si rifiutavano erano dichiarate
colpevoli di sacrilegio e condannate a morte. Il martirio riservato ai cristiani
era spesso barbaro e crudele: nella maggior parte dei casi i fedeli venivano
utilizzati nel circo, in una lotta contro delle belve, per divertire la plebe e
soddisfare così gli istinti più barbari del popolo romano.
Le
spoglie dei condannati venivano raccolte e seppellite in cimiteri sotterranei,
conosciuti con il nome di «catacombe». Nelle catacombe i cristiani si
rifugiavano durante le persecuzioni per celebrare di nascosto i loro riti
religiosi. In totale le persecuzioni perpetrate dai Romani furono dodici, fra
cui la più crudele fu quella ordinata da Diocleziano, che durò
ininterrottamente per otto anni.
Ma nonostante le continue stragi, il
Cristianesimo col passare del tempo si rafforzò sempre più e
aumentò il numero dei suoi seguaci; inoltre, sul finire del 200 d.C., la
stessa opinione pubblica pagana ormai disapprovava apertamente la politica
persecutoria, dimostrando con questo atteggiamento di accettare la
possibilità di un accordo tra i Cristiani e lo Stato. Per giungere a
questo però si dovettero attendere altri quindici anni, fino a quando nel
313 l'imperatore Costantino decretò la libertà di culto.
La diffusione del Cristianesimo
COSTANTINO
Il successore di Diocleziano, Costanzo,
morì dopo soli due anni di governo, lasciando il paese in preda ad una
crisi politica molto grave. Massenzio, cui spettava la carica di Augusto, fu
gravemente ostacolato dai soldati delle legioni stanziate in Britannia, che
proposero come successore di Costanzo il figlio Costantino. La crisi durò
per circa cinque anni e fu risolta solo nel 312 con uno scontro frontale fra i
due contendenti. La leggenda narra che Costantino, la notte prima dello scontro,
vide in cielo una croce luminosa che riportava la frase: «In hoc signo
vinces» (cioè «in questo segno vincerai»). Egli allora
fece tracciare sul suo vessillo la croce cristiana e, il giorno seguente,
combatté e vinse la battaglia decisiva del Ponte Milvio, nella quale
Massenzio morì annegato. Costantino fu così proclamato imperatore
d'occidente, mentre ad oriente mantenne la carica Licinio.
Durante i primi
anni di governo, Costantino seppe approfittare dell'insuccesso delle
persecuzioni contro i cristiani, cercando di attirarsi i favori di questa
classe.
Nel 313, dopo aver fatto ampie promesse ai cristiani, i quali gli
diedero il loro appoggio per la sua conquista al potere, egli concesse loro
piena libertà di culto e stabilì che fossero loro restituite le
chiese e i beni confiscati negli anni precedenti, con l'Editto di Tolleranza
promulgato dall'imperatore stesso a Milano. L'appoggio dei cristiani fu basilare
per Costantino durante la conquista del potere e, anche se la tradizione
attribuisce all'imperatore una fede innata e del tutto personale, oggi si pensa
che l'avvicinamento al Cristianesimo fosse solo una mossa strategica per
accrescere la propria autorità.
Negli anni seguenti Costantino, pur
tollerando anche il culto pagano, incominciò la trasformazione del
vecchio mondo romano in un nuovo impero cristiano.
Con atteggiamento
«cesaropapistico» (cioè interferendo in questioni religiose a
lui estranee) Costantino cercò di legare più saldamente il clero
allo Stato, concedendo una serie di privilegi al mondo clericale. I sacerdoti
cristiani vennero così esentati dal pagamento delle tasse, le chiese
ottennero il diritto di asilo ed infine, nel 321, venne riconosciuto alla Chiesa
il diritto di fruire di eredità e di lasciti, cosa questa che
permetterà al mondo cristiano di accumulare notevoli capitali.
Nel
325 Costantino convocò un concilio di vescovi, il «Concilio di
Nicea», in cui vennero discusse tutte le questioni teologiche e
disciplinari nel tentativo di dare unità al mondo clericale cattolico; in
quell'occasione venne condannato un prete alessandrino, Ario, imputato di
eresia, e vennero inoltre definiti i principali dogmi della religione cattolica
che, raccolti nel Credo (o Simbolo Niceno), costituirono il caposaldo teorico
della fede cristiana.
