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Spagna.

Stato (505.988 kmq; 44.100.000 ab.) dell'Europa occidentale, che include gran parte della penisola iberica (circa i 5/6 dell'intero territorio peninsulare), l'arcipelago delle Baleari nel Mar Mediterraneo, l'arcipelago delle Canarie nell'Oceano Atlantico, l'exclave costituita dal centro di Llivia, circondata da territorio francese, e infine, in Marocco, le città di Ceuta e Melilla e gli isolotti Peñón de Vélez de la Gomera, Peñón de Alhucemas e Chafarinas. Confina a Nord-Est con la Francia, a Ovest con il Portogallo; a Nord, Nord-Ovest e Sud-Ovest è bagnata dall'Oceano Atlantico, a Est e a Sud-Est dal Mar Mediterraneo. Capitale: Madrid. Città principali: Barcellona, Siviglia, La Coruña, Malaga, Valencia, Cadice, Bilbao, Saragozza, Toledo. Ordinamento: Monarchia costituzionale. Il potere legislativo è affidato al Parlamento bicamerale (Cortes Generales), che comprende il Congresso dei deputati e il Senato, eletti entrambi direttamente dal popolo ogni quattro anni; il potere esecutivo formalmente è affidato al re ma, di fatto, è esercitato dal Governo, capeggiato da un primo ministro designato dal re ed eletto dal Congresso dei deputati. La S. è divisa in 50 province e in 17 comunità autonome. Moneta: fino al 31 dicembre 2001, peseta; dal 1° gennaio 2002, euro. Lingua ufficiale: spagnolo castigliano; sono riconosciute come lingue nazionali delle rispettive comunità etnolinguistiche il catalano (Catalogna, Baleari, Comunità Valenciana), il basco (Province Basche e parte della Navarra), il gallego (Galizia). Religione: nella quasi totalità, cattolica; esistono minoranze protestanti, musulmane, ebree.

GEOGRAFIA


Morfologia: la S. è formata da un vasto tavolato centrale, la Meseta (altezza media 600-1.000 m) che costituisce il nucleo geologico più antico della penisola, risalente al Paleozoico. Tale altopiano si divide in Meseta settentrionale e Meseta meridionale, che coincidono rispettivamente con le regioni storiche della Vecchia e della Nuova Castiglia. Il Sistema Centrale, anch'esso di antica formazione geologica, comprendente rilievi che non superano i 2.600 m (Sierre de Gata, de Gredos, de Guadarrama), separa i due bacini. Altri sistemi montuosi si possono ritrovare ai confini della Meseta: i Monti Cantabrici a Nord, il Sistema Iberico a Est, la Sierra Morena a Sud. Il paesaggio della Meseta, che si estende, arido, a perdita d'occhio, caratterizzato da rilievi assai poco evidenti, da un clima continentale, da scarso popolamento e adibito prevalentemente ad allevamento e cerealicoltura, rispecchia il tipico panorama della S. Tra le altre catene montuose spagnole ricordiamo i Pirenei, confine naturale netto con la Francia, i cui rilievi raggiungono le altitudini maggiori con il Pico de Aneto (3.404 m) e il Monte Perdido (3.355 m); la Cordigliera Betica, che si estende a ridosso della costa mediterranea meridionale e presenta le cime più alte dell'intera penisola (Cerro Mulhacén, nella Sierra Nevada, 3.478 m). ║ Idrografia: i fiumi spagnoli, a causa della vicinanza delle catene montuose alle coste, della scarsità e incostanza delle piogge, nonché della presenza di terreni impermeabili e di fenomeni di evaporazione, presentano una portata irregolare. I fiumi più lunghi sono quelli che scorrono verso Ovest, sfociando nell'Atlantico, mentre i fiumi che si gettano nel Mediterraneo sono meno significativi per lunghezza e importanza. Tale fenomeno è dovuto all'inclinazione verso Ovest della Meseta e alla presenza, a Sud, di sistemi montuosi, tra cui la Cordigliera Betica. In particolare il fiume spagnolo più lungo è il Tago, mentre il Duero, benché abbia un corso più breve, presenta un bacino e una portata di gran lunga maggiori. Tali corsi fluviali, insieme al Guadiana, scorrono anche in territorio portoghese. L'Ebro, che nasce dai Monti Cantabrici e sfocia nel Mar Mediterraneo, scorre, invece, interamente in territorio spagnolo, e presenta la particolarità per cui, pur essendo un fiume mediterraneo, possiede un bacino assai ampio e riceve grandi quantità d'acqua dai numerosi affluenti che discendono per la gran parte dai Pirenei. Nonostante ciò, la quantità delle acque del fiume si riduce drasticamente nel corso dell'attraversamento dell'arida Depressione Aragonese (area circostante Saragozza), giungendo al delta con una portata molto contenuta. Il Guadalquivir rappresenta un'eccezione nel panorama idrografico spagnolo, poiché, a differenza degli altri fiumi, ha una portata abbastanza cospicua, ma soprattutto regolare, che ne permette la navigabilità da Siviglia alla foce. La S. risulta povera di laghi naturali (eccetto lagunas e marismas, zone paludose in prossimità dei corsi fluviali), mentre non mancano bacini artificiali (embalses), sfruttati come riserve d'acqua (a scopo di irrigazione e di regolamentazione delle portate dei fiumi) e per la produzione di energia elettrica. ║ Clima: la grande varietà climatica della S. è determinata dall'andamento morfologico estremamente eterogeneo del territorio. La zona nord-occidentale della