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Stella.

Corpo celeste che emette luce propria in quanto costituito da materia incandescente e sede di reazioni nucleari. ║ In senso più generico, ogni corpo celeste che appaia come luminoso nella volta celeste. In questo senso sono chiamati comunemente s. anche certi pianeti: la s. di Venere. ║ Con valore iperbolico, in relazione al numero indefinibile delle s.: tanti quanti le s. in cielo. ║ Fig. - In riferimento alla credenza che l'indole degli individui e gli eventi più importanti della vita siano influenzati dalla posizione degli astri: nato sotto una buona s. ║ Fig. - Splendore, luminosità, bellezza: bella come una s. ║ Persona verso la quale si prova affetto: sei una s.! ║ Fig. - In riferimento all'idea di altezza ad esso associata, il termine è usato in espressioni figurate o enfatiche a indicare tale concetto: portare alle s. qualcuno. ║ Fig. - Vedere le s.: avvertire un dolore acuto e intenso. ║ Fig. - Calco dal francese étoile e dall'inglese star, attrice cinematografica di grande successo e bellezza: una s. di Hollywood. L'accezione del termine si è poi estesa a indicare protagonisti di successo, sia femminili sia maschili, di vari ambienti, sia del mondo dello spettacolo sia dello sport. ║ Per estens. - Oggetto o segno grafico avente forma stellare. ║ Per estens. - Simbolo, utilizzato in particolare nell'industria turistica per indicare ristoranti o alberghi, di categoria crescente in rapporto al numero delle s. ad essi attribuito: albergo a cinque s.S. maris: S. del mare, epiteto mariano, attributo dalla tradizione liturgica cristiana alla Vergine Maria. ║ S. dei Magi o di Natale: la s. cometa che, secondo la tradizione, apparve ai Magi indicando loro la via per raggiungere la grotta di Betlemme dove era nato Gesù. ║ S. di David: simbolo religioso del popolo di Israele, costituito da una s. a sei punte. ║ S. gialla: pezzo di stoffa gialla, tagliata in forma di s. a sei punte; i nazisti imposero agli Ebrei di portarla cucita su tutti gli indumenti per poter essere immediatamente identificabili. ║ S. e strisce: locuzione (dall'inglese stars and stripes), utilizzata per indicare in genere ciò che si distingue come genuinamente o marcatamente americano. ║ S. cadenti: V. METEORA. ║ S. filanti: lunghe strisce arrotolate su se stesse di carta colorata che a Carnevale si usa srotolare, lanciandole in aria. • Geom. - Figura geometrica costituita da un poligono regolare sui cui lati sono costruiti altrettanti triangoli isosceli congruenti. Le forme più comuni sono quelle della s. a cinque o sei punte, rispettivamente ottenute da un pentagono e da un esagono regolari. • Mil. - V. STELLETTA. • Sport - Nel pattinaggio artistico, il primo dei dieci salti che costituiscono le figure dette "trottole", con coefficiente di difficoltà 1. È detto anche Lutz non puntato. ║ Nella navigazione a vela, speciale tipo di imbarcazione da regata, nota internazionalmente come star perché porta come segno distintivo sulla randa una s. Progettata nel 1911 da W. Gardner, ha lunghezza fuoritutto di 6,92 m, lunghezza di galleggiamento di 4,724 m, larghezza massima di 1,734 m, pescaggio massimo di 1,016 m e peso dell'imbarcazione completa di 800 kg. La superficie velica è di 27,23 mq. È armata a randa marconi e fiocco, ha scafo a spigolo, chiglia di deriva a pinna con bulbo. Necessita due persone di equipaggio. • Zool. - S. marina: nome comune degli echinodermi asteroidei (V. ECHINODERMI e ASTEROIDE) che vivono sui fondali. Ha forma di s. a cinque punte e dimensioni variabili da qualche centimetro a 1 m. • Astron. - In epoca moderna i corpi celesti si classificano a seconda che siano capaci di brillare di luce propria (s.) o di luce riflessa (pianeti). Gli antichi distinguevano, invece, tra corpi dotati di moto (s. erratiche) o immobili (s. fisse): infatti, mentre il movimento delle prime, cioè dei pianeti, era evidente, le distanze apparenti tra le seconde rimanevano sempre identiche. Aristotele confermò la teoria geocentrica dell'universo proprio affermando che, se fosse stata la Terra a girare intorno al Sole, si sarebbe dovuto almeno apprezzare un moto apparente delle s. Con l'affermarsi del modello copernicano, Newton per primo poté ipotizzare che la mancata percezione del moto apparente delle s. non era dovuta all'inesistenza dello stesso ma all'enorme lontananza delle s. dalla Terra. Egli fece due postulati fondamentali: che tutte le s. fossero all'incirca simili al Sole; che la quantità di luce che si riceve sulla Terra da una s. è inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza. Per le conoscenze di allora, questa tesi era sicuramente geniale, ma il primo assunto su cui posava non era vero. A parte il Sole, che per la sua vicinanza appare come un disco, tutte le 6.000 s. visibili a occhio nudo dalla Terra sono percepite come puntiformi: la più vicina è Proxima centauri, a 4 anni-luce di distanza (la luce che emette, cioè, impiega 4 anni per raggiungerci), mentre - per fare un rapporto - il Sole è a 8 minuti-luce dalla Terra. La distanza impediva perciò di rilevare con la semplice osservazione visiva se tutte le s. avessero o meno la stessa natura e dimensione della nostra. Attualmente gli studiosi si valgono di due tipi di indagine e misurazione delle s.: uno, per così dire geometrico, determina la posizione e gli spostamenti