Nel 324 Costantino fu impegnato militarmente contro
l'altro Augusto, Licinio. Dopo un primo diverbio nel 316, risolto con la
decisione che ognuno dei due imperatori poteva legiferare indipendentemente,
Licinio e Costantino si ritrovarono ancora l'uno contro l'altro a causa
dell'atteggiamento anticristiano da parte dell'imperatore d'oriente. In
quest'occasione Costantino riuscì a sconfiggere il collega e ad
attribuirsi il comando di tutto l'Impero Romano.
L'atto più
importante di Costantino durante gli ultimi anni di governo fu la decisione di
trasferire la capitale dell'impero a Bisanzio che, ingrandita ed abbellita prese
nel 330 d.C. il nome di Costantinopoli.
Da quel momento Roma cessò
di essere il centro politico del Mediterraneo e rimase esclusivamente la sede
del Cristianesimo mondiale. Nel 337 Costantino morì e lasciò il
suo trono al figlio Costanzo II. Quest'ultimo non si dimostrò
assolutamente valido quanto il padre e ben presto fu associato ad un altro
Augusto, suo cugino Giuliano. Nel 361 Giuliano, dopo la morte di Costanzo II,
riuscì ad ottenere il governo di tutto l'impero.
Nei due anni del
suo governo (morirà infatti prematuramente nel 363) il nuovo imperatore
si dedicò attivamente all'opera di restaurazione della tradizione pagana.
Giuliano, soprannominato l'Apostata, era cresciuto studiando filosofia e storia
in una corte cristiana, e aveva avuto occasione di conoscere un Cristianesimo
fatto di riti esteriori, di contrasti dogmatici e di povertà di spirito
che lo portò al rifiuto di questa dottrina. La sua opera di restaurazione
pagana non fu completata a causa della sua morte in uno scontro contro i
Persiani.
L'opera di Costantino fu invece ripresa dal successore di
Giuliano, Teodosio: convertito alla fede cattolica dal vescovo di Milano,
Sant'Ambrogio, nel 380 promulgò l'Editto di Tessalonica, col quale
stabilì che l'unica religione dell'impero fosse quella cristiana e che il
vescovo di Roma, o pontefice romano, acquistasse una posizione di preminenza nei
confronti di tutti gli altri vescovi.
I BARBARI
Teodosio, giunto in punto di morte (395 d.C.),
divise l'impero fra i suoi due figli: ad Arcadio fu assegnato l'Impero Romano
d'Oriente, con capitale Costantinopoli, mentre ad Onorio, appena undicenne,
toccò l'Impero Romano d'Occidente, con capitale Ravenna. La situazione
politica dei due imperi era ancora molto precaria e la paura di un'invasione da
parte delle popolazioni germaniche era alimentata dalla massiccia presenza di
«barbari» nei pressi dei confini danubiani e renani.
I barbari,
di stirpe germanica, occupavano con le loro tribù tutti i territori
europei fra la penisola dello Jutland e le coste del Mar Nero.
Fra tutte le
diverse tribù, ricordiamo: gli Angli, i Sassoni, i Franchi, i Burgundi, i
Vandali, i Longobardi, gli Alamanni e i Goti, suddivisi in Ostrogoti e
Visigoti.
Proprio questi ultimi, guidati da Alarico, sferrarono uno dei
primi attacchi all'Impero Romano d'Occidente. I Visigoti non erano nuovi a
queste imprese e già nel 378 avevano sconfitto l'imperatore Valente nella
battaglia di Adrianopoli; questo scontro ha un'importanza storica notevole
perché per la prima volta i Romani si arresero di fronte alla
superiorità barbara.
Nel 402 i Visigoti tentarono un secondo attacco
in Italia e, dopo aver attraversato le Alpi Giulie, vennero bloccati a Pollenzo
e a Verona dal generale romano Stilicone. Ma, per realizzare questo successo,
Stilicone aveva dovuto richiamare in patria le legioni stanziate nei pressi del
Reno, lasciando scoperta quella zona. Di questa situazione approfittarono gli
Alamanni, i Franchi, gli Svevi, i Burgundi e i Vandali che, dopo aver varcato il
Reno, si sparsero in tutta la Gallia e si diressero verso la penisola iberica in
cerca di nuovi territori. Questa crisi dell'Impero Romano facilitò i
piani di Alarico il quale, nel 410, penetrò in Italia con i suoi Visigoti
e giunse ad accupare la stessa Roma che, per tre giorni, fu saccheggiata e data
alle fiamme.
