Stato (505.988 kmq; 44.100.000 ab.) dell'Europa
occidentale, che include gran parte della penisola iberica (circa i 5/6
dell'intero territorio peninsulare), l'arcipelago delle Baleari nel Mar
Mediterraneo, l'arcipelago delle Canarie nell'Oceano Atlantico, l'exclave
costituita dal centro di Llivia, circondata da territorio francese, e infine, in
Marocco, le città di Ceuta e Melilla e gli isolotti Peñón
de Vélez de la Gomera, Peñón de Alhucemas e Chafarinas.
Confina a Nord-Est con la Francia, a Ovest con il Portogallo; a Nord, Nord-Ovest
e Sud-Ovest è bagnata dall'Oceano Atlantico, a Est e a Sud-Est dal Mar
Mediterraneo. Capitale: Madrid. Città principali: Barcellona, Siviglia,
La Coruña, Malaga, Valencia, Cadice, Bilbao, Saragozza, Toledo.
Ordinamento: Monarchia costituzionale. Il potere legislativo è affidato
al Parlamento bicamerale (
Cortes Generales), che comprende il Congresso
dei deputati e il Senato, eletti entrambi direttamente dal popolo ogni quattro
anni; il potere esecutivo formalmente è affidato al re ma, di fatto,
è esercitato dal Governo, capeggiato da un primo ministro designato dal
re ed eletto dal Congresso dei deputati. La
S. è divisa in 50
province e in 17 comunità autonome. Moneta: fino al 31 dicembre 2001,
peseta; dal 1° gennaio 2002, euro. Lingua ufficiale: spagnolo castigliano;
sono riconosciute come lingue nazionali delle rispettive comunità
etnolinguistiche il catalano (Catalogna, Baleari, Comunità Valenciana),
il basco (Province Basche e parte della Navarra), il gallego (Galizia).
Religione: nella quasi totalità, cattolica; esistono minoranze
protestanti, musulmane, ebree.
GEOGRAFIA
Morfologia: la
S. è formata da un vasto
tavolato centrale, la Meseta (altezza media 600-1.000 m) che costituisce il
nucleo geologico più antico della penisola, risalente al Paleozoico. Tale
altopiano si divide in Meseta settentrionale e Meseta meridionale, che
coincidono rispettivamente con le regioni storiche della Vecchia e della Nuova
Castiglia. Il Sistema Centrale, anch'esso di antica formazione geologica,
comprendente rilievi che non superano i 2.600 m (Sierre de Gata, de Gredos, de
Guadarrama), separa i due bacini. Altri sistemi montuosi si possono ritrovare ai
confini della Meseta: i Monti Cantabrici a Nord, il Sistema Iberico a Est, la
Sierra Morena a Sud. Il paesaggio della Meseta, che si estende, arido, a perdita
d'occhio, caratterizzato da rilievi assai poco evidenti, da un clima
continentale, da scarso popolamento e adibito prevalentemente ad allevamento e
cerealicoltura, rispecchia il tipico panorama della
S. Tra le altre
catene montuose spagnole ricordiamo i Pirenei, confine naturale netto con la
Francia, i cui rilievi raggiungono le altitudini maggiori con il Pico de Aneto
(3.404 m) e il Monte Perdido (3.355 m); la Cordigliera Betica, che si estende a
ridosso della costa mediterranea meridionale e presenta le cime più alte
dell'intera penisola (Cerro Mulhacén, nella Sierra Nevada, 3.478 m).
║
Idrografia: i fiumi spagnoli, a causa della vicinanza delle
catene montuose alle coste, della scarsità e incostanza delle piogge,
nonché della presenza di terreni impermeabili e di fenomeni di
evaporazione, presentano una portata irregolare. I fiumi più lunghi sono
quelli che scorrono verso Ovest, sfociando nell'Atlantico, mentre i fiumi che si
gettano nel Mediterraneo sono meno significativi per lunghezza e importanza.
Tale fenomeno è dovuto all'inclinazione verso Ovest della Meseta e alla
presenza, a Sud, di sistemi montuosi, tra cui la Cordigliera Betica. In
particolare il fiume spagnolo più lungo è il Tago, mentre il
Duero, benché abbia un corso più breve, presenta un bacino e una
portata di gran lunga maggiori. Tali corsi fluviali, insieme al Guadiana,
scorrono anche in territorio portoghese. L'Ebro, che nasce dai Monti Cantabrici
e sfocia nel Mar Mediterraneo, scorre, invece, interamente in territorio
spagnolo, e presenta la particolarità per cui, pur essendo un fiume
mediterraneo, possiede un bacino assai ampio e riceve grandi quantità
d'acqua dai numerosi affluenti che discendono per la gran parte dai Pirenei.
Nonostante ciò, la quantità delle acque del fiume si riduce
drasticamente nel corso dell'attraversamento dell'arida Depressione Aragonese
(area circostante Saragozza), giungendo al delta con una portata molto
contenuta. Il Guadalquivir rappresenta un'eccezione nel panorama idrografico
spagnolo, poiché, a differenza degli altri fiumi, ha una portata
abbastanza cospicua, ma soprattutto regolare, che ne permette la
navigabilità da Siviglia alla foce. La
S. risulta povera di laghi
naturali (eccetto
lagunas e
marismas, zone paludose in
prossimità dei corsi fluviali), mentre non mancano bacini artificiali
(
embalses), sfruttati come riserve d'acqua (a scopo di irrigazione e di
regolamentazione delle portate dei fiumi) e per la produzione di energia
elettrica. ║
Clima: la grande varietà climatica della
S. è determinata dall'andamento morfologico estremamente
eterogeneo del territorio. La zona nord-occidentale della
S. è
caratterizzata da un clima atlantico, con precipitazioni frequenti durante tutte
le stagioni dell'anno, temperature mitigate dalla vicinanza all'Oceano, limitata
escursione termica. Il versante pirenaico presenta i medesimi livelli di
piovosità della zona atlantica, ma le temperature sono più severe
e l'escursione termica più ampia. La costa orientale della
S.
è caratterizzata da un clima mediterraneo, con estati calde e secche,
inverni miti e precipitazioni limitate quasi esclusivamente al periodo autunnale
e primaverile. L'Andalusia presenta un clima subtropicale che risente
notevolmente degli influssi della vicina Africa, con estati caldissime e
scarsità di precipitazioni. Gli altopiani e le pianure interne sono
caratterizzate da un clima continentale, con fortissime escursioni termiche,
elevate temperature estive e temperature invernali rigide. ║
Flora e
fauna: alla notevole diversità climatica corrisponde una certa
varietà della vegetazione. Vi sono aree con vegetazione di tipo alpino
(Pirenei), caratterizzate dalla presenza di conifere, e aree con una vegetazione
rigogliosa, a causa delle abbondanti piogge (regione atlantica), che presentano
boschi di latifoglie (querce, castagni, faggi). Le regioni centro-meridionali
sono ricoperte dalla tipica vegetazione mediterranea (macchie di arbusti e di
querce sempreverdi, oliveti, aranceti). La regione a Sud (Andalusia) presenta
degli aspetti tipici della vegetazione africana (canna da zucchero, cotone,
bambù, ecc.) e subtropicale (banano e dattero). La steppa è invece
caratteristica della zona centrale della
S., legata alla siccità
del clima e alla salinità del terreno. La fauna presente in
S.
rispecchia quella tipica della regione mediterranea, condividendo con
l'Africa del Nord alcune specie animali, tra cui le bertucce di Gibilterra (le
uniche scimmie presenti in Europa), le genette (specie di martore), le manguste,
i camaleonti, i fenicotteri. Nel Nord si possono ritrovare lupi, linci,
scoiattoli, daini; nella Meseta lepri, pernici e galli cedroni. In
S. vi
sono 10 parchi nazionali (4 nelle Canarie e 6 sul territorio continentale) e
alcune riserve naturali a tutela di tale patrimonio faunistico.
Cartina della Spagna
ECONOMIAL'economia spagnola
è caratterizzata da forti squilibri regionali: vi sono aree
“forti” (Catalogna, Valenciano, Baleari, Paesi asturo-cantabrici),
assai sviluppate dal punto di vista industriale e densamente popolate, e aree
“deboli” (zone occidentali e meridionali, area centrale, eccettuata
la zona di Madrid), in cui è ancora prevalente un'economia di tipo
agricolo. Tale squilibrio sembrerebbe destinato ad accentuarsi a causa
dell'ordinamento autonomo di cui godono le 17 comunità, i cui Governi
locali hanno libertà di decisione a livello normativo e di spese relative
ad alcuni settori (edilizia, infrastrutture, tutela dell'ambiente). Nonostante
tali disparità, l'economia spagnola, a partire dagli anni Ottanta, ha
registrato un'importante crescita, grazie soprattutto all'ingresso del Paese
nella Comunità Europea (1986), allo sviluppo del settore terziario (circa
il 60% dell'intera popolazione occupata) e alla riduzione della popolazione
addetta all'agricoltura (9% nel 1998 contro il 26% degli addetti nel 1970).
║
Agricoltura:
l'agricoltura spagnola, nonostante la
relativa arretratezza, dovuta essenzialmente a condizioni ambientali poco
favorevoli e al persistere di un'organizzazione di tipo latifondista (Sud, zona
meridionale e occidentale della Meseta), o, al contrario, minifondista, con
proprietà estremamente frammentate e a conduzione familiare (Galizia,
Meseta centro-orientale), rimane un'attività fondamentale per l'economia
della
S., essendo praticata all'incirca sul 60% del territorio. Le
colture più diffuse sono quelle cerealicole (orzo, frumento, mais),
presenti nelle zone aride (
secaños) della
S. (altopiani
interni, Andalusia), degli agrumi (area mediterranea), della vite (diffusa
sull'intero territorio), dell'olivo (Andalusia, Estremadura, Nuova Castiglia). I
prodotti derivati da tali colture vengono esportati sia verso gli altri Paesi
della CEE, sia verso gli Stati Uniti. Altra voce importante dell'economia
spagnola riguarda la produzione ed esportazione di frutta da tavola (mele,
pesche, banane), ortaggi e fiori, prevalentemente coltivati nelle
huertas
(ampie zone irrigue che traggono alimento dai fiumi montani), introdotte dagli
Arabi nell'area mediterranea della
S. Prendendo a esempio tale modello,
nelle regioni centrali e settentrionali, sfruttando il corso dei fiumi, sono
state recentemente costruite dighe e canali artificiali per agevolare
l'irrigazione del territorio, rendendo così possibile la coltivazione
intensiva di prodotti ortofrutticoli nonché l'introduzione di colture
industriali (barbabietola, cotone, tabacco), non particolarmente adatte alle
condizioni ambientali del Paese. Nell'area nord-occidentale della
S.
viene praticata la selvicoltura, mentre la produzione di sughero è
diffusa in Catalogna, Andalusia ed Estremadura. ║
Allevamento:
l'allevamento di ovini, diffuso nelle zone interne del Paese, svolge tuttora un
importante ruolo nell'economia spagnola, mentre è in netta crescita
l'allevamento di suini. L'allevamento di bovini (bestiame da latte, tori da
combattimento) risulta particolarmente diffuso nelle regioni atlantiche, grazie
alla presenza di praterie naturali e di zone irrigue. L'attività
peschereccia è particolarmente sviluppata al Nord (Galizia, Asturie,
Province Basche), dove sono situati i porti più attivi e dove si registra
un sistema organizzativo moderno, grazie all'utilizzo di mezzi avanzati e alla
presenza
in loco di industrie di trasformazione e conservazione del
prodotto. Mentre sulla costa atlantica settentrionale si pescano soprattutto
merluzzi, sardine, molluschi, la pesca del tonno è praticata nei pressi
dello stretto di Gibilterra. Sulla costa mediterranea la pesca, invece, risulta
un'attività poco praticata. ║
Industria: anche in ambito
industriale, in
S. si registra una forte disparità regionale.
Infatti, nonostante il processo di industrializzazione abbia recentemente
investito anche altre zone della
S., permangono due aree industriali
assai sviluppate: la Catalogna, specializzata nella produzione di acciai
speciali e di prodotti tessili, e le zone atlantiche delle Asturie e, con un andamento
discendente, dei Paesi
Baschi, specializzate nel settore siderurgico e nella produzione di carbone. Il
processo di industrializzazione del Paese, avviato nel secondo dopoguerra, si
è verificato grazie alla notevole disponibilità di minerali
(già sfruttati in epoche antiche) che ha reso possibile lo sviluppo
dell'industria siderurgica, alla cui realizzazione ha contribuito anche
l'apporto di capitali stranieri, soprattutto americani e tedeschi. In
particolare il ferro e il carbon fossile, estratti in Biscaglia e nelle Asturie,
vengono utilizzati nelle industrie siderurgiche del Nord, situate nella zona di
Bilbao, Santander, Avilés, Gijón. Negli anni Ottanta e Novanta, però,
la produzione ha inizato a decrescere, costringendo le regioni interessate a
riconversioni non sempre fattibili. Al Sud vengono estratti mercurio
e rame. Nell'ultimo decennio del XX sec. l'industria chimica si è
notevolmente sviluppata, soprattutto in Catalogna. Il settore meccanico è
appannaggio della fabbricazione di autoveicoli, a cui è connesso lo
sviluppo dell'industria della gomma, in Catalogna. In generale - fatta salva la realtà siderurgica -
il settore industriale spagnolo si mostra sviluppato in modo piuttosto cospicuo ed
equilibrato nelle diverse aree di produzione, riuscendo a sostenere un ingente carico di
esportazioni. La
S. risulta invece dipendere dall'estero per il
fabbisogno energetico, importando idrocarburi e combustibili, mentre la
produzione energetica interna è assicurata dalla presenza di centrali
idroelettriche ed elettronucleari. ║
Commercio e comunicazioni : la
S. presenta un sistema di comunicazioni terrestri bisognoso di interventi
di miglioramento. In particolare la rete ferroviaria, che ha un andamento a
raggiera, da Madrid verso la periferia, risulta inadeguatamente e
insufficientemente sviluppata rispetto alle esigenze del Paese. Inoltre la
presenza dello scartamento differenziato complica il collegamento con l'esterno.
Per ovviare a tali carenze, si è provveduto al potenziamento e
ammodernamento sia della rete autostradale sia della rete stradale ordinaria, il
cui maggior problema rimane la convergenza della stessa sulla capitale,
nonché la connessa scarsità di raccordi periferici, se si eccettua
la direttrice che collega le città della costa atlantica con Barcellona e
quella che si estende lungo la fascia litoranea mediterranea. Il miglioramento
delle condizioni della rete stradale è da mettere in stretta relazione
con il notevole sviluppo del turismo, che rappresenta una voce molto importante
dell'economia spagnola. Il turismo internazionale interessa principalmente le
città d'arte, ricche di monumenti e storia (Toledo, Granada, Siviglia,
Salamanca, ecc.), i centri urbani che ospitano musei (Madrid, Barcellona), le
coste della Catalogna, dell'Andalusia, le Isole Baleari e Canarie, le
località della costa atlantica (Cantabria, Paesi Baschi). Da non dimenticare, tra le mete
turistiche, le grotte di Altamira, presso Torrelavega (Santander), dove si
possono ammirare preistoriche incisioni rupestri, e il
camino de
Compostela, tradizionale via che collegava Barcellona alla Galizia, percorsa
in epoca medioevale dai pellegrini diretti a Santiago e costellata da numerosi
santuari e ospizi. Allo sviluppo del turismo è collegato il fiorire
dell'industria alberghiera. Nonostante il notevole profitto derivato dal
turismo, la bilancia commerciale spagnola è in forte deficit, a causa, in
particolare, della crescita dell'importazione di materie energetiche, in
particolare prodotti petroliferi, e dell'aumento dei consumi. La
S.
esporta prevalentemente prodotti alimentari, metalli, veicoli, sia verso i
Paesi della Ue sia verso gli Stati Uniti e il Giappone, mentre le importazioni
riguardano, oltre ai già citati prodotti energetici, macchinari e
prodotti chimici.
STORIALa prima
popolazione che abitò le terre spagnole di cui si abbia notizia fu quella
degli Iberi, comunemente ritenuti i successori delle genti camitiche giunte
dall'Africa; fu con costoro e con un'altra tribù indigena, i Tartessi,
che entrarono in relazioni commerciali i Fenici di Tiro, fondando attorno al
1100 a.C.