di una s. sulla volta celeste e consente il calcolo della sua distanza e velocità tangenziale (cioè in direzione normale alla linea della visuale); l'altro, di tipo fisico, valuta la quantità e la qualità della radiazione emessa (rispettivamente magnitudine e spettro) e consente di ricavare la struttura fisica, la composizione chimica della s. e la sua velocità radiale (cioè sulla linea della visuale). ║ Posizione, parallasse, moto proprio e velocità delle s.: nel 1838, l'astronomo tedesco F. Bessel apprezzò per la prima volta il moto apparente di una s. Con questo dato contribuì all'elaborazione di un metodo fondamentale per la determinazione della distanza degli oggetti celesti: la determinazione della parallasse (V.). È possibile stabilire la distanza che intercorre tra la Terra e una certa s. calcolando in primo luogo la sua parallasse, cioè l'angolo sotto la cui ampiezza è sotteso il raggio dell'orbita terrestre intorno al Sole. Dato questo angolo si risale, attraverso un procedimento trigonometrico, alla misura della distanza della s. È evidente che tanto più è lontana una s. tanto minore sarà l'ampiezza della parallasse. Per avere l'idea dei rapporti di grandezza, si pensi che la misura della parallasse della s. più vicina corrisponde circa a quella dell'angolo sotto la cui ampiezza sarebbe sotteso il diametro di una moneta che si trovi a 10 km di distanza da noi: la parallasse di Proxima centauri è di 0, 76'' di grado. Per poter trattare con una discreta comodità le distanze stellari, tanto elevate, gli astronomi hanno elaborato due unità di misura per lo studio dei corpi celesti: l'anno-luce, che indica la distanza percorsa in un anno dalla luce nel vuoto (la cui velocità è di 299.792 km/sec); il parsec, che indica la distanza di un corpo celeste che abbia parallasse pari a 1'' di grado (1 parsec equivale a 3,26 anni luce). La posizione di una s. sulla volta celeste, relativamente a un osservatore terrestre, può anche essere definita mediante un sistema di coordinate sferiche simili alle latitudini e longitudini cartografiche: gli astronomi utilizzano questo metodo per osservare il moto apparente globale della volta celeste da Est verso Ovest, dovuto al movimento di rotazione della Terra. Le s. possono essere collocate in una precisa posizione mediante le coordinate, dal momento che sembrano immobili per la grande distanza che ci separa: in realtà esse hanno, rispetto all'osservatore, una velocità media di circa 10 km al secondo, che significa uno spostamento annuo di circa 300 milioni di km! Le s. sono cioè dotate non solo di moto apparente ma anche di moto proprio: nonostante ciò, sarebbero necessarie migliaia di anni perché un osservatore possa apprezzare tale spostamento a occhio nudo. Grazie però alla rilevazione della parallasse di una s. è possibile stabilirne la velocità tangenziale (vt); la velocità radiale (vr) si ricava, sulla base dell'effetto Doppler (V. DOPPLER, EFFETTO), dall'entità della variazione della lunghezza d'onda nello spettro della luce emessa dalla s. (nel caso in cui la s. si stia avvicinando a noi, la sua lunghezza d'onda si sposterà progressivamente verso le ampiezze minori del violetto; nel caso si stia allontanando, verso quelle maggiori del rosso). La risultante di queste due velocità ci fornisce la velocità spaziale o effettiva e permette di disegnare l'orbita di una s. intorno al centro della galassia. ║ Luminosità stellare e scala delle magnitudini: le principali informazioni in nostro possesso in merito alle s. sono tratte dalle radiazioni che esse emettono. In particolare, lo splendore di ciascuna di esse dipende dalla sua luminosità assoluta o intrinseca (L), cioè dalla quantità di energia che la s. emette nell'unità di tempo. La distanza della s. e la sua L determinano invece la luminosità apparente o estrinseca (l), cioè l'energia che raggiunge in un'unità di tempo il nostro occhio o strumento di misura. La luminosità apparente di una s. è una grandezza direttamente proporzionale alla sua L e inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza. Già Ipparco, nel II sec. a.C., aveva diviso le s. in base al diverso grado di splendore con cui erano percepite dall'occhio: per convenzione le classificò in sei classi, definendo di prima magnitudine le più brillanti (cioè le prime che diventavano visibili in cielo dopo il tramonto del Sole) e di sesta le meno brillanti (quelle che apparivano in cielo per ultime e che l'occhio quasi non riusciva a distinguere). Il termine e il tipo di correlazione è stato adottato anche dagli scienziati moderni che, grazie al progresso tecnologico, hanno però potuto osservare un numero assai più alto di s. e rilevare l'esistenza di astri con magnitudine molto più brillante di 1 o molto più debole di 6. Perciò sono state introdotte nella scala di luminosità apparente magnitudini negative per le s. più splendenti e più alte per le più sfocate. Ad esempio, il Sole (che per un osservatore terrestre è in assoluto il corpo celeste più luminoso) ha magnitudine apparente -26,5; Sirio (la s. più luminosa dopo il Sole) -1,57; s. tra le più deboli hanno invece magnitudine +23,5. Nel 1857 N.R. Pogson (V. POGSON, NORMAN ROBERT) definì l'attuale scala delle magnitudini stellari, stabilendo un rapporto costante tra una classe e quella successiva, pari alla radice quinta di 100:2,512. La magnitudine apparente