Corpo celeste che emette luce propria in quanto
costituito da materia incandescente e sede di reazioni nucleari. ║ In
senso più generico, ogni corpo celeste che appaia come luminoso nella
volta celeste. In questo senso sono chiamati comunemente
s. anche certi
pianeti:
la s. di Venere. ║ Con valore iperbolico, in relazione al
numero indefinibile delle
s.:
tanti quanti le s. in cielo. ║
Fig. - In riferimento alla credenza che l'indole degli individui e gli eventi
più importanti della vita siano influenzati dalla posizione degli astri:
nato sotto una buona s. ║ Fig. - Splendore, luminosità,
bellezza:
bella come una s. ║ Persona verso la quale si prova
affetto:
sei una s.! ║ Fig. - In riferimento all'idea di altezza ad
esso associata, il termine è usato in espressioni figurate o enfatiche a
indicare tale concetto:
portare alle s.
qualcuno. ║ Fig. -
Vedere le s.: avvertire un dolore acuto e intenso. ║ Fig. -
Calco dal francese
étoile e dall'inglese
star, attrice
cinematografica di grande successo e bellezza:
una s. di
Hollywood. L'accezione del termine si è poi estesa a indicare
protagonisti di successo, sia femminili sia maschili, di vari ambienti, sia del
mondo dello spettacolo sia dello sport.
║ Per estens. - Oggetto o
segno grafico avente forma stellare. ║ Per estens. - Simbolo, utilizzato
in particolare nell'industria turistica per indicare ristoranti o alberghi, di
categoria crescente in rapporto al numero delle
s. ad essi attribuito:
albergo a cinque s. ║
S. maris:
S. del mare, epiteto
mariano, attributo dalla tradizione liturgica cristiana alla Vergine Maria.
║
S. dei Magi o
di Natale: la
s. cometa che,
secondo la tradizione, apparve ai Magi indicando loro la via per raggiungere la
grotta di Betlemme dove era nato Gesù. ║
S. di David:
simbolo religioso del popolo di Israele, costituito da una
s. a sei
punte. ║
S. gialla: pezzo di stoffa gialla, tagliata in
forma di
s. a sei punte; i nazisti imposero agli Ebrei di portarla cucita
su tutti gli indumenti per poter essere immediatamente identificabili. ║
S. e strisce: locuzione (dall'inglese
stars and stripes),
utilizzata per indicare in genere ciò che si distingue come genuinamente
o marcatamente americano. ║
S. cadenti: V.
METEORA. ║
S. filanti: lunghe strisce arrotolate su se
stesse di carta colorata che a Carnevale si usa srotolare, lanciandole in aria.
• Geom. - Figura geometrica costituita da un poligono regolare sui cui
lati sono costruiti altrettanti triangoli isosceli congruenti. Le forme
più comuni sono quelle della
s. a cinque o sei punte,
rispettivamente ottenute da un pentagono e da un esagono regolari. • Mil.
- V. STELLETTA. • Sport - Nel pattinaggio
artistico, il primo dei dieci salti che costituiscono le figure dette
"trottole", con coefficiente di difficoltà 1. È detto
anche
Lutz non puntato. ║ Nella navigazione a vela, speciale tipo
di imbarcazione da regata, nota internazionalmente come
star
perché porta come segno distintivo sulla randa una
s. Progettata
nel 1911 da W. Gardner, ha lunghezza fuoritutto di 6,92 m, lunghezza di
galleggiamento di 4,724 m, larghezza massima di 1,734 m, pescaggio massimo di
1,016 m e peso dell'imbarcazione completa di 800 kg. La superficie velica
è di 27,23 mq. È armata a randa marconi e fiocco, ha scafo a
spigolo, chiglia di deriva a pinna con bulbo. Necessita due persone di
equipaggio. • Zool. -
S. marina: nome comune degli echinodermi
asteroidei (V. ECHINODERMI e
ASTEROIDE) che vivono sui fondali. Ha forma di
s. a cinque punte e dimensioni variabili da qualche centimetro a 1 m.
• Astron. - In epoca moderna i corpi celesti si classificano a seconda che
siano capaci di brillare di luce propria (
s.) o di luce riflessa
(
pianeti). Gli antichi distinguevano, invece, tra corpi dotati di moto
(
s. erratiche) o immobili (
s. fisse): infatti, mentre il movimento
delle prime, cioè dei pianeti, era evidente, le distanze apparenti tra le
seconde rimanevano sempre identiche. Aristotele confermò la teoria
geocentrica dell'universo proprio affermando che, se fosse stata la Terra a
girare intorno al Sole, si sarebbe dovuto almeno apprezzare un moto apparente
delle
s. Con l'affermarsi del modello copernicano, Newton per primo
poté ipotizzare che la mancata percezione del moto apparente delle
s. non era dovuta all'inesistenza dello stesso ma all'enorme lontananza
delle
s. dalla Terra
. Egli fece due postulati fondamentali: che
tutte le
s. fossero all'incirca simili al Sole; che la quantità di
luce che si riceve sulla Terra da una
s. è inversamente
proporzionale al quadrato della sua distanza. Per le conoscenze di allora,
questa tesi era sicuramente geniale, ma il primo assunto su cui posava non era
vero. A parte il Sole, che per la sua vicinanza appare come un disco, tutte le
6.000
s. visibili a occhio nudo dalla Terra sono percepite come
puntiformi: la più vicina è
Proxima centauri, a 4 anni-luce
di distanza (la luce che emette, cioè, impiega 4 anni per raggiungerci),
mentre - per fare un rapporto - il Sole è a 8 minuti-luce dalla Terra. La
distanza impediva perciò di rilevare con la semplice osservazione visiva
se tutte le
s. avessero o meno la stessa natura e dimensione della
nostra. Attualmente gli studiosi si valgono di due tipi di indagine e
misurazione delle
s.: uno, per così dire geometrico, determina la
posizione e gli spostamenti di una
s. sulla volta celeste e consente il
calcolo della sua distanza e velocità tangenziale (cioè in
direzione normale alla linea della visuale); l'altro, di tipo fisico, valuta la
quantità e la qualità della radiazione emessa (rispettivamente
magnitudine e spettro) e consente di ricavare la struttura fisica, la
composizione chimica della
s. e la sua velocità radiale
(cioè sulla linea della visuale). ║
Posizione,
parallasse,
moto proprio e velocità delle s.: nel 1838,
l'astronomo tedesco F. Bessel apprezzò per la prima volta il moto
apparente di una
s. Con questo dato contribuì all'elaborazione di
un metodo fondamentale per la determinazione della distanza degli oggetti
celesti: la determinazione della parallasse (V.).