Gadir (l'odierna Cadice). Dopo alcuni secoli di convivenza
pacifica, i Tartessi furono sottomessi dai Fenici (VIII sec. a.C.); resisi
indipendenti all'epoca degli assedi assiri di Tiro, furono di nuovo soggiogati
nel VII sec. a.C., subendo, quindi, nel secolo successivo la penetrazione greca
(focese in particolare), che si arrestò nel 540 a.C. dopo la battaglia di
Alalia. Iniziò allora il predominio cartaginese: esso si sviluppò,
però, soprattutto dopo la fine della prima guerra punica (III sec. a.C.),
allorché Cartagine, perse Sicilia e Sardegna, decise di ampliare verso
Nord i propri possedimenti (prima limitati ad alcune località sulla
sponda meridionale della penisola). Dopo essere stata uno dei teatri principali
della seconda guerra punica (218-202 a.C.), a seguito della sconfitta
cartaginese la
S. divenne possedimento dei Romani, che nel 197 a.C. la
divisero in due parti (
Hispania citerior e
Hispania ulterior). La
regione fu sede nel II sec. a.C. di numerose ribellioni di popolazioni indigene
(Lusitani e Celtiberi in particolare), della sanguinosa guerra numantina
(154-133 a.C.) e, quindi, nel I sec. a.C., delle guerre civili (a Munda nel 46
a.C. Cesare sconfisse definitivamente Pompeo), venendo, infine, pacificata sotto
Augusto; costui riorganizzò amministrativamente la regione, dapprima
dividendola in tre province (
Hispania citerior o
Tarraconensis,
Lusitania e
Hispania ulterior o
Baetica), quindi creando
due diocesi a sé nell'ambito dell'
Hispania citerior
(Asturie e
Callecia). Diocleziano (III sec. d.C.) rimaneggiò
questo ordinamento, staccando dalla
Tarraconensis le Baleari e
l'
Hispania Carthaginiensis. Nel V sec. varie popolazioni barbariche
calarono in
S.: una di queste, i Visigoti, accettò di allearsi con
Roma e si fece carico di scacciare le altre (Vandali, Silingi e Alani) dalle
terre spagnole. In realtà, però, il domino romano era ormai solo
formale, minato com'era, oltre che da gravi rivolte interne, specie nella
Tarraconense, dallo sviluppo della potenza degli Svevi e dal comportamento
ambiguo degli stessi Visigoti; i quali, infine, ruppero gli indugi e ripresero
la penetrazione armata conquistando gran parte della
S. (ad eccezione
della Galizia e di una parte della Lusitania, in mano agli Svevi, e di alcune
terre nella Betica e nella Cartaginense controllati dalla nobiltà
ispano-romana). Il dominio visigotico durò fino al 711: al suo
consolidamento contribuirono, più ancora delle conquiste territoriali
susseguenti al crollo del Regno svevo (585), la conversione al Cattolicesimo del
re Recaredo (586-601), fatto questo che comportò la partecipazione
dell'alto clero al Governo e l'unificazione legislativa condotta a termine da re
Recesvindo (649-72), nella cui
Lex Wisigothorum si riconosce l'origine
del diritto nazionale spagnolo. I conflitti insanabili tra il re da una parte e
il clero e la nobiltà dell'altra favorirono nell'VIII sec. la conquista
araba della
S.: nel 711, Tāriq ibn Ziyād guidò alcune
migliaia di soldati, per la maggior parte Berberi, contro re Rodrigo,
sconfiggendolo a Guadalete e occupando rapidamente il Paese (a eccezione della
regione asturiana). ‘Oqba prima e ‘Ab ar-Rahmān riuscirono a
dare alla
S. musulmana una salda organizzazione politica, che seppe
resistere alle forze centrifughe (dissidi interni, opposizione berbera,
scorrerie normanne) particolarmente attive nel IX sec. Fu, comunque, ‘Ab
ar-Rahmān III (912-961) a pacificare il Paese: costui, che nel 929 assunse
il titolo di califfo di Cordova, inaugurò un'epoca di straordinaria
prosperità per la
S. musulmana, ponendo le premesse per un
ulteriore ingrandimento territoriale che si verificò sotto Hishām II
(976-1008) con la conquista di Barcellona e Santiago de Compostela. Dopo l'anno
1000, però, il califfato fu sconvolto da lotte intestine che
precipitarono il Paese nell'anarchia e che, alla fine, nel 1031, portarono alla
sua polverizzazione in una miriade di piccoli Stati (i cosiddetti Regni di
Taifas), ciascuno dei quali governato da una differente famiglia. Il venir meno
di una forte entità statale, quale fu il califfato, favorì la
ripresa degli Stati cristiani del Nord (V.
RECONQUISTA). L'origine di questi Stati risaliva all'epoca dell'invasione
musulmana dell'VIII sec., allorché alcune popolazioni indigene si erano
ritirate sulle montagne asturiane fondando il Regno di Oviedo (dal 749 Regno
delle Asturie, dal 918 Regno di León); a questo Regno, che nel corso dei
secoli si era espanso dapprima venendo a inglobare la Galizia e la città
di León (VIII sec.), quindi portando i suoi confini fino al fiume Duero
(IX sec.), si aggiunsero presto altri due Regni cristiani, ovvero il Regno di
Aragona, sorto sulle ceneri della Marca Hispanica, e il Regno di Navarrra.
Sebbene l'unione politica di tutti questi Stati fosse morta con il suo
realizzatore (Sancio Garcés III di Navarra, inizio dell'XI sec.), non di
rado furono attuate delle alleanze militari che permisero ai Regni cristiani di
ottenere qualche successo contro gli Arabi; la penetrazione cristiana nella
S. musulmana fu, però, bruscamente arrestata verso la fine dell'XI
sec. dall'avvento degli Almoravidi di Yūsuf ibn Tāshūfin. Il
nuovo regime, caratterizzato da uno spiccato fanatismo religioso, fu abbattuto
da un'altra popolazione araba, gli Almohadi, i quali a partire dalla metà
del XII sec. organizzarono una serie di spedizioni vittoriose in
S.
instaurando alla fine un dominio più tollerante di quello almoravide. Gli
Almohadi riuscirono in un primo momento a frenare l'avanzata cristiana (1195,
vittoria di Alarcos), ma dovettero successivamente subire una sconfitta
definitiva a Las Navas di Tolosa (1212). La riconquista cristiana fu
pressoché ultimata negli anni seguenti: attorno al 1270 il dominio
musulmano era ormai ridotto al solo Regno di Granada. Fu allora che, tra i Regni
cristiani, si assistette alla marginalizzazione della Navarra (entrata
nell'orbita francese) e all'emergere dell'Aragona e della Castiglia. La prima,
sorta per distacco dalla Navarra, nel 1137 aveva acquisito per via dinastica la
Catalogna e nel corso dei secc. XII e XIII aveva conquistato i Regni di
Valencia, di Murcia e delle Baleari; la sua politica estera era decisamente
orientata verso il Mediterraneo. La seconda, erede del Regno asturiano, nel XIII
sec. aveva condotto a termine l'annessione di Cordova, Jaén, Siviglia e
Andalusia e perseguiva una politica di espansione territoriale verso Sud. Seppur
travagliate entrambe nel corso dei secc. XIV-XV da profondi conflitti interni, a
volte degenerati in vere e proprie guerre civili, Castiglia e Aragona andarono
incontro a un notevole sviluppo economico e la loro unione, realizzatasi nel
1479 allorché Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona (unitisi in
matrimonio nel 1469) riuscirono entrambi a ottenere il potere nei rispettivi
Regni, aprì una stagione nuova nella storia della
S. Ultimata la
reconquista con la vittoria sul Regno di Granada e rinsaldata la coesione
nazionale con l'espulsione degli Ebrei (1492), Ferdinando e Isabella attuarono
una rigida centralizzazione del potere, in ciò aiutati dalla borghesia
cittadina (a spese della nobiltà) e, soprattutto, dalla Chiesa spagnola;
in particolare, l'istituzione dell'Inquisizione permise alla Corona di
esercitare nei fatti un vero e proprio controllo politico ed economico della
vita del Paese col pretesto di vigilare sull'ortodossia cattolica. Fu in quegli
anni che i domini spagnoli si estesero, oltre che all'Italia meridionale (1504),
all'America grazie alle scoperte geografiche di C. Colombo (1492) e alle
successive azioni di conquista di F. Cortés (1521) e F. Pizarro (1535);
le nuove terre, suddivise in due vicereami (Nuova
S. e Nuova Castiglia)
la cui amministrazione venne organizzata secondo un modello rigidamente
centralizzato, fornirono cospicue ricchezze alla
S., determinandone lo
sviluppo economico e facendone la maggiore potenza dell'epoca. Ciò si
realizzò pienamente sotto Carlo V (1516-56), nipote di Ferdinando e di
Isabella, il quale poté unire nella sua persona i possedimenti spagnoli,
i domini asburgici e (dal 1519) quelli imperiali. Il suo sogno di una
riunificazione politica dell'Europa costituisce con le vicende legate alla
Riforma uno dei due fili attraverso cui seguire la storia europea della prima
metà del Cinquecento: alla luce di questo disegno politico si spiegano,
infatti, i numerosi conflitti con la Francia (1521-25, 1536-38, 1542-44,
1552-54) e i tentativi (riusciti solo a prezzo di riconoscere un'ampia autonomia
dei principi) di pacificare la Germania. Questo disegno alla fine andò,
però, incontro al fallimento; nel 1556 Carlo abdicò e
spartì i domini tra i figli Filippo e Ferdinando: al primo assegnò
i possedimenti spagnoli, italiani, americani e i Paesi Bassi, al secondo
Austria, Boemia, Ungheria e successione imperiale. La
S. riprese
così una storia autonoma rispetto ai territori asburgici e imperiali. Il
lungo Regno di Filippo II (1556-98) fu caratterizzato, sul fronte interno, da un
esasperato accentramento amministrativo, che privò di qualsiasi autonomia
decisionale i funzionari reali (con gravi perdite in termini di efficienza data
la difficoltà delle comunicazioni) e da una vigorosa opera di
controriforma cattolica, che si concretizzò nella persecuzione di
eretici, Ebrei e
moriscos (Arabi convertiti). In politica estera, invece,
Filippo dapprima predilesse la cura degli interessi spagnoli sul Mediterraneo:
dopo aver normalizzato i rapporti con la Francia con la Pace di
Cateau-Cambrésis (1559) e aver così riconosciuta l'egemonia
sull'Italia (Ducato di Milano, Regno di Napoli, Stato dei Presidi, Sicilia e
Sardegna), mosse alla conquista dell'Isola di Gerba, subendo, però, una
dura sconfitta a opera dei Turchi (1560); e se grazie a un'estemporanea alleanza
con Venezia poté anni dopo avere la meglio sui Turchi a Lepanto (1571),
non riuscì con questo a impedire che essi conservassero Cipro e piena
libertà di movimento nel Mediterraneo orientale. Successivamente, nei
primi anni Sessanta, in conseguenza della diffusione del Calvinismo,
l'attenzione di Filippo si spostò verso i Paesi Bassi; il suo tentativo
di impedire l'affermazione della Riforma finì, però, per
interferire con le tradizionali autonomie politiche del Paese e trovò,
perciò, nei potentati locali un'attiva opposizione. Allorché nel
1566 questa opposizione sfociò in un'aperta ribellione, Filippo
inviò notevoli contingenti di truppe nei Paesi Bassi senza, però,
riuscire a sbloccare la situazione; avvenne, anzi, che nel 1581 le sette
province settentrionali che due anni prima avevano costituito l'Unione di
Utrecht ne proclamarono la decadenza. Nonostante l'annessione del Portogallo
(1580), del quale, peraltro, non venne adeguatamente sfruttato l'immenso impero
commerciale, l'ultimo ventennio del secolo segnò il fallimento del
disegno di Filippo di realizzare un'egemonia spagnola su base cattolica
sull'Europa: la restaurazione spagnola nei Paesi Bassi, dopo alcuni successi
iniziali, si rivelò più complicata del previsto, l'Inghilterra
inflisse una dura sconfitta alla flotta spagnola (l'
Invencibile Armada)
che avrebbe dovuto invaderla (1588) e l'ex calvinista Enrico di Borbone ottenne
la Corona francese a spese della figlia di Filippo. Non ebbe miglior fortuna la
politica estera dei suoi successori: dapprima, Filippo III (1598-1621) dovette
concludere la pace con l'Inghilterra (1604) e accettare una tregua con le
Province Unite (1609), che di fatto ne riconosceva l'indipendenza (poi sancita
dalle Paci della Vestfalia del 1648); quindi, Filippo IV (1621-65) perse il
Portogallo, divenuto indipendente (1640), e, al termine della guerra dei
Trent'anni che invano aveva tentato di proseguire autonomamente, l'Artois, il
Lussemburgo, il Rossiglione e alcune piazzeforti delle Fiandre in favore della
Francia (Pace dei Pirenei, 1659); Carlo II (1665-1700), infine, dovette cedere
alla Francia altre piazzeforti delle Fiandre e la Franca Contea. Nel contempo,
andava aumentando la crisi economica, già paventatasi sotto Filippo II
con una bancarotta che per qualche tempo mise in ginocchio il sistema creditizio
europeo (1596); infatti, la
S., che aveva pensato di poter vivere sulle
spalle delle colonie, da un lato si trovò a subire la concorrenza di
Stati molto più dinamici (Olanda, Inghilterra, Francia), dall'altro
operò alcune scelte decisamente autolesionistiche quali l'espulsione dei
moriscos (1609), che la privò di un gruppo economicamente molto
attivo, o la ripresa (all'inizio degli anni Venti) di una politica estera
espansionista, che dissanguò le già dissestate casse dello Stato.
Carlo II, morto senza lasciare figli, designò come suo successore un
Borbone, Filippo V (1700-46), nipote del re di Francia Luigi XIV:
allorché quest'ultimo, contrariamente a quello che affermava una clausola
del testamento di Carlo, confermò i diritti di Filippo alla successione
al trono francese, Inghilterra, Olanda e Impero si coalizzarono e diedero inizio
alla cosiddetta guerra di Successione spagnola; la guerra si concluse con i
Trattati di Utrecht (1713) e Rastadt (1714), in virtù dei quali Filippo
ottenne il riconoscimento a re di
S. e conservò i possedimenti
coloniali, ma fu costretto a cedere i Paesi Bassi, il Milanese, l'Italia
meridionale, Gibilterra e Minorca (quest'ultima riconquistata nel 1782). Sotto
Filippo e sotto i suoi successori Ferdinando VI il Savio (1746-59) e Carlo III
(1759-88), la
S. visse, pur tra molte difficoltà, un periodo di
ripresa economica, nel corso del quale venne anche portata a compimento
un'energica opera di centralizzazione del potere. Anche in politica estera il
prestigio della Corona aumentò considerevolmente (pur non potendo
più la
S. giocare un ruolo di primissimo piano sullo Scacchiere
europeo); in particolare, dopo una fallimentare iniziativa finalizzata al
recupero di Sicilia e Sardegna (1717-18), l'attenta politica dinastica condotta
dalla seconda moglie di Filippo, Elisabetta Farnese, consentì ai figli
Carlo e Filippo di ottenere rispettivamente il Regno di Napoli (1734) e il
Ducato di Parma e Piacenza (1748). Contemporaneamente, si andava realizzando
l'avvicinamento (poi sancito dal cosiddetto patto di famiglia del 1761) con la
Francia, che avrebbe portato la
S. a intervenire nella guerra di
Successione polacca (1733-38), in quella di Successione austriaca (1740-48),
nella guerra dei Sette anni (1756-63) e nelle guerre coloniali. La Rivoluzione
francese (1789) segnò una brusca inversione di rotta in questa politica
estera filofrancese; il nuovo re Carlo IV (1788-1808), preoccupato che la
rivoluzione potesse estendersi alla
S., aderì alla coalizione
antifrancese (1793), subendo, però, una dura sconfitta e dovendo,
perciò, accettare la sigla della Pace di Basilea (1795). L'insorgere di
contrasti tra Carlo e il figlio Ferdinando offrì qualche anno dopo a
Napoleone il pretesto per intervenire negli affari spagnoli, instaurando sul
trono il fratello Giuseppe Bonaparte (1808). Gli Spagnoli, però, con
l'appoggio inglese, insorsero e, dopo sei anni di lotte, Giuseppe dovette
abbandonare il Paese. Della situazione trassero profitto le colonie d'America,
che tra il 1810 e il 1825 giunsero a ottenere l'indipendenza. Nuovo re fu
proclamato Ferdinando VII di Borbone (1814-33), il quale abolì la
Costituzione promulgata nel 1812 a Cadice dalle Cortes (l'istituzione
parlamentare spagnola le cui origini risalivano all'XI sec.) e orientata in
senso marcatamente liberale e perseguì una politica reazionaria; un
tentativo di restaurare la Costituzione del 1812 (tentativo avviato dalla
ribellione della guarnigione di Cadice del 1820) ebbe inizialmente successo, ma
nel 1823 fu stroncato nel sangue dall'intervento della Santa Alleanza.