S. è caratterizzata da un clima atlantico, con precipitazioni frequenti durante tutte le stagioni dell'anno, temperature mitigate dalla vicinanza all'Oceano, limitata escursione termica. Il versante pirenaico presenta i medesimi livelli di piovosità della zona atlantica, ma le temperature sono più severe e l'escursione termica più ampia. La costa orientale della S. è caratterizzata da un clima mediterraneo, con estati calde e secche, inverni miti e precipitazioni limitate quasi esclusivamente al periodo autunnale e primaverile. L'Andalusia presenta un clima subtropicale che risente notevolmente degli influssi della vicina Africa, con estati caldissime e scarsità di precipitazioni. Gli altopiani e le pianure interne sono caratterizzate da un clima continentale, con fortissime escursioni termiche, elevate temperature estive e temperature invernali rigide. ║ Flora e fauna: alla notevole diversità climatica corrisponde una certa varietà della vegetazione. Vi sono aree con vegetazione di tipo alpino (Pirenei), caratterizzate dalla presenza di conifere, e aree con una vegetazione rigogliosa, a causa delle abbondanti piogge (regione atlantica), che presentano boschi di latifoglie (querce, castagni, faggi). Le regioni centro-meridionali sono ricoperte dalla tipica vegetazione mediterranea (macchie di arbusti e di querce sempreverdi, oliveti, aranceti). La regione a Sud (Andalusia) presenta degli aspetti tipici della vegetazione africana (canna da zucchero, cotone, bambù, ecc.) e subtropicale (banano e dattero). La steppa è invece caratteristica della zona centrale della S., legata alla siccità del clima e alla salinità del terreno. La fauna presente in S. rispecchia quella tipica della regione mediterranea, condividendo con l'Africa del Nord alcune specie animali, tra cui le bertucce di Gibilterra (le uniche scimmie presenti in Europa), le genette (specie di martore), le manguste, i camaleonti, i fenicotteri. Nel Nord si possono ritrovare lupi, linci, scoiattoli, daini; nella Meseta lepri, pernici e galli cedroni. In S. vi sono 10 parchi nazionali (4 nelle Canarie e 6 sul territorio continentale) e alcune riserve naturali a tutela di tale patrimonio faunistico.
Cartina della Spagna


ECONOMIA


L'economia spagnola è caratterizzata da forti squilibri regionali: vi sono aree “forti” (Catalogna, Valenciano, Baleari, Paesi asturo-cantabrici), assai sviluppate dal punto di vista industriale e densamente popolate, e aree “deboli” (zone occidentali e meridionali, area centrale, eccettuata la zona di Madrid), in cui è ancora prevalente un'economia di tipo agricolo. Tale squilibrio sembrerebbe destinato ad accentuarsi a causa dell'ordinamento autonomo di cui godono le 17 comunità, i cui Governi locali hanno libertà di decisione a livello normativo e di spese relative ad alcuni settori (edilizia, infrastrutture, tutela dell'ambiente). Nonostante tali disparità, l'economia spagnola, a partire dagli anni Ottanta, ha registrato un'importante crescita, grazie soprattutto all'ingresso del Paese nella Comunità Europea (1986), allo sviluppo del settore terziario (circa il 60% dell'intera popolazione occupata) e alla riduzione della popolazione addetta all'agricoltura (9% nel 1998 contro il 26% degli addetti nel 1970). ║ Agricoltura: l'agricoltura spagnola, nonostante la relativa arretratezza, dovuta essenzialmente a condizioni ambientali poco favorevoli e al persistere di un'organizzazione di tipo latifondista (Sud, zona meridionale e occidentale della Meseta), o, al contrario, minifondista, con proprietà estremamente frammentate e a conduzione familiare (Galizia, Meseta centro-orientale), rimane un'attività fondamentale per l'economia della S., essendo praticata all'incirca sul 60% del territorio. Le colture più diffuse sono quelle cerealicole (orzo, frumento, mais), presenti nelle zone aride (secaños) della S. (altopiani interni, Andalusia), degli agrumi (area mediterranea), della vite (diffusa sull'intero territorio), dell'olivo (Andalusia, Estremadura, Nuova Castiglia). I prodotti derivati da tali colture vengono esportati sia verso gli altri Paesi della CEE, sia verso gli Stati Uniti. Altra voce importante dell'economia spagnola riguarda la produzione ed esportazione di frutta da tavola (mele, pesche, banane), ortaggi e fiori, prevalentemente coltivati nelle huertas (ampie zone irrigue che traggono alimento dai fiumi montani), introdotte dagli Arabi nell'area mediterranea della S. Prendendo a esempio tale modello, nelle regioni centrali e settentrionali, sfruttando il corso dei fiumi, sono state recentemente costruite dighe e canali artificiali per agevolare l'irrigazione del territorio, rendendo così possibile la coltivazione intensiva di prodotti ortofrutticoli nonché l'introduzione di colture industriali (barbabietola, cotone, tabacco), non particolarmente adatte alle condizioni ambientali del Paese. Nell'area nord-occidentale della S. viene praticata la selvicoltura, mentre la produzione di sughero è diffusa in Catalogna, Andalusia ed Estremadura. ║ Allevamento: l'allevamento di ovini, diffuso nelle zone