È possibile stabilire la distanza che intercorre tra la Terra e una certa
s. calcolando in primo luogo la sua parallasse, cioè l'angolo
sotto la cui ampiezza è sotteso il raggio dell'orbita terrestre intorno
al Sole. Dato questo angolo si risale, attraverso un procedimento
trigonometrico, alla misura della distanza della
s. È
evidente che tanto più è lontana una
s. tanto minore
sarà l'ampiezza della parallasse. Per avere l'idea dei rapporti di
grandezza, si pensi che la misura della parallasse della
s. più
vicina corrisponde circa a quella dell'angolo sotto la cui ampiezza sarebbe
sotteso il diametro di una moneta che si trovi a 10 km di distanza da noi: la
parallasse di
Proxima centauri è di 0, 76'' di grado. Per poter
trattare con una discreta comodità le distanze stellari, tanto elevate,
gli astronomi hanno elaborato due unità di misura per lo studio dei corpi
celesti: l'
anno-luce, che indica la distanza percorsa in un anno dalla
luce nel vuoto (la cui velocità è di 299.792 km/sec); il
parsec, che indica la distanza di un corpo celeste che abbia parallasse
pari a 1'' di grado (1
parsec equivale a 3,26 anni luce). La posizione di
una
s. sulla volta celeste, relativamente a un osservatore terrestre,
può anche essere definita mediante un sistema di coordinate sferiche
simili alle latitudini e longitudini cartografiche: gli astronomi utilizzano
questo metodo per osservare il moto apparente globale della volta celeste da Est
verso Ovest, dovuto al movimento di rotazione della Terra. Le
s. possono
essere collocate in una precisa posizione mediante le coordinate, dal momento
che sembrano immobili per la grande distanza che ci separa: in realtà
esse hanno, rispetto all'osservatore, una velocità media di circa 10 km
al secondo, che significa uno spostamento annuo di circa 300 milioni di km! Le
s. sono cioè dotate non solo di moto apparente ma anche di moto
proprio: nonostante ciò, sarebbero necessarie migliaia di anni
perché un osservatore possa apprezzare tale spostamento a occhio nudo.
Grazie però alla rilevazione della parallasse di una
s. è
possibile stabilirne la velocità tangenziale (
vt); la
velocità radiale (
vr) si ricava, sulla base
dell'effetto Doppler (V. DOPPLER, EFFETTO),
dall'entità della variazione della lunghezza d'onda nello spettro della
luce emessa dalla
s. (nel caso in cui la
s. si stia avvicinando a
noi, la sua lunghezza d'onda si sposterà progressivamente verso le
ampiezze minori del violetto; nel caso si stia allontanando, verso quelle
maggiori del rosso). La risultante di queste due velocità ci fornisce la
velocità spaziale o effettiva e permette di disegnare l'orbita di una
s. intorno al centro della galassia. ║
Luminosità
stellare e scala delle magnitudini: le principali informazioni in nostro
possesso in merito alle
s. sono tratte dalle radiazioni che esse
emettono. In particolare, lo splendore di ciascuna di esse dipende dalla sua
luminosità assoluta o
intrinseca (L), cioè dalla
quantità di energia che la
s. emette nell'unità di tempo.
La distanza della
s. e la sua L determinano invece la
luminosità apparente o
estrinseca (l), cioè
l'energia che raggiunge in un'unità di tempo il nostro occhio o strumento
di misura. La luminosità apparente di una
s. è una
grandezza direttamente proporzionale alla sua L e inversamente proporzionale al
quadrato della sua distanza. Già Ipparco, nel II sec. a.C., aveva diviso
le
s. in base al diverso grado di splendore con cui erano percepite
dall'occhio: per convenzione le classificò in sei classi, definendo di
prima
magnitudine le più brillanti (cioè le prime che
diventavano visibili in cielo dopo il tramonto del Sole) e di sesta le meno
brillanti (quelle che apparivano in cielo per ultime e che l'occhio quasi non
riusciva a distinguere). Il termine e il tipo di correlazione è stato
adottato anche dagli scienziati moderni che, grazie al progresso tecnologico,
hanno però potuto osservare un numero assai più alto di
s.
e rilevare l'esistenza di astri con magnitudine molto più brillante di 1
o molto più debole di 6. Perciò sono state introdotte nella scala
di luminosità apparente magnitudini negative per le
s. più
splendenti e più alte per le più sfocate. Ad esempio, il Sole (che
per un osservatore terrestre è in assoluto il corpo celeste più
luminoso) ha magnitudine apparente -26,5; Sirio (la
s. più
luminosa dopo il Sole) -1,57;
s. tra le più deboli hanno invece
magnitudine +23,5. Nel 1857 N.R. Pogson (V. POGSON,
NORMAN ROBERT) definì l'attuale scala delle magnitudini stellari,
stabilendo un rapporto costante tra una classe e quella successiva, pari alla
radice quinta di 100:2,512. La magnitudine apparente di una
s.