Cominciò, allora, un periodo di gravi tensioni interne, che costrinsero
la vedova di Ferdinando, Maria Cristina, reggente per la figlia Isabella
(1833-68), ad appoggiarsi ai liberali, concedendo una Costituzione (1834),
peraltro di stampo assai moderato. Ciò bastò a provocare
l'insurrezione carlista (V. CARLISTA), che
precipitò la
S. in una sanguinosa guerra civile conclusasi solo
nel 1839 con la vittoria delle forze cristine. Sebbene la Convenzione di Vergara
(1839) non avesse dato alla
S. un regime liberale e, contemporaneamente,
fermenti autonomistici minassero la solidità dello Stato, il Paese
conobbe a partire dalla metà del secolo una certa espansione economica;
la modernizzazione delle strutture economiche e amministrative, però,
trovò un serio ostacolo nelle forze reazionarie, che favorirono le
numerose ribellioni militari che sconvolsero la
S. in quegli anni. Una di
queste, promossa nel 1868 dal generale Prim costrinse Isabella II ad abbandonare
il Paese e trasferì il potere nelle mani del generale Serrano; la nuova
Costituzione, approvata nel 1869, introdusse il suffragio universale maschile,
ma non abolì l'istituzione monarchica: il trono passò così
ad Amedeo di Savoia (1870-73) che, però, incontrò l'opposizione
degli esponenti più conservatori di clero e nobiltà e che,
pertanto, finì presto per abdicare. Dopo un breve periodo di Governo
repubblicano, nel 1874 un colpo di Stato militare orchestrato da A. Martinez de
Campos ripristinò la dinastia borbonica nella figura del figlio di
Isabella II Alfonso XII (1874-86). Sconfitti definitivamente i carlisti (1875),
una nuova Costituzione (1876) abolì il suffragio universale maschile (che
fu nuovamente introdotto nel 1890), ma non impedì che la
S.
godesse di un periodo di pace e di relativo rigoglio economico (seppur in un
contesto di diffusa corruzione); in quegli anni si alternarono al Governo
conservatori e liberali, mentre le forze operaie iniziavano a organizzarsi dando
vita al Partito socialista operaio spagnolo (PSOE, 1879) e all'Unione generale
dei lavoratori (UGT 1888). La perdita di Cuba, Portorico e Filippine a seguito
della sconfitta nella guerra contro gli Stati Uniti (1898) condizionò
pesantemente la vita della Nazione spagnola nei primi anni del Novecento;
così, mentre un gruppo di intellettuali (la cosiddetta Generazione del
‘98), tra i quali spiccavano le personalità di Costa e di M. de
Unamuno, rivendicavano la necessità di un rinnovamento politico e
culturale in grado di porre fine alla marginalizzazione spagnola nel quadro
europeo, i movimenti autonomistici in Catalogna e nei Paesi Baschi si
rafforzarono. La politica reazionaria inaugurata dal nuovo monarca Alfonso XIII
(1902-31) in risposta a queste istanze si rivelò tutt'altro che adeguata:
infatti, oltre a non risolvere le contraddizioni di fondo della società
spagnola (prima fra tutte la concentrazione nelle mani di pochi della
proprietà terriera), essa favorì lo sviluppo di azioni
terroristiche; di una di queste, in particolare, fece le spese nel 1912 il primo
ministro moderato J. Canalejas. La neutralità mantenuta dalla
S.
nel corso della prima guerra mondiale risollevò la produzione industriale
e le esportazioni, ma non migliorò le condizioni economiche dei
lavoratori; ciò provocò una notevole crescita della
conflittualità sociale, cui si aggiunsero le difficoltà
determinate dal fallimento della politica espansionista in Marocco (1921) e il
diffondersi degli ideali repubblicani e democratici. Di fronte a una situazione
divenuta ormai insostenibile, il re, anziché avviare una politica di
riforme, imboccò ancora una volta la via della repressione, fornendo il
proprio sostegno al colpo di Stato militare posto in atto nel 1923 dal generale
M. Primo de Rivera. Il regime dispotico di Primo de Rivera non risolse,
però, i problemi del Paese, cosicché nel 1930 Alfonso
esautorò il generale, ripristinando l'ordinamento costituzionale e
nominando primo ministro il moderato J.B. Aznár. Dopo le elezioni municipali del
1931, che sancirono la vittoria delle forze repubblicane, il re abbandonò
la
S. e un Governo provvisorio presieduto dal cattolico moderato N.
Alcalá Zamora traghettò il Paese verso l'approvazione di una
Costituzione repubblicana (dicembre 1931). Il nuovo Governo di M. Azaña
si dedicò con vigore all'opera riformatrice, adottando una serie di
provvedimenti finalizzati a limitare l'influenza della Chiesa e dell'esercito
nella vita politica del Paese, concedendo un'ampia autonomia alla Catalogna e
introducendo una più avanzata legislazione nel mondo del lavoro; esso non
fu in grado, però, di dare una risposta soddisfacente né alla
crescente disoccupazione né alle richieste di una riforma agraria. Le
elezioni legislative del 1933 segnarono così l'affermazione di una
coalizione di destra, anche se Zamora poté conservare il potere. Di
fronte al pericolo dell'affermarsi di un regime fascista (del quale la dura
repressione messa in atto dall'esercito nei confronti di un'insurrezione nelle
Asturie e di una rivolta autonomista in Catalogna sembrava presagio), le forze
di sinistra (parte dei repubblicani, socialisti e comunisti) si coalizzarono nel
Frente popular e, col tacito sostegno degli anarchici e, in particolare, della
Confederazione generale del lavoro (CNT), vinsero le elezioni legislative del
1936; presidente del Consiglio fu eletto il socialista L. Caballero. In un Paese
squassato da continui scontri tra forze paramilitari di destra e organizzazioni
operaie, il 17 luglio 1936 il contingente di truppe stanziato in Marocco al
comando del generale Francisco Franco si ribellò; l'insurrezione si estese alla
S., ma la reazione del Governo, appoggiato da una parte delle forze
armate e da un'intensa mobilitazione popolare, non si fece attendere,
cosicché alla fine gli insorti poterono conservare il controllo solamente
della capitale e delle regioni del Nord-Est. Iniziava così una lunga
guerra civile, che provocò più di 500.000 di morti e che si
risolse nel 1939 a favore dei franchisti, superiori sul piano militare (grazie
anche all'aiuto di Germania e Italia) e favoriti dalle divisioni esistenti
all'interno del fronte repubblicano. Nominato capo dello Stato da una Giunta
riunita a Burgos poco tempo dopo lo scoppio della guerra civile (settembre 1936)
e attribuitosi nel gennaio 1938 il titolo di capo del Governo e delle forze
armate (
caudillo), Franco instaurò un regime autoritario e
fortemente centralizzato, in cui vennero soppressi tutti i partiti politici (con
l'eccezione della Falange, formazione costituita dallo stesso Franco nel 1937
che riuniva le forze della destra) e i sindacati, nonché le autonomie
locali. Assunta una posizione di neutralità nella seconda guerra
mondiale, la
S. subì nel dopoguerra l'isolamento internazionale:
per la natura antidemocratica del regime franchista, infatti, l'ONU respinse la
sua domanda di ammissione e gli Stati Uniti la esclusero dai benefici del Piano
Marshall. Questa situazione durò fino a quando i mutamenti dello scenario
politico internazionale provocati dall'inizio della "guerra fredda"
non suggerirono alle potenze occidentali un atteggiamento meno intransigente nei
confronti della
S., che venne così dapprima ammessa alla FAO
(1950), poi all'UNESCO (1953) e, infine, all'ONU (1955). In quegli anni, mentre
iniziava la pacifica dismissione dei possedimenti africani (conclusasi nel
1975), sul fronte interno non si assisteva ad alcun cambiamento di rilievo (la
stessa restaurazione della Monarchia quale forma istituzionale avvenuta nel 1947
non aveva modificato nella sostanza i rapporti di potere esistenti). Fu solo
alla fine degli anni Cinquanta, in virtù della crescente influenza delle
associazioni cattoliche e, soprattutto, dell'Opus Dei (ove confluivano gli
esponenti della borghesia), che si determinò un evidente mutamento di
rotta in senso liberista della politica economica spagnola (sino ad allora
condotta secondo principi autarchici). La
S. conobbe così un
notevole sviluppo industriale che, peraltro, doveva fare i conti con
un'inflazione galoppante e con una conflittualità sociale in ascesa. Il
regime operò, allora, alcune aperture, restaurando il diritto di sciopero
per motivi economici (1965), alleggerendo la censura sulla stampa (1966) e
introducendo la libertà di culto (1967); contemporaneamente,
l'approvazione della legge organica dello Stato (1966) sancì la formale
separazione delle cariche di capo dello Stato e di capo del Governo e
stabilì l'elezione diretta di un sesto delle Cortes. Tali misure non
frenarono, però, le agitazioni operaie e studentesche né le azioni
dell'ETA (organizzazione terrorista basca fondata nel 1959), cosicché
Franco riprese una politica repressiva, dichiarando nel gennaio 1969 lo stato di
emergenza; ciò non impedì, però, che l'ammiraglio L.
Carrero Blanco, nominato primo ministro nel dicembre 1973, cadesse sotto il
fuoco dell'ETA. Il regime era ormai prossimo alla fine: la salute del caudillo
andava peggiorando e nel 1974 si dovette ricorrere alla reggenza di Juan Carlos
di Borbone, nipote di Alfonso XIII, che nel 1969 Franco aveva designato quale
suo successore. Subito dopo la morte di Franco (novembre 1975), Juan Carlos
salì al trono col nome di Juan Carlos I, avviando la transizione alla
democrazia. Dopo lo svolgimento delle elezioni per le Cortes costituenti (giugno
1977) e l'approvazione della nuova Costituzione (dicembre 1978), nel marzo 1979
le prime elezioni libere sancirono la vittoria dell'Unione democratica di centro
(UCD) del primo ministro in carica A. Suarez González, che fu così
confermato alla guida dell'Esecutivo. Suarez concentrò i suoi sforzi,
oltre che sul risanamento economico del Paese, sul problema basco, varando una
riforma che stabiliva un moderato decentramento amministrativo, ma che non pose
fine all'attività terroristica dell'ETA. Contrasti interni all'UCD
portarono Suarez a rassegnare le sue dimissioni (1981); il 23 febbraio, durante
la discussione parlamentare per la fiducia al nuovo Governo presieduto da un
altro esponente dell'UCD, L. Calvo Sotelo, una divisione della Guardia Civile
comandata dal tenente A. Tejero occupò il palazzo del Parlamento, ma il
rifiuto del re di collaborare con i ribelli fece fallire il colpo di Stato (nel
quale risultarono, poi, implicati figure di alto profilo appartenenti alle forze
armate). Questo avvenimento ebbe pesanti ripercussioni sulla politica interna,
provocando, in particolare, una restrizione delle autonomie regionali. Dopo
l'adesione della
S. alla NATO (maggio 1982), le elezioni legislative
dell'ottobre segnarono il trionfo del PSOE. Il nuovo Governo, guidato dal leader
del PSOE F. González, affrontò con energia i problemi economici
che travagliavano il Paese, riuscendo a ridurre l'inflazione e il deficit
pubblico, ma non la disoccupazione; ne derivò una rottura con i sindacati
e un aumento degli scioperi e della conflittualità sociale in generale.
La difficile situazione economica e la recrudescenza del terrorismo basco
determinarono, in occasione delle elezioni anticipate del 1986 prima e del 1989
poi, un calo di consensi per il PSOE, che pure conservò la maggioranza
assoluta dei seggi al Parlamento. All'inizio degli anni Novanta, però,
González, che aveva conservato ininterrottamente dal 1982 la carica di
primo ministro, fu travolto da una serie di scandali; in particolare, il Governo
sembrò non essere del tutto estraneo alla costituzione di gruppi
paramilitari antiterrorismo, responsabili a partire dal 1983 dell'eliminazione
di molti esponenti dell'ETA (V. OLTRE). Fu
così che, dopo la ratifica del Trattato di Maastricht (1992),
González fu costretto a far ricorso ancora una volta a elezioni
anticipate, a seguito delle quali il PSOE perse la maggioranza assoluta in
Parlamento, mentre il Partito popolare (PP - coalizione di centro-destra nata
nel 1989) ottenne un significativo 34%. L'Esecutivo di minoranza varato nel
luglio 1993 da González durò fino al 1995, decidendo una serie di
tagli alla spesa pubblica che lo resero altamente impopolare presso l'opinione
pubblica; così nelle elezioni anticipate del marzo 1996 si
verificò il sorpasso elettorale del PP nei confronti del PSOE; sorretto
da una coalizione composta da PP e dai nazionalisti moderati baschi, catalani e
delle Canarie, primo ministro fu eletto nel 1996 il leader del PP José Maria
Aznár. Il suo Governo vide un notevole sviluppo dell'economia nazionale, anche se
accompagnato dal permanere di tensioni sociali (si ricorda lo sciopero dei
camionisti che per due settimane bloccò l'attività del Paese) che
portarono alla firma di un accordo generale dell'occupazione il 9 aprile 1997. Il
procedere della positiva congiuntura economico-politica permise alla
S.
di entrare nella zona Euro insieme al primo gruppo di Nazioni, ovvero a partire
dal 1° gennaio 1999. Il vero problema interno rimase quello legato al terrorismo:
continuarono infatti gli attentati dell'ETA, diretti in particolare contro gli
esponenti del Partito popolare attivi nei Paesi Baschi. Dopo la tregua
proclamata nel 1998, il 28 novembre 1999 riprese l'attività terroristica degli
indipendentisti baschi, intensificatasi ancor di più nel corso del 2000.
Nelle elezioni legislative del 12 marzo 2000 il Partito popolare di Aznár
rafforzò la propria posizione arrivando alla maggioranza assoluta. Nel gennaio 2001 il
presidente del Governo basco Juan José Ibarretxe annunciò le
elezioni anticipate nella regione. La campagna elettorale fu caratterizzata da una serie di
attentati. Le consultazioni (13 maggio) terminarono con la vittoria
dell'alleanza tra Partito nazionalista basco (PNV) ed Eusko Alkartasuna
(EA), guidata dal presidente uscente Ibarretxe. Gli elettori intesero
così punire il nazionalismo radicale, lanciando un chiaro segnale
all'ETA, sempre più isolata dopo l'esasperazione della
strategia di violenza. Ma la sconfitta elettorale non fece cambiare linea
all'ETA, che proseguì sulla strada della violenza nel corso del
2001 e nel 2002. Nel giugno 2002 la Camera approvò la proposta di mettere
al bando il partito Herri Batasuna, considerato braccio politico dell'ETA:
dopo l'approvazione del Senato, in luglio il partito fu formalmente messo fuori
legge. In agosto, chiuse le sedi della formazione separatista, la dirigenza
decise di trasferire le proprie attività nei Paesi Baschi francesi (nonostante
i leader continuassero a rimanere in Spagna) e di dare vita a un nuovo gruppo
politico, Sozialista Abertzaleak (SA). Nel marzo 2003, dopo la bocciatura parlamentare,
per Herri Batasuna arrivò anche la sentenza di condanna da parte del Tribunale Supremo,
che ribadì la messa al bando del partito, estromesso così dalle elezioni
amministrative di maggio. Le consultazioni, svoltesi in un clima di tranquillità
generale, registrarono la ripresa dei socialisti dello PSOE e il ridimensionamento
del PP del premier Aznár, che riuscì però a eleggere il sindaco di Madrid. Nei
Paesi Baschi, assente SA - il Tribunale Supremo, a pochi giorni dalle
amministrative, aveva ingiunto lo scioglimento, in quanto considerato successore
diretto di Batasuna - il voto separatista venne raccolto dal Partito nazionalista
basco. In ottobre il Governo basco approvò un piano nel quale veniva richiesta
maggiore autonomia per la regione: il Governo centrale spagnolo, tuttavia, espresse
il suo dissenso annunciando un suo ricorso alla Corte costituzionale per bloccarne
l'attuazione. Intanto il Paese era stato colpito da un grave disastro ecologico: nel
novembre 2002 la petroliera Prestige si era inabissata al largo della Galizia,
rilasciando in mare il suo carico che inquinò ben presto chilometri di costa
spagnola estendendosi anche alle coste portoghesi e francesi. A livello internazionale,
la
S. sostenne il conflitto anglo-statunitense in Iraq, scoppiato nel marzo
2003. Nel più ristretto ambito dell'Unione europea, nel dicembre 2003 la
S. si oppose,
insieme alla Polonia, al sistema di voto a doppia maggioranza proposto dai "grandi",
mirando alla conservazione del sistema varato con il Trattato di Nizza (2000), che
accorda ai Paesi meno popolosi un peso quasi equivalente a quello di Germania, Francia
e Italia. Assumendo questa posizione, la
S. rese di fatto impossibile il
raggiungimento di un accordo sul testo della nuova Costituzione per l'Ue allargata
a 25 membri. L'11 marzo 2004, alla vigilia delle elezioni politiche, un grave
attentato scosse la vita sociale e politica del Paese. A Madrid vennero fatti esplodere
diversi ordigni in alcune stazioni ferroviarie, la più importante delle quali quella di Atocha,
che provocarono la morte di oltre 200 persone e il ferimento di oltre 1.400. Il Governo puntò
il dito contro i terroristi baschi dell'ETA, ma con il passare delle ore, e
con l'avvicendarsi di smentite da parte dell'ETA e di rivendicazioni di matrice islamica,
la pista del terrorismo legato all'organizzazione Al Qaeda si fece sempre più plausibile.
L'indignazione popolare fu grandissima, così come lo spirito di coesione e di solidarietà
del popolo spagnolo che si prodigò per aiutare i soccorritori e si unì
in manifestazioni contro il terrorismo che attraversarono l'intero Paese. L'atteggiamento
governativo, però, fortemente renitente a divulgare le esatte informazioni a favore di
un'ipotesi terroristica interna al Paese che non ponesse in dubbio le scelte effettuate dal
Gabinetto Aznàr nell'ambito della politica estera, segnò la fine della supremazia del
Partito popolare (PP), al governo da otto anni, che uscì perdente dalla consultazione
elettorale del 14 marzo vinta dal Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) con il
42,64% dei voti contro il 37,64 del PP. Il leader del PSOE, José Luis Rodrìguez
Zapatero, sostituì Aznàr alla guida del Governo. Tra le prime
iniziative internazionali del neo premier ci fu il ritiro di truppe dall'Iraq, inizialmente
previsto per la fine di giugno, quindi anticipato al mese di maggio per la netta mancanza di
premesse, secondo gli spagnoli, di un passaggio di consegne all'Onu della logistica del conflitto in Iraq. Nel
febbraio 2005 riprese l'offensiva armata dell'ETA con l'esplosione, a Madrid, di un'autobomba
che provocò il ferimento di una quarantina di persone. Nello stesso mese gli Spagnoli vennero
chiamati a partecipare a un referendum per la ratifica della Costituzione europea, e il
risultato del referendum fu di approvazione del documento comunitario. In giugno il Parlamento approvò
una legge con la quale
vennero legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso e vennero estesi alle coppie
omosessuali gli stessi diritti di adozione e successione di quelle eterosessuali.