interne del Paese, svolge tuttora un importante ruolo nell'economia spagnola, mentre è in netta crescita l'allevamento di suini. L'allevamento di bovini (bestiame da latte, tori da combattimento) risulta particolarmente diffuso nelle regioni atlantiche, grazie alla presenza di praterie naturali e di zone irrigue. L'attività peschereccia è particolarmente sviluppata al Nord (Galizia, Asturie, Province Basche), dove sono situati i porti più attivi e dove si registra un sistema organizzativo moderno, grazie all'utilizzo di mezzi avanzati e alla presenza in loco di industrie di trasformazione e conservazione del prodotto. Mentre sulla costa atlantica settentrionale si pescano soprattutto merluzzi, sardine, molluschi, la pesca del tonno è praticata nei pressi dello stretto di Gibilterra. Sulla costa mediterranea la pesca, invece, risulta un'attività poco praticata. ║ Industria: anche in ambito industriale, in S. si registra una forte disparità regionale. Infatti, nonostante il processo di industrializzazione abbia recentemente investito anche altre zone della S., permangono due aree industriali assai sviluppate: la Catalogna, specializzata nella produzione di acciai speciali e di prodotti tessili, e le zone atlantiche delle Asturie e, con un andamento discendente, dei Paesi Baschi, specializzate nel settore siderurgico e nella produzione di carbone. Il processo di industrializzazione del Paese, avviato nel secondo dopoguerra, si è verificato grazie alla notevole disponibilità di minerali (già sfruttati in epoche antiche) che ha reso possibile lo sviluppo dell'industria siderurgica, alla cui realizzazione ha contribuito anche l'apporto di capitali stranieri, soprattutto americani e tedeschi. In particolare il ferro e il carbon fossile, estratti in Biscaglia e nelle Asturie, vengono utilizzati nelle industrie siderurgiche del Nord, situate nella zona di Bilbao, Santander, Avilés, Gijón. Negli anni Ottanta e Novanta, però, la produzione ha inizato a decrescere, costringendo le regioni interessate a riconversioni non sempre fattibili. Al Sud vengono estratti mercurio e rame. Nell'ultimo decennio del XX sec. l'industria chimica si è notevolmente sviluppata, soprattutto in Catalogna. Il settore meccanico è appannaggio della fabbricazione di autoveicoli, a cui è connesso lo sviluppo dell'industria della gomma, in Catalogna. In generale - fatta salva la realtà siderurgica - il settore industriale spagnolo si mostra sviluppato in modo piuttosto cospicuo ed equilibrato nelle diverse aree di produzione, riuscendo a sostenere un ingente carico di esportazioni. La S. risulta invece dipendere dall'estero per il fabbisogno energetico, importando idrocarburi e combustibili, mentre la produzione energetica interna è assicurata dalla presenza di centrali idroelettriche ed elettronucleari. ║ Commercio e comunicazioni : la S. presenta un sistema di comunicazioni terrestri bisognoso di interventi di miglioramento. In particolare la rete ferroviaria, che ha un andamento a raggiera, da Madrid verso la periferia, risulta inadeguatamente e insufficientemente sviluppata rispetto alle esigenze del Paese. Inoltre la presenza dello scartamento differenziato complica il collegamento con l'esterno. Per ovviare a tali carenze, si è provveduto al potenziamento e ammodernamento sia della rete autostradale sia della rete stradale ordinaria, il cui maggior problema rimane la convergenza della stessa sulla capitale, nonché la connessa scarsità di raccordi periferici, se si eccettua la direttrice che collega le città della costa atlantica con Barcellona e quella che si estende lungo la fascia litoranea mediterranea. Il miglioramento delle condizioni della rete stradale è da mettere in stretta relazione con il notevole sviluppo del turismo, che rappresenta una voce molto importante dell'economia spagnola. Il turismo internazionale interessa principalmente le città d'arte, ricche di monumenti e storia (Toledo, Granada, Siviglia, Salamanca, ecc.), i centri urbani che ospitano musei (Madrid, Barcellona), le coste della Catalogna, dell'Andalusia, le Isole Baleari e Canarie, le località della costa atlantica (Cantabria, Paesi Baschi). Da non dimenticare, tra le mete turistiche, le grotte di Altamira, presso Torrelavega (Santander), dove si possono ammirare preistoriche incisioni rupestri, e il camino de Compostela, tradizionale via che collegava Barcellona alla Galizia, percorsa in epoca medioevale dai pellegrini diretti a Santiago e costellata da numerosi santuari e ospizi. Allo sviluppo del turismo è collegato il fiorire dell'industria alberghiera. Nonostante il notevole profitto derivato dal turismo, la bilancia commerciale spagnola è in forte deficit, a causa, in particolare, della crescita dell'importazione di materie energetiche, in particolare prodotti petroliferi, e dell'aumento dei consumi. La S. esporta prevalentemente prodotti alimentari, metalli, veicoli, sia verso i Paesi della Ue sia verso gli Stati Uniti e il Giappone, mentre le importazioni riguardano, oltre ai già citati prodotti energetici, macchinari e prodotti chimici.