rappresenta però solo la misura della sua luminosità apparente e
non di quella assoluta e non considera le dimensioni, la temperatura o la reale
distanza della
s. stessa. Gli studiosi hanno perciò cercato di
ottenere una grandezza non relativa ma assoluta e indipendente dalla distanza,
detta
magnitudine assoluta: essa si definisce come la magnitudine
apparente che avrebbero le
s. se fossero tutte alla medesima distanza
dall'osservatore, distanza per convenzione stabilita a 10 parsec. Ne deriva che
le
s. la cui distanza reale è inferiore a 10 parsec avranno una
magnitudine assoluta espressa da un numero relativo maggiore rispetto a quello
della magnitudine apparente e viceversa. Ad esempio, il Sole ha magnitudine
assoluta +4,8. ║
Temperatura,
spettri stellari e loro
classificazione: tutti i corpi, solidi o liquidi, o gli ammassi
sufficientemente densi di gas ionizzati quando si trovino a temperature
superiori agli 800 °K diventano luminosi. Le
s. perciò
emettono dalla loro superficie una radiazione che può essere scomposta
(mediante appositi reticoli di diffrazione) nelle varie lunghezze d'onda che la
compongono: quanto maggiore è la temperatura, tanto più il massimo
dell'emissione si situa verso le lunghezze d'onda minori. Risulta che l'indice
del colore, che rileva la distribuzione dell'energia irradiata in relazione alle
lunghezze d'onda, va considerato anche come un indice della temperatura della
fotosfera stellare: perciò
s. rosse hanno temperature inferiori a
quelle delle
s. cosiddette bianche, o azzurre, ecc. Dall'analisi
spettrografica si possono in genere ottenere tre tipi di spettri:
continuo, emesso da corpi solidi incandescenti;
a bande, emesso da
sostanze gassose allo stato molecolare;
a righe, emesso da sostanza
gassose allo stato atomico. Tutti e tre i tipi possono essere spettri di
emissione (quando la radiazione sia osservata solo attraverso il mezzo di
scomposizione e ne risulti rispettivamente una striscia continua brillante o a
bande o a righe brillanti su fondo scuro) o di
assorbimento (quando tra
la sorgente della radiazione e il mezzo di scomposizione si interpone un gas,
allo stato molecolare o atomico). In questo secondo caso, il gas assorbe dalla
luce da cui è colpito quelle medesime lunghezze d'onda che sarebbe in
grado di emettere se fungesse da sorgente anziché da mezzo assorbente: ne
risulta uno spettro brillante a bande o a righe scure. Quasi tutte le
s.
producono spettri ad assorbimento (a fondo luminoso e solcato da righe o bande
scure): ciò fa supporre che esse abbiano un interno di temperatura
elevatissima, sorgente dello spettro dell'emissione di fondo continua, e
un'atmosfera costituita da gas più freddi che assorbono, in
corrispondenza delle lunghezze d'onda che sarebbero in grado di emettere a loro
volta, una parte della radiazione. Quanto maggiore è l'opacità dei
gas a determinate radiazioni tanto più scura è la banda o la riga
di assorbimento che solca lo spettro. Ogni elemento ha una sua radiazione
caratteristica: confrontando ciascuna di esse in laboratorio con lo spettro di
una singola
s., rilevando o meno la presenza delle righe o bande
corrispondenti è possibile risalire agli elementi che ne compongono gli
strati superficiali gassosi e, misurando l'intensità delle stesse bande o
righe, si ottengono informazioni sulla densità di quell'elemento, sulla
temperatura e densità della superficie della
s., ecc. L'analisi
spettrografica ha cioè consentito agli scienziati di raccogliere
informazioni diversamente inattingibili e ha cominciato a essere praticata nel
XIX sec.: il pioniere di questa tecnica fu J. Fraunhofer
(V. FRAUNHOFER, JOSEPH), che per primo
individuò le righe di assorbimento nello spettro solare (1824). Nel 1860
l'italiano A. Secchi (V. SECCHI, ANGELO)
realizzò una prima classificazione delle
s. in base al loro
spettro, dividendole secondo il colore prevalente in quattro classi (in ordine
decrescente di temperatura superficiale: bianco-azzurre, gialle, arancioni,
rosse) più una cosiddetta speciale. Pur compiendo le sue osservazioni
senza l'ausilio della fotografia, Secchi intuì che la causa fisica del
ventaglio di spettri rilevabile era la temperatura. L'impianto classificatorio
di Secchi fu ripreso, ampliato e reso sistematico nel XX sec. dagli astronomi
dell'università di Harvard, che compilarono un catalogo (
Catalogo
Henry Draper o
HD, dal nome del finanziatore dell'impresa) di quasi
250.000 spettri stellari. Le classi stellari principali furono portate a sette:
O,
B,
A,
F,
G,
K,
M
(V. TABELLA), ciascuna delle quali comprende 10
sottoclassi, indicate con numerazione da 0 a 9. Il 99% delle
s.
appartiene a queste categorie, mentre il restante 1% necessita, per essere
classificato, di altre 5 sottoclassi (
WC,
WN,
R,
N,
S): le righe non comuni o di particolare intensità presenti
nello spettro di queste
s., infatti, le caratterizzano come peculiari e
difficilmente raggruppabili. Lo studio di queste
s. non è
importante tanto per il loro numero, esiguo per ogni tipo,
quanto
piuttosto per la loro particolarità rispetto alle altre: riconoscere in
cosa consista o da che cosa dipenda l'eccezione permetterà di comprendere
meglio l'origine, l'evoluzione e il carattere delle
s. ordinarie. Tenuto
conto che l'intensità delle righe di emissione o di assorbimento degli
elementi dipendono non solo dall'abbondanza degli elementi stessi ma soprattutto
dalla temperatura, e in misura minore dalla densità del gas, si è
potuto stabilire che quasi tutte le
s. hanno essenzialmente la medesima
composizione chimica: il 90% dei loro atomi sono di idrogeno (H), il 7-8% di
elio (He), mentre gli altri elementi, la cui presenza contribuisce alla
diversificazione degli spettri, sono in pratica delle semplici impurità.