di una s. rappresenta però solo la misura della sua luminosità apparente e non di quella assoluta e non considera le dimensioni, la temperatura o la reale distanza della s. stessa. Gli studiosi hanno perciò cercato di ottenere una grandezza non relativa ma assoluta e indipendente dalla distanza, detta magnitudine assoluta: essa si definisce come la magnitudine apparente che avrebbero le s. se fossero tutte alla medesima distanza dall'osservatore, distanza per convenzione stabilita a 10 parsec. Ne deriva che le s. la cui distanza reale è inferiore a 10 parsec avranno una magnitudine assoluta espressa da un numero relativo maggiore rispetto a quello della magnitudine apparente e viceversa. Ad esempio, il Sole ha magnitudine assoluta +4,8. ║ Temperatura, spettri stellari e loro classificazione: tutti i corpi, solidi o liquidi, o gli ammassi sufficientemente densi di gas ionizzati quando si trovino a temperature superiori agli 800 °K diventano luminosi. Le s. perciò emettono dalla loro superficie una radiazione che può essere scomposta (mediante appositi reticoli di diffrazione) nelle varie lunghezze d'onda che la compongono: quanto maggiore è la temperatura, tanto più il massimo dell'emissione si situa verso le lunghezze d'onda minori. Risulta che l'indice del colore, che rileva la distribuzione dell'energia irradiata in relazione alle lunghezze d'onda, va considerato anche come un indice della temperatura della fotosfera stellare: perciò s. rosse hanno temperature inferiori a quelle delle s. cosiddette bianche, o azzurre, ecc. Dall'analisi spettrografica si possono in genere ottenere tre tipi di spettri: continuo, emesso da corpi solidi incandescenti; a bande, emesso da sostanze gassose allo stato molecolare; a righe, emesso da sostanza gassose allo stato atomico. Tutti e tre i tipi possono essere spettri di emissione (quando la radiazione sia osservata solo attraverso il mezzo di scomposizione e ne risulti rispettivamente una striscia continua brillante o a bande o a righe brillanti su fondo scuro) o di assorbimento (quando tra la sorgente della radiazione e il mezzo di scomposizione si interpone un gas, allo stato molecolare o atomico). In questo secondo caso, il gas assorbe dalla luce da cui è colpito quelle medesime lunghezze d'onda che sarebbe in grado di emettere se fungesse da sorgente anziché da mezzo assorbente: ne risulta uno spettro brillante a bande o a righe scure. Quasi tutte le s. producono spettri ad assorbimento (a fondo luminoso e solcato da righe o bande scure): ciò fa supporre che esse abbiano un interno di temperatura elevatissima, sorgente dello spettro dell'emissione di fondo continua, e un'atmosfera costituita da gas più freddi che assorbono, in corrispondenza delle lunghezze d'onda che sarebbero in grado di emettere a loro volta, una parte della radiazione. Quanto maggiore è l'opacità dei gas a determinate radiazioni tanto più scura è la banda o la riga di assorbimento che solca lo spettro. Ogni elemento ha una sua radiazione caratteristica: confrontando ciascuna di esse in laboratorio con lo spettro di una singola s., rilevando o meno la presenza delle righe o bande corrispondenti è possibile risalire agli elementi che ne compongono gli strati superficiali gassosi e, misurando l'intensità delle stesse bande o righe, si ottengono informazioni sulla densità di quell'elemento, sulla temperatura e densità della superficie della s., ecc. L'analisi spettrografica ha cioè consentito agli scienziati di raccogliere informazioni diversamente inattingibili e ha cominciato a essere praticata nel XIX sec.: il pioniere di questa tecnica fu J. Fraunhofer (V. FRAUNHOFER, JOSEPH), che per primo individuò le righe di assorbimento nello spettro solare (1824). Nel 1860 l'italiano A. Secchi (V. SECCHI, ANGELO) realizzò una prima classificazione delle s. in base al loro spettro, dividendole secondo il colore prevalente in quattro classi (in ordine decrescente di temperatura superficiale: bianco-azzurre, gialle, arancioni, rosse) più una cosiddetta speciale. Pur compiendo le sue osservazioni senza l'ausilio della fotografia, Secchi intuì che la causa fisica del ventaglio di spettri rilevabile era la temperatura. L'impianto classificatorio di Secchi fu ripreso, ampliato e reso sistematico nel XX sec. dagli astronomi dell'università di Harvard, che compilarono un catalogo (Catalogo Henry Draper o HD, dal nome del finanziatore dell'impresa) di quasi 250.000 spettri stellari. Le classi stellari principali furono portate a sette: O, B, A, F, G, K, M (V. TABELLA), ciascuna delle quali comprende 10 sottoclassi, indicate con numerazione da 0 a 9. Il 99% delle s. appartiene a queste categorie, mentre il restante 1% necessita, per essere classificato, di altre 5 sottoclassi (WC, WN, R, N, S): le righe non comuni o di particolare intensità presenti nello spettro di queste s., infatti, le caratterizzano come peculiari e difficilmente raggruppabili. Lo studio di queste s. non è importante tanto per il loro numero, esiguo per ogni tipo, quanto piuttosto per la loro particolarità rispetto alle altre: riconoscere in cosa consista o da che cosa dipenda l'eccezione permetterà di comprendere meglio l'origine, l'evoluzione e il carattere delle s. ordinarie. Tenuto conto che l'intensità delle righe di emissione o di assorbimento degli elementi dipendono non solo dall'abbondanza degli elementi