Stats Tweet

Spàzio.

(dal latino spatium: spazio, intervallo). Luogo, indefinito e illimitato, in cui gli elementi fisici e gli oggetti reali hanno collocazione. ║ Per antonomasia, il luogo entro cui si muovono i corpi celesti: la conquista dello s. ║ In particolare, l'intervallo, la distanza che intercorre tra due oggetti, persone, ecc., per lo più nel senso della lunghezza o della larghezza: lasciare s. tra le sedie. ║ Nei sistemi di scrittura a macchina o di videoscrittura, l'intervallo che si frappone tra le lettere, le parole o le righe. ║ La lunghezza di un testo, definita in base al numero di pagine, colonne, righe occupate dal dattiloscritto o dalla versione a stampa del medesimo: un articolo che occupa tre colonne di s. ║ Luogo determinato entro cui possono essere esercitate alcune attività o rivendicate alcune prerogative: s. aereo. ║ S. ordinario o euclideo: quello in cui viviamo, che è definito dal godimento di alcune proprietà geometriche. ║ S. architettonico: porzione di un luogo delimitata da strutture architettoniche che la configurano come esterna o interna a un edificio; anche il rapporto di distanza relativa che intercorre tra più elementi di una medesima struttura. ║ S. vitale: locuzione con la quale viene comunemente tradotto il termine tedesco Lebensraum. Si tratta di un concetto chiave della dottrina politica nazista, teorizzato dallo stesso Hitler, in base al quale si intendeva giustificare i programmi espansionistici del regime. Lo s. vitale è quello necessario a un popolo e a uno Stato per acquisire adeguate risorse economiche e sufficiente sicurezza territoriale per garantire il proprio sviluppo. Filos. - Lo s. nell'antichità e nel Medioevo: relativamente alla nozione di s. si distinguono due punti vista generali: uno concepiva lo s. come qualità di tutti i corpi, inerente alla loro posizione; l'altro lo definiva come contenitore dei corpi materiali. La lingua greca non ebbe un termine specifico per indicare il concetto di s., pur elaborando le prime speculazioni al riguardo: la scuola pitagorica elaborò l'idea di un “soffio infinito” (pneúma ápeiron), una sorta di “mare” d'aria elastica che include tutto il mondo materiale. Gli atomisti postularono invece un vuoto (kenón) senza limiti e qualità che contiene tutti gli atomi: in esso gli atomi si muovono senza incontrare alcuna resistenza e si aggregano liberamente per costituire i corpi materiali complessi. Nel Timeo platonico è esposta la teoria della “terza natura” (chóra), che riunisce in sé le forme destinate a concretizzarsi in corpi materiali: non tutti i commentatori interpretano in senso spaziale la chóra, che forse è da intendere come una materia primordiale, “luogo” metaforico degli archetipi. La trattazione aristotelica del tópos (che non si configura però come una dottrina globale dello s.) concepisce il luogo o s. - definito come la superficie interna di un corpo che ne contiene un altro - come una qualità che compete a ogni elemento materiale. Pur essendo diverso da esso, tuttavia lo s. non può essere concepito senza un oggetto contenuto: non è perciò il corpo a necessitare di uno s. (come per gli atomisti) ma è lo s. che non può darsi senza un corpo. Nel mondo sublunare i quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) hanno un loro luogo naturale, cui essi tendono a tornare quando ne siano allontanati con la forza: ciò genera il moto rettilineo, che è invece assente nelle altre sfere. Ciascuna di esse è contenuta dalla superficie interna della sfera immediatamente più esterna: tutte hanno moto circolare e non lasciano mai il proprio luogo naturale. Ne discende che il luogo del mondo materiale è la superficie interna dell'ultima sfera, oltre la quale non esiste nulla. Altre teorie furono elaborate (quella stoica, quella epicurea, ecc.) ma fu quella aristotelica a indirizzare, per somiglianza o confutazione, le speculazioni successive. Filopono (VI sec. d.C.) elaborò un concetto di s. opposto all'aristotelico: il suo “intervallo” tridimensionale (diástema), incorporeo e corrispondente al volume del corpo contenuto, era un ricettacolo vuoto che restava immutato anche quando il corpo ne era uscito. Lo s. del mondo materiale veniva così a essere una sola estensione tridimensionale e incorporea. Sempre nel VI sec. il neoplatonico Damascio definì lo s. come inseparabile dal corpo, in quanto semplice espressione della relazione spaziale tra gli oggetti o tra le loro parti; perciò, dal momento che una relazione non può prescindere dal corpo cui si riferisce, lo s. compete a uno e un solo corpo. ║ Lo s. in epoca rinascimentale e moderna: durante il Rinascimento fiorirono nuove teorie antiaristoteliche sullo s. B. Telesio, ad esempio, pensò a uno s. unitario come pura “attitudine a ricevere corpi”, in sé privo di differenze qualitative o di direzioni privilegiate. In esso il moto dei corpi è conseguenza solo delle loro caratteristiche fisiche e della tendenza ad aggregarsi di elementi simili con simili. Per G. Bruno lo s. vuoto era infinito, come tale privo di direzioni o punti di riferimento assoluti. F. Patrizi considerò il problema in modo metafisico: lo s. era la prima creatura di una divinità neoplatonica, sua emanazione extratemporale senza la quale il mondo stesso non potrebbe esistere. Galileo ricondusse il problema alla sua dimensione fisica: considerò lo s. come non omogeneo e anisotropo, rilevando il carattere di gravi comune a tutti i corpi e identificando una sola direzione naturale, all'ingiù, del loro moto. Si perpetuava tuttavia la concezione del moto come diretto dallo s. R. Descartes, che pure riuscì a descrivere il comportamento della materia in termini puramente fisici e meccanici, assumendo l'identità materia-s. (res extensa) si precluse la possibilità di concepire il vuoto e quindi di intendere il movimento in termini non relativi. Per H. More, uno dei più insigni rappresentanti della scuola di Cambridge, solo in virtù dello s., che funge da punto di riferimento immobile, è possibile distinguere la realtà del movimento di un corpo dalla quiete di un altro. Dalla sua concezione dello s. come infinito, indivisibile, unitario e necessario dipese quella di I. Newton di s. assoluto: infinito, omogeneo, isotropo, indivisibile, base immobile del movimento inerziale rettilineo dei corpi, parametro di misura dei moti reali e assoluti e mezzo di trasmissione della forza gravitazionale. Furono numerosi i critici dello s. newtoniano: per G. Leibniz lo s. è privo di realtà oggettiva, è un semplice concetto intellettuale, che si giustifica in base alla percezione del soggetto del mutare dei rapporti reciproci tra i corpi. J. Locke affermò che lo s. è un'idea complessa e soggettiva, correlazione di idee semplici di origine sensoriale; lo stesso era per G. Berkeley, per il quale non v'era alcuna prova dell'esistenza oggettiva dello s. D. Hume ne affermò invece la natura di relazione tra gruppi di sensazioni coesistenti. Le interpretazioni soggettivistiche dell'Empirismo inglese furono superate da I. Kant, per il quale lo s. (come il tempo) era “intuizione pura a priori”: esso organizza in un tutto coerente la molteplicità del dato sensibile. ║ Lo s. nel XIX sec.: nell'Ottocento il concetto di s. interessò per lo più matematici e fisici, che si concentrarono sui caratteri dello s. euclideo e sulla validità e necessità del quinto postulato di Euclide (per un punto esterno ad una retta data passa una e una sola parallela). N. Lobačevskij sostenne l'esistenza di geometrie non euclidee e rivendicò per la geometria lo status di conoscenza empirica, come scienza delle proprietà dello s.; altrettanto fecero C.F. Gauss, B. Riemann e altri. Altre scienze positive si interrogarono sullo s.: H.L. von Helmholtz se ne occupò, oltre che da matematico, da fisiologo, psicologo e fisico. Pur attribuendo allo s. carattere di conoscenza a priori, egli lo descrisse come vuoto, privo di contenuti e in grado di accogliere elementi esterni, frutto dell'esperienza (come nel caso delle geometrie non euclidee). Come mostrarono