Alla morte di Alarico, i Visigoti abbandonarono l'Italia e si
diressero verso la Spagna dove, dopo aver scacciato i Vandali, si stanziarono
definitivamente. L'Impero Romano d'Occidente intanto viveva anni molto
difficili: alla morte di Onorio nel 425 gli unici territori rimasti nelle mani
dei Romani erano l'Italia, la Pannonia, il Norico e l'Africa.
Durante il
regno del successore di Onorio, Valentiniano III, la Pannonia e il Norico
passarono nelle mani di Arcadio, imperatore dell'Impero d'Oriente, mentre
l'Africa fu conquistata dai Vandali; così l'Impero d'Occidente fu
limitato alla sola penisola italica.
La divisione dell'Impero romano nel 395 d.C.
LE STRADE
Una delle eredità più importanti
lasciateci dalla civiltà romana è la fitta rete di strade che da
Roma collegava gran parte del dominio sino alle regioni più
lontane.
La più antica via di comunicazione era la Via Salaria, che
dalle foci del Tevere arrivava fino alle terre dei Sabini, e che deve il suo
nome alle saline che sorgevano sulle coste tirreniche del Lazio. La Via Latina
fu la seconda strada inaugurata dai Romani e collegava Roma con la Campania
passando attraverso le valli del Liri e del Sacco.
Ma la prima strada
pavimentata di una certa importanza fu realizzata nel 312 a.C. per opera del
censore Appio Claudio Cieco: è la famosa Via Appia, detta la «regina
delle strade», che inizialmente portava a Capua e successivamente fu
prolungata sino a Brindisi.
Fra il III e il II secolo a.C. il sistema di
comunicazioni romano si sviluppò ulteriormente e vennero realizzate altre
vie di traffico: la Via Clodia attraversava l'Etruria; la Via Aurelia, passando
per l'Etruria, congiungeva Roma alla Liguria; la Via Cassia portava ad Arezzo;
la Via Flaminia giungeva a Rimini attraversando l'Umbria; la Via Emilia
collegava Rimini a Piacenza; e la Via Annia (o Popilia) proseguiva il tragitto
della Via Appia sino allo stretto di Messina. L'importanza di queste strade
è facilmente intuibile: Roma aveva la necessità di mantenere uno
stretto contatto con tutte le colonie e con i territori conquistati e un sistema
di comunicazione funzionale sopperì a questo bisogno in modo
egregio.
Così nacquero strade importanti che collegavano l'Italia
con l'estero: la Via Domizia, che attraversando la Gallia meridionale portava in
Spagna, e la Via Egnazia, che passando per l'Illiria e la Grecia, giungeva sino
al Bosforo. Le difficoltà non spaventarono i Romani, che realizzarono
anche delle gallerie: presso il Passo del Furlo, sulla Via Flaminia, ne
scavarono una lunga 40 metri e larga 5!
L’Impero romano sotto Augusto. La scoperta dell’antica città di Petra
PICCOLO LESSICO
ALTO E BASSO IMPERO
Con queste espressioni
viene indicato un particolare momento cronologico. Alto assume il significato di
«più antico» e basso quello di «più recente».
ANARCHIA
Parola di origine greca che significa
«mancanza di governo».
L'anarchia militare che colpì Roma
dal 235 al 285 era uno stato di disordine politico, dovuto alla debolezza del
governo, che permise il sopravvento delle forze legionarie.
BARBARO
In origine il termine significava
«straniero», con una sfumatura di disprezzo, e con esso i Romani
soprannominarono le tribù germaniche. Oggi il termine ha assunto il
significato di «rozzo», «incolto».
CATACOMBE
(dal greco katà: sotto e kumbes:
cavità). Cimiteri sotterranei destinati a raccogliere le spoglie dei
primi cristiani e le reliquie dei martiri: costituiti da una rete di corridoi
(ambulacri), ai lati dei quali erano le tombe (loculi). Le prime catacombe
romane risalgono alla seconda metà del I secolo: sono frequenti nel II e
nel III secolo; diventano rare nel IV secolo, quando cioè il
cristianesimo, divenuto religione di Stato, più non necessitava di oscuri
recessi per la sepoltura dei cadaveri.