STORIA

La prima popolazione che abitò le terre spagnole di cui si abbia notizia fu quella degli Iberi, comunemente ritenuti i successori delle genti camitiche giunte dall'Africa; fu con costoro e con un'altra tribù indigena, i Tartessi, che entrarono in relazioni commerciali i Fenici di Tiro, fondando attorno al 1100 a.C. Gadir (l'odierna Cadice). Dopo alcuni secoli di convivenza pacifica, i Tartessi furono sottomessi dai Fenici (VIII sec. a.C.); resisi indipendenti all'epoca degli assedi assiri di Tiro, furono di nuovo soggiogati nel VII sec. a.C., subendo, quindi, nel secolo successivo la penetrazione greca (focese in particolare), che si arrestò nel 540 a.C. dopo la battaglia di Alalia. Iniziò allora il predominio cartaginese: esso si sviluppò, però, soprattutto dopo la fine della prima guerra punica (III sec. a.C.), allorché Cartagine, perse Sicilia e Sardegna, decise di ampliare verso Nord i propri possedimenti (prima limitati ad alcune località sulla sponda meridionale della penisola). Dopo essere stata uno dei teatri principali della seconda guerra punica (218-202 a.C.), a seguito della sconfitta cartaginese la S. divenne possedimento dei Romani, che nel 197 a.C. la divisero in due parti (Hispania citerior e Hispania ulterior). La regione fu sede nel II sec. a.C. di numerose ribellioni di popolazioni indigene (Lusitani e Celtiberi in particolare), della sanguinosa guerra numantina (154-133 a.C.) e, quindi, nel I sec. a.C., delle guerre civili (a Munda nel 46 a.C. Cesare sconfisse definitivamente Pompeo), venendo, infine, pacificata sotto Augusto; costui riorganizzò amministrativamente la regione, dapprima dividendola in tre province (Hispania citerior o Tarraconensis, Lusitania e Hispania ulterior o Baetica), quindi creando due diocesi a sé nell'ambito dell'Hispania citerior (Asturie e Callecia). Diocleziano (III sec. d.C.) rimaneggiò questo ordinamento, staccando dalla Tarraconensis le Baleari e l'Hispania Carthaginiensis. Nel V sec. varie popolazioni barbariche calarono in S.: una di queste, i Visigoti, accettò di allearsi con Roma e si fece carico di scacciare le altre (Vandali, Silingi e Alani) dalle terre spagnole. In realtà, però, il domino romano era ormai solo formale, minato com'era, oltre che da gravi rivolte interne, specie nella Tarraconense, dallo sviluppo della potenza degli Svevi e dal comportamento ambiguo degli stessi Visigoti; i quali, infine, ruppero gli indugi e ripresero la penetrazione armata conquistando gran parte della S. (ad eccezione della Galizia e di una parte della Lusitania, in mano agli Svevi, e di alcune terre nella Betica e nella Cartaginense controllati dalla nobiltà ispano-romana). Il dominio visigotico durò fino al 711: al suo consolidamento contribuirono, più ancora delle conquiste territoriali susseguenti al crollo del Regno svevo (585), la conversione al Cattolicesimo del re Recaredo (586-601), fatto questo che comportò la partecipazione dell'alto clero al Governo e l'unificazione legislativa condotta a termine da re Recesvindo (649-72), nella cui Lex Wisigothorum si riconosce l'origine del diritto nazionale spagnolo. I conflitti insanabili tra il re da una parte e il clero e la nobiltà dell'altra favorirono nell'VIII sec. la conquista araba della S.: nel 711, Tāriq ibn Ziyād guidò alcune migliaia di soldati, per la maggior parte Berberi, contro re Rodrigo, sconfiggendolo a Guadalete e occupando rapidamente il Paese (a eccezione della regione asturiana). ‘Oqba prima e ‘Ab ar-Rahmān riuscirono a dare alla S. musulmana una salda organizzazione politica, che seppe resistere alle forze centrifughe (dissidi interni, opposizione berbera, scorrerie normanne) particolarmente attive nel IX sec. Fu, comunque, ‘Ab ar-Rahmān III (912-961) a pacificare il Paese: costui, che nel 929 assunse il titolo di califfo di Cordova, inaugurò un'epoca di straordinaria prosperità per la S. musulmana, ponendo le premesse per un ulteriore ingrandimento territoriale che si verificò sotto Hishām II (976-1008) con la conquista di Barcellona e Santiago de Compostela. Dopo l'anno 1000, però, il califfato fu sconvolto da lotte intestine che precipitarono il Paese nell'anarchia e che, alla fine, nel 1031, portarono alla sua polverizzazione in una miriade di piccoli Stati (i cosiddetti Regni di Taifas), ciascuno dei quali governato da una differente famiglia. Il venir meno di una forte entità statale, quale fu il califfato, favorì la ripresa degli Stati cristiani del Nord (V. RECONQUISTA). L'origine di questi Stati risaliva all'epoca dell'invasione musulmana dell'VIII sec., allorché alcune popolazioni indigene si erano ritirate sulle montagne asturiane fondando il Regno di Oviedo (dal 749 Regno delle Asturie, dal 918 Regno di León); a questo Regno, che nel corso dei secoli si era espanso dapprima venendo a inglobare la Galizia e la città di León (VIII sec.), quindi portando i suoi confini fino al fiume Duero (IX sec.), si aggiunsero presto altri due Regni cristiani, ovvero il Regno di Aragona, sorto sulle ceneri della Marca Hispanica, e il Regno di Navarrra. Sebbene l'unione politica di tutti questi Stati fosse morta con il suo realizzatore (Sancio Garcés III di Navarra, inizio dell'XI sec.), non di rado furono attuate delle alleanze militari che permisero ai Regni cristiani di ottenere qualche successo contro gli Arabi; la penetrazione cristiana nella S. musulmana fu, però, bruscamente arrestata verso la fine dell'XI sec. dall'avvento degli Almoravidi di Yūsuf ibn Tāshūfin. Il nuovo regime, caratterizzato da uno spiccato fanatismo religioso, fu abbattuto da un'altra popolazione araba, gli Almohadi, i quali a partire dalla metà del XII sec. organizzarono