Nel marzo 2006 il parlamento spagnolo approvò uno statuto di autonomia allargata della Catalogna,
approvato con un referendum dal 74% dei voti dai catalani. La strada percorsa dalla Catalogna
venne seguita l'anno successivo dall'Andalusia, che attraverso un referendum ottenne lo statuto di
autonomia allargata. Il dialogo fra ETA e governo centrale fece un passo decisivo nel marzo 2006,
quando l'ETA proclamò un "cessate il fuoco" permanente e il primo ministro Zapatero annunciò l'inizio
dei negoziati di pace con l'organizzazione separatista. Le elezioni legislative del 2008 videro una chiara
vittoria del PSOE, che con il PP, principale partito di opposizione, sfiorò la maggioranza assoluta.
Il nuovo governo, guidato sempre da Zapatero, vide una prevalenza dei ministri donna, nove, tra cui il giovane
ministro della difesa Carme Chacon. Le elezioni europee del giugno 2009 registrarono la sconfitta dei
socialisti e l'affermazione dei popolari guidati da Mariano Rajoy, che vide consolidarsi la sua leadership
all'interno del partito: i primi ottennero il 38,51%, i secondi il 42,23%. Dei 50 seggi spettanti alla
S.
a Strasburgo, il PP ne ottenne 23 contro i 21 del PSOE. Per il premier Zapatero fu la prima grave sconfitta
dopo cinque anni di governo, fortemente indebolito dalla peggiore crisi economica degli ultimi 50 anni e
una disoccupazione che con 5 milioni di disoccupati arrivò a toccare il 22%, cioè più del doppio della media Ue. Nell'ottobre 2011 l’ETA annunciò ufficialmente di rinunciare definitivamente alla violenza. Alle elezioni politiche del novembre successivo il Partito Popolare, guidato da Mariano Rajoy, ottenne la maggiornaza assoluta alla Camera dei deputati. Il Partito Socialista dell'ormai ex premier Zapatero subì invece uno dei più pesanti tracolli nella storia delle
S. democratica, pagando lo scotto delle severe misure di austerità varate per ridurre la grave situazione economica del Paese.
POPOLAZIONELa
S.
è stata originariamente occupata da popolazioni di Iberi, di cui le
attuali genti basche conservano tratti caratteristici, quali, ad esempio, la
lingua, di derivazione non indoeuropea. Successivamente si registra la presenza
di diverse popolazioni (Fenici, Greci, Celti, Cartaginesi), stanziate
prevalentemente lungo le coste, fino a giungere alla romanizzazione della
penisola, portata a termine nel corso del II sec. a.C. e accompagnata da una
cospicua crescita demografica nei decenni seguenti. L'invasione di popoli del
Nord (Visigoti e Vandali) e del Sud (Arabi) disgregò l'unità
etnica della
S. e apportò modificazioni significative nel tipo di
popolamento: il sistema economico-politico germanico, di matrice feudale,
contribuì al fiorire delle aree rurali a scapito di quelle urbane e delle
fasce litoranee; con l'avvento degli Arabi, mentre al Nord veniva mantenuta
un'organizzazione di tipo latifondista e rurale, nel Sud, conquistato dagli
Arabi, vi fu un veloce e rigoglioso fiorire della vita urbana, dell'agricoltura
intensiva, del commercio. In seguito alla
Reconquista (1492) e alla
successiva cacciata degli Arabi e degli Ebrei, si avviò un popolamento
delle aree centrali della
S., nonché la costruzione di nuove
città e nuove vie di comunicazione. Contemporaneamente anche le zone
costiere, dopo un periodo di crisi, tornarono a prosperare, divenendo nodi
strategici per il commercio transoceanico e il prestigio politico della
S. nel Mediterraneo. I secc. XVI-XVII furono caratterizzati da un
notevole calo demografico, legato principalmente al flusso migratorio di
popolazione spagnola verso l'America, mentre la nuova capitale, Madrid, sorta
proprio al centro della penisola, tendeva a esercitare una forza centripeta,
convergendo su di essa le principali vie di comunicazione del territorio
spagnolo. Nel XIX sec., il processo di industrializzazione e di inurbamento, in
particolare delle zone settentrionali del Paese, contribuì alla ripresa
demografica (peraltro già avviata nel corso del XVIII sec.), nonostante
la costante e massiccia emigrazione verso l'America Latina che continuerà
fino al XX sec., sostituita poi da flussi migratori intraeuropei, verso Francia,
Germania e Svizzera. La popolazione spagnola è raddoppiata nel corso di
un secolo (1857: 15,5 milioni di abitanti; 1955: 28,9 milioni di abitnti),
continuando a crescere fino agli anni Novanta, quando il tasso di incremento
medio annuo si è allineato con quello degli altri Paesi europei (1988-93:
0,2%). La
S. presenta una densità media tra le più basse
d'Europa, con contrasti tuttavia assai netti tra zone quasi deserte
(León, Estremadura, Aragona) e altre in cui la popolazione è assai
addensata (Galizia, Catalogna, Asturie, Province Basche, Navarra e in generale
le zone costiere). Tale disarmonia distributiva della popolazione sul
territorio, per cui le fasce litoranee e sublitoranee risultano densamente
popolate, così come l'area intorno a Madrid e ai principali centri urbani
e gli arcipelaghi, a differenza delle aree interne, dove non si registra un tipo
di insediamento sparso e la popolazione si addensa intorno a nuclei più o
meno grandi, ma comunque assai radi, è connessa al fenomeno del forte
inurbamento nel corso del processo di industrializzazione e al notevole sviluppo
turistico della costa.
LINGUALingua nazionale e letteraria della
S.
è lo spagnolo, propriamente detto castigliano, basato sul dialetto di
Toledo e appartenente alla famiglia delle lingue neolatine. Fatta eccezione per
il Brasile e le Guiane, è anche la lingua degli Stati dell'America
Centrale e Meridionale. Eletto a lingua ufficiale del Regno di Castiglia con
l'Editto di Toledo del 1253, grazie al prestigio culturale e letterario
originato dal
Cantar del mío Cid (XII sec.) e alla supremazia
politica connessa alla fusione del Regno di Castiglia con quello d'Aragona, il
castigliano si è imposto sugli altri sistemi dialettali del Paese, un
tempo più estesi e con letterature a sé stanti, quali l'aragonese
e il leonese; in territorio spagnolo sono parlati anche il gallego (appartenente
al sistema dialettale portoghese e, nel Basso Medioevo, lingua della poesia
trovadorica), il catalano (affine al provenzale) e il basco (lingua non
indoeuropea della Navarra e dei Pirenei occidentali). Il castigliano ebbe la sua
espressione normativa con l'opera dell'erudito e grammatico E.A. de Nebrija,
Arte della lingua castigliana (1492), ottenendo dignità di lingua
letteraria spagnola
tout court. I tratti fonetici fondamentali del
castigliano sono: la dittongazione di
ě e
ŏ toniche
in
ie e
ue, in sillaba aperta o chiusa (
sierra: catena
montuosa, dal latino
sěra,
piedra: pietra, dal latino
pětra,
fuego: fuoco, dal latino
fŏcus,
cuerno: corno, dal latino
cŏrnū, ecc.); la
palatalizzazione dei nessi
pl e
cl in
ll (
llover:
piovere, dal latino
pluere)
e
di
ct in
ch
(
techo: tetto, dal latino
tectum); la sonorizzazione delle
consonanti sorde intervocaliche (
vida: vita, dal latino
vita); la
spirantizzazione delle sonore, sempre in posizione intervocalica; la riduzione
di
f- a
h-, tranne davanti a -
ue, -
r, -
ie
(
humo: fumo, dal latino
fumus,
ma
fuego: fuoco,
dal latino
focus). In ambito morfologico, la conservazione di
-
s, la
formazione del comparativo con
más (dal
latino
magis, mentre italiano e francese continuano
plus); da un
punto di vista sintattico, l'uso della preposizione
a, davanti agli
oggetti animati (
el niño escucha al profesor: il ragazzo ascolta
il professore); il vocabolario, sostanziale evoluzione di quello del latino
volgare, è caratterizzato da un impasto di voci iberiche prelatine, di
voci germaniche ascrivibili alla dominazione dei Visigoti, e, nella terminologia
giuridica e sociale, tecnica e scientifica, di parole di origine araba
(
nadir,
azimut); inoltre, non mancano tracce dei lessici gallego,
catalano, provenzale, francese e italiano risalenti al periodo della maggior
fioritura delle rispettive letterature.
LETTERATURAIl Trecento: se
si esclude la
jarcha mozarabica, una sorta di ritornello inserito alla
fine di poesie di autori ebrei e arabo-andalusi, risalente alla fine dell'XI
sec., il primo documento della letteratura spagnola sono i
cantares de
gesta, canti epici nel solco della tradizione orale giullaresca, che
celebrano le imprese guerresche e le figure eroiche e, rispetto alle
chansons
de geste francesi, hanno un carattere più realistico: l'unico
pervenutoci quasi integro è il
Cantar del mío Cid, anonimo
(1140 circa), mentre sono le
Cronache a dare notizia di altri
componimenti perduti, dedicati al Cid, agli Infanti di Lara, a Fernán
González o all'assedio di Zamora. Questa vena epica si sarebbe presto
affievolita, per cedere, già all'inizio del XIII sec., a un influsso
francesizzante, concretizzatosi nel
mester de clerecía, l'opera
dei chierici, vale a dire dei letterati ecclesiastici, improntata a una
particolare cura formale, metrica (vennero adottate le strofe monorime di
alessandrini) e tematica: accanto a opere ancora di tono epico-celebrativo
(
Il poema di Fernán Gonzales, 1250 circa), si trovano i
Miracoli della Madonna e i poemetti agiografici di G. de Berceo (1198
circa - dopo il 1264), spontanei e freschi, e anonime composizioni mitologiche
ed erudite di reminiscenza classica (
Il libro di Apollonio, 1250
circa;
Il libro di Alessandro, 1230-50 circa).
Nella seconda
metà del XIII sec. si delineò la figura di Alfonso X il Saggio
(1221-1284), re di Castiglia, vero promotore del movimento intellettuale del
tempo e iniziatore della prosa spagnola, che con la sua vasta produzione
letteraria elevò il castigliano a lingua di cultura e del mondo cristiano
tutto (solo con le
Cantigas de Santa María, ribadì la
preminenza del gallego-portoghese nella tradizione poetica) e sintetizzò
la tendenza alla fusione del pensiero cristiano, musulmano ed ebraico della
scuola di traduttori di Toledo e delle neonate università di Palencia e
Salamanca, tendenza connessa al grande afflusso, verso la Castiglia, di studiosi
arabi ed ebrei: oltre ai trattati di astronomia, ai libri sui giochi e sulle
pietre, compose il codice delle
Partidas,
con cui fissò la
tradizione giuridica medioevale, mentre con la
Crónica general,
storia della
S. dalle origini alle invasioni arabe, proseguì
l'attività storiografica della scuola di Toledo. Le opere dei suoi
successori, in particolare quelle dell'infante Juan Manuel (1282-1348) - il
Libro degli Stati (1327-32) e il
Conte Lucanor (1325-35) -, pur
celebrando l'ideale di vita cavalleresco, riflettono invece la crisi imminente
della società medioevale e della sua rigida struttura gerarchica e le
crescenti tensioni tra aristocrazia e potere regio. E così il
Libro
del buon amore (1330 circa) dell'Arciprete di Hita J. Ruiz (m. 1350 circa),
un poema di oltre 7.000 versi, la
Rimeria di palazzo (1378-1407) del
cancelliere P. López de Ayala (1332-1407), aspro censore dei costumi
politici e sociali del tempo, e i
Proverbi morali del rabbino Sem Tob (m.
1370 circa), secchi e amari, sono opere venate di quell'inquietudine che
è il segno distintivo della cultura trecentesca. In queste, inoltre, il
mester de clerecía si presenta stravolto e adattato alle nuove
esigenze espressive, e intanto le contemporanee traduzioni dei romanzi cortesi
bretoni presentano una struttura narrativa più complessa. ║
Il
Quattrocento: parallelamente all'aggravarsi della crisi politico-sociale,
che vide la nobiltà acquisire potere a danno dell'autorità regia e
il succedersi di conflitti dinastici, in questo secolo divenne via via
più sensibile l'influsso della cultura italiana, in particolare dei
trattati morali di Dante, Petrarca (
De remediis) e Boccaccio (
De
casibus e
De mulieribus claris). E sull'esempio dei trecentisti
italiani si verificò il recupero, più didattico che filologico,
dei modelli classici in una sorta di umanesimo programmatico: oltre alle
traduzioni di Livio e di Boezio fatte da P. López de Ayala e da E. de
Villena (1384-1434), vennero volgarizzate l'
Eneide e la
Rhetorica ad
Herennium;
A. de Cartagena (1386-1456)
tradusse
Seneca
e J. De Mena (1411-1456) fece un riassunto dell'
Iliade. In genere, sulla
produzione poetica quattrocentesca, i cui maggiori esponenti furono A.
Álvarez de Villasandino (1350 circa - 1460), il marchese di Santillana
(1398-1458), il già citato J. de Mena e F. Pérez de Guzmán
(1376-1460) grava un'inadeguatezza tecnica e linguistica per cui l'imitazione
dei modelli si esaurisce in un lirismo concettuoso, risultando più vicina
alla tradizionale lirica francese e trovadorica che non allo Stilnovo;
ugualmente, nella prosa - genere in cui si distinsero J. Rodríguez de la
Cámara (1390 circa - 1450) e D. de San Pedro (1437 circa - 1498 circa) -
è più evidente l'impronta del romanzo bretone che non della
narrativa boccaccesca. Accanto alla letteratura colta, gli stessi autori si
esprimono in generi diversi, contraddistinti da intenso realismo, quali le
serranillas (stilizzati componimenti popolareggianti) del marchese di
Santillana, che raccolse proverbi e detti popolari; o il
Arcipreste de
Talavera o Corbacho di A. Martínez de Toledo (1398-1470 circa). Il
popolarismo connota anche la produzione anonima dei
romances, risultato
della progressiva disgregazione dei
cantares de gesta e di una
stilizzazione di temi tradizionali (epico, cavalleresco, fantastico, biblico,
ecc.) poi accentuata nella produzione dei secoli successivi. L'unione tra
Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia (1479) diede l'avvio alla grande
potenza politica della
S., che si sarebbe ulteriormente consolidata con
la conquista dell'America, cui, sul piano culturale, corrispose l'inizio di una
fase fervida e feconda: accanto alla freschezza popolaresca dei motivi
tradizionali si svilupparono una forte propensione umanistica e un
cosmopolitismo letterario, segnato innanzitutto da un'assimilazione della
letteratura e della lingua catalana. Si distinsero: A. Montesino (1450 circa -
1513), J. de Encina (1469-1529 circa), padre del teatro spagnolo, J. de Padilla
(1468 circa - 1520) e J. Manrique (1440 circa - 1479), autore di
Coplas por
la muerte de su padre. In questo stesso periodo si collocano la
tragicommedia
Celestina (1499), attribuita a F. de Rojas (m. 1541), sorta
di novella drammatica che dipinge l'evoluzione sociale in corso con una punta di
rimpianto, ma una grande apertura ai nuovi valori, e un'altra opera,
l'
Amadigi di Gaula (1508) di Garci Rodríguez de Montalvo, che
ripropone i temi dell'avventura e dell'amor cortese e fu modello dei successivi
romanzi cavallereschi, tra cui il
Don Chisciotte. Di particolare
importanza e risonanza è l'opera
Arte della lingua castigliana
(1492), dell'erudito e grammatico E.A. de Nebrija (1444-1522), che, fissando
regole e norme del castigliano, ne sancì l'indubbio prestigio e la
supremazia linguistica. ║
Il Cinquecento,
“secolo
d'oro”:
il
Diálogo de la lengua (1534) di J. de
Valdés (1509-1542), esponendo il concetto di “selezione
linguistica”, ribadì tale superiorità sulle altre lingue
della penisola iberica. Intanto l'apertura alla cultura italiana e al
Classicismo, nutrito di idealismo platonico, favorita dai frequenti viaggi e
soggiorni in Italia di scrittori e poeti spagnoli, quali lo stesso J. de
Valdés e G. de la Vega (1501-1536), e pure ai movimenti riformistici
europei, mediata dalla figura di Erasmo da Rotterdam, fece da contrappunto
all'idea imperiale che animava il Regno di Carlo V. Mentre il divario tra
letteratura di divulgazione e letteratura colta si faceva più sensibile,
in poesia l'imitazione dei modelli, che pure comportò un importante
rinnovamento formale (l'introduzione della metrica italiana e in particolare
dell'endecasillabo), non fu sempre originale e solo in autori di rilievo come J.
Boscán (1487 circa - 1542), traduttore de
Il Cortigiano di B.
Castiglione, e G. de la Vega, autore di ecloghe e sonetti, si accompagnò
a una personale rielaborazione, per diventare di maniera nei loro allievi e
seguaci, tra cui ricordiamo H. de Acuña (1520-1580), G. de Cetina (1520
circa - 1557) e F. de Aldana (1528 circa - 1578). Ancor più che nella
poesia, nella prosa la tensione classicistica si risolse in atteggiamento
accademico: ne risentono sia la celebrazione delle imprese di Carlo V, sia le
narrazioni della vicenda coloniale, con le auliche esaltazioni dei
conquistatori, delle opere di López de Gomara (1512-1572 circa); puntuali
e scevre di forzature, invece, le relazioni delle scoperte e delle lotte nelle
pagine di C. Colombo (1451-1506) e di H. Cortés (1485-1547), così
come fresche e immediate sono le opere di G. Fernández de Oviedo
(1478-1557) che esprimono la curiosità per un ambiente naturale nuovo o
la difesa degli indigeni brutalizzati fatta da B. de Las Casas (1474-1566).