stessi ma soprattutto dalla temperatura, e in misura minore dalla densità del gas, si è potuto stabilire che quasi tutte le s. hanno essenzialmente la medesima composizione chimica: il 90% dei loro atomi sono di idrogeno (H), il 7-8% di elio (He), mentre gli altri elementi, la cui presenza contribuisce alla diversificazione degli spettri, sono in pratica delle semplici impurità. Ad esempio, il fatto che lo spettro di classe A presenti righe metalliche, ma non quelle dell'He, dipende non dall'assenza dell'He stesso, ma dal fatto che la temperatura superficiale delle s. A non è sufficiente per eccitarne o ionizzarne gli atomi, mentre lo è per eccitare quelli metallici. Ne consegue che le righe o bande spettrali variano al variare della temperatura superficiale delle s. Nelle classi speciali, agli opposti estremi della sequenza, WC e WN e S, R, N (che hanno fra loro temperature medie uguali), la diversità dello spettro è invece da imputarsi alla diversità di composizione chimica. ║ Il diagramma di Hertzsprung-Russel (HR): nel 1913 l'astronomo danese E. Hertzsprung e lo statunitense H.N. Russel intuirono contemporaneamente, ma in modo tra loro indipendente, la relazione esistente tra la luminosità di una s. e la sua temperatura superficiale o, per meglio dire, tra la magnitudine assoluta e il tipo spettrale. Riportando infatti su un grafico (che abbia in ascissa le temperature e le classi stellari e in ordinata la magnitudine assoluta) i valori ricavati per il tipo spettrale e la magnitudine assoluta, si nota che i punti rappresentativi delle s. non si dispongono in modo casuale ma vengono a concentrarsi per lo più lungo una fascia, detta sequenza principale, disposta in diagonale dall'angolo superiore sinistro verso l'inferiore destro. La sequenza parte cioè dalle s. più luminose e calde (classe O, magnitudine -5) e arriva alle più fredde e deboli (classe M, magnitudine +10); il Sole si trova circa a metà della sequenza (classe G2). Il diagramma presenta però altre regioni di concentrazione: a destra della sequenza si dispone un gruppo, compreso tra le classi F e M e valori di magnitudine -5, e a sinistra un altro, compreso tra le classi B e A e valori di magnitudine +10. I fisici avevano già stabilito sperimentalmente che la quantità di luce emessa da un corpo si incrementa secondo la quarta potenza della sua temperatura: se si raddoppia la temperatura, cioè, la luce emessa aumenta di 16 volte, ecc. Ne consegue che la luminosità è proporzionale alla superficie di un corpo, a prescindere dalla sua composizione chimica, e alla quarta potenza della temperatura (L= K·S·T4) e questa legge appare valida anche per le s., masse sferiche allo stato gassoso, ad altissima temperatura crescente verso l'interno. Numerosi sono i corollari deducibili: se la luminosità di una s. dipende dalla temperatura e dalla superficie, due s. della medesima classe (e dunque con la medesima temperatura superficiale) che si trovino su HR a livelli di magnitudine diversa dovranno differire per superficie raggiante e quindi per dimensioni. La parte alta a sinistra della sequenza principale rappresenta s. più calde, più luminose, più grandi e dotate di massa maggiore di quelle che si collocano via via verso il basso e a destra. Uscendo dalla sequenza principale, tuttavia, si incontrano situazioni diverse: le s. fuori dalla sequenza sulla destra, molto luminose, devono avere, rispetto a quelle della medesima classe ma poste lungo la sequenza, superficie maggiore, cioè raggio maggiore, cioè volume maggiore: sono perciò chiamate giganti o supergiganti rosse (e per contro le s. rosse della sequenza sono dette nane rosse). Parimenti, le s. situate sulla sinistra, poco luminose, avranno superficie, raggio e volume inferiori rispetto alla media della loro classe sulla sequenza e sono perciò dette nane bianche. È stata infine provata la fondamentale relazione tra la luminosità e la massa (che, per semplificare, si può definire come la quantità di materia di un corpo) di una s., per cui la prima è proporzionale alla seconda in base a un esponente compreso tra 3 e 5. Il diagramma HR rivela dunque che le giganti rosse fuori dalla sequenza principale sono più luminose di s. di massa uguale probabilmente perché meno dense e in grado di offrire una maggiore superficie di irradiamento; le nane bianche fuori sequenza sono invece, rispetto ai corpi di pari massa, meno luminose, perché più dense e dotate perciò di minore superficie raggiante. Si ricorda infine che il calcolo diretto delle masse stellari è possibile solo in alcuni casi, ad esempio per sistemi binari o multipli (V. OLTRE) in cui le s. esercitano una reciproca attrazione gravitazionale e a cui è possibile applicare la terza legge di Keplero (V. KEPLERO, LEGGI DI). Allo stato attuale sembra di poter contenere le variazioni relative di massa tra le s. entro un range di 50 volte la massa solare o 1/10 di essa. Proporzionalmente la luminosità può variare tra 100.000 volte quella solare e 1/100.000 di essa. ║ Popolazioni stellari: in base a tre parametri generali, che registrano rispettivamente l'abbondanza percentuale nella massa di una s. di H, He e di tutti gli altri elementi (indicati globalmente come metalli), intorno al 1950 l'astronomo W. Baade (V. BAADE, WALTER) distinse le s. in popolazioni secondo il contenuto metallico rilevabile dall'analisi dello