una serie di spedizioni vittoriose in S. instaurando alla fine un dominio più tollerante di quello almoravide. Gli Almohadi riuscirono in un primo momento a frenare l'avanzata cristiana (1195, vittoria di Alarcos), ma dovettero successivamente subire una sconfitta definitiva a Las Navas di Tolosa (1212). La riconquista cristiana fu pressoché ultimata negli anni seguenti: attorno al 1270 il dominio musulmano era ormai ridotto al solo Regno di Granada. Fu allora che, tra i Regni cristiani, si assistette alla marginalizzazione della Navarra (entrata nell'orbita francese) e all'emergere dell'Aragona e della Castiglia. La prima, sorta per distacco dalla Navarra, nel 1137 aveva acquisito per via dinastica la Catalogna e nel corso dei secc. XII e XIII aveva conquistato i Regni di Valencia, di Murcia e delle Baleari; la sua politica estera era decisamente orientata verso il Mediterraneo. La seconda, erede del Regno asturiano, nel XIII sec. aveva condotto a termine l'annessione di Cordova, Jaén, Siviglia e Andalusia e perseguiva una politica di espansione territoriale verso Sud. Seppur travagliate entrambe nel corso dei secc. XIV-XV da profondi conflitti interni, a volte degenerati in vere e proprie guerre civili, Castiglia e Aragona andarono incontro a un notevole sviluppo economico e la loro unione, realizzatasi nel 1479 allorché Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona (unitisi in matrimonio nel 1469) riuscirono entrambi a ottenere il potere nei rispettivi Regni, aprì una stagione nuova nella storia della S. Ultimata la reconquista con la vittoria sul Regno di Granada e rinsaldata la coesione nazionale con l'espulsione degli Ebrei (1492), Ferdinando e Isabella attuarono una rigida centralizzazione del potere, in ciò aiutati dalla borghesia cittadina (a spese della nobiltà) e, soprattutto, dalla Chiesa spagnola; in particolare, l'istituzione dell'Inquisizione permise alla Corona di esercitare nei fatti un vero e proprio controllo politico ed economico della vita del Paese col pretesto di vigilare sull'ortodossia cattolica. Fu in quegli anni che i domini spagnoli si estesero, oltre che all'Italia meridionale (1504), all'America grazie alle scoperte geografiche di C. Colombo (1492) e alle successive azioni di conquista di F. Cortés (1521) e F. Pizarro (1535); le nuove terre, suddivise in due vicereami (Nuova S. e Nuova Castiglia) la cui amministrazione venne organizzata secondo un modello rigidamente centralizzato, fornirono cospicue ricchezze alla S., determinandone lo sviluppo economico e facendone la maggiore potenza dell'epoca. Ciò si realizzò pienamente sotto Carlo V (1516-56), nipote di Ferdinando e di Isabella, il quale poté unire nella sua persona i possedimenti spagnoli, i domini asburgici e (dal 1519) quelli imperiali. Il suo sogno di una riunificazione politica dell'Europa costituisce con le vicende legate alla Riforma uno dei due fili attraverso cui seguire la storia europea della prima metà del Cinquecento: alla luce di questo disegno politico si spiegano, infatti, i numerosi conflitti con la Francia (1521-25, 1536-38, 1542-44, 1552-54) e i tentativi (riusciti solo a prezzo di riconoscere un'ampia autonomia dei principi) di pacificare la Germania. Questo disegno alla fine andò, però, incontro al fallimento; nel 1556 Carlo abdicò e spartì i domini tra i figli Filippo e Ferdinando: al primo assegnò i possedimenti spagnoli, italiani, americani e i Paesi Bassi, al secondo Austria, Boemia, Ungheria e successione imperiale. La S. riprese così una storia autonoma rispetto ai territori asburgici e imperiali. Il lungo Regno di Filippo II (1556-98) fu caratterizzato, sul fronte interno, da un esasperato accentramento amministrativo, che privò di qualsiasi autonomia decisionale i funzionari reali (con gravi perdite in termini di efficienza data la difficoltà delle comunicazioni) e da una vigorosa opera di controriforma cattolica, che si concretizzò nella persecuzione di eretici, Ebrei e moriscos (Arabi convertiti). In politica estera, invece, Filippo dapprima predilesse la cura degli interessi spagnoli sul Mediterraneo: dopo aver normalizzato i rapporti con la Francia con la Pace di Cateau-Cambrésis (1559) e aver così riconosciuta l'egemonia sull'Italia (Ducato di Milano, Regno di Napoli, Stato dei Presidi, Sicilia e Sardegna), mosse alla conquista dell'Isola di Gerba, subendo, però, una dura sconfitta a opera dei Turchi (1560); e se grazie a un'estemporanea alleanza con Venezia poté anni dopo avere la meglio sui Turchi a Lepanto (1571), non riuscì con questo a impedire che essi conservassero Cipro e piena libertà di movimento nel Mediterraneo orientale. Successivamente, nei primi anni Sessanta, in conseguenza della diffusione del Calvinismo, l'attenzione di Filippo si spostò verso i Paesi Bassi; il suo tentativo di impedire l'affermazione della Riforma finì, però, per interferire con le tradizionali autonomie politiche del Paese e trovò, perciò, nei potentati locali un'attiva opposizione. Allorché nel 1566 questa opposizione sfociò in un'aperta ribellione, Filippo inviò notevoli contingenti di truppe nei Paesi Bassi senza, però, riuscire a sbloccare la situazione; avvenne, anzi, che nel 1581 le sette province settentrionali che due anni prima avevano costituito l'Unione di Utrecht ne proclamarono la decadenza. Nonostante l'annessione del Portogallo (1580), del quale, peraltro, non venne adeguatamente sfruttato l'immenso impero commerciale, l'ultimo ventennio del secolo segnò il fallimento del disegno di Filippo di realizzare un'egemonia spagnola su base cattolica sull'Europa: la restaurazione spagnola nei Paesi Bassi, dopo alcuni successi iniziali, si