Scuola filosofica dell'antichità, fondata ad
Atene al principio del III sec. a.C. da Zenone di Cizio
(V.). Il termine
S. deriva dal luogo in cui
si tenevano le lezioni, la
stoà poikíle: il portico
pubblico dipinto da Polignoto (Zenone non era di origine ateniese e quindi non
aveva il diritto di acquistare un edificio in città per potervi
insegnare). ║ Fig. - Capacità di affrontare il dolore, la fatica,
le avversità con impassibilità e serenità d'animo:
ha
sopportato tutto con vero s. • Filos. - Con la peripatetica e
l'epicurea, lo
S. è una delle grandi scuole filosofiche
postaristoteliche. Il suo sviluppo storico è solitamente distinto in tre
fasi: 1)
Antica stoà: fiorì durante il III sec. a.C., ad
opera del suo fondatore Zenone di Cizio. Alla guida della scuola gli succedette
prima Cleante di Asso e poi Crisippo (V.). Questi
è considerato il secondo fondatore dello
S. di cui elaborò
le dottrine paradigmatiche, raccolte in più di 700 opere, purtroppo non
pervenuteci se non per brevi frammenti. Tra gli allievi di Crisippo furono
Eratostene di Cirene, Zenone di Tarso e Diogene di Seleucia. Quest'ultimo
partecipò a una celeberrima ambasceria in Roma nel 156 a.C., che fu di
grande importanza sul piano culturale perché introdusse nel mondo latino
le prime notizie sulle scuole filosofiche allora attive (insieme a Diogene erano
anche il peripatetico Critolao e l'accademico Carneade), suscitando l'interesse
della gioventù romana. 2)
Media stoà: momento di passaggio
collocato tra il II e il I sec. a.C., caratterizzato da un orientamento
eclettico, che unì alle dottrine stoiche elementi platonici e
aristotelici. Suoi principali esponenti furono Panezio di Rodi e Posidonio di
Apamea, che esercitarono la propria influenza sulla nascente filosofia romana.
3)
Nuova stoà: si sviluppò tra il I e il III sec. d.C. ed
ebbe il proprio centro in Roma imperiale. Suoi principali interpreti furono
Seneca, Epitteto e l'imperatore Marco Aurelio. Nel corso di questa ultima fase
lo
S. si caratterizzò per una minore organicità ed
esaustività del sistema nel suo complesso, privilegiando il problema
etico secondo un orientamento fortemente spiritualista. A partire dalla
tradizionale classificazione della virtù in naturale, morale e razionale,
gli stoici tripartirono in modo corrispondente la filosofia in
fisica,
etica e
logica, tra loro intimamente connesse. Questa stessa
divisione è una delle permanenti eredità che lo
S. ha
lasciato alla filosofia anche moderna. ║
Logica: il termine logica
fu utilizzato per la prima volta da Zenone, intendendo con esso la disciplina
che ha per oggetto i
lógoi (i discorsi). Quando essa si occupa dei
discorsi
continui è la
retorica, quando dei discorsi
divisi è la
dialettica (definita anche come scienza di
ciò che è vero, di ciò che è falso e di ciò
che non è né vero né falso, cioè dei paradossi).