Ad esempio, il fatto che lo spettro di classe A presenti righe metalliche, ma
non quelle dell'He, dipende non dall'assenza dell'He stesso, ma dal fatto che la
temperatura superficiale delle
s. A non è sufficiente per
eccitarne o ionizzarne gli atomi, mentre lo è per eccitare quelli
metallici. Ne consegue che le righe o bande spettrali variano al variare della
temperatura superficiale delle
s. Nelle classi speciali, agli opposti
estremi della sequenza, WC e WN e S, R, N (che hanno fra loro temperature medie
uguali), la diversità dello spettro è invece da imputarsi alla
diversità di composizione chimica. ║
Il diagramma di
Hertzsprung-Russel (
HR): nel 1913 l'astronomo danese E. Hertzsprung e
lo statunitense H.N. Russel intuirono contemporaneamente, ma in modo tra loro
indipendente, la relazione esistente tra la luminosità di una
s. e
la sua temperatura superficiale o, per meglio dire, tra la magnitudine assoluta
e il tipo spettrale. Riportando infatti su un grafico (che abbia in ascissa le
temperature e le classi stellari e in ordinata la magnitudine assoluta) i valori
ricavati per il tipo spettrale e la magnitudine assoluta, si nota che i punti
rappresentativi delle
s. non si dispongono in modo casuale ma vengono a
concentrarsi per lo più lungo una fascia, detta
sequenza
principale, disposta in diagonale dall'angolo superiore sinistro verso
l'inferiore destro. La sequenza parte cioè dalle
s. più
luminose e calde (classe O, magnitudine -5) e arriva alle più fredde e
deboli (classe M, magnitudine +10); il Sole si trova circa a metà della
sequenza (classe G
2). Il diagramma presenta però altre regioni
di concentrazione: a destra della sequenza si dispone un gruppo, compreso tra le
classi F e M
e valori di magnitudine -5, e a sinistra un altro, compreso
tra le classi B e A e valori di magnitudine +10. I fisici avevano già
stabilito sperimentalmente che la quantità di luce emessa da un corpo si
incrementa secondo la quarta potenza della sua temperatura: se si raddoppia la
temperatura, cioè, la luce emessa aumenta di 16 volte, ecc. Ne consegue
che la luminosità è proporzionale alla superficie di un corpo, a
prescindere dalla sua composizione chimica, e alla quarta potenza della
temperatura (L= K·S·T
4) e questa legge appare valida anche
per le
s., masse sferiche allo stato gassoso, ad altissima temperatura
crescente verso l'interno. Numerosi sono i corollari deducibili: se la
luminosità di una
s. dipende dalla temperatura e dalla superficie,
due
s. della medesima classe (e dunque con la medesima temperatura
superficiale) che si trovino su HR a livelli di magnitudine diversa dovranno
differire per superficie raggiante e quindi per dimensioni. La parte alta a
sinistra della sequenza principale rappresenta
s. più calde,
più luminose, più grandi e dotate di massa maggiore di quelle che
si collocano via via verso il basso e a destra. Uscendo dalla sequenza
principale, tuttavia, si incontrano situazioni diverse: le
s. fuori dalla
sequenza sulla destra, molto luminose, devono avere, rispetto a quelle della
medesima classe ma poste lungo la sequenza, superficie maggiore, cioè
raggio maggiore, cioè volume maggiore: sono perciò chiamate
giganti o
supergiganti rosse (e per contro le
s.
rosse della sequenza sono dette
nane rosse). Parimenti, le
s.
situate sulla sinistra, poco luminose, avranno superficie, raggio e volume
inferiori rispetto alla media della loro classe sulla sequenza e sono
perciò dette
nane bianche. È stata infine provata la
fondamentale relazione tra la luminosità e la massa (che, per
semplificare, si può definire come la quantità di materia di un
corpo) di una
s., per cui la prima è proporzionale alla seconda in
base a un esponente compreso tra 3 e 5. Il diagramma HR rivela dunque che le
giganti rosse fuori dalla sequenza principale sono più luminose di
s. di massa uguale probabilmente perché meno dense e in grado di
offrire una maggiore superficie di irradiamento; le
nane bianche fuori
sequenza sono invece, rispetto ai corpi di pari massa, meno luminose,
perché più dense e dotate perciò di minore superficie
raggiante. Si ricorda infine che il calcolo diretto delle masse stellari
è possibile solo in alcuni casi, ad esempio per sistemi binari o multipli
(V. OLTRE) in cui le
s. esercitano una
reciproca attrazione gravitazionale e a cui è possibile applicare la
terza legge di Keplero (V. KEPLERO, LEGGI DI).