rivelò più complicata del previsto, l'Inghilterra inflisse una dura sconfitta alla flotta spagnola (l'Invencibile Armada) che avrebbe dovuto invaderla (1588) e l'ex calvinista Enrico di Borbone ottenne la Corona francese a spese della figlia di Filippo. Non ebbe miglior fortuna la politica estera dei suoi successori: dapprima, Filippo III (1598-1621) dovette concludere la pace con l'Inghilterra (1604) e accettare una tregua con le Province Unite (1609), che di fatto ne riconosceva l'indipendenza (poi sancita dalle Paci della Vestfalia del 1648); quindi, Filippo IV (1621-65) perse il Portogallo, divenuto indipendente (1640), e, al termine della guerra dei Trent'anni che invano aveva tentato di proseguire autonomamente, l'Artois, il Lussemburgo, il Rossiglione e alcune piazzeforti delle Fiandre in favore della Francia (Pace dei Pirenei, 1659); Carlo II (1665-1700), infine, dovette cedere alla Francia altre piazzeforti delle Fiandre e la Franca Contea. Nel contempo, andava aumentando la crisi economica, già paventatasi sotto Filippo II con una bancarotta che per qualche tempo mise in ginocchio il sistema creditizio europeo (1596); infatti, la S., che aveva pensato di poter vivere sulle spalle delle colonie, da un lato si trovò a subire la concorrenza di Stati molto più dinamici (Olanda, Inghilterra, Francia), dall'altro operò alcune scelte decisamente autolesionistiche quali l'espulsione dei moriscos (1609), che la privò di un gruppo economicamente molto attivo, o la ripresa (all'inizio degli anni Venti) di una politica estera espansionista, che dissanguò le già dissestate casse dello Stato. Carlo II, morto senza lasciare figli, designò come suo successore un Borbone, Filippo V (1700-46), nipote del re di Francia Luigi XIV: allorché quest'ultimo, contrariamente a quello che affermava una clausola del testamento di Carlo, confermò i diritti di Filippo alla successione al trono francese, Inghilterra, Olanda e Impero si coalizzarono e diedero inizio alla cosiddetta guerra di Successione spagnola; la guerra si concluse con i Trattati di Utrecht (1713) e Rastadt (1714), in virtù dei quali Filippo ottenne il riconoscimento a re di S. e conservò i possedimenti coloniali, ma fu costretto a cedere i Paesi Bassi, il Milanese, l'Italia meridionale, Gibilterra e Minorca (quest'ultima riconquistata nel 1782). Sotto Filippo e sotto i suoi successori Ferdinando VI il Savio (1746-59) e Carlo III (1759-88), la S. visse, pur tra molte difficoltà, un periodo di ripresa economica, nel corso del quale venne anche portata a compimento un'energica opera di centralizzazione del potere. Anche in politica estera il prestigio della Corona aumentò considerevolmente (pur non potendo più la S. giocare un ruolo di primissimo piano sullo Scacchiere europeo); in particolare, dopo una fallimentare iniziativa finalizzata al recupero di Sicilia e Sardegna (1717-18), l'attenta politica dinastica condotta dalla seconda moglie di Filippo, Elisabetta Farnese, consentì ai figli Carlo e Filippo di ottenere rispettivamente il Regno di Napoli (1734) e il Ducato di Parma e Piacenza (1748). Contemporaneamente, si andava realizzando l'avvicinamento (poi sancito dal cosiddetto patto di famiglia del 1761) con la Francia, che avrebbe portato la S. a intervenire nella guerra di Successione polacca (1733-38), in quella di Successione austriaca (1740-48), nella guerra dei Sette anni (1756-63) e nelle guerre coloniali. La Rivoluzione francese (1789) segnò una brusca inversione di rotta in questa politica estera filofrancese; il nuovo re Carlo IV (1788-1808), preoccupato che la rivoluzione potesse estendersi alla S., aderì alla coalizione antifrancese (1793), subendo, però, una dura sconfitta e dovendo, perciò, accettare la sigla della Pace di Basilea (1795). L'insorgere di contrasti tra Carlo e il figlio Ferdinando offrì qualche anno dopo a Napoleone il pretesto per intervenire negli affari spagnoli, instaurando sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte (1808). Gli Spagnoli, però, con l'appoggio inglese, insorsero e, dopo sei anni di lotte, Giuseppe dovette abbandonare il Paese. Della situazione trassero profitto le colonie d'America, che tra il 1810 e il 1825 giunsero a ottenere l'indipendenza. Nuovo re fu proclamato Ferdinando VII di Borbone (1814-33), il quale abolì la Costituzione promulgata nel 1812 a Cadice dalle Cortes (l'istituzione parlamentare spagnola le cui origini risalivano all'XI sec.) e orientata in senso marcatamente liberale e perseguì una politica reazionaria; un tentativo di restaurare la Costituzione del 1812 (tentativo avviato dalla ribellione della guarnigione di Cadice del 1820) ebbe inizialmente successo, ma nel 1823 fu stroncato nel sangue dall'intervento della Santa Alleanza. Cominciò, allora, un periodo di gravi tensioni interne, che costrinsero la vedova di Ferdinando, Maria Cristina, reggente per la figlia Isabella (1833-68), ad appoggiarsi ai liberali, concedendo una Costituzione (1834), peraltro di stampo assai moderato. Ciò bastò a provocare l'insurrezione carlista (V. CARLISTA), che precipitò la S. in una sanguinosa guerra civile conclusasi solo nel 1839 con la vittoria delle forze cristine. Sebbene la Convenzione di Vergara (1839) non avesse dato alla S. un regime liberale e, contemporaneamente, fermenti autonomistici minassero la solidità dello Stato, il Paese conobbe a partire dalla metà del secolo una certa espansione economica; la modernizzazione delle strutture economiche e amministrative, però, trovò un serio ostacolo nelle forze reazionarie, che favorirono le numerose ribellioni militari che sconvolsero la S. in quegli anni. Una di queste, promossa nel 1868 dal