spettro. A partire da tale classificazione, si notò che gli astri situati sull'alone galattico, a grande distanza dal piano equatoriale della Via Lattea, sono poveri di elementi metallici, mentre quelli posti sul piano galattico ne sono più ricchi. La connessione tra locazione galattica e costituzione chimica è a sua volta indice dell'età evolutiva della s.: quelle periferiche dell'alone sono la popolazione II; si costituirono a partire dalla materia primordiale (in cui gli elementi più pesanti erano pressoché assenti) e sono perciò le più antiche; quelle situate sul piano galattico (tra cui il Sole), sono la popolazione I; si sono originate dalla materia dispersa dall'evoluzione di altre s., perciò ricca di elementi più pesanti, e sono le più recenti. ║ Energia stellare: nella prima fase dell'evoluzione (V. OLTRE), l'energia di una s. consiste in quella generata dalla contrazione gravitazionale della nebulosa di gas che si trasforma in energia termica. Se la massa protostellare supera un certo valore critico, la temperatura del nucleo raggiunge un livello sufficiente a innescare le prime reazioni di fusione nucleare, fortemente esotermiche, che sono l'unica forma di energia in grado di alimentare una s. Nel caso la temperatura non raggiunga tale livello critico, l'ammasso gassoso non diventa una s., ma piuttosto una nana bruna, la cui energia è solo quella di tipo termico generata dalla forza di attrazione gravitazionale. I processi di fusione nucleare che si verificano in una s. dipendono dalla massa di gas coinvolta e dalla fase evolutiva in cui essa si trova: nella fase iniziale e più lunga, l'H si trasforma in He o mediante il ciclo protone-protone o secondo il ciclo di Bethe (V. SOLE, sorgenti dell'energia solare) secondo quanto consentito dalla temperatura raggiunta dal nucleo stellare; segue in un'altra fase la fusione di He in carbonio (C) e ossigeno (O), nota come ciclo 3α, che è innescata a temperature di almeno 108; seguono, ma solo nelle s. più massicce, ulteriori reazioni nucleari che portano alla formazione di magnesio (Mg), di silicio (Si) e di ferro (Fe). A questo punto ha termine la sequenza delle reazioni di fusione, perché il Fe è il nucleo più stabile in natura e la formazione di nuclei più pesanti è possibile solo con reazioni endotermiche, che assorbono energia anziché emetterla. ║ Costituzione ed evoluzione stellare: benché i tempi dell'evoluzione delle s. siano enormi ed eccedano le nostre possibilità di osservazione diretta, è certo non solo che questi corpi celesti subiscono enormi modificazioni di struttura, composizione chimica, massa e densità durante la loro vita, ma che esse nascono e muoiono. Gli studiosi non possono seguire tutte le fasi evolutive in una sola s., ma possono riconoscerle nella situazione attuale di diverse s. Il diagramma HR, perciò, non solo descrive la distribuzione delle s. osservate in relazione ai parametri stellari fondamentali (massa, superficie, luminosità, temperatura), ma anche la diversa collocazione di una s. rispetto a tali valori durante la sua evoluzione. L'ipotesi più probabile per quanto riguarda la nascita delle s. è ricavata da un dato di osservazione per cui s. definibili come sicuramente giovani (le brillanti giganti azzurre) sono localizzate nella galassia in zone ricche di materia interstellare e spesso ancora immerse in nebulose di gas; al contrario, nelle regioni prive di materia interstellare (come l'alone galattico) sono assenti anche s. giovani. È dunque plausibile l'idea che le s. nascano per condensazione delle nebulose interstellari, mediante un processo di collasso gravitazionale di gas allo stato molecolare; nebulose note, come quella di Orione o di Rosetta, non solo mostrano al loro interno s. giovani ma anche caratteristici ammassi globulari (detti globuli di Bok), che costituiscono una fase molto avanzata di contrazione dei gas. Le cause che attivano il collasso (per il quale la forza gravitazionale ha la meglio sulla turbolenza dei gas e sui movimenti di rotazione della nube) sono ancora oggetto di studio; i fenomeni iniziali si verificano comunque al centro della nebulosa, dove la densità è maggiore. Il collasso gravitazionale è un processo assai rapido e si svolge nell'ordine dei 104 anni; gli astronomi definiscono la scala temporale ad esso relativa come tempo di scala dinamico, che equivale al tempo che sarebbe necessario a una s. per collassare in una massa puntiforme se fossero assenti forze antagoniste a quella di attrazione gravitazionale. Una volta avviato il processo, comunque ciò avvenga, si è in presenza di una protostella: si sa che le protostelle sono relativamente fredde (tra i 100 e i 1.000 °K), finché la loro densità diventa abbastanza alta da rendere la massa interna del gas opaca al calore prodotto, che si apre a fatica la strada verso gli strati più esterni prima di disperdersi nello spazio. Questo fatto e il proseguire della contrazione cooperano a un progressivo innalzamento della temperatura: si tratta della fase detta di presequenza, periodo nella vita di una s. calcolato nell'ordine di 105 anni per le più massicce e 108 per quelle più piccole. Gli astronomi definiscono la scala temporale ad esso relativa come tempo di scala termico, che equivale al tempo che una s. impiegherebbe a disperdere tutta l'energia liberata dal collasso gravitazionale se questa fosse la sua