Allo stato attuale sembra di poter contenere le variazioni relative di massa tra
le
s. entro un
range di
50 volte la massa solare o 1/10 di
essa. Proporzionalmente la luminosità può variare tra 100.000
volte quella solare e 1/100.000 di essa. ║
Popolazioni stellari: in
base a tre parametri generali, che registrano rispettivamente l'abbondanza
percentuale nella massa di una
s. di H, He e di tutti gli altri elementi
(indicati globalmente come metalli), intorno al 1950 l'astronomo W. Baade
(V. BAADE, WALTER) distinse le
s. in
popolazioni secondo il contenuto metallico rilevabile dall'analisi dello
spettro. A partire da tale classificazione, si notò che gli astri situati
sull'alone galattico, a grande distanza dal piano equatoriale della Via Lattea,
sono poveri di elementi metallici, mentre quelli posti sul piano galattico ne
sono più ricchi. La connessione tra locazione galattica e costituzione
chimica è a sua volta indice dell'età evolutiva della
s.:
quelle periferiche dell'alone sono la
popolazione II; si costituirono a
partire dalla materia primordiale (in cui gli elementi più pesanti erano
pressoché assenti) e sono perciò le più antiche; quelle
situate sul piano galattico (tra cui il Sole), sono la
popolazione I; si
sono originate dalla materia dispersa dall'evoluzione di altre
s.,
perciò ricca di elementi più pesanti, e sono le più
recenti. ║
Energia stellare: nella prima fase dell'evoluzione
(V. OLTRE), l'energia di una
s. consiste in
quella generata dalla contrazione gravitazionale della nebulosa di gas che si
trasforma in energia termica. Se la massa protostellare supera un certo valore
critico, la temperatura del nucleo raggiunge un livello sufficiente a innescare
le prime reazioni di fusione nucleare, fortemente esotermiche, che sono l'unica
forma di energia in grado di alimentare una
s. Nel caso la temperatura
non raggiunga tale livello critico, l'ammasso gassoso non diventa una
s.,
ma piuttosto una
nana bruna, la cui energia è solo quella di tipo
termico generata dalla forza di attrazione gravitazionale.
I processi di
fusione nucleare che si verificano in una
s. dipendono dalla massa di gas
coinvolta e dalla fase evolutiva in cui essa si trova: nella fase iniziale e
più lunga, l'H si trasforma in He o mediante il ciclo
protone-protone o secondo il
ciclo di Bethe
(V. SOLE, sorgenti dell'energia solare) secondo
quanto consentito dalla temperatura raggiunta dal nucleo stellare; segue in
un'altra fase la fusione di He in carbonio (C) e ossigeno (O), nota come
ciclo 3α, che è innescata a temperature di almeno
10
8;
seguono, ma solo nelle
s. più massicce,
ulteriori reazioni nucleari che portano alla formazione di magnesio (Mg), di
silicio (Si) e di ferro (Fe). A questo punto ha termine la sequenza delle
reazioni di fusione, perché il Fe è il nucleo più stabile
in natura
e la formazione di nuclei più pesanti è possibile
solo con reazioni endotermiche, che assorbono energia anziché emetterla.
║
Costituzione ed evoluzione stellare: benché i tempi
dell'evoluzione delle
s. siano enormi ed eccedano le nostre
possibilità di osservazione diretta, è certo non solo che questi
corpi celesti subiscono enormi modificazioni di struttura, composizione chimica,
massa e densità durante la loro vita, ma che esse nascono e muoiono. Gli
studiosi non possono seguire tutte le fasi evolutive in una sola
s., ma
possono riconoscerle nella situazione attuale di diverse
s. Il diagramma
HR, perciò, non solo descrive la distribuzione delle
s. osservate
in relazione ai parametri stellari fondamentali (massa, superficie,
luminosità, temperatura), ma anche la diversa collocazione di una
s.
rispetto a tali valori
durante la sua evoluzione. L'ipotesi
più probabile per quanto riguarda la nascita delle
s. è
ricavata da un dato di osservazione per cui
s. definibili come
sicuramente giovani (le brillanti giganti azzurre) sono localizzate nella
galassia in zone ricche di materia interstellare e spesso ancora immerse in
nebulose di gas; al contrario, nelle regioni prive di materia interstellare
(come l'alone galattico) sono assenti anche
s. giovani. È dunque
plausibile l'idea che le
s. nascano per condensazione delle nebulose
interstellari, mediante un processo di collasso gravitazionale di gas allo stato
molecolare; nebulose note, come quella di
Orione o di
Rosetta, non
solo mostrano al loro interno
s. giovani ma anche caratteristici ammassi
globulari (detti
globuli di Bok), che costituiscono una fase molto
avanzata di contrazione dei gas. Le cause che attivano il collasso (per il quale
la forza gravitazionale ha la meglio sulla turbolenza dei gas e sui movimenti di
rotazione della nube) sono ancora oggetto di studio; i fenomeni iniziali si
verificano comunque al centro della nebulosa, dove la densità è
maggiore. Il collasso gravitazionale è un processo assai rapido e si
svolge nell'ordine dei 10
4 anni; gli astronomi definiscono la scala
temporale ad esso relativa come
tempo di scala dinamico, che equivale al
tempo che sarebbe necessario a una
s. per collassare in una massa
puntiforme se fossero assenti forze antagoniste a quella di attrazione
gravitazionale. Una volta avviato il processo, comunque ciò avvenga, si
è in presenza di una
protostella: si sa che le protostelle sono
relativamente fredde (tra i 100 e i 1.000 °K), finché la loro
densità diventa abbastanza alta da rendere la massa interna del gas opaca
al calore prodotto, che si apre a fatica la strada verso gli strati più
esterni prima di disperdersi nello spazio. Questo fatto e il proseguire della
contrazione cooperano a un progressivo innalzamento della temperatura: si tratta
della fase detta di
presequenza, periodo nella vita di una
s.