Celebrativa, ma senza sforzi classicistici, l'opera narrativa
Relox de
príncipes (1529) di A. de Guevara (1480-1545), centrata sulla figura
di Carlo V e inserita nel solco della didattica medioevale. Nell'analisi amara e
consapevole della decadenza della realtà contemporanea fatta nell'anonimo
Lazarillo di Tormes (1554), si legge una delle prime avvisaglie della
profonda crisi in cui versa il Paese. La già citata influenza di Erasmo
nell'avvicinare la
S. all'Umanesimo e nell'accostarla al pensiero
riformistico, portando alla nascita di vari movimenti spirituali, tra cui quello
degli
alumbrados “illuminati”, si dissolse, soffocata dalle
rigide istanze controriformistiche e dall'accresciuto potere degli ordini
religiosi, sostenuti dal Tribunale dell'Inquisizione: con il Regno di Filippo II
il fervore rinascimentale andò spegnendosi e il Paese si chiuse,
astraendosi dalla realtà storica e limitando così i propri
orizzonti culturali. Le maggiori espressioni del pensiero cattolico si ebbero
con
l'Abecedario espiritual di F. de Osuna (1497 circa - 1540), gli
Ejercicios espirituales (1548) di I. de Loyola (1491-1556), il
Tratado
de la victoria de sí mismo (1550) di M. Cano,
L'introducción al símbolo de la fe (1583-85) e le altre
predicazioni di L. de Granada
(1504-1588) e di
J. de
Ávila (1500-1569). Non esente da tracce di quel Neoplatonismo diffuso
all'inizio del secolo, che avrebbe informato anche i
Triunfos del amor de
Dios (1590), e il
Manual de vida perfecta (1608) di G. degli Angeli
(1536 circa - 1609) e che sarebbe rimasto profondamente radicato nella cultura
spagnola sino all'inizio del Seicento, l'opera di Fray Luis de León
(1527-1591) (
De los nombres de Cristo, 1583;
La perfecta casada,
1583) è rappresentativa della fusione tra la recente esperienza
umanistica e la nuova tensione mistica, per cui le forme classiche, desunte da
Virgilio, Tibullo, Orazio e Pindaro, si piegano all'esigenza di esprimere e
divulgare il languore estatico e il fervore della nuova religiosità,
caratterizzata da una trasposizione in sacro di toni e motivi profani: gli eroi
cavallereschi diventano paladini della fede e il loro linguaggio amoroso pagano
viene divinizzato. Questo stesso aspetto è alla base della produzione dei
due massimi riformatori e mistici del secolo, santa T. d'Ávila
(1515-1582), con il
Libro de su vida (1562-65)
e il C
astillo
interior (1577), e san Giovanni della Croce (1542-1591) con
Noche oscura
del alma (1577-84). Intanto la lirica profana, amorosa e eroica,
contraddistinta da un petrarchismo maturo ma a tratti esasperato, ha il suo
centro nella scuola di Siviglia e il suo maggior esponente in F. de Herrera
(1534-1597). La novella bucolica e il poema narrativo hanno le loro accademiche
e ampollose espressioni rispettivamente nella
Diana (1559) di J. De
Montemayor (1520 circa - 1561 circa), che pur ebbe grande successo, e
nell'
Araucana (1569-89) di A. de Ercilla (1533-1594) o nelle opere di L.
Zapata (1526-1595) e di J. Rufo (1547 circa - dopo il 1620); neppure il teatro
attraversa una fase feconda, ancora segnato dal quel contrasto irrisolto tra
vena popolaresca e debito alla commedia classica che era già presente in
B. Torres Naharro (1485 circa - 1540 circa) e nel portoghese G. Vicente (1465
circa - 1540 circa); tra gli autori ricordiamo J. de la Cueva (1550-1610) e la
sua narrazione popolaresca delle vicende degli Infanti di Lara o di Bernardo del
Carpio, e L. de Rueda (1505 circa -1565), autore, tra l'altro, di piccoli
intermezzi popolari di carattere burlesco, detti
pasos. Formatosi in
pieno clima rinascimentale e spettatore partecipe del passaggio al Barocco, M.
de Cervantes y Saavedra (1547-1616) dominò la fine del Cinquecento,
sintetizzando nella sua opera le note di un secolo diviso tra tensioni
rinascimentali e un disinganno che non lascia più spazio a
idealizzazioni, in un delicato equilibrio tra sogno e netta percezione della
realtà storica, critica e precaria. La propensione al realismo è
più marcata nelle
Novelle esemplari (1613), mentre largo spazio
alla fantasia, come correzione e lettura del reale, caratterizza
Il
fantastico cavaliere don Chisciotte della Mancia (1605-15)
(V. DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA), dove al folle
cavaliere mancego si contrappone il caparbio e realistico buon senso del suo
scudiero Sancho. ║
Il Seicento e l'età barocca: Cervantes
anticipò la complessità del secolo successivo, in cui alla
decadenza politica della
S., corrispose una maturazione culturale e
letteraria, risultato dell'affrancamento dai modelli italiani e di un più
generale restringimento degli orizzonti: abbandonati il sogno imperialistico di
Carlo V e quello di Filippo II, paladino dell'ortodossia cattolica, il Paese si
chiuse in sé. Tramontarono i motivi neoplatonici a favore di un
Aristotelismo che pervase la cultura tutta, dalla precettistica alla produzione
teatrale; qualsiasi spinta eterodossa venne sopita dalla Controriforma e i temi
rinascimentali trascolorarono nell'età barocca, la cui espressione
più significativa è il Culteranismo
(V.), che si identifica con l'opera di L. de
Góngora y Argote (1561-1627), donde la denominazione analoga di
Gongorismo. Tratto distintivo della poesia culterana,
anticipato nei
versi di F. de Herrera e della scuola di Siviglia, è una ricerca
linguistica fatta di cultismi lessicali, neologismi e latinismi, di immagini
retoriche frequenti, enfatiche e ampollose, come nel
Polifemo (1613) e
nelle
Solitudini (1613) di Góngora. Il Gongorismo informò
molta produzione poetica spagnola del Seicento, dai sonetti del conte di
Villamediana (1582-1622), alla raccolta di poesia di P. Soto de Rojas
(1584-1658)
Paraíso cerrado para muchos (1652), e
trovò seguaci pure in altri generi, come nel teatro, con T. de Molina e
L. de Vega, o nell'oratoria, con il predicatore e teologo H.F. Parravicino
(1580-1633). Ma in Góngora ebbe espressione anche il filone popolaresco
dei
romances e delle
letrillas, a ulteriore conferma della
molteplicità del secolo barocco, in lui compendiata. All'artificio
linguistico e lessicale si oppose, o si affiancò, quello tematico, detto
Concettismo, che ebbe in F. de Quevedo (1580-1645) il più illustre
maestro. Nelle sue opere si fa più netta la percezione della crisi
politica e sociale e un'amara visione morale, che sfocia in spietata e
paradossale critica dei costumi, pervade l'intellettualismo sottile e il sagace
gioco dei concetti (
Il pitocco, 1626;
Sogni, 1627 e il
corpus poetico de
Il Parnaso spagnolo, 1648). Se si eccettuano
opere fresche quali
Il diavolo zoppo (1641) di L. Vélez de Guevara
(1579-1644), o qualche brillante novella picaresca di Cervantes, tutta la
produzione romanzesca del secolo, evoluzione e sviluppo del
Lazarillo
di Tormes, riflette la decadenza in cui versa il Paese ed è
intorno alle avventure del
pícaro nella malavita cittadina,
ambiente di cui viene riprodotta naturalisticamente la parlata, che si
concentrano l'espressione del disinganno e la visione pessimistica e si accentua
il tono moralistico, come nella
Vita del pícaro Guzmán
de Alfarache (1599-1604) di M. Alemán (1547-1614 circa). La
tradizione picaresca riconfluisce via via in quella romanzesca, perdendo
mordente e anteponendo il gusto dell'intreccio all'insegnamento didattico nelle
opere successive -
La pícara Justina (1605) di F. López de
Úbeda o il
Marcos de Obregón (1618) di V. Espinel
(1550-1624) - così come in autori quali J. de Salas Barbadillo
(1581-1635), J. de Alcalá (1571-1632) o A. de Castillo Solórzano
(1548-1648 circa), oppure sconfina nel romanzo d'appendice, sebbene arricchito
di notazioni psicologiche, come le
Novelas ejemplares y amorosas (1637)
di M. de Zayas (1590-1661 circa) o come con F. Santos (1623-1698) o con J. de
Zabaleta (1610 circa - 1667). Il Concettismo lascia un segno anche nella
letteratura didattica, vicina alla saggistica di costume e ai modi retorici
della predicazione e la letteratura religiosa del secolo sente il peso della
dottrina e dell'oratoria: tra i nomi di rilievo, il già citato Quevedo,
D. de Saavedra Fajardo (1584-1648) e B. Gracián (1601-1658). L'opera di
quest'ultimo (
El Héroe, 1637;
El Político, 1640;
El Discreto, 1646,
El Oráculo manual, 1647), informata alle
norme del Concettismo e del Culteranismo esprime il dissidio tra istanze
controriformistiche e spirito umanista, per risolverlo nel pessimismo del grande
romanzo allegorico,
El Criticón (1651), nutrito dalla
consapevolezza del male che grava sull'umanità. ║
Il
teatro: è nel Seicento che il teatro spagnolo, vivo e attivo anche
nei secoli precedenti, si avviò a una grande fioritura, connotato da una
particolare tendenza all'assimilazione e rielaborazione dei generi letterari
più diversi e da una notevole forza comunicativa e divulgativa. La
personalità più rappresentativa fu quella di L. de Vega
(1562-1635), la cui vastissima produzione (tra le commedie citiamo
Fuenteovejuna,
Períbañez,
El caballero de
Olmedo) è improntata alla massima naturalezza: le strutture del
dramma classico vengono stravolte in nome dell'immediatezza d'espressione, di
una grande immaginazione scenica, della concretezza, e del coinvolgimento del
pubblico. E senza una normativa scritta, perché il suo poemetto
La
nuova arte di far commedie (1609) è più satirico che teorico.
La modernità formale, fatta di opulenze barocche e di trascuratezze
insieme, gli permise di riprendere i moduli dell'epica (
Dragontea, 1598;
Hermosura de Angélica, 1602;
Jerusalén conquistada,
1609), del poema sacro (
Isidro, 1599), della novella pastorale
(
Arcadia, 1589), o del poema burlesco (
Gatomaquia, 1634) con
disinvoltura e senza cadere in triti schematismi, mescolando a effetto elementi
comici e tragici, colti e popolareschi, versi e metri differenti. Tra i
contemporanei di L. de Vega, che in genere non apportarono contributi
significativi, si distinse, per originalità e finezza psicologica nella
descrizione dei personaggi, T. de Molina (1579-1648), i cui
Vergonzoso en
palacio (1611 circa),
Marta la piadosa (1614-15) e il
Burlador de
Sevilla (1627), che disegna un primo don Giovanni, vengono unanimemente
considerati piccoli capolavori. Nella generazione successiva, P. Calderón
de la Barca (1600-1681) riprese la tecnica di L. de Vega, per poi semplificare,
stilizzandolo, il linguaggio teatrale, e rendere più rigida e precisa la
struttura del dramma, preferendo ai quadri d'insieme una caratterizzazione
singola. Con la sua opera il Barocco teatrale giunse a una delle espressioni
più alte, in uno stile che è compiuta fusione di Gongorismo e
Concettismo (
La donna fantasma, 1629;
Una casa con due porte è
difficile da custodire, 1629;
Segreta offesa,
segreta
vendetta, 1636 e
Il maggior mostro,
la gelosia, 1635).
Più sensibile la distanza da L. de Vega nelle opere della
maturità, che sono commedie fantastiche, mitologiche, religiose e
filosofiche, in cui i personaggi assumono il valore simbolico di concetti
astratti relativi ai problemi religiosi o dell'uomo, quali il disinganno, la
percezione negativa del mondo, la fiducia nel libero arbitrio, il cieco rispetto
della volontà sovrana (
La figlia dell'aria, 1653;
La statua di
Prometeo, 1669;
Il mago dei prodigi, 1637;
La vita è
sogno, 1635). Il suo vigore intellettualistico, venato di spirito didattico
e predicatorio, segnato da un'inquietudine che riflette la crisi dell'epoca,
culturale e generale, emerse soprattutto negli
autos sacramentales, sorta
di drammatizzazione dei misteri divini, rappresentati all'aperto durante la
celebrazione del
Corpus Domini, che C. de la Barca scrisse negli ultimi
decenni della sua carriera. ║
Il Settecento: al pieno declino
politico culminato con l'insediamento della dinastia borbonica a Madrid,
corrisponde uno dei periodi più spenti e involuti della letteratura
spagnola, in cui l'influsso dei costumi e del gusto francesi irradia dalle
neonate accademie (l'Academia española de la lengua e l'Academia del buen
gusto) e attecchisce soprattutto nelle classi elevate. Prevale il gusto
neoclassico in nome del quale al teatro barocco del Seicento viene contrapposta
la tragedia classica francese e l'atteggiamento anticalderoniano, diffuso ma non
spontaneo, raggiunge l'acme nel 1765, con la proibizione degli
autos
sacramentales.
L'opera di pensatori come B.J. Feijoo (1676-1764)
resta saldamente ancorata alla tradizione e divisa tra Cattolicesimo,
Razionalismo ed echi di precettistica secentesca, più che anticipare il
pensiero illuministico del secolo in corso. Scrittori quali D. de Torres
Villarroel (1693-1770) o J.F. de Isla (1706-1781) cercano di tenere in vita lo
stile barocco, con una punta di polemico nazionalismo che tradisce una sorta di
complesso della letteratura francese. In genere si assiste a un tentativo di
accordare tradizione spagnola e Illuminismo: si pensi alle opere del drammaturgo
V. García de la Huerta (1734-1787), diviso tra Classicismo e imitazione
di Calderón de la Barca, o a quelle del polemista J.B.P. Fornér
(1756-1798), autore del satirico
Esequie della lingua castigliana (1782),
o a J. Cadalso y Vázquez (1741-1782), che scrisse
Cartas marruecas
(1788-89), dove è vivo il ricordo di Montesquieu. I segni di un mutamento
del gusto, del passaggio dalla tragedia neoclassica austera a una commedia
più leggera, di successo, sono evidenti in F.M. Samaniego (1745-1801),
autore di
Fábulas (1781), e in T. de Iriarte (1750-1791). Una
delle espressioni letterarie più felici venne raggiunta, nel teatro, da
L. Fernández de Moratín (1760-1828) che, pur fedele alla struttura
del dramma neoclassico, informato alle norme aristoteliche, interpretò
con vivacità e spirito sarcastico il mondo della nascente borghesia, con
i drammi
La sconfitta dei pedanti (1789) e
Origini del teatro spagnolo
(1790) e le commedie
Il vecchio e la ragazza (1786),
La commedia
nuova (1792),
Il sì delle ragazze (1805). La sua opera
anticipa, insieme a quella di stampo popolare e farsesco di R. de la Cruz
(1731-1794) o alla lirica di J. Meléndez Valdés (1754-1817), dai
toni bucolici, un gusto nuovo, venato di leggerezza rococò, che
sconfinerà poi nel gusto preromantico dei decenni successivi. ║
L'Ottocento e il Romanticismo: i primi anni del secolo, non ancora segnati
dall'influsso dei movimenti romantici europei, sono caratterizzati dagli ultimi
sprazzi di Neoclassicismo, soprattutto linguistico, in particolare con l'opera
di J.M. Quintana (1772-1857), in cui il linguaggio neoclassico diventa strumento
espressivo dei fermenti liberali antinapoleonici e patriottici, in una
produzione letteraria genuina, che è il riflesso dell'inquietudine
sociale e politica. Una vera coscienza romantica deve ancora formarsi e i primi
accenni sono nell'opera di M.J. Larra (1809-1837) e prima di tutto nella sua
sensibilità disordinata e inquieta e nella sua vita wertheriana: autore
di un romanzo storico (
Il paggio di Don Enrico il Dolente, 1834) e di un
dramma (
Macías, 1834), si distinse per i vivaci articoli di
costume, in cui stigmatizzò la decadenza spagnola. E tutto l'Ottocento
sarà segnato dal Costumbrismo, osservazione del costume, da un lato, e
dai falliti tentativi di adeguarsi allo spirito e ai toni della letteratura
europea, dall'altro. È sui palcoscenici spagnoli che il Romanticismo
trova la sua prima e genuina espressione, con
La congiura di Venezia
(1830) di F. Martínez de la Rosa (1787-1862), il
Macías
di Larra, il
Don Alvaro o La forza del destino (1835) di A.