unica fonte energetica. La fase di presequenza termina quando la s. raggiunge l'equilibrio idrostatico (quando cioè forza gravitazionale che tende all'implosione e pressione dei gas che tende all'esplosione si equilibrano); la temperatura aumenta fino a far brillare l'ammasso di luce propria e raggiunge la soglia di qualche milione di °K, sufficiente a innescare la fusione nucleare dell'H in He. Mentre attraversa la fase di presequenza, la s. ha una struttura convettiva, a causa delle temperature ancora basse che consentono la diffusione del calore interno attraverso la massa dei gas mediante moti convettivi. Quando si innescano le reazioni nucleari, però, il nucleo assume natura radiativa e solo il mantello più esterno della s. emana energia per convezione. Le s. con massa più piccola però (uguale o inferiore a un quarto di quella solare) non raggiungono mai temperature sufficienti ad abbandonare la fase convettiva. Quanto maggiore è la massa della protostella tanto maggiore è la forza di pressione dei gas necessaria a stabilire un equilibrio con quella gravitazionale e dunque la temperatura interna sarà tanto più elevata quanto più grande è la massa. Si è già visto come la luminosità cresca in funzione della temperatura e quindi avremo s. tanto più luminose, perché più calde, quanto più grande è la loro massa. Tanta energia, però, richiede anche una maggiore superficie che ne consenta la dissipazione perché la s. rimanga in equilibrio idrostatico e non esploda: ecco perché le s. più massicce hanno anche raggi e dimensioni maggiori. Questa è la fase di sequenza, definita come il periodo in cui la s. trae energia dalle reazioni di fusione dell'H in He, durante la quale la s. è rappresentata sul diagramma HR da un punto sito lungo la sequenza principale: la posizione precisa di una s. dipende dalla sua massa (da cui dipendono appunto temperatura e luminosità). Quanto più massiccia è la s. tanto più in alto e a sinistra sarà collocata nella sequenza principale del diagramma HR; quanto più piccola, tanto più in basso a destra. Tuttavia, indipendentemente dalla loro massa, tutte le s. che entrano nella sequenza principale sono stabili (cioè producono energia allo stesso ritmo con cui la emettono) e trascorrono circa il 90% della loro esistenza in questa condizione. Gli astronomi definiscono la scala temporale ad essa relativa come tempo di scala nucleare, equivalente al tempo impiegato da una s. a irradiare tutta l'energia che può produrre con un tipo di reazione nucleare. In particolare, il tempo di scala nucleare della reazione H→He per una s. di massa simile a quella solare è di 1010 anni. È interessante notare che lungo la sequenza principale i tempi di scala nucleare sono tanto più brevi quanto maggiore è la massa di una s.: infatti queste s. (che come si ricorderà sono più calde e più luminose), pur disponendo di una maggior riserva di H combustibile per le reazioni nucleari, lo consumano proporzionalmente più in fretta (ad esempio, il tempo di scala nucleare dell'H per una s. con massa di 30 volte quella solare è pari a 2 · 106 anni). Si può dunque dire che il tempo di scala nucleare dell'H diminuisce al crescere della massa (nella fase di sequenza la luminosità di una s. è proporzionale al cubo della sua massa, perciò una s. con massa 10 volte quella solare, è 1.000 volte più luminosa del Sole e consuma 1.000 volte più carburante pur possedendone solo 10 volte di più!) e ciò spiega perché, lungo la sequenza principale del diagramma HR, la maggior concentrazione di punti rappresentativi delle s. si trovi in basso a destra. Quando l'H contenuto nel nucleo di una s. si è tutto trasformato in He, la produzione di energia nucleare si interrompe perché la temperatura che era sufficiente a eccitare l'H lascia invece l'He inerte. Tuttavia la s. continua a dissipare energia termica nel freddo spazio interstellare: i suoi gas cominciano a raffreddarsi, la pressione verso l'esterno diminuisce e la s. ricomincia a contrarsi perché non vi è più una forza antagonista sufficiente a bilanciare quella gravitazionale. Questa seconda fase di contrazione del nucleo stellare produce in breve un nuovo e ingente riscaldamento dei gas, finché non sia raggiunta una temperatura di circa 100 milioni di °K, sufficienti perché si inneschino le reazioni nucleari a carico dell'He, che si trasforma in C e O liberando energia. Una corteccia di gas che avvolge il nucleo della s. è però ancora ricca di H: le temperature della fase di sequenza non erano abbastanza alte in questa zona della s. per innescare i processi di fusione nucleare ma ora sono sufficienti a sostenere le reazioni di trasformazione di H in He. La s. si alimenta a questo punto con due tipi di reazioni nucleari: quella del nucleo che trasforma He in C e O e quella della corteccia che trasforma H in He. La superficie stellare deve ulteriormente espandersi per poter dissipare tanta energia: a un nucleo sempre più contratto corrisponde un'espansione degli strati più esterni (vento stellare, i gas si diffondono su un'area circostante la s. sempre più vasta). Il raggio e il volume stellare aumentano, la densità periferica dei gas diminuisce come pure la temperatura superficiale: la s. è entrata nella fase di gigante, è più grande e più luminosa ma più fredda e, nel diagramma HR, è rappresentata da un punto spostato in alto e sulla destra