calcolato nell'ordine di 10
5 anni per le più massicce e
10
8 per quelle più piccole. Gli astronomi definiscono la scala
temporale ad esso relativa come
tempo di scala termico, che equivale al
tempo che una
s. impiegherebbe a disperdere tutta l'energia liberata dal
collasso gravitazionale se questa fosse la sua unica fonte energetica. La fase
di presequenza termina quando la
s. raggiunge l'equilibrio idrostatico
(quando cioè forza gravitazionale che tende all'implosione e pressione
dei gas che tende all'esplosione si equilibrano); la temperatura aumenta fino a
far brillare l'ammasso di luce propria e raggiunge la soglia di qualche milione
di °K, sufficiente a innescare la fusione nucleare dell'H in He. Mentre
attraversa la fase di presequenza, la
s. ha una struttura convettiva, a
causa delle temperature ancora basse che consentono la diffusione del calore
interno attraverso la massa dei gas mediante moti convettivi. Quando si
innescano le reazioni nucleari, però, il nucleo assume natura radiativa e
solo il mantello più esterno della
s. emana energia per
convezione. Le
s. con massa più piccola però (uguale o
inferiore a un quarto di quella solare) non raggiungono mai temperature
sufficienti ad abbandonare la fase convettiva. Quanto maggiore è la massa
della protostella tanto maggiore è la forza di pressione dei gas
necessaria a stabilire un equilibrio con quella gravitazionale e dunque la
temperatura interna sarà tanto più elevata quanto più
grande è la massa. Si è già visto come la luminosità
cresca in funzione della temperatura e quindi avremo
s. tanto più
luminose, perché più calde, quanto più grande è la
loro massa. Tanta energia, però, richiede anche una maggiore superficie
che ne consenta la dissipazione perché la
s. rimanga in equilibrio
idrostatico e non esploda: ecco perché le
s. più massicce
hanno anche raggi e dimensioni maggiori. Questa è la
fase di
sequenza, definita come il periodo in cui la
s. trae energia dalle
reazioni di fusione dell'H in He, durante la quale la
s. è
rappresentata sul diagramma HR da un punto sito lungo la sequenza principale: la
posizione precisa di una
s. dipende dalla sua massa (da cui dipendono
appunto temperatura e luminosità).
Quanto più massiccia
è la
s. tanto più in alto e a sinistra sarà
collocata nella sequenza principale del diagramma HR; quanto più piccola,
tanto più in basso a destra. Tuttavia, indipendentemente dalla loro
massa, tutte le
s. che entrano nella sequenza principale sono stabili
(cioè producono energia allo stesso ritmo con cui la emettono) e
trascorrono circa il 90% della loro esistenza in questa condizione. Gli
astronomi definiscono la scala temporale ad essa relativa come
tempo di scala
nucleare, equivalente al tempo impiegato da una
s. a irradiare tutta
l'energia che può produrre con un tipo di reazione nucleare. In
particolare, il tempo di scala nucleare della reazione H→He per una
s.
di massa simile a quella solare è di 10
10 anni. È
interessante notare che lungo la sequenza principale i tempi di scala nucleare
sono tanto più brevi quanto maggiore è la massa di una
s.:
infatti queste
s. (che come si ricorderà sono più calde e
più luminose), pur disponendo di una maggior riserva di H combustibile
per le reazioni nucleari, lo consumano proporzionalmente più in fretta
(ad esempio, il tempo di scala nucleare dell'H per una
s. con massa di 30
volte quella solare è pari a 2 · 10
6 anni). Si può
dunque dire che il tempo di scala nucleare dell'H diminuisce al crescere della
massa (nella fase di sequenza la luminosità di una
s. è
proporzionale al cubo della sua massa, perciò una
s. con massa 10
volte quella solare, è 1.000 volte più luminosa del Sole e consuma
1.000 volte più carburante pur possedendone solo 10 volte di più!)
e ciò spiega perché, lungo la sequenza principale del diagramma
HR, la maggior concentrazione di punti rappresentativi delle
s. si trovi
in basso a destra. Quando l'H contenuto nel nucleo di una
s. si è
tutto trasformato in He, la produzione di energia nucleare si interrompe
perché la temperatura che era sufficiente a eccitare l'H lascia invece
l'He inerte. Tuttavia la
s. continua a dissipare energia termica nel
freddo spazio interstellare: i suoi gas cominciano a raffreddarsi, la pressione
verso l'esterno diminuisce e la
s. ricomincia a contrarsi perché
non vi è più una forza antagonista sufficiente a bilanciare quella
gravitazionale. Questa seconda fase di contrazione del nucleo stellare produce
in breve un nuovo e ingente riscaldamento dei gas, finché non sia
raggiunta una temperatura di circa 100 milioni di °K, sufficienti
perché si inneschino le reazioni nucleari a carico dell'He, che si
trasforma in C e O liberando energia. Una corteccia di gas che avvolge il nucleo
della
s. è però ancora ricca di H: le temperature della
fase di sequenza non erano abbastanza alte in questa zona della
s. per
innescare i processi di fusione nucleare ma ora sono sufficienti a sostenere le
reazioni di trasformazione di H in He. La
s. si alimenta a questo punto
con due tipi di reazioni nucleari: quella del nucleo che trasforma He in C e O e
quella della corteccia che trasforma H in He. La superficie stellare deve
ulteriormente espandersi per poter dissipare tanta energia: a un nucleo sempre
più contratto corrisponde un'espansione degli strati più esterni
(
vento stellare, i gas si diffondono su un'area circostante la
s.