CESAROPAPISMO
È la tendenza di un sovrano a interessarsi, a
fini politici, delle questioni interne della Chiesa.
TETRARCHIA
Forma di governo introdotta da Diocleziano.
Letteralmente significa «governo a quattro» e prevede la
sovranità di due Augusti sorretti da due Cesari.
PERSONAGGI CELEBRI
CALIGOLA
(12-41 d.C.). Questo
soprannome, che significa «piccola scarpa» (dal latino caligae), fu
attribuito a Caio Cesare a causa delle calzature che era solito portare. Durante
il suo governo (37-41 d.C.) Caligola si rese colpevole di una serie di
crudeltà e di stranezze, di cui la più famosa è l'elezione
al Senato del suo cavallo. Nel 41 fu assassinato da un gruppo di congiurati
stanchi delle sue pazzie.
COSTANTINO
(280 ca-337 d.C.). Durante il suo governo
(312-337) venne riconosciuta la religione cristiana che, da allora in poi, non
avrebbe più dovuto subire persecuzioni. Famosa è la leggenda
secondo cui Costantino, prima della battaglia del Ponte Milvio, fu illuminato da
una visione che gli predisse la vittoria del giorno seguente nel nome della
croce cristiana.
NERONE
(37-68 d.C.). Salito al potere nel 54, a soli
diciassette anni, governò in modo dispotico dimostrando tutta la sua
violenza. Convinto di essere un grande artista, amava presentarsi in pubblico
sotto le vesti di poeta, auriga e cantore. Malato di complessi di
superiorità e di megalomania, fu costretto a suicidarsi per non cadere
vivo nelle mani del popolo, durante una violenta rivolta nell'estate del 68
d.C.
ORAZIO
(65-8 a.C.). Con la sua raccolta di Odi raggiunse
la più alta espressione artistica. Acuto osservatore della vita
quotidiana e delle debolezze umane (nelle Satire e nelle Epistole), Orazio fu il
poeta che meglio seppe esprimere la felicità, la pienezza di vita e anche
le sottili contraddizioni dell'epoca in cui visse.
PAOLO DI TARSO
(5/15 a.C.-67 d.C.). Originario della Cilicia, fu
uno dei grandi avversari dei cristiani. Convertitosi nel 34 al Cristianesimo,
dedicò la sua vita alla divulgazione della parola di Cristo, toccando una
moltitudine di paesi: da Cipro alla Grecia, dalla Spagna a Creta e infine a
Roma. Conosciuto oggi come San Paolo, fu decapitato nel 67 nei pressi della Via
Ostiense, durante la persecuzione di Nerone.
PETRONIO ARBITRO
Grande autore latino, viene ricordato ancora oggi
per la sua opera Satyricon; in questa specie di romanzo l'autore rappresenta con
straordinaria vivacità la vita corrotta, disordinata e priva di ideali
dell'epoca. Petronio fu costretto a suicidarsi(Cuma, 66 d.C.) per sfuggire alle
persecuzioni politiche operate da Nerone durante gli anni del suo governo.
PLINIO IL VECCHIO
(23-79 d.C.). Fu il massimo esponente romano nel
campo delle scienze.
Nella Storia Naturale Plinio, dopo aver consultato
più di 2.000 libri, riporta varie nozioni di astronomia, fisica,
zoologia, botanica, medicina, ecc... Nel 79 d.C. trovò la morte nella
terribile eruzione del Vesuvio, che distrusse le città di Pompei, Stabia
ed Ercolano.
SENECA, LUCIO ANNEO DETTO IL FILOSOFO
(4 a.C.-65 d.C.). Filosofo e scrittore latino.
Fino al 62 fu consigliere di Nerone.
Accusato di aver partecipato alla
congiura di Pisone ebbe da Nerone l'ordine di uccidersi. È il massimo
rappresentante dello stoicismo romano noto come Nuova Stoà e inteso come
una fede religiosa volta alla contemplazione della vita spirituale. Dio unisce
gli uomini in una fratellanza universale.