della sequenza principale, come una gigante o supergigante rossa. Il tempo di scala nucleare riferito alla combustione dell'He è in genere pari a circa un decimo di quello dell'H. Quando anche l'He del nucleo è terminato, se la massa iniziale della s. era abbastanza consistente, si può produrre in essa un'ulteriore fase di contrazione con incremento termico nel nocciolo stellare e l'innesco di reazioni di fusione nucleare a carico del C dell'O prodotti dal ciclo precedente. La corteccia del nucleo, invece, inizia a bruciare He mentre negli strati ancora più esterni (che acquisiscono più calore) si attiva come combustibile l'H. La struttura stellare durante la fase di sequenza si presentava come sostanzialmente omogenea perché composta chimicamente in modo omogeneo; la s. in fase di gigante, invece, presenta nel nocciolo una struttura a cipolla, a strati concentrici: lo strato più esterno brucia H, proseguendo verso l'interno si incontra uno strato di He, uno di C e O, uno di Mg e infine di Si e di Fe. Questi ultimi strati, tuttavia, si formano solo in s. di grande massa: gli studiosi hanno per ora individuato come valore critico per il prosieguo delle reazioni nucleari una massa pari o superiore a 5 volte quella solare, che consente l'attraversamento di più fasi di contrazione anche dopo la trasformazione di C e O. Nelle fasi finali dell'evoluzione di s. sufficientemente massicce si verificano nuove contrazioni cui corrispondono incrementi termici nel nocciolo che innescano di volta in volta le ultime fusioni esotermiche (Mg, Si e Fe). Infine si toccano temperature pari a 10 miliardi di °K: a questi livelli un atomo di Fe del nocciolo è in grado di trasformarsi in 13 atomi di He più quattro neutroni. Al termine della reazione la massa complessiva supera però quella iniziale, con assorbimento di energia termica (reazione endotermica) e produzione di un fenomeno di raffreddamento velocissimo, per cui la temperatura passa da 10 miliardi a 100 milioni di °K: la pressione verso gli strati più esterni della s. decresce in modo altrettanto rapido mentre la massa di gas, prima rarefatta, precipita verso il centro stellare per il prevalere dell'ingentissima forza di attrazione. Si verifica cioè un collasso gravitazionale di enormi dimensioni nello spazio di pochi secondi! Questa immane contrazione produce una nuova impennata della temperatura fino agli strati più periferici della s. (non solo del nucleo!) attivando una catena di reazioni nucleari incontrollate a carico dell'H e dell'He ancora presenti alla periferia: l'astro produce una quantità di energia troppo grande per le sue dimensioni ormai ridotte che non forniscono una superficie sufficiente per il suo irradiamento. La forza della pressione vince su quella implosiva gravitazionale: la s. esplode come supernova (V.) moltiplicando temporaneamente il suo splendore di venti magnitudini (100 milioni di volte). Con l'esplosione la materia stellare o si disperde completamente nello spazio, diffondendo gli elementi pesanti che si erano costituiti nel suo nucleo e che potranno confluire nelle nubi di condensazione di altre s., o può mantenersi coeso un nocciolo centrale dotato anzi, per l'enorme compressione subita durante l'ultimo collasso, di una densità elevatissima (pari a circa 100 miliardi di g/cm3). Questi residui stellari vengono detti s. di neutroni: masse originarie di 5-8 volte superiori a quella solare si condensano in sfere con raggio di poche decine di chilometri (la forza gravitazionale è contrastata dai gas di neutroni che non si comportano più come gas perfetti ma come degeneri: la pressione che esercitano verso gli strati esterni è determinata dalla densità e non dalla temperatura, arrestando così il collasso). Le s. di neutroni sono anche note come pulsars (PULSAting Radio Source; V. PULSAR), in quanto emettono una radiazione molto intensa nella banda delle onde radio, pulsante con un periodo di 33 millesimi di secondo. Invece, nelle s. con le più grandi masse originarie (almeno 9 volte quella del Sole) il collasso gravitazionale non ha mai fine: esse concludono la propria vita come buchi neri, corpi celesti con densità che tende all'infinito e raggio tendente a zero: in essi la forza di attrazione gravitazionale è tale da catturare perfino i fotoni, cioè da impedire alla luce di sfuggire al suo effetto. Ciò fa sì che i buchi neri non siano osservabili direttamente, ma solo individuabili mediante l'osservazione degli effetti gravitazionali che producono. Molto differente la fase finale di evoluzione di s. con massa inferiore a 5 volte quella solare che si spengono in modo tranquillo e lento a fronte del catastrofismo e della rapidità di quelle massicce. Durante la fase di gigante, queste s. consumano progressivamente i vari combustibili nucleari disponibili; in genere raggiungono una situazione con nucleo costituito da C e O, circondato da un sottile strato di He e uno ancora più sottile e più esterno di H. Parte della massa originaria, la più periferica, si è sempre più rarefatta nello spazio, come vento stellare, a formare una sorta di nebulosa disposta circolarmente intorno al nucleo (nebulosa planetaria). Mentre in s. di massa maggiore a questo punto il nucleo può proseguire nel ciclo contrazione/riscaldamento/nuove reazioni, in quelle più piccole ciò non accade perché il gas si trasforma in degenere a densità