generale Prim costrinse Isabella II ad abbandonare il Paese e trasferì il potere nelle mani del generale Serrano; la nuova Costituzione, approvata nel 1869, introdusse il suffragio universale maschile, ma non abolì l'istituzione monarchica: il trono passò così ad Amedeo di Savoia (1870-73) che, però, incontrò l'opposizione degli esponenti più conservatori di clero e nobiltà e che, pertanto, finì presto per abdicare. Dopo un breve periodo di Governo repubblicano, nel 1874 un colpo di Stato militare orchestrato da A. Martinez de Campos ripristinò la dinastia borbonica nella figura del figlio di Isabella II Alfonso XII (1874-86). Sconfitti definitivamente i carlisti (1875), una nuova Costituzione (1876) abolì il suffragio universale maschile (che fu nuovamente introdotto nel 1890), ma non impedì che la S. godesse di un periodo di pace e di relativo rigoglio economico (seppur in un contesto di diffusa corruzione); in quegli anni si alternarono al Governo conservatori e liberali, mentre le forze operaie iniziavano a organizzarsi dando vita al Partito socialista operaio spagnolo (PSOE, 1879) e all'Unione generale dei lavoratori (UGT 1888). La perdita di Cuba, Portorico e Filippine a seguito della sconfitta nella guerra contro gli Stati Uniti (1898) condizionò pesantemente la vita della Nazione spagnola nei primi anni del Novecento; così, mentre un gruppo di intellettuali (la cosiddetta Generazione del ‘98), tra i quali spiccavano le personalità di Costa e di M. de Unamuno, rivendicavano la necessità di un rinnovamento politico e culturale in grado di porre fine alla marginalizzazione spagnola nel quadro europeo, i movimenti autonomistici in Catalogna e nei Paesi Baschi si rafforzarono. La politica reazionaria inaugurata dal nuovo monarca Alfonso XIII (1902-31) in risposta a queste istanze si rivelò tutt'altro che adeguata: infatti, oltre a non risolvere le contraddizioni di fondo della società spagnola (prima fra tutte la concentrazione nelle mani di pochi della proprietà terriera), essa favorì lo sviluppo di azioni terroristiche; di una di queste, in particolare, fece le spese nel 1912 il primo ministro moderato J. Canalejas. La neutralità mantenuta dalla S. nel corso della prima guerra mondiale risollevò la produzione industriale e le esportazioni, ma non migliorò le condizioni economiche dei lavoratori; ciò provocò una notevole crescita della conflittualità sociale, cui si aggiunsero le difficoltà determinate dal fallimento della politica espansionista in Marocco (1921) e il diffondersi degli ideali repubblicani e democratici. Di fronte a una situazione divenuta ormai insostenibile, il re, anziché avviare una politica di riforme, imboccò ancora una volta la via della repressione, fornendo il proprio sostegno al colpo di Stato militare posto in atto nel 1923 dal generale M. Primo de Rivera. Il regime dispotico di Primo de Rivera non risolse, però, i problemi del Paese, cosicché nel 1930 Alfonso esautorò il generale, ripristinando l'ordinamento costituzionale e nominando primo ministro il moderato J.B. Aznár. Dopo le elezioni municipali del 1931, che sancirono la vittoria delle forze repubblicane, il re abbandonò la S. e un Governo provvisorio presieduto dal cattolico moderato N. Alcalá Zamora traghettò il Paese verso l'approvazione di una Costituzione repubblicana (dicembre 1931). Il nuovo Governo di M. Azaña si dedicò con vigore all'opera riformatrice, adottando una serie di provvedimenti finalizzati a limitare l'influenza della Chiesa e dell'esercito nella vita politica del Paese, concedendo un'ampia autonomia alla Catalogna e introducendo una più avanzata legislazione nel mondo del lavoro; esso non fu in grado, però, di dare una risposta soddisfacente né alla crescente disoccupazione né alle richieste di una riforma agraria. Le elezioni legislative del 1933 segnarono così l'affermazione di una coalizione di destra, anche se Zamora poté conservare il potere. Di fronte al pericolo dell'affermarsi di un regime fascista (del quale la dura repressione messa in atto dall'esercito nei confronti di un'insurrezione nelle Asturie e di una rivolta autonomista in Catalogna sembrava presagio), le forze di sinistra (parte dei repubblicani, socialisti e comunisti) si coalizzarono nel Frente popular e, col tacito sostegno degli anarchici e, in particolare, della Confederazione generale del lavoro (CNT), vinsero le elezioni legislative del 1936; presidente del Consiglio fu eletto il socialista L. Caballero. In un Paese squassato da continui scontri tra forze paramilitari di destra e organizzazioni operaie, il 17 luglio 1936 il contingente di truppe stanziato in Marocco al comando del generale Francisco Franco si ribellò; l'insurrezione si estese alla S., ma la reazione del Governo, appoggiato da una parte delle forze armate e da un'intensa mobilitazione popolare, non si fece attendere, cosicché alla fine gli insorti poterono conservare il controllo solamente della capitale e delle regioni del Nord-Est. Iniziava così una lunga guerra civile, che provocò più di 500.000 di morti e che si risolse nel 1939 a favore dei franchisti, superiori sul piano militare (grazie anche all'aiuto di Germania e Italia) e favoriti dalle divisioni esistenti all'interno del fronte repubblicano. Nominato capo dello Stato da una Giunta riunita a Burgos poco tempo dopo lo scoppio della guerra civile (settembre 1936) e attribuitosi nel gennaio 1938 il titolo di capo del Governo e delle forze armate (caudillo), Franco instaurò un regime autoritario e fortemente centralizzato, in cui vennero soppressi tutti i partiti politici (con l'eccezione della Falange, formazione costituita dallo stesso Franco nel 1937 che