Secondo la dottrina di Seneca
l'uomo saggio e buono rende un servigio alla società, anche se non ha
alcun potere politico. Della vastissima produzione di Seneca rimangono la
raccolta di 124 lettere a Lucilio (Epistulae ad Lucilium), 9 tragedie, 12 libri
di Dialoghi, alcuni epigrammi e trattati politico-filosofici.
TITO LIVIO
(59 a.C.-17 d.C.). Fu uno dei più grandi
storiografi della storia romana. Livio, che era di idee repubblicane, nella sua
opera Dalla fondazione dell'Urbe dimostrò un validissimo senso critico.
VIRGILIO
(70-19 a.C.). Fu il massimo poeta latino. Nato ad
Andes (Mantova), studiò retorica e filosofia a Cremona, Milano, Roma e
Napoli. Visse protetto dall'amicizia dell'imperatore Augusto e morì a
Brindisi nel 19. Le sue opere più importanti sono l'Eneide, poema epico
della gente latina, le Bucoliche e le Georgiche, in cui esalta l'amore per la
natura e la vita operosa dei contadini.
RIASSUNTO CRONOLOGICO
27 a.C.: Ottaviano riceve il titolo di
«Augusto».
14 d.C.: Ottaviano Augusto
muore.
14-68 d.C.: Dinastia Giulio-Claudia.
14-37 d.C.:
Regno di Tiberio.
37-41 d.C.: Regno di Caligola.
41-54
d.C.: Regno di Claudio.
43 d.C.: Campagna di
Britannia.
54-68 d.C.: Regno di Nerone.
64 d.C.:
Gravissimo incendio di Roma.
66-67 d.C.: Nerone si reca in
Grecia.
69 d.C.: Crisi politica che vede l'avvicendarsi di quattro
imperatori.
69-96 d.C.: Dinastia Flavia.
69-79 d.C.:
Regno di Vespasiano.
79-81 d.C.: Regno di Tito.
79 d.C.:
La tragica eruzione del Vesuvio distrugge Pompei, Stabia ed
Ercolano.
81-96 d.C.: Regno di Domiziano.
96-98 d.C.:
Regno di Cocceio Nerva.
98-117 d.C.: Regno di
Traiano.
105-106 d.C.: La Dacia e l'Arabia nord-occidentale vengono
ridotte a province.
114-117 d.C.: L'Armenia, l'Assiria e la
Mesopotamia entrano a far parte del dominio romano.
117-138 d.C.:
Regno di Adriano.
138-161 d.C.: Regno di Antonino
Pio.
161-180 d.C.: Regno di Marco Aurelio.
175 d.C.: I
Quadi e i Marcomanni vengono respinti oltre il Reno.
180-192 d.C.:
Regno di Commodo.
193-235 d.C.: Dinastia dei
Severi.
193-211 d.C.: Regno di Settimio Severo.
211-217
d.C.: Regno di Caracalla.
223-235 d.C.: Regno di Alessandro
Severo.
235-285 d.C.: Cinquantennio di anarchia
militare.
285-305 d.C.: Regno di Diocleziano.
286 d.C.:
Diocleziano formula la tetrarchia.
312-337 d.C.: Regno di
Costantino.
313 d.C.: Costantino redige l'Editto di Milano,
concedendo la libertà di culto.
325 d.C.: Concilio di
Nicea.
330 d.C.: Costantino trasferisce la capitale a Costantinopoli.
337-361 d.C.: Regno di Costanzo II.
361-363 d.C.: Regno
di Giuliano l'Apostata.
378 d.C.: I Romani vengono sconfitti dai
Visigoti ad Adrianopoli, è la prima sconfitta dell'impero contro i
barbari.
378-395 d.C.: Regno di Teodosio.
380 d.C.: Con
l'Editto di Tessalonica, Teodosio stabilisce che la religione cristiana è
l'unico culto di Stato.
395 d.C.: Alla morte di Teodosio il regno
viene suddiviso in due parti e passa sotto l'autorità dei suoi due figli,
Arcadio e Onorio.
406 d.C.: Il confine renano cede sotto la
pressione barbarica e l'Impero Romano perde le province della Gallia e della
Spagna.
410 d.C.: I Visigoti di Alarico per tre giorni saccheggiano e
depredano la città di Roma.