Inoltre, se la dialettica è riferita alle parole in quanto tali si ha la
grammatica, se alle cose che le parole significano si ha la
logica
in senso proprio. Per quanto riguarda l'origine della conoscenza, lo
S. afferma una sorta di sensismo: ogni conoscenza ci deriva infatti da
un'impressione sensibile, da un'azione che le cose esterne esercitano sulla
nostra anima, producendovi una modificazione. Tuttavia perché una
conoscenza sia tale è necessario che a questo primo dato empirico segua
il momento dell'
assenso, mediante il quale il principio razionale che si
trova in ogni uomo esprime un giudizio: la sintesi di questi due elementi
corrisponde alla cosiddetta
rappresentazione catalettica, che costituisce
il
criterio di verità nell'atto cognitivo. Se l'assenso è
positivo, si può affermare la realtà dell'oggetto rappresentato;
se è negativo (
dissenso) la percezione sensibile è
considerata fallace; se vi è
sospensione (
epoché) vi
è una rinuncia provvisoria a giudicare. La rappresentazione catalettica
veramente efficace ai fini della conoscenza è dunque solo quella che
risulta dall'assenso razionale. I singoli dati così raccolti vengono
unificati e organizzati da una facoltà cognitiva e ordinatrice
(
egemonico) e conservati nella
memoria. Ogni rappresentazione,
infatti, genera un ricordo e più ricordi della stessa specie inducono la
formulazione di una
nozione comune o
anticipazione, una sorta di
idea universale comune a tutti gli uomini. Tuttavia questi concetti universali
non hanno per gli stoici una realtà oggettiva, ma solo valore nominale,
perché il reale può solo essere individuale. Esistono
altresì concetti
generali (corrispondenti a quelli che Aristotele
chiamava
categorie): la sostanza, la qualità, il modo di essere e
il carattere relativo. Il concetto più alto ed esteso è quello di
essere, perché tutto ciò che è reale esiste. La
parte della logica inerente al ragionamento influenzò profondamente il
pensiero medioevale, sviluppando in particolare i sillogismi ipotetici e
disgiuntivi che Aristotele aveva invece trascurato: essi furono detti
anapodittici o indimostrati, perché basati sull'affermazione di
proposizioni evidentemente vere da cui ricavare conclusioni altrettanto
evidenti. Tra premessa e conclusione vi è dunque un'
implicazione
di verità, sul tipo che ricorre nel ragionamento:
se è giorno
c'è luce;
ma è giorno,
dunque c'è luce.
Di inalterata importanza, infine, è la cosiddetta teoria del significato,
in base alla quale gli stoici (Zenone e Crisippo in particolare) distinsero in
un vocabolo ciò che significa, ciò che viene significato e
l'oggetto, vale a dire tra espressione linguistica (
voce),
rappresentazione razionale di ciò cui si pensa (
connotazione) ed
esistenza esterna alla mente della cosa cui si pensa (
denotazione).
║
Fisica: la dottrina fisica stoica può essere definita come
un corporeismo panteistico e monista. Essa afferma in primo luogo che tutto
l'esistente è corpo e ciò che non è corpo non è
essere; solo ciò che agisce o subisce un'azione esiste e poiché
solo il corpo può agire e subire, solo il corpo esiste. Il
corpo,
tuttavia, per gli stoici consiste non di semplice materia (principio passivo;
paschón), ma anche di qualità o forma (principio attivo;
poioún). Questi due principi sono inscindibili l'uno dall'altro
perché il primo, per sua natura inerte, è pervaso dal secondo, che
ne è per così dire lo spirito e la ragione, e ne declina gli
esseri individuali. Si tratta di una concezione immanentista e panteista del
reale, poiché tale
spirito informatore della materia ha il
carattere del divino. Dal momento però che esso non è di natura
incorporea ma corporea come e quanto la materia che vivifica e declina, si
è in presenza di una dottrina monista e non dualista, in quanto non vi
è opposizione tra elemento materiale e spirituale ma piuttosto
strutturale e inscindibile compenetrazione. L'intero universo non è che
il dispiegarsi del principio razionale divino insito nella materia originaria
che, appesantendosi, è diventata terra e, assottigliandosi, aria e acqua
e poi fuoco. Da questi quattro elementi risultano tutte le cose particolari. Il