riuniva le forze della destra) e i sindacati, nonché le autonomie locali. Assunta una posizione di neutralità nella seconda guerra mondiale, la S. subì nel dopoguerra l'isolamento internazionale: per la natura antidemocratica del regime franchista, infatti, l'ONU respinse la sua domanda di ammissione e gli Stati Uniti la esclusero dai benefici del Piano Marshall. Questa situazione durò fino a quando i mutamenti dello scenario politico internazionale provocati dall'inizio della "guerra fredda" non suggerirono alle potenze occidentali un atteggiamento meno intransigente nei confronti della S., che venne così dapprima ammessa alla FAO (1950), poi all'UNESCO (1953) e, infine, all'ONU (1955). In quegli anni, mentre iniziava la pacifica dismissione dei possedimenti africani (conclusasi nel 1975), sul fronte interno non si assisteva ad alcun cambiamento di rilievo (la stessa restaurazione della Monarchia quale forma istituzionale avvenuta nel 1947 non aveva modificato nella sostanza i rapporti di potere esistenti). Fu solo alla fine degli anni Cinquanta, in virtù della crescente influenza delle associazioni cattoliche e, soprattutto, dell'Opus Dei (ove confluivano gli esponenti della borghesia), che si determinò un evidente mutamento di rotta in senso liberista della politica economica spagnola (sino ad allora condotta secondo principi autarchici). La S. conobbe così un notevole sviluppo industriale che, peraltro, doveva fare i conti con un'inflazione galoppante e con una conflittualità sociale in ascesa. Il regime operò, allora, alcune aperture, restaurando il diritto di sciopero per motivi economici (1965), alleggerendo la censura sulla stampa (1966) e introducendo la libertà di culto (1967); contemporaneamente, l'approvazione della legge organica dello Stato (1966) sancì la formale separazione delle cariche di capo dello Stato e di capo del Governo e stabilì l'elezione diretta di un sesto delle Cortes. Tali misure non frenarono, però, le agitazioni operaie e studentesche né le azioni dell'ETA (organizzazione terrorista basca fondata nel 1959), cosicché Franco riprese una politica repressiva, dichiarando nel gennaio 1969 lo stato di emergenza; ciò non impedì, però, che l'ammiraglio L. Carrero Blanco, nominato primo ministro nel dicembre 1973, cadesse sotto il fuoco dell'ETA. Il regime era ormai prossimo alla fine: la salute del caudillo andava peggiorando e nel 1974 si dovette ricorrere alla reggenza di Juan Carlos di Borbone, nipote di Alfonso XIII, che nel 1969 Franco aveva designato quale suo successore. Subito dopo la morte di Franco (novembre 1975), Juan Carlos salì al trono col nome di Juan Carlos I, avviando la transizione alla democrazia. Dopo lo svolgimento delle elezioni per le Cortes costituenti (giugno 1977) e l'approvazione della nuova Costituzione (dicembre 1978), nel marzo 1979 le prime elezioni libere sancirono la vittoria dell'Unione democratica di centro (UCD) del primo ministro in carica A. Suarez González, che fu così confermato alla guida dell'Esecutivo. Suarez concentrò i suoi sforzi, oltre che sul risanamento economico del Paese, sul problema basco, varando una riforma che stabiliva un moderato decentramento amministrativo, ma che non pose fine all'attività terroristica dell'ETA. Contrasti interni all'UCD portarono Suarez a rassegnare le sue dimissioni (1981); il 23 febbraio, durante la discussione parlamentare per la fiducia al nuovo Governo presieduto da un altro esponente dell'UCD, L. Calvo Sotelo, una divisione della Guardia Civile comandata dal tenente A. Tejero occupò il palazzo del Parlamento, ma il rifiuto del re di collaborare con i ribelli fece fallire il colpo di Stato (nel quale risultarono, poi, implicati figure di alto profilo appartenenti alle forze armate). Questo avvenimento ebbe pesanti ripercussioni sulla politica interna, provocando, in particolare, una restrizione delle autonomie regionali. Dopo l'adesione della S. alla NATO (maggio 1982), le elezioni legislative dell'ottobre segnarono il trionfo del PSOE. Il nuovo Governo, guidato dal leader del PSOE F. González, affrontò con energia i problemi economici che travagliavano il Paese, riuscendo a ridurre l'inflazione e il deficit pubblico, ma non la disoccupazione; ne derivò una rottura con i sindacati e un aumento degli scioperi e della conflittualità sociale in generale. La difficile situazione economica e la recrudescenza del terrorismo basco determinarono, in occasione delle elezioni anticipate del 1986 prima e del 1989 poi, un calo di consensi per il PSOE, che pure conservò la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento. All'inizio degli anni Novanta, però, González, che aveva conservato ininterrottamente dal 1982 la carica di primo ministro, fu travolto da una serie di scandali; in particolare, il Governo sembrò non essere del tutto estraneo alla costituzione di gruppi paramilitari antiterrorismo, responsabili a partire dal 1983 dell'eliminazione di molti esponenti dell'ETA (V. OLTRE). Fu così che, dopo la ratifica del Trattato di Maastricht (1992), González fu costretto a far ricorso ancora una volta a elezioni anticipate, a seguito delle quali il PSOE perse la maggioranza assoluta in Parlamento, mentre il Partito popolare (PP - coalizione di centro-destra nata nel 1989) ottenne un significativo 34%. L'Esecutivo di minoranza varato nel luglio 1993 da González durò fino al 1995, decidendo una serie di tagli alla spesa pubblica che lo resero altamente impopolare presso l'opinione pubblica; così nelle elezioni anticipate del marzo 1996 si verificò il sorpasso elettorale del PP nei confronti del PSOE; sorretto da una coalizione composta da PP e dai nazionalisti