sempre più vasta). Il raggio e il volume stellare aumentano, la
densità periferica dei gas diminuisce come pure la temperatura
superficiale: la
s. è entrata nella
fase di gigante,
è più grande e più luminosa ma più fredda e, nel
diagramma HR, è rappresentata da un punto spostato in alto e sulla destra
della sequenza principale, come una gigante o supergigante rossa. Il tempo di
scala nucleare riferito alla combustione dell'He è in genere pari a circa
un decimo di quello dell'H. Quando anche l'He del nucleo è terminato, se
la massa iniziale della
s. era abbastanza consistente, si può
produrre in essa un'ulteriore fase di contrazione con incremento termico nel
nocciolo stellare e l'innesco di reazioni di fusione nucleare a carico del C
dell'O prodotti dal ciclo precedente. La corteccia del nucleo, invece, inizia a
bruciare He mentre negli strati ancora più esterni (che acquisiscono
più calore) si attiva come combustibile l'H. La struttura stellare
durante la fase di sequenza si presentava come sostanzialmente omogenea
perché composta chimicamente in modo omogeneo; la
s. in fase di
gigante, invece, presenta nel nocciolo una struttura a cipolla, a strati
concentrici: lo strato più esterno brucia H, proseguendo verso l'interno
si incontra uno strato di He, uno di C e O, uno di Mg e infine di Si e di Fe.
Questi ultimi strati, tuttavia, si formano solo in
s. di grande massa:
gli studiosi hanno per ora individuato come valore critico per il prosieguo
delle reazioni nucleari una massa pari o superiore a 5 volte quella solare, che
consente l'attraversamento di più fasi di contrazione anche dopo la
trasformazione di C e O. Nelle
fasi finali dell'evoluzione di
s.
sufficientemente massicce si verificano nuove contrazioni cui corrispondono
incrementi termici nel nocciolo che innescano di volta in volta le ultime
fusioni esotermiche (Mg, Si e Fe). Infine si toccano temperature pari a 10
miliardi di °K: a questi livelli un atomo di Fe del nocciolo è in
grado di trasformarsi in 13 atomi di He più quattro neutroni. Al termine
della reazione la massa complessiva supera però quella iniziale, con
assorbimento di energia termica (reazione endotermica) e produzione di un
fenomeno di raffreddamento velocissimo, per cui la temperatura passa da 10
miliardi a 100 milioni di °K: la pressione verso gli strati più
esterni della
s. decresce in modo altrettanto rapido mentre la massa di
gas, prima rarefatta, precipita verso il centro stellare per il prevalere
dell'ingentissima forza di attrazione. Si verifica cioè un collasso
gravitazionale di enormi dimensioni nello spazio di
pochi secondi! Questa
immane contrazione produce una nuova impennata della temperatura fino agli
strati più periferici della
s. (non solo del nucleo!) attivando
una catena di reazioni nucleari incontrollate a carico dell'H e dell'He ancora
presenti alla periferia: l'astro produce una quantità di energia troppo
grande per le sue dimensioni ormai ridotte che non forniscono una superficie
sufficiente per il
suo irradiamento. La forza della pressione vince su
quella implosiva gravitazionale: la
s. esplode come
supernova
(V.) moltiplicando temporaneamente il suo
splendore di venti magnitudini (100 milioni di volte). Con l'esplosione la
materia stellare o si disperde completamente nello spazio, diffondendo gli
elementi pesanti che si erano costituiti nel suo nucleo e che potranno confluire
nelle nubi di condensazione di altre
s., o può mantenersi coeso un
nocciolo centrale dotato anzi, per l'enorme compressione subita durante l'ultimo
collasso, di una densità elevatissima (pari a circa 100 miliardi di
g/cm
3). Questi residui stellari vengono detti
s. di neutroni:
masse originarie di 5-8 volte superiori a quella solare si condensano in sfere
con raggio di poche decine di chilometri (la forza gravitazionale è
contrastata dai gas di neutroni che non si comportano più come gas
perfetti ma come degeneri: la pressione che esercitano verso gli strati esterni
è determinata dalla densità e non dalla temperatura, arrestando
così il collasso). Le
s. di neutroni sono anche note come
pulsars (
PULSAting Radio Source; V.
PULSAR), in quanto emettono una radiazione molto intensa nella banda
delle onde radio, pulsante con un periodo di 33 millesimi di secondo. Invece,
nelle
s. con le più grandi masse originarie (almeno 9 volte quella
del Sole) il collasso gravitazionale non ha mai fine: esse concludono la propria
vita come
buchi neri, corpi celesti con densità che tende
all'infinito e raggio tendente a zero: in essi la forza di attrazione
gravitazionale è tale da catturare perfino i fotoni, cioè da
impedire alla luce di sfuggire al suo effetto. Ciò fa sì che i
buchi neri non siano osservabili direttamente, ma solo individuabili mediante
l'osservazione degli effetti gravitazionali che producono. Molto differente la
fase finale di evoluzione di
s. con massa inferiore a 5 volte
quella solare che si spengono in modo tranquillo e lento a fronte del
catastrofismo e della rapidità di quelle massicce. Durante la fase di
gigante, queste
s. consumano progressivamente i vari combustibili
nucleari disponibili; in genere raggiungono una situazione con nucleo costituito
da C e O, circondato da un sottile strato di He e uno ancora più sottile
e più esterno di H. Parte della massa originaria, la più
periferica, si è sempre più rarefatta nello spazio, come vento
stellare, a formare una sorta di nebulosa disposta circolarmente intorno al
nucleo (
nebulosa planetaria). Mentre in
s. di massa maggiore a
questo punto il nucleo può proseguire nel ciclo
contrazione/riscaldamento/nuove reazioni, in quelle più piccole
ciò non accade perché il gas si trasforma in degenere a
densità tanto più basse quanto più bassa è la
temperatura: per esempio, intorno ai 40 milioni di °K per una
densità di 300.000 volte quella dell'acqua, in una
s. di massa
pari al Sole il gas degenera, mentre per masse 10 volte più grandi la
temperatura è sempre sufficientemente alta per determinare comportamenti
perfetti del gas, consentire nuove fasi di contrazione e riscaldare il nucleo.