Saavedra, duca di Rivas (1791-1865), il
Trovatore di A. García
Gutiérrez e con il più tardo
Don Giovanni Tenorio (1844) -
ripresa del personaggio di Tirso de Molina - di J. Zorrilla (1817-1893). In
questi e in drammi analoghi domina il recupero della tradizione nazionale,
specie medioevale, filtrata, nei poeti spagnoli emigrati politici in Francia,
quali Martínez de la Rosa, Saavedra e J. Espronceda (1808-1842)
attraverso l'immagine che il Romanticismo europeo aveva dato della
S. Ed
è nell'evocazione descrittiva e pittoresca del
romance - i
Romances storici (1841) di Saavedra, ispirati ad antiche leggende nazionali
e quelli di Zorrilla -, che il movimento romantico spagnolo trova la sua forma
più originale, poi ripresa dai poeti successivi. Meno felici, invece, i
tentativi di lirismo, in cui i toni della malinconia, dell'individualismo non
sono sorretti da un adeguamento stilistico, e che producono componimenti
languidi e lacrimosi, come quelli, tra gli altri, di Espronceda. Verso la
metà del secolo, si affermarono G.A. Bécquer (1836-1870), unico
originale e autentico poeta spagnolo dell'Ottocento, che diede voce alla propria
interiorità in componimenti brevi e asciutti, con un linguaggio curato e
suggestivo (
Rimas, postuma, 1871) e traspose gli spunti popolari in
un'atmosfera onirica (
Leyendas, 1858-64), e R. de Castro (1837-1885),
poetessa gallega, autrice di liriche finissime e impalpabili. La poesia di
stampo realista e appesantita da un linguaggio triviale di R. de Campoamor
(1817-1901) e quella più modesta, segnata da triti luoghi comuni
romantici, di G. Núñez de Arce (1834-1903) costituiscono il resto
della produzione lirica del secondo Ottocento. Neppure il teatro riuscì a
sollevarsi da una rappresentazione bozzettistica e melodrammatica delle passioni
della nuova classe borghese. Al teatro di M. Bretón de los Herreros
(1796-1873), vivace drammaturgo della corrente
costumbrista, fecero
seguito le opere realiste venate di moralismo di V. de la Vega (1807-1865), A.
López de Ayala (1828-1879) e M. Tamayo (1829-1898), che solo nelle forme
popolaresche trovarono una loro originalità, mentre le opere che
imitavano i modelli del Naturalismo straniero, puntando sui valori psicologici o
sull'indagine sociale, come quelle di J. Echegaray (1832-1916), declinarono
nell'oratoria. Migliori risultati nella narrativa realistica, specie di marca
costumbrista,
di S. Estébanez Calderón (1799-1867) e
R. Mesonero Romanos (1803-1882),
che interpretarono con uno stile maturo
e con una ricca tipologia umana il mondo borghese. Con
Il gabbiano (1849)
di F. Caballero (1796-1877) si ebbe la prima espressione del romanzo realista
che, staccato dall'imitazione dei modelli francesi, Balzac, Stendhal, Flaubert,
rimase nel solco della tradizione costumbrista e regionalista, trovando in
questa compiuta realizzazione, come nella divertente satira della vita
provinciale fatta da P.A. de Alarcón (1833-1891) nel
Cappello a tre
punte, o come nelle novelle di ambiente gallego di E. Pardo Bazán
(1851-1921) o nelle
Escenas montañesas (1864) o nei romanzi
d'ambiente di J.M. de Pereda (1833-1906), ma soprattutto nelle opere di B.
Pérez Galdos (1843-1920), il massimo narratore spagnolo del secolo, in
cui il gusto per il particolare, per l'episodio minimo o la nota di costume
prevalgono sulla storia nel suo complesso (
Episodi nazionali,
1873-1912;
Marianela, 1878;
Nazarìn 1895). Intanto,
sulla scia del pensiero del filosofo tedesco K.C.F. Krause, si diffondevano un
nuovo spirito critico e un profondo interesse pedagogico, premesse della
saggistica contemporanea; testimoniano questo indirizzo, tra gli altri, un
oratore come E. Castelar (1832-1899), il narratore Á. Ganivet
(1865-1898), autore di un
Idearium (1897),
excursus sulla
civiltà e sul costume spagnolo, o uno storico ed erudito del peso di M.
Menéndez y Pelayo (1856-1912), fondatore della storiografia spagnola e
fine critico letterario (
Storia degli eterodossi spagnoli,
1880-82;
Storia delle idee estetiche in Spagna, 1883-91). ║
Il Novecento:
l'inizio del secolo è caratterizzato da due
tendenze, spesso contrapposte dalla critica, ma in realtà ascrivibili
alla stessa matrice del Decadentismo europeo: il Modernismo e la Generazione del
'98. Quest'ultima ripete, nella denominazione, la data in cui la
S. perse
le ultime colonie americane, fatto eletto a simbolo del definitivo tramonto
dell'Impero coloniale di Carlo V, e del conseguente ripiegamento del Paese su se
stesso, alla riscoperta di un'individualità e un'interiorità
dimenticate. Ci fu chi, indagando la storia nazionale, si fece portavoce e
sostenitore di una
hispanidad, come ad esempio J. Martínez Ruiz,
detto
Azorín (1873-1967), R. de Maeztu (1875-1936) e in parte
anche M. de Unamuno (1864-1936). E chi, consapevole della conflittualità
insita nella storia e nella società spagnole, se ne fece interprete, come
P. Baroja y Nessi (1872-1956), narratore fecondo e inquieto. Esigenza comune,
quella di svecchiare linguaggi e strutture formali. E un gusto e una poetica
nuovi sono propri anche del Modernismo, che ebbe il suo centro propulsore in
Barcellona, città in cui la forte compagine borghese poteva dar vita a
quelle spinte di contestazione che animavano il Decadentismo. Irrazionalismo,
estetismo, esasperato sensualismo e gusto per l'esotico e per il paradossale
furono le note dominanti del Modernismo, che sarebbe poi confluito nel
Simbolismo. La nuova poetica, propagandata nelle numerose riviste madrilene,
“Revista nueva”, “Arte joven” e, soprattutto,
“Renacimiento”, ebbe in S. Rueda (1857-1933), M. Machado (1874-1947)
e F. Villaespesa (1877-1936) un'adesione più superficiale, mentre A.
Machado (1875-1939), M. de Unamuno e J.R. Jiménez (1881-1958)
approfondirono la ricerca linguistica, la raffinatezza formale e la polemica
antinaturalistica in un'esperienza via via più interiorizzata e
personale. Nel teatro, nella poesia e nella narrativa di R. del
Valle-Inclán, (1866-1936) l'accentuato estetismo diventa strumento per
esprimere una reazione nei confronti della condizione umana. Il primo conflitto
mondiale segnò uno stacco tra questo periodo della letteratura spagnola e
la successiva apertura alle avanguardie, che condusse alle forme creative del
Cubismo, del Futurismo, del Surrealismo e dell'Espressionismo. In questa
apertura alle esperienze europee, mediate dall'opera di R. Darío
(1867-1916) vennero accantonati quel provincialismo e quell'individualismo che
per anni avevano contrassegnato la cultura spagnola. Il contatto con il
Futurismo si ebbe attraverso la rivista “Prometeo, revista social y
literaria” diretta da R. Gómez de la Serna (1888-1963), estroso
scrittore di grande potenza innovativa; quello con il Cubismo fu mediato dalla
figura di V. Huidobro (1893-1948), poeta cileno che, ricco dell'esperienza
acquisita a Parigi al fianco di Apollinaire, trascorse un periodo a Madrid, da
cui nacque l'Ultraismo, unico tentativo di movimento avanguardistico spagnolo,
caratterizzato da una vuota e generica tendenza al nuovo, e che ebbe in questa
assenza di reale problematica il motivo del suo insuccesso. I primi decenni del
Novecento videro svilupparsi un notevole fermento letterario, attorno ai due
poli della “Residencia de estudiantes” di Madrid, in cui si
incontrarono giovani intellettuali spagnoli e non - tra cui i nomi illustri di
G. Lorca, S. Dalí e L. Buñuel -, e la “Revista de
Occidente”, fondata nel 1923 da J. Ortega y Gasset (1883-1955), che
promuoveva una totale apertura alla cultura occidentale e un'“arte
nuova”, di cui Ortega y Gasset fu anche brillante teorico. La lezione
poetica modernista di A. Machado, di M. de Unamuno e di J.R. Jiménez fu
raccolta dalla Generazione del '27, affiatato gruppo di critici e poeti che si
batteva per un rinnovamento della lirica, in nome di Góngora, il cui
terzo centenario della morte era appunto il 1927. Contrari a una rilettura trita
della tradizione poetica spagnola, riscoprirono le origini, prediligendo il
folclore e il canto popolare. Il 1927 è anche l'anno in cui, all'interno
della Generazione del '27, compatta e concorde, si delinearono due tendenze, una
fedele ai principi originari di “poesia pura”, sulla linea del
Simbolismo, di cui fecero parte la poesia amorosa di P. Salinas (1891-1951) e
quella più intellettualistica di J. Guillén (1893-1984), e
un'altra sviluppatasi parallelamente all'esperienza surrealista, cui aderirono
gli andalusi F. García Lorca (1898-1936) con
Primo romancero gitano
(1928) e R. Alberti (1902-1999) con
Sugli angeli (1929). La loro
poesia, improntata a un colto e immaginoso popolarismo, nelle opere successive
si tinse di toni sociali e umani, per dar voce, in Alberti, alle istanze della
guerra civile e in García Lorca alle ingiustizie razziali delle grandi
metropoli (
Poeta a New York, 1940). La crisi del capitalismo del 1929,
che in
S. portò alla Seconda Repubblica spagnola, la cosiddetta
“Repubblica degli intellettuali” (1931), l'avvento del Nazismo nel
1933, la guerra civile (1936-39) e la seconda guerra mondiale ebbero forti
ripercussioni sul mondo letterario spagnolo, che in campo narrativo si
tradussero nel romanzo sociale e impegnato, riflesso della situazione politica.
Tra gli scrittori più significativi J. Arderius (1885-1969), C.M.
Arconada (1898-1964) e J. Díaz Fernández (1898-1941), a denunciare
l'assurdità del colonialismo; poi I. Acevedo (1867-1952), A.Carranque de
Ríos (1902-1936), interpreti delle istanze del proletariato, e R.J.
Sender (1901-1982), che continuò la sua attività di scrittore
anche negli anni dell'esilio. Il terreno poetico, con le tre riviste “Cruz
y raya”, “Octubre” e “Caballo verde para la
poesia”, fu il più fertile e produttivo: si imposero i nomi di M.T.
León (1903-1988), M. Altolaguirre (1905-1959), L. Cernuda (1902-1963).
Con la fine della guerra civile nel 1939, cui seguì il regime totalitario
franchista, la maggior parte degli intellettuali scelse la via dell'esilio e la
cultura spagnola subì una lacerazione profonda e un'involuzione creativa.
Solo una decina di anni dopo, con la pubblicazione di riviste giovanili di
carattere anticonformista - “La hora” (1948-49) a Madrid e
“Laye” (1950-54) a Barcellona - la cultura letteraria iniziò
a rianimarsi. Stessa sorte per la poesia, in cui si registrò un arresto
del processo creativo e una perdita di originalità: le liriche pubblicate
su “Garcilaso”, rivista diretta da J. García Nieto (1914-2001),
sono curate, ma prive di spunti nuovi, mentre con due testi del 1944,
Ombra
del Paradiso di V. Aleixandre (1898-1984, Nobel per la letteratura nel 1977)
e
Figli dell'ira di D. Alonso (1898-1990), gli unici esponenti della
Generazione del '27 rimasti in patria, si assistette a un'apertura alle
problematiche esistenziali, tendenza del tutto nuova che si esplicò nella
rivista “Espadaña” (1944-51), a cui collaborarono E. de Nora
(n. 1923) e V. Crémer (n. 1907). Oltre ai loro nomi, la
Antología consultada de la joven poesía española
(1952) inserì quelli di C. Bousoño (n. 1923), J. Hierro (1922-2002),
R. Morales (n. 1919), V. Gaos (1919-1980), B. de Otero (1916-1979), J.M.
Valverde (1926-1996) e G. Celaya (1911-1991), i poeti più significativi del
nuovo corso. La tematica sociale si accentuò e negli anni Cinquanta la
poesia divenne sempre più riflesso della situazione contemporanea,
testimone del dramma nazionale. La scuola di Barcellona produsse poeti quali
J.A. Goytisolo (n. 1928-1999), fratello di Juan e Luis, J. Gil de Biedma (1929-1990) e C. Barral (1928-1989),
che diedero voce alle speranze e alle delusioni della loro generazione. Nella
narrativa, oltre al già citato R.J. Sender, che operava negli Stati
Uniti, F. Ayala (n. 1902), esule in Argentina, si segnalano i romanzi di
argomento bellico di M. Aub (1903-1972),
Campo cerrado (1943),
Campo
abierto (1944),
Campo de sangre (1945), che comunque non circolarono
in
S. Fu il premio letterario Nadal, istituito nel 1945 a Barcellona e
assegnato la prima volta a
Nada (1944) di C. Laforet, opera di spoglio
realismo e amaro riflesso della dura vita del dopoguerra, a promuovere la
scrittura e la pubblicazione di nuovi testi anche in territorio spagnolo.
Intanto
La famiglia di Pascual Duarte (1942) rivelò il talento di
C.J. Cela (1916-2002, Nobel per la letteratura nel 1989), con cui nel dopoguerra
sarebbe rinato il romanzo spagnolo d'impronta realista.
Il suo
L'alveare (1951), insieme a
Giochi di mano (1952) e
Lutto in
paradiso (1954) di J. Goytisolo (n. 1931), fratello di José e Luis sono tra i titoli più
significativi di una rinascita narrativa, in cui il romanzo assunse i toni
dell'indagine sociologica, dell'affermazione ideologica e si caratterizzò
per uno stile volutamente povero e popolare, a imitazione dei modelli del
Neorealismo italiano e del romanzo nordamericano.
Tra gli altri autori,
I. Aldecoa (1925-1969) con
El fulgor y la sangre (1954) e
Gran Sol
(1957), il prolifico M. Delibes (n. 1920) con
La sombra del ciprés es
alargada (1947),
El camino (1951) e molti altri titoli, L. Goytisolo
(n. 1935), fratello di Juan e José, A.M. Matute (n. 1926), autrice, tra l'altro, di
Pequeño teatro (1954); C. Martín Gaite (1925-2000) con
El
balneario (1955) e
Entre visillos (1957); e, notevolissimi, J.
Fernández Santos (1926-1988) e R. Sánchez Ferlosio (n. 1927) che,
rispettivamente con
Los bravos (1954) e
Il Jarama (1955), si
segnalarono come i più validi e significativi narratori del dopoguerra.
Tra gli esponenti del romanzo realista, che sarebbe rimasto in vita per qualche
tempo e in cui alla denuncia morale della classe borghese si affiancava la
descrizione partecipe delle misere condizioni di vita operaie, si distinsero J.
Goytisolo con
La risacca (1958) e
Segni di identità (1966);
J. López Pacheco (1930-1997) con
Central elétrica (1958); A.
Grosso (1928-1995) con
La zanja (1961), A. López Salinas (n. 1925)
con
La mina (1960) e J.M. Caballero Bonald (n. 1926) con
Dos
días de setiembre (1962). Il teatro, più ancora del romanzo,
diventò strumento di discussione politica, nonostante le censure imposte
agli autori: i nomi più notevoli, in questo senso furono quelli di A.
Buero Vallejo (1916-2000), A. Sastre (n. 1926), M. Mihura (1906-1977) e L. Olmo
(1922-1994), che affrontarono con originalità e serietà i problemi
nazionali. Ma i generi drammatici più sviluppati furono la commedia di
evasione e quella fantastica (F. Arrabal, n. 1932), in una progressiva apertura
delle forme tradizionali alle esperienze espressioniste, per giungere, ormai
negli anni Sessanta, al teatro propriamente sperimentale (A. Miralles, 1940-2004 e
J. Ruibal, n. 1925). Anche la poesia si aprì sempre più alle
avanguardie e, in opposizione a una forma impegnata, i giovani P. Gimferrer (n.
1945), L.M. Panero (n. 1948) e F. de Azúa (n. 1944) - raccolti
nell'antologia
Nueve novísimos poetas españoles (1970) dal
brillante critico J. M. Castellet (n. 1926) - scelsero una lirica
intellettualistica, che a scapito del contenuto, poneva in primo piano una cura
estetica, fatta di artifici verbali e metrici. Così nella narrativa, il
romanzo realista che aveva dominato tra gli anni Cinquanta e Sessanta
lasciò progressivamente spazio a forme di sperimentazione, sulla scia
degli autori ispano-americani. Tra i narratori ritornati in patria dopo
l'esilio, si segnalarono per originalità, G. Torrente Ballester
(1910-1999), A. Cunqueiro (1911-1981), le narratrici A.M. Matute, già
attiva negli anni Cinquanta, L. Ortiz (n. 1943), M. Mayoral (n. 1942) e S.
Puértolas (n. 1947). Venuta meno dopo la morte del generale Franco (1975)
l'esigenza di denunciare la realtà socio-politica, si verificò un
recupero dei valori stilistici e l'adozione di forme e modi nuovi, in uno
sperimentalismo strutturale sempre più pronunciato, anticipato da
Parabola del naufrago di M. Delibes e
San Camilo 1936 di C.J.
Cela, entrambe del 1969, che ebbe i maggiori esponenti in J.M. Merino (n. 1941)
- autore tra l'altro di opere teoriche sul romanzo, e come lui A. Pombo (n.
1939) -, J.P. Aparicio (n. 1941) e J. Marías (n. 1951). In E. Mendoza (n.
1943) allo sperimentalismo si coniuga un ritrovato gusto per l'intreccio. In
ambito poetico si assistette a un ripiegamento intimista, in nome del quale si
abbandonarono gli eccessi dell'intellettualismo e dello sperimentalismo formale.
I nomi sono gli stessi che tale sperimentalismo avevano propalato - Gimferrer,
G. Carnero (n. 1947) e J.M. Panero -, a cui si aggiunsero, tra gli altri, quelli
di J.J. Padrón (n. 1943), di J.L. Panero (n. 1942), A. Carvajal (n.