gli studi sulle forze elettromagnetiche di M. Faraday e sul principio di inerzia di L. Lange, il concetto di s. fu rilevante nella definizione dei rapporti tra scienza matematica e fisica esperienziale. Secondo F. Klein, ad esempio, le conclusioni di tipo matematico in merito allo s. non possono essere estese al campo fisico ed empirico. In matematica pura non vi è alcuna necessità che obblighi a pensare a uno s. a tre dimensioni: è compito esclusivo della fisiologia, della psicologia e della fisica indagare perché lo s. percettivo si mostri come tridimensionale. A questo proposito H. Poincaré, esponente del Convenzionalismo, nega che esista la possibilità di attingere empiricamente conclusioni definitive e sempre valide sulle caratteristiche geometriche dello s. La scelta di una geometria tra le molte possibili è solo convenzionale e motivata dalla possibilità di descrivere in base ai suoi assiomi il numero più alto di fenomeni nel modo più semplice. Per questa ragione egli era convinto che la concezione di s. euclideo sarebbe rimasta quella prevalente. Tale previsione è stata smentita dall'efficacia della teoria della relatività generale (s.-tempo) di A. Einstein, secondo la quale la materia è in grado di modificare la geometria dello s. Geogr. - Nel XX sec. il concetto di s. ha acquisito anche una valenza geografica. Esso, elaborato in riferimento ai processi di sviluppo antropico, è definibile come una porzione del territorio atta a favorire e ospitare insediamenti di comunità umane organizzate. La mera determinazione cartografica dello s. (ciascun punto è individuato dalla coppia di valori di latitudine e longitudine) è sostituita da una valutazione complessa delle sue condizioni ambientali, produttive, sociali, ecc., determinate a loro volta dall'interazione di elementi fisici, storici, politici e funzionali (V. anche REGIONE). Mat. - Insieme di elementi di natura arbitraria definito assiomaticamente mediante alcuni postulati che ne caratterizzano la struttura. Inizialmente, il termine s. indicava solo l'ambiente proprio della geometria euclidea classica; nel XIX sec., con l'avvento delle geometrie non euclidee, esso è passato a indicare ogni insieme di postulati che legano i concetti di punto, retta e piano, assunti come primitivi. L'estensione del concetto di s. a elementi di natura arbitraria ha permesso di comprendere anche insiemi dotati di strutture che si distaccano notevolmente dalla comune intuizione geometrica. Solo in alcuni casi, inoltre, è possibile associare in modo univoco un numero intero n non negativo, da intendere come dimensione dello s. stesso: in tal caso si parla di s. n-dimensionale o di iperspazio, se n>3. Con riferimento a uno s. qualsiasi, si definisce sottospazio ogni sottoinsieme dello s. dato, che abbia una struttura analoga a quella dello s. in cui è immerso: ad esempio, un sottospazio dell'ordinario s. euclideo tridimensionale è il piano. ║ S. euclideo: s. geometrico che associa a ogni punto le coordinate relative a un sistema di riferimento cartesiano di tre dimensioni. In uno s. euclideo è possibile definire la norma di un vettore x come SPAZIO00.png; dati due vettori x, y, inoltre, si definisce distanza tra x e y la quantità SPAZIO01.png. Il concetto di s. euclideo, pertanto, estende quello di s. della geometria euclidea elementare; nel caso di s. di dimensione 1 o 2, in particolare, si parla di retta e di piano euclidei. ║ S. vettoriale: su un campo K, insieme di elementi, detti vettori, soddisfacente i seguenti postulati: in V è definita una operazione, detta somma, rispetto alla quale V è un modulo (cioè, la somma è associativa, commutativa, esiste l'elemento neutro, e ogni elemento ammette l'inverso); è definito il prodotto tra il generico elemento k di K e il generico vettore v di V, in modo che 1 · v = v; k1(k2v) = (k1k2)v; (k1+k2)v = k1v + k2v; k(v1+v2) = kv1 + kv2. Se K non è commutativo, ma è un corpo, è possibile definire in modo analogo uno s. vettoriale destro o sinistro, in base all'ordine secondo il quale viene eseguito il prodotto stesso. In uno s. vettoriale, n vettori v1, ..., vn si dicono linearmente indipendenti se k1v1 + ...