mondo nel suo insieme, così come lo conosciamo, ha un suo ciclo: al
termine di un
grande anno (36.000 anni solari) si determinano una
conflagrazione universale (
ekpýrosis), una combustione che consuma
tutti gli esseri, e dopo di essa la nuova generazione di un universo identico al
precedente, senza alcuna modifica. Ogni cosa si ripete uguale di ciclo in ciclo,
perché vi è una legge necessaria che sottende la realtà, la
prónoia divina, una ragione immanente alla materia che stabilisce
il destino irreversibile e immodificabile delle cose e l'ordine in cui sono
avvenute, avvengono o avverranno. In un ferreo determinismo (per cui il mondo
è il migliore dei mondi possibili), provvidenza, destino e fato
coincidono nello
pneúma divino che anima il reale. La fisica
stoica comprende anche la
psicologia, cioè la dottrina relativa
all'anima (
psyché). Dal momento che l'anima agisce e subisce
azioni e modificazioni, essa è corporea, come lo è Dio, di cui
peraltro ogni anima è parte: come infatti la divinità rappresenta
il fuoco e il soffio vivificante dell'universo, così le singole anime
sono il soffio vivificante dei singoli uomini, unendosi alla materia che
costituisce il
soma e separandosi da essa al momento della morte. Lo
S. divide l'anima in quattro parti: principio egemonico o direttivo (la
ragione); principio sensibile (i cinque sensi); principio generativo;
linguaggio. ║
Etica: l'etica stoica si può definire come una
teoria dell'uso pratico della ragione. Infatti, poiché l'ordine naturale,
come si è visto, è perfetto e necessario, il fine dell'uomo
è accordarsi con esso, vivere secondo la natura universale che include
anche la natura umana. Perciò fondamento dell'etica è
l'
oikéiosis, cioè il convenire del comportamento umano con
quanto stabilito dalla natura; in questo consiste la razionalità, che
incrementa nell'uomo il proprio accordo con l'ordine naturale, cioè con
la disposizione voluta dalla ragione divina che governa l'universo. L'uomo
saggio vive in modo razionale quando si impegna ad accettare ogni cosa come
necessaria e provvidenziale, anche quando a una prima impressione essa appaia
sfavorevole. Le azioni conformi all'ordine razionale sono
kathékonta, cioè convenienti, concetto che i Latini resero
con quello di
officia e le lingue moderne con quello di
dovere.
L'etica dello
S. propone come suo strumento la nozione di dovere, che
permette al saggio di distinguere le azioni razionali che lo possono mantenere
in accordo con la ragione e provvidenza universale. Ma il dovere non è in
sé il Bene: solo quando l'uomo si consolida in una disposizione razionale
uniforme e costante accede alla virtù (sapienza, giustizia, temperanza,
fortezza, ecc.). Essa è il solo bene, così come il vizio,
cioè l'azione contraria alla ragione, è il solo male. Tutte le
cose che non sono né virtù né vizio sono
indifferenti (
adiaphorá): la vita, la salute, la bellezza,
la ricchezza, la gloria, ecc. e tutti i loro contrari non hanno alcuna
importanza per il saggio, benché ovviamente alcune siano preferibili ad
altre. In merito agli indifferenti, il saggio esercita delle azioni intermedie,
che non rivestono valore di virtù o di vizio, ma che devono tendere a
scegliere ciò che meglio può aiutare l'accordo con la ragione.
Nell'economia generale del cosmo, l'uomo deve perseguire il bene con la sua
razionalità e non con l'emozione (
páthos) che si applica al
desiderio o al timore di beni o mali presunti ma non reali, perché
l'ordine del mondo è necessario e provvidenziale: il saggio deve dunque
permanere in uno stato d'animo privo di emozioni (
apathía).
Inoltre, se le condizioni della sua vita gli impediscono di adempire a questo
ideale razionale, il saggio ha l'obbligo di togliersi la vita, anche se si
trovasse in condizioni di grande prosperità (e in realtà molti
maestri stoici si suicidarono, compreso lo stesso Zenone). In quanto parte di un
solo e comune ordine razionale, tutti gli uomini sono uguali, cittadini di una
stessa città, membri di un'unica comunità universale: nell'ideale
stoico del cosmopolitismo, non può esistere schiavitù, ma tutti
gli uomini sono liberi e dotati per natura di uguali diritti e doveri.