1943), C. Janés (n. 1940) e di L.A. de Villena (n. 1951), che
arricchirono le loro liriche di note autobiografiche. La poesia degli ultimi
anni Settanta e degli anni Ottanta si mosse tra ironia e colloquialità
(J. Salvago, n. 1950 e V. Botas, 1945-1994), toni intimistici ed elegiaci (A.
Duque Amusco, n. 1949 e A. Linares, n. 1952); tra un recupero del Minimalismo
(A. Sánchez Robayna, n. 1952) e liriche raffinate di argomento erotico
(A. Rossetti, n. 1950). Tra anni Settanta e Ottanta, il romanzo si tinse di
giallo nella serie incentrata sull'investigatore Carvalho di M. Vázquez
Montalbán (1939-2003), che coniugò indagine poliziesca e analisi
sociale, come pure avvenne in
Visíon del ahogado (1977) di J.J.
Millás (n. 1946), nei romanzi
Demasiado para Gálvez (1979)
e
Gálvez en Euskadi (1983) di J. Martinez Reverte (n. 1948) e in
Caronte aguarda (1981) di F. Savater (n. 1947).
In cerca
dell'unicorno (1987) di J. Eslava Galán (n. 1948),
L'ussaro di
A. Pérez Reverte (n. 1951) testimoniano la ripresa del romanzo storico
tradizionale, mentre una riflessione sulle esperienze politiche della guerra
civile e del dopoguerra anima
Beatus ille (1986) di A. Muñoz
Molina (n. 1956), la raccolta
Herrumbrosas lanzas (1983-86) del
già citato J.Benet e
Luna de lobos (1985) di J. Llamazares (n.
1955). I. Montero (n. 1936), F. de Azúa, E. Mendicutti (n.
1948) e R. Montero (n. 1951), impegnati nella lotta antifranchista, nelle loro
opere diedero voce a questa e ad altre tematiche socio-politiche. Puntarono
invece a un approccio introspettivo e intimistico, tra gli altri, J.J.
Millás con
El desorden de tu nombre (1988), J.M. Merino con
El
caldero de oro (1981) e
La orilla oscura (1985), A. García
Morales (n. 1945) con
Sur (1985) e lo stesso F. de Azúa con
Historia de un idiota contada por sí mismo (1986). Negli anni
Settanta e Ottanta, le autonomie regionali promossero la nascita di riviste
specializzate e di premi locali, che contribuirono alla diffusione di una poesia
eterogenea: atmosfere intimistiche caratterizzarono il gruppo poetico della
scuola di Trieste - cui aderirono, tra gli altri, J.M. Bonet (n. 1953) e A.
Trapiello (n. 1953) -, mentre i versi di J.C. Cataño (n. 1954) o di J.
Navarro (n. 1953) si inserirono nella linea della poesia pura di stampo
minimalista. Accanto a queste tendenze, trovarono spazio impegno politico e
realismo, come nella poesia di F. Beltrán (n. 1956), di J. Juaristi (n.
1951) e di L. García Montero (n. 1958); o un neonato manierismo sul
modello della lirica secentesca, con l'adozione di metri classici, come in F. de
Villena (n. 1956), F. Castaño (n. 1951) e L. Martínez de Merlo (n.
1955). Anche il teatro ricevette particolare impulso da parte delle autonomie
locali e, beneficiando di sovvenzioni statali (nascita di teatri stabili,
creazione del Centro Dramático Nacional e del Centro de
Documentación Teatral), vide la nascita di nuove compagnie teatrali e la
rappresentazione di quelle opere cui la censura del regime franchista non aveva
permesso di andare in scena. Tra queste ultime, i drammi degli anni Cinquanta e
Sessanta
di A. Sastre, J. Martín Recuerda, L. Olmo, A. Gala (n.
1936), F. Morales Nieva (n. 1927), A. Buero Vallejo e C. Muñíz (n.
1927). Così la commedia di evasione di ambiente borghese, ancora viva (S.
Moncada, n. 1928; A. Diosdado, n. 1940; J.L. Martín Descalzo, 1930-1991;
J.J. Alonso Millán, n. 1936), cedette il passo a un teatro più
impegnato, riflesso della realtà politica e strumento di denuncia
sociale, in cui risaltano ancora una volta i nomi degli esuli R. Alberti
(
Notte di guerra al Museo del Prado, 1978), F. Arrabal (
El cementerio
de automóviles, 1977). Tra gli autori giovani di maggior spicco, la
cui opera non sembra conservare reminiscenze della tradizione, si segnalarono
M.M. Reina (n. 1957), A. Onetti (n. 1962), S. Belbel (n. 1963), P. Pedrero (n.
1957). Invece furono più legati al passato, in particolare alla lezione
della generazione precedente, A. Marsillach (1928-2002), J.L. Alonso de Santos (n.
1942), F. Cabal (n. 1948), J. Sanchis Sinisterra (n. 1940) , F. Fernán
Gómez (n. 1921). Infine tra le espressioni più originali del
teatro spagnolo dagli anni Settanta in poi si ricordano i diversi gruppi
sperimentali sorti in Catalogna, tra cui Els Comediants, La Fura dels Baus, La
Cubana, Dragoll-Dagom, La Cuadra, che concentrarono la loro attività
sull'aspetto sonoro, plastico e gestuale. Un discorso a parte merita la critica
letteraria novecentesca in cui si distinsero due fondamentali direttrici, l'una
rivolta principalmente all'indagine stilistica, l'altra logica continuazione di
quel Positivismo ottocentesco, che in Menéndez y Pelayo aveva avuto il
suo maggiore interprete. Tra gli allievi di questo - E. Cotarelo y Mori
(1857-1936), J. Ribera y Tarragó (1858-1934), M. Asín Palacios
(1871-1944), J. Cejador (1864-1927) - la figura di R. Menéndez Pidal
(1869-1968) è certo la più significativa. Autore di studi
fondamentali sulla lingua e sulla letteratura spagnola, si collocò tra i
maggiori medioevalisti contemporanei con gli studi filologici sull'epopea del
Cid (
La Spagna del Cid, 1929) e sul
Romancero. Per fervore
critico e profondità gli si affiancò (1885-1972) A. Castro, autore
di importanti studi linguistici e storici e di una magistrale analisi dell'opera
di Cervantes (
Il pensiero di Cervantes, 1925). Dal magistero di
Menéndez Pidal derivò il Centro de estudios históricos, una
scuola a cui aderirono, oltre allo stesso Castro, a T. Navarro Tomás
(1884-1979) e a molti altri, D. Alonso (1898-1990), il massimo esponente della
critica stilistica. L'esilio degli intellettuali seguito alla fine della guerra
civile, se da un lato comportò un impoverimento culturale della
S., dall'altro permise la diffusione della cultura spagnola in altri
Paesi, specie nell'America Latina (Alonso e Castro), mentre in
S.
l'attività del bibliofilo A. Rodríguez Moñino (1910-1970),
allievo del Centro de Estudios Históricos, di H. Serís (1879-1969)
e, soprattutto, quella di J. Simón Díaz (n. 1920), direttore
dell'immensa
Bibliografía general de la literatura
hispaníca, tuttora in opera, diedero impulso a un grande lavoro di
catalogazione bibliografica del materiale antico. Nacquero così, per mano
di F. Lázaro Carreter (1923-2004), F. Ynduráin (1910-1994) e di altri,
preziose edizioni critiche dei classici. La generale liberalizzazione culturale
della fine degli anni Settanta portò, grazie all'apertura degli studi
verso le nuove metodologie critiche diffuse all'estero - semiologia, semiotica,
strutturalismo - a un lento superamento dell'impostazione storica e positivista.
Tra gli studiosi di rilievo del nuovo corso, F. Rico, J.M. Cacho Blecua e P.
Cátedra per il Medioevo, A. Egido, L. García Lorenzo e J. Oleza
per il “secolo d'oro”, S. Sanz Villaneuva, D. Ynduráin, J.M.
Rozas e J.-C. Mainer per la letteratura moderna e
contemporanea.
ARTEArchitettura:
le prime attestazioni di architettura spagnola giunte sino a noi risalgono alla
preistoria e riguardano, in particolare,
menhir presenti in Catalogna,
talayots,
taulas e
navetas presenti nelle Baleari, resti di
fortificazioni cittadine. Numerosi sono i monumenti risalenti all'epoca romana a
noi pervenuti: sono, in prevalenza, opere pubbliche (ponti, acquedotti, cinte
murarie, oltre che resti di teatri, templi, fori, circhi, ecc.) situate a
Mérida, Tarragona, Segovia, città rigogliose in epoca augustea,
Salamanca, Alcántara, Sagunto, Numanzia, Tartesso, Ampurias. Rari sono i
monumenti di arte cristiana, tra cui si può annoverare il mausoleo di
Centcelles, presso Tarragona, esempio tipico di architettura paleocristiana.
Più cospicue e originali le tracce lasciate dall'arte visigota, in
prevalenza chiese (San Juan Bautista di Baños, presso Palencia; San Pedro
de la Nave, presso Zamorra; Quintanilla de las Viñas, presso Burgos;
Santa Comba de Bande, presso Orense) che presentano i caratteristici absidi
rettangolari e l'utilizzo dell'arco a ferro di cavallo. Con la conquista della
penisola iberica (al-Andalus) da parte degli Arabi, fiorì la raffinata
arte musulmana, di cui si conservano importanti edifici (la moschea di Cordoba,
dei secc. VII-X, la chiesa del Cristo de la Luz a Toledo, risalente alla fine
del X sec.), mentre non è rimasta alcuna traccia dei monumenti
architettonici del primo periodo di quest'arte, così come pochi sono
quelli risalenti all'epoca, rigogliosa e ricca a livello artistico, della
dominazione degli Almoravidi e degli Almohadi: la Giralda (XII sec.) e
l'Alcázar (XIV sec.) a Siviglia, la sinagoga di Santa Maria la Blanca a
Toledo. L'Alhambra, reggia e fortezza dei re Mori di
S., e il Generalife,
residenza estiva dei re, entrambe situate sulle colline di Granada, furono
costruite verso i secc. XIII-XIV, quando ormai l'influenza islamica era in
declino. Mentre nel Sud della
S. fioriva il Regno arabo, durante il IX
sec. negli Stati cristiani del Nord si insediò la Monarchia asturiana,
che aveva eletto a propria capitale Oviedo, dove sono rimaste le tracce
più significative dell'arte asturiana (San Julián de los Prados,
Santa Cristina de Lena, San Miguel de Lillo, Santa Maria de Naranco, San
Salvador de Valdediós) che risente della tradizione visigota. Nel X sec.,
nuclei di cristiani presenti nei territori occupati dagli Arabi, compiendo un
innesto tra cultura romanza e cultura araba, diedero vita all'architettura
mozarabica, la quale trae ispirazione dall'arte musulmana andalusa. Infatti,
è costante l'uso dell'arco a ferro di cavallo, delle volte a nervatura,
delle absidi e delle nicchie d'altare che si rifanno ai
mihrab delle
stanze di preghiera arabe. Unico esempio di architettura mozarabica nell'area a
dominazione musulmana è la chiesa di Bobastro presso Malaga, mentre
più numerosi sono i monumenti presenti nelle Asturie, nel León e
in Galizia (San Miguel de Escalada, San Miguel di Celanova) dove, già a
partire dal IX sec., in seguito all'acuirsi dell'intolleranza, si rifugiarono i
mozarabi. Tra l'XI sec. e il XII sec., influssi francesi e italiani portarono
alla diffusione, nel Nord della
S., dell'arte romanica, contribuendo
così ad arginare l'influenza araba nel Paese. La propagazione di tale
forma artistica fu favorita dai pellegrinaggi dei fedeli verso il santuario di
Santiago de Compostela, lungo il cui itinerario vennero eretti monasteri
cluniacensi e chiese in stile romanico, tra le quali la cattedrale di Santiago
de Compostela rappresenta l'espressione artistica di maggior rilevanza. Lo stile
romanico, propagatosi nell'intero Paese, si innestò a elementi moreschi e
mozarabici, dando vita a uno stile caratteristico e originale, come dimostrano
gli esempi delle cattedrali di Zamorra e Salamanca, il chiostro di Santo Domingo
de Silos a Burgos, la basilica di San Vicente d'Ávila. D'altro canto, a
dimostrazione del profondo radicamento della cultura islamica in terra spagnola,
il Medioevo spagnolo, dal punto di vista artistico, è caratterizzato
dall'arte
mudéjar (Toledo, Valencia, Cordoba, Siviglia, zona nei
pressi di Segovia e Ávila), espressione emblematica della commistione tra
forme ed elementi tipici dell'architettura cristiana e quelli tipici
dell'architettura araba, nonché manifestazione architettonica che si pone
tra Romanico e Gotico. Alla fine del XII sec. si attestano i primi esempi di
arte gotica, con l'introduzione della volta ogivale che venne impiegata dai
monaci cistercensi per la costruzione dei monasteri di Moreruela, Santa Maria de
Poblet, Veruela, Santa Creus, Las Huelgas, Santa Maria de Huerta. Nelle regioni
mediterranee, l'arte, inizialmente ispirata al Gotico francese, assunse forme
originali e tipicamente nazionali (XV sec.), di cui la cattedrale di Siviglia,
il Parral di Segovia, San Juan de los Reyes di Toledo rappresentano esempi
eclatanti. Molteplici edifici (chiese, ospedali, collegi, palazzi) vennero
costruiti durante il Regno dei re cattolici, quando numerosi artisti stranieri
prestarono la loro opera in
S., dando vita all'arte cosiddetta
“plateresca” caratterizzata dalla ricchezza ed esuberanza delle
forme ornamentali, che uniscono elementi rinascimentali, tardo-gotici e
mudéjar. Mentre durante il Regno di Filippo II (XVI sec.), in
pieno clima controriformista, si registrò un ritorno a forme sobrie e
classiche, come testimonia il monumento più importante dell'epoca,
l'Escorial, realizzato dall'architetto Juan de Herrera, nel Seicento si
affermò il Barocco, che assunse forme diverse nelle differenti scuole
regionali. La seconda metà del XVIII sec. fu caratterizzata dallo stile
neoclassico, di cui la chiesa di San Francisco el Grande a Madrid, il palazzo
del Prado e la facciata della cattedrale di Pamplona sono esempi emblematici.
Dell'Ottocento, secolo di correnti eclettiche, ricordiamo l'originale e
fantasioso contributo dell'architetto catalano A. Gaudí y Cornet,
l'ideatore della Sagrada Familia, del Parco Güell e di altri edifici di
Barcellona. Gaudí, insieme ad altri architetti (L. Doménech y
Montaner, J. Puig y Cadafalch) diede vita, a Barcellona, al movimento modernista
che partecipava delle istanze innovatrici presenti anche in ambito
internazionale. Nel 1930, prima della guerra civile, si sviluppò il
movimento di avanguardia architettonica GATEPAC (Gruppo di Artisti e Tecnici
Spagnoli per una Architettura Contemporanea), di cui facevano parte J.L. Sert,
J.J. Torres Clavé, E. Torroja Miret. Nel 1952, a Barcellona, nacque il
gruppo R, con A. Coderch, M. Valls Vergés e F. Javier Sáenz de
Oiza, architetto delle
Torres Blancas di Madrid (1969), di chiara
ispirazione modernista. Da non dimenticare il Taller de Arquitectura, sorto a
Barcellona nel 1964 su iniziativa di R. Bofil, i cui architetti, nel 1992, in
occasione delle celebrazioni colombiane e dei Giochi Olimpici furono impegnati
in interventi di ristrutturazione della città. ║
Scultura:
testimonianze di tipo scultoreo appartenenti a civiltà mediterranee sono
state rinvenute nell'Isola di Maiorca, dove sono state ritrovate teste di toro
in bronzo, e ad Ampurias (l'antica città greca di Emporie), da cui
provengono sculture in marmo. Appartenenti all'arte paleocristiana sono i
sarcofagi di Ampurias, Gerona, Valencia, Toledo, mentre esempi di arte visigota
si possono ritrovare nei bassorilievi, presenti nelle chiese, che accostano
decorazioni rappresentanti motivi umani e animali con fregi geometrici. Di
grande importanza sono i tesori di oreficeria visigota rinvenuti in diverse
necropoli, tra cui rivestono un eccezionale valore quelli di Guarrazar (presso
Toledo), composti da croci e corone votive impreziosite dalla raffinata
lavorazione a sbalzo e da pietre preziose. L'arte visigota esercitò una
forte influenza sull'arte asturiana (medaglioni e fregi ornati con motivi a
spirale, rosoni decorati con motivi floreali e animali), nella quale si nota
anche l'influenza dell'arte romana e bizantina. L'arte mozarabica si espresse in
particolare nel campo dell'oreficeria, della scultura in avorio, della miniatura
dei manoscritti, ispirando la scultura romanica spagnola e quella francese
dell'XI sec. Tra le più importanti creazioni della scultura romanica
possiamo annoverare il chiostro di Santo Domingo de Silos, la facciata de las
Platerias nella cattedrale di Santiago de Compostela, gli apostoli della
cámera santa nella cattedrale di Oviedo, il portale di San Vicente
di Ávila, la facciata di Santa Maria di Ripoll in Catalogna. La scultura
gotica spagnola risentì dell'influsso del Gotico francese, come si
può notare dalle maestose decorazioni delle facciate delle cattedrali di
Burgos e di León. Nel XV sec. la scultura spagnola, grazie al contributo
di maestri stranieri, in particolare tedeschi, fiamminghi, italiani, conobbe un
periodo di grande fioritura che si manifestò nella realizzazione di
grandi altari scolpiti (San Nicolás a Burgos, cattedrale di Siviglia) e
di stalli corali (San Tomás ad Ávila, certosa di Miraflores).