+ knvn = 0 se e solo se k1 = ...= kn = 0. Un sottoinsieme B di V costituisce una base per V se ogni elemento di V può essere espresso in modo unico come combinazione lineare di un numero finito di elementi di B; se B è un insieme finito di n vettori, si dice che lo s. V ha dimensione n, altrimenti si dice che ha dimensione infinita. ║ S. di Banach: s. vettoriale normato completo, cioè tale che ogni sua successione di Cauchy sia convergente nello s. stesso. Ciò significa che, data una qualsiasi successione di elementi xn, n = 1, 2, ..., tale che per ogni ε > 0 esiste un indice N per cui ||xn - xm|| < ε se n, m > N, allora esiste un elemento x dello s. per cui vale ||xn - x|| < ε se n > N. La nozione di s. di Banach assume un ruolo fondamentale in analisi funzionale, così come la teoria degli operatori in esso definiti. ║ S. di Hilbert: s. di Banach nel quale la norma deriva da un prodotto scalare. Sono s. di Hilbert lo s. euclideo della geometria elementare, lo s. L2(R) delle funzioni a quadrato sommabile, lo s. l2 = L2(N) delle successioni a quadrato sommabile, ecc.; sono s. di Banach, ma non di Hilbert, gli s. Lp, con p ≠ 2. La teoria degli s. di Hilbert assume un ruolo fondamentale nell'analisi matematica, poiché consente di riconoscere ed estendere le proprietà della geometria elementare agli s. astratti. ║ S. topologico: insieme S nel quale è assegnata una famiglia F di sottoinsiemi, detti insiemi aperti, soddisfacente i seguenti postulati: il vuoto e S appartengono a F; F è chiusa rispetto all'operazione di intersezione finita; F è chiusa rispetto all'operazione di unione arbitraria (ovvero, l'unione arbitraria di sottoinsiemi di F appartiene a F). Si dice anche che in S è stata assegnata una topologia. Gli aperti contenenti un dato punto P di S prendono il nome di intorni di P; è possibile definire una topologia introducendo per ogni punto dello s. una famiglia di intorni, soddisfacente opportuni postulati. Il complementare di un insieme aperto prende il nome di insieme chiuso; il più piccolo insieme chiuso contenente un aperto A prende il nome di chiusura di A. La nozione di topologia è alla base di quella di continuità: dati due s. topologici S, S', una funzione definita su S a valori in S' si dice continua se per ogni aperto A' di S' la sua controimmagine f -1(A) è un aperto di S. Una funzione di S in S' che sia biunivoca e continua in entrambi i sensi prende il nome di omeomorfismo; la nozione di omeomorfismo è fondamentale nello studio delle proprietà degli s. topologici, poiché molte di esse sono invarianti per omeomorfismo. Gli s. topologici possono essere suddivisi in molte categorie, in base alle proprietà che essi presentano. Una prima classe di s. si ottiene aggiungendo agli assiomi della topologia i cosiddetti assiomi di separazione: uno s. si dice T1 se per ogni coppia di punti distinti x, y esiste un intorno di x che non contiene y e un intorno di y che non contiene x; uno s. si dice T2, o s. di Hausdorff, se per ogni coppia di punti distinti x, y esistono un intorno di x e un intorno di y tra loro disgiunti; uno s. si dice T3, o regolare, se è uno s. T1, e se per ogni insieme chiuso C e per ogni punto x non appartenente a C esistono un intorno di C e un intorno di x disgiunti tra loro; infine, uno s. si dice T4, o normale, se è uno s. T1, e se per ogni coppia di insiemi chiusi disgiunti C, C', esistono un intorno di C e uno di C' tra loro disgiunti. Altre due proprietà fondamentali degli s. topologici sono la connessione e la compattezza: uno s. si dice connesso se non è unione di due aperti A, B, non vuoti e disgiunti; uno s. si dice compatto se ogni suo ricoprimento di insiemi aperti ammette un sottoricoprimento costituito da un numero finito di aperti (se tale proprietà vale solo localmente, cioè solo in un intorno del generico punto P, lo s. viene detto localmente compatto o paracompatto).