Il gas degenerato, invece, si comporta come un solido e, anche al decrescere
della temperatura, continua a esercitare la stessa pressione sugli strati
più esterni e dunque non consente nuova contrazione: il ciclo di
produzione energetica si interrompe. La
s. continua a disperdere energia
nello spazio ma non ne produce per mancanza di innesco delle nuove reazioni
nucleari, perciò si raffredda lentamente. Questo evento viene valutato
dagli astronomi sulla base del
tempo scalare di raffreddamento, durante
il quale la
s. emette tutto il suo calore, non più rimpiazzato
né dall'energia termica prodotta dalla contrazione gravitazionale
né da quella nucleare. Il processo di raffreddamento è piuttosto
lento, perché la luminosità delle
s. in questa fase, per
l'alta densità e la scarsa superficie di irradiamento, è bassa e
si svolge nell'ordine di 10
9 anni. Si tratta della
fase di nana
bianca, rappresentata sul diagramma HR da un punto in basso a sinistra, che
indica bassa temperatura e bassa luminosità; la densità elevata
(circa 10
6 g/cm
3) è in grado di pareggiare la forza
di contrazione gravitazionale. Si noti a questo proposito che corpi celesti
inferiori agli 8/100 del Sole non sono mai in grado di attivare reazioni
nucleari: la loro massa infatti non può garantire comportamenti perfetti
nei gas, che degenerano prima di poter toccare temperature che ne eccitino gli
atomi di H. Giove, ad esempio, il "gigante del sistema solare",
potrebbe essere un esempio di queste
s. mancate, dette
nane brune,
in cui la pressione dei gas degeneri impedisce la contrazione gravitazionale e
l'impennata della temperatura che innesca la trasformazione dell'H in He.
Perciò, mentre le nane brune sono composte da H (mai consumato), le nane
bianche a seconda della loro massa iniziale possono essere costituite in
prevalenza da He (se il ciclo di trasformazione in C non ha potuto essere
innescato) o C e O. Quando una
s. è in fase di raffreddamento e
non presenta più reazioni nucleari viene detta anche
s. morta.
Quando la temperatura superficiale di una nana bianca raggiunge il limite
inferiore dei 1.000 °K la sua luminosità è tanto bassa che
non è più visibile: essa viene allora detta
nana nera.
Infine è dunque possibile affermare, a proposito dell'evoluzione delle
s., che ogni fase di essa è in ultima analisi dipendente dalla
massa iniziale dei singoli ammassi: dalla massa dipende infatti la
possibilità di innesco di uno o più cicli di reazioni nucleari, i
cui prodotti determinano la composizione della
s. e la sua struttura
nelle varie fasi, e sempre la massa e le reazioni che consente modificano la
luminosità, la temperatura e le dimensioni della
s. nel corso
della sua esistenza.
║
S. multiple e s. variabili: si
definiscono sistemi doppi o multipli quelli che vedono due o più
s. descrivere un'orbita intorno a un baricentro comune. L'importanza di
tali sistemi consiste nella possibilità di misurare direttamente la massa
di una
s., in base alla terza legge di Keplero, e di poter dunque
validare mediante osservazioni le teorie relative all'evoluzione stellare. Si
definiscono invece come variabili le
s. che presentano all'osservatore
splendore non costante: luminosità, temperatura e raggio possono variare
con una certa regolarità temporale, quasi una pulsazione, intorno a un
valore medio; in altri casi sono state invece osservate variazioni brusche,
improvvise e ingenti, interpretabili come esplosioni superficiali. Queste
s. possono trovarsi ad altezze diverse nel diagramma HR, ma sempre fuori
dalla sequenza principale: la variabilità può comparire per brevi
periodi in più fasi della vita di una
s. (ad esempio nella fase di
presequenza, quando l'equilibrio idrostatico non è ancora raggiunto) ma
accompagna soprattutto la fase di combustione di C e O, quando la produzione di
energia non è costante (e quindi temperatura, luminosità e fasi di
contrazione non sono stabili).
CLASSIFICAZIONE DELLE STELLE
|
CLASSE SPETTRALE
|
RIGHE O BANDE DOMINANTI (se non specificato, si
intendono di assorbimento)
|
COLORE
|
TEMPERATURA
(°K) SUPERFICIALE
|
W (WC-WN)
|
Righe di emissione di he neutro e ionizzato; WC se presenti righe di C; WN
se presenti righe di N
|
Violetto
|
Fino a 105
|
O
|
Righe di He ionizzato e neutro, di h debole, di Ca, N, Si più volte
ionizzati
|
Blu
|
35.000
|
B
|
Righe di He neutro, ma non di He ionizzato, più forti le righe di H,
righe di O, Si, Mg
|
Blu-bianco
|
21.000
|
A
|
Righe di H presenti con massima intensità in AO; righe di
metalli e debolmente ionizzati (Ca, Fe, Cr) e neutri
|
Bianco
|
10.000
|
F
|
Righe di Ca ionizzato e di metalli ionizzati; più deboli le righe di
H
|
Bianco-giallo
|
7.200
|
G
|
Righe di metalli neutri e ionizzati, ancora più deboli le righe di
H
|
Giallo
|
6.000
|
K
|
Righe di metalli neutri e di Ca ionizzato; bande di ossidi metallici di
titanio e vanadio
|
Arancio
|
4.700
|
M
|
Bande molecolari degli ossidi di titanio e vanadio
|
Rosso
|
3.300
|
S-R-N
|
Come in M; in aggiunta, per S ossido, bande di lantanio e di terre rare;
per R e N bande dei composti di C
|
Rosso
|
3.000
|