tanto più basse quanto più bassa è la temperatura: per esempio, intorno ai 40 milioni di °K per una densità di 300.000 volte quella dell'acqua, in una s. di massa pari al Sole il gas degenera, mentre per masse 10 volte più grandi la temperatura è sempre sufficientemente alta per determinare comportamenti perfetti del gas, consentire nuove fasi di contrazione e riscaldare il nucleo. Il gas degenerato, invece, si comporta come un solido e, anche al decrescere della temperatura, continua a esercitare la stessa pressione sugli strati più esterni e dunque non consente nuova contrazione: il ciclo di produzione energetica si interrompe. La s. continua a disperdere energia nello spazio ma non ne produce per mancanza di innesco delle nuove reazioni nucleari, perciò si raffredda lentamente. Questo evento viene valutato dagli astronomi sulla base del tempo scalare di raffreddamento, durante il quale la s. emette tutto il suo calore, non più rimpiazzato né dall'energia termica prodotta dalla contrazione gravitazionale né da quella nucleare. Il processo di raffreddamento è piuttosto lento, perché la luminosità delle s. in questa fase, per l'alta densità e la scarsa superficie di irradiamento, è bassa e si svolge nell'ordine di 109 anni. Si tratta della fase di nana bianca, rappresentata sul diagramma HR da un punto in basso a sinistra, che indica bassa temperatura e bassa luminosità; la densità elevata (circa 106 g/cm3) è in grado di pareggiare la forza di contrazione gravitazionale. Si noti a questo proposito che corpi celesti inferiori agli 8/100 del Sole non sono mai in grado di attivare reazioni nucleari: la loro massa infatti non può garantire comportamenti perfetti nei gas, che degenerano prima di poter toccare temperature che ne eccitino gli atomi di H. Giove, ad esempio, il "gigante del sistema solare", potrebbe essere un esempio di queste s. mancate, dette nane brune, in cui la pressione dei gas degeneri impedisce la contrazione gravitazionale e l'impennata della temperatura che innesca la trasformazione dell'H in He. Perciò, mentre le nane brune sono composte da H (mai consumato), le nane bianche a seconda della loro massa iniziale possono essere costituite in prevalenza da He (se il ciclo di trasformazione in C non ha potuto essere innescato) o C e O. Quando una s. è in fase di raffreddamento e non presenta più reazioni nucleari viene detta anche s. morta. Quando la temperatura superficiale di una nana bianca raggiunge il limite inferiore dei 1.000 °K la sua luminosità è tanto bassa che non è più visibile: essa viene allora detta nana nera. Infine è dunque possibile affermare, a proposito dell'evoluzione delle s., che ogni fase di essa è in ultima analisi dipendente dalla massa iniziale dei singoli ammassi: dalla massa dipende infatti la possibilità di innesco di uno o più cicli di reazioni nucleari, i cui prodotti determinano la composizione della s. e la sua struttura nelle varie fasi, e sempre la massa e le reazioni che consente modificano la luminosità, la temperatura e le dimensioni della s. nel corso della sua esistenza. S. multiple e s. variabili: si definiscono sistemi doppi o multipli quelli che vedono due o più s. descrivere un'orbita intorno a un baricentro comune. L'importanza di tali sistemi consiste nella possibilità di misurare direttamente la massa di una s., in base alla terza legge di Keplero, e di poter dunque validare mediante osservazioni le teorie relative all'evoluzione stellare. Si definiscono invece come variabili le s. che presentano all'osservatore splendore non costante: luminosità, temperatura e raggio possono variare con una certa regolarità temporale, quasi una pulsazione, intorno a un valore medio; in altri casi sono state invece osservate variazioni brusche, improvvise e ingenti, interpretabili come esplosioni superficiali. Queste s. possono trovarsi ad altezze diverse nel diagramma HR, ma sempre fuori dalla sequenza principale: la variabilità può comparire per brevi periodi in più fasi della vita di una s. (ad esempio nella fase di presequenza, quando l'equilibrio idrostatico non è ancora raggiunto) ma accompagna soprattutto la fase di combustione di C e O, quando la produzione di energia non è costante (e quindi temperatura, luminosità e fasi di contrazione non sono stabili).

CLASSIFICAZIONE DELLE STELLE
CLASSE SPETTRALE
RIGHE O BANDE DOMINANTI
(se non specificato, si intendono di assorbimento)
COLORE
TEMPERATURA (°K)
SUPERFICIALE
W (WC-WN)
Righe di emissione di he neutro e ionizzato; WC se presenti righe di C; WN se presenti righe di N
Violetto
Fino a 105
O
Righe di He ionizzato e neutro, di h debole, di Ca, N, Si più volte ionizzati
Blu
35.000
B
Righe di He neutro, ma non di He ionizzato, più forti le righe di H, righe di O, Si, Mg
Blu-bianco
21.000
A
Righe di H presenti con massima intensità in AO; righe di metalli e debolmente ionizzati (Ca, Fe, Cr) e neutri
Bianco
10.000
F
Righe di Ca ionizzato e di metalli ionizzati; più deboli le righe di H
Bianco-giallo
7.200
G
Righe di metalli neutri e ionizzati, ancora più deboli le righe di H
Giallo
6.000
K
Righe di metalli neutri e di Ca ionizzato; bande di ossidi metallici di titanio e vanadio
Arancio
4.700
M
Bande molecolari degli ossidi di titanio e vanadio
Rosso
3.300
S-R-N
Come in M; in aggiunta, per S ossido, bande di lantanio e di terre rare; per R e N bande dei composti di C
Rosso
3.000