Durante il Regno dei re cattolici assunse grande importanza l'opera di Gil de
Siloé, del quale si ricordano la pala policroma e i monumenti funerari
presenti nella certosa di Miraflores a Burgos. La penetrazione del Rinascimento
italiano, evidente nelle opere di Ordoñez, Diego de Siloé e
Forment, assunse caratteristiche tipicamente nazionali, dando vita allo stile
plateresco. Nel XVII sec., nella Vecchia Castiglia si impose la figura di G.
Hernández, fondatore di una scuola e scultore di opere in legno
caratterizzate da colori vivaci e da un estremo realismo, utilizzate durante le
processioni. I medesimi motivi mistici e realistici si ritrovano nella scultura
andalusa, i cui massimi esponenti furono M. Montañéz, J. de Mesa,
A. Cano. L'epoca barocca vide il declino degli scultori spagnoli, sostituiti dai
maestri francesi che si dedicarono in particolare alla decorazione dei giardini
e dei palazzi reali. Di scarsa importanza la scultura del XIX sec., mentre da
menzionare sono, nel XX sec., le opere di Julio Antonio che si rifanno a un
realismo tipico della tradizione artistica spagnola, e le creazioni ispirate al
Cubismo di Manolo, Gargallo e J. Gonzáles, membri della scuola di Parigi.
Esperienze interessanti sono quelle realizzate da E. Chillida, M. Berrocal, L.
Lugan. ║
Pittura: risalenti all'età preistorica sono le
pitture rupestri appartenenti al gruppo franco-cantabrico (Altamira, Candamo,
Puenteviesgo), caratterizzate da uno stile naturalistico, e quelle più
schematiche appartenenti al gruppo del Levante (Alpera, Calapata, Cogull). Di
età romana sono i dipinti del vescovado e delle tombe di Mérida e
quelli di Santa Eulalia de Bóveda a Lugo. La pittura asturiana,
sviluppatasi nei secc. IX-X, risentì dell'influsso dell'arte romana, come
attestano le realizzazioni pittoriche di San Juan de los Prados e San Salvador
de Valdediós. L'arte mozarabica, con i suoi manoscritti ornati da
raffinate miniature, ebbe effetto sulla pittura romanica (secc. XI-XIII), che,
diffusasi in diverse regioni della
S., in particolare in Catalogna,
Castiglia e León, è attestata da preziose tavole e dipinti murali
rimossi e custoditi nel Museo de Bellas Artes de di Barcellona, nel Museo
episcopale di Vich e nel Museo del Prado di Madrid. Tali opere mantengono motivi
dell'arte mozarabica, risentendo inoltre degli influssi dell'arte romanica
francese e della pittura bizantina, conosciuta in
S. in seguito agli
assidui rapporti con centri artistici italiani. La pittura gotica è
testimoniata dagli affreschi di A. Sánchez da Segovia che si trovano
nella cattedrale vecchia di Salamanca, dai dipinti del monumento funebre di don
Sancho Saiz de Carrillo, conservati nel Museo de Bellas Artes de Barcellona,
dagli affreschi di Santo Domingo di Puigcerdá. A partire già dalla
prima metà del XIV sec. lo stile giottesco e l'arte senese si affermarono
in
S., in particolare a Barcellona con F. Bassa, R. Destorrents e, nel XV
sec., con i fratelli Serra. Il Gotico cortese si diffuse in Catalogna, a
Valencia e in Aragona, mentre in Castiglia e in León, grazie a G.
Starnina e D. Delli, presenti rispettivamente a Toledo e a Salamanca, prevalse
uno stile ispirato all'arte italiana. Verso la metà del XV sec. crebbe
l'interesse nei confronti della nuova pittura fiamminga, conosciuta direttamente
dagli artisti spagnoli grazie ai loro frequenti viaggi nei Paesi Bassi. Alcuni
di essi (L. Dalmau a Barcellona e Valencia; J. Inglés, F. Gallego, il
Maestro di Sopetrán, il Maestro di Ávila, J. de Flandes in
Castiglia) diedero vita alla corrente definita “ispano-fiamminga”,
che risultò fondamentale per la formazione artistica dei due più
importanti pittori spagnoli della seconda metà del XV sec.: B. Bermejo,
che svolse la sua attività a Valencia, in Aragona e in Catalogna, e P.
Berreguete che lavorò per circa un decennio per i Montefeltro di Urbino.
Nel XIV sec. prevalse nuovamente lo stile artistico italiano in pittori quali A.
Fernández, J. de Borgoña che si formò a Firenze, nella
bottega del Ghirlandaio, stabilendosi poi a Toledo, dove ebbe influenza sugli
artisti locali, F. de Llanos e F. Yañez i quali, nei loro giovanili
viaggi italiani, subirono il fascino della pittura di Leonardo e di altri
manieristi toscani. Anche il fiammingo P. de Kempeneer, dopo i soggiorni in
Italia, si trasferì a Siviglia dal 1537 al 1563 dove acquistò fama
col nome di Pedro de Campaña e concorse alla diffusione del Manierismo
italiano. Tra i più eleganti manieristi spagnoli, ricordiamo L. de
Morales, che riuscì ad accostare nelle sue opere elementi fiamminghi e
suggestioni leonardesche e raffaellesche. Il XVI sec. vede il primato assoluto
della pittura italiana: Carlo V e Filippo II commissionarono numerose opere a
Tiziano; le decorazioni dell'Escorial furono realizzate da F. Zuccari, L.
Cambiaso, P. Tibaldi. Nella seconda metà del XVI sec. si ravvivò
la tradizione ritrattistica con A. Sánchez Coello e J. Pantoja, allievi
dell'olandese A. Moor, e con D. Theotocópuli, detto El Greco, il quale,
dopo una parentesi italiana, si stabilì definitivamente a Toledo. Nel
XVII sec. la pittura spagnola conobbe i massimi splendori, grazie agli intensi
scambi con i più importanti centri artistici europei. F. Ribalta, J. de
Ruelas e J. de Ribera accostarono la maniera d'ispirazione caravaggesca con il
realismo tipico dell'arte spagnola. Il maggiore esponente della pittura del
Seicento spagnolo fu Velázquez il quale, dopo essersi formato a Siviglia,
nel 1623 svolse la sua attività a Madrid. In Andalusia, nel corso del
secolo, furono presenti molti pittori di grande valore, tra cui F. de
Zurbarán, B. Murillo, A. Cano. Nel XVIII sec. la pittura spagnola,
esauritasi la grande tradizione secentesca, cadde in declino. Fu solo grazie
all'apporto di artisti stranieri, in particolare G.B. Tiepolo e R. Mengs, che si
avviò un rinnovamento in senso neoclassicista. Unica figura che
riuscì a emergere in questo periodo cupo fu F. Goya, attivo negli ultimi
decenni del XVIII sec. e nei primi del successivo. Nel XIX sec. si segnala
l'opera di M. Fortuny y Carbó e di E. Rosales. I primi decenni del XX
sec. furono caratterizzati da una pittura che si rifà alla tradizione di
Goya e dei maestri del Seicento; ma una svolta fondamentale fu rappresentata
dall'affermazione delle avanguardie europee, a cui gli artisti spagnoli (P.
Picasso, J. Gris, J. Miró, S. Dalí) offrirono un contributo di
altissimo livello. In seguito alla seconda guerra mondiale, dopo un periodo di
crisi artistica, si susseguirono iniziative interessanti e innovative: a
Barcellona sorse il gruppo Dau al Set (1948), che unì tendenze
surrealiste e astratte (Tápies, J.J. Tharrats); a Madrid il gruppo El
Paso (1957), di orientamento astrattista (M. Millares, A. Saura, L. Feito, R.
Canogar); a Cordoba Equipo 57 (1957), di tendenza costruttivista (J. Duarte, J.
Serrano, J. Cuenca); a Barcellona il gruppo Silex (1964), che fece propria la
pittura materica e gestuale. In reazione a ricerche artistiche puramente
formali, si formò il gruppo Crónica de la Realidad (M.
Valdés, R. Solbes, J. Genovés), indirizzato a un maggior impegno
politico e sociale. Dopo le diverse esperienze ispirate all'arte concettuale,
negli anni Ottanta si registrò un ritorno alla figurazione (L. de la
Cámara, L. Arraz Bravo, M. Barceló, G. Pérez
Villalta).
MUSICAI primi centri
musicali della
S. furono Siviglia, Toledo e Saragozza dove, a partire dal
VI sec., si concentrò la vasta produzione di canto liturgico visigoto,
conosciuto dall'VIII sec. come
canto mozarabico e praticato fino all'XI
sec. È documentata anche l'esistenza di un canto profano in latino,
databile al VII sec. A partire dal IX sec. i rapporti tra centri monastici
iberici e centri francesi contribuirono a introdurre, dapprima in Catalogna e
Aragona, altre forme musicali liturgiche diverse da quelle mozarabiche. Nei
secc. XII-XIII grande fortuna ebbe la musica trovadorica presso le corti,
diffusa da trovatori catalani e provenzali, tra i quali si ricorda in
particolare Raimondo Lullo. I documenti più cospicui di tale produzione
sono la raccolta delle 420
Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, compiuto
esempio di monodia medioevale, e quella delle sei profane
Cantigas da
amigo del trovatore M. Codax. La polifonia si sviluppò a partire
dall'XI sec., come è testimoniato dal codice Callistino di Santiago de
Compostela e da altri manoscritti dai quali si evince la diffusione di forme
musicali quali il mottetto a tre e quattro voci. L'
Ars nova religiosa e
profana si diffuse negli ambienti cortesi di Catalogna e Aragona; gli stili
francese e italiano, introdotti da musici stranieri, furono accolti e arricchiti
localmente (
Llibre vermell di Montserrat). Nel XV sec. la corte aragonese
di Alfonso IV e quella castigliana di Ferdinando e Isabella i Cattolici furono
centri di produzione musicale polifonica e monodica. Nel repertorio profano
(
villancicos,
romances,
estrambotes, ecc.) la musica
spagnola sviluppa un inequivocabile carattere nazionale. Anche nella polifonia
sacra, per quanto non insensibile alla lezione fiamminga, si ritrovano elementi
di originalità. Tra i più illustri polifonisti spagnoli del
Quattrocento figurano J. de Anchieta, F. Estevan, F. del Castillo, J. de la
Encina. Il XVI sec. vide il momento di massimo splendore dell'arte polifonica in
S., fiorita nelle scuole andalusa, rappresentata da J. Navarro, J.
Vázquez, F. Guerrero; castigliana, con J. Escribano, D. Ortiz, S. Raval,
B. de Ribera, A. de Cabezón e T.L. de Victoria (con Palestrina e con O.
di Lasso il più importante polifonista del Cinquecento); catalana, con P.
Cubels, J. e M. Flecha, P. Villalonga. Nella prima metà del XVI sec.
spicca la personalità di C. de Morales, autore soprattutto di messe,
percorse da accenti di potente drammaticità. La produzione dei maestri
spagnoli è purtroppo andata perduta in buona misura, non essendo mai
giunta alle stampe. Nella produzione profana (madrigali,
villancicos,
canciones) si distinsero autori quali M. Flecha, S. Raval, P. Valenzuela,
P.A. Vila, F. Guerrero, J. Navarro, J. Vázquez, R. Ceballos. Nel
Cinquecento la scuola organistica fu, insieme alla polifonia vocale,
l'espressione musicale spagnola più rilevante a livello europeo. A. de
Cabezón (il maggior organista del secolo), J. Bermudo, T. de Santa
María nonché i celebri teorici G. Martínez de Bizcargui, F.
Trovar e F. Salinas il Cieco, fecero notevolmente progredire la cultura musicale
e la tecnica esecutiva inerenti allo strumento. Anche la musica per liuto
(
vihuela) e per chitarra, sia strumentale, sia come accompagnamento al
canto monodico, ebbe notevoli rappresentanti, tra cui L. Milán, E. de
Valderrábano, A. de Mudarra, M. de Fuenllana, che pubblicò
importanti libri di
vihuela. Nel XVII sec. la polifonia vocale, sacra e
profana, e la musica strumentale non riuscirono a mantenersi all'altezza di
quelle europee, e soprattutto di quella italiana, restringendosi il culto della
musica alle cappelle della corte e dei duchi d'Alba. Tuttavia, il Seicento vide
splendere il genio di J. Cabanillas, continuatore di A. de Cabezón nella
tradizione organistica spagnola; egli rivoluzionò l'armonia, oltre a
praticare a livelli eccelsi l'arte della variazione e della polifonia
strumentale. Nello stesso secolo si svilupparono quelle composite forme di
spettacolo denominate
zarzuelas,
éclogas,
fiestas de
musica y de teatro,
fiestas cantadas,
comedias
armònicas, che avevano avuto nel Cinquecento le prime espressioni
nelle composizioni teatrali di J. de la Encina. Primi esempi di questa
produzione teatrale sono la
Selva sin Amor, su testo di L. de Vega
(1619), e la
Púrpura de la Rosa, su testo di Calderón
(1660) delle quali è andata perduta la musica. Ci è invece rimasta
parte della musica composta da J. Hidalgo per l'opera
Celos aun del aire
matan, su testo di Calderón (1660). Poco è rimasto della
produzione musicale spagnola del Settecento, soprattutto di quella strumentale.
La vita musicale del tempo fu dominata dalla personalità di alcuni
musicisti italiani, tra cui D. Scarlatti e poi L. Boccherini, che esercitarono
un'influenza notevole sui compositori spagnoli; tra questi si distinse sia in
patria sia all'estero A. Soler, allievo di D. Scarlatti, il quale adottò
anche nella sua produzione operistica lo stile italiano, introdotto in Spagna
per la prima volta nel 1703 con l'arrivo a Madrid di una compagnia di canto
italiana. A contrastare con qualche fortuna il predominio dell'opera italiana fu
il genere della
tonadilla escénica, sorta d'intermezzo musicale
tra gli atti di commedie in prosa. Tale genere, in auge dal 1757 al 1790, fu
praticato da musicisti quali L. Misón, A. Rodríguez de Hita e P.
Esteve i Grimau. Il clima romantico del XIX sec. fu propizio alla riscoperta e
alla valorizzazione del ricchissimo patrimonio della musica popolare spagnola e,
con essa, del genere teatrale della
zarzuela, misto di parlato e cantato,
da opporre allo strapotere dell'opera italiana. F.A. Barbieri fu rappresentante
di spicco di questa forma teatrale nazionale, il cui crescente successo fu
ufficialmente sancito dall'inaugurazione del Teatro de la Zarzuela (1856),
contrapposto al Teatro Real, dove veniva rappresentata l'opera italiana.
Frattanto si andava riscoprendo il cosiddetto
género chico, nato
nei bassifondi madrileni e ispirato al più schietto folclore musicale
spagnolo. L'opera più popolare di questo genere fu
La gran via
(1886) di F. Chueca. Il
género chico - praticato, tra gli altri,
da R. Chapí e F. Caballero - esercitò un influsso notevole su
importanti musicisti posteriori quali Albeniz, Granados e de Falla. L'Ottocento
vide anche la fondazione in
S. di una moderna musicologia ad opera di F.
Pedrell, autore dell'imponente
Cancionero musical popolar espanol e delle
Hispaniae Schola musica sacra, un'opera di recupero storico della
tradizione polifonica spagnola. Nuove e prestigiose istituzioni musicali, quali
la madrilena Società del quartetto (1863), la Società dei concerti
(1866) e numerose orchestre sinfoniche contribuirono a reinserire la
S.
nel circuito della moderna cultura musicale europea. Fu anche il momento
dell'affermazione sulla scena internazionale di virtuosi spagnoli: il violinista
P. de Sarasate, i pianisti J. Miró, P. Albeniz y Bisanta, I. Albeniz e E.
Granados, il chitarrista F. Tarrega, la cui intensa attività
concertistica conferì nuova dignità allo strumento. La produzione
strumentale (I. Albeniz, E. Granados) e teatrale (M. de Falla, J. Turina) tra i
secc. XIX e XX fu segnata da un profondo rinnovamento stilistico, consistente
nel rigoroso recupero della tradizione colta e popolare, reinterpretata alla
luce di una sensibilità aperta alle moderne esperienze musicali europee.
Dopo la guerra civile musicisti quali R. Gerhard (attivo però a Londra),
J. Rodrigo, J. Joms, F. Mompou, X. de Moutsalvatge, M. Palau tesero a
sprovincializzare ulteriormente la produzione musicale spagnola, pur marcandola
di elementi di derivazione etnica. Si ricordano infine, tra i musicisti e gli
interpreti spagnoli delle ultime generazioni, i compositori J. Villa Rojo, C.
Prieto, J. Hidalgo, F. Guerrero; i violoncellisti P. Casals e G. Cassado; i
pianisti G. Soriano e A. de Larrocha; i chitarristi A. Segovia e R. Tarrago;
l'arpista N. Zabaleta; i direttori E. Jordá, G. Asensio, R. Frubeck de
Burgos; i cantanti V. de los Angeles, M. Caballè, T. Berganza, A.
Chamorro, A. Kraus, P. Domingo, J. Carreras.
Madrid: l'Escorial
Particolare della facciata della casa Battló a Barcellona
Siviglia: piazza di Spagna
Alcazar di Siviglia: il patio del palazzo del Yeso
Le mura arabe della Macarena a Siviglia
L'Alcazar di Segovia
Veduta di Albacete
Veduta dall'alto dell'Alhambra a Granada
Saragozza: palazzo Aljafería
Veduta di Maiorca
La basilica di Eunate (Spagna)
Le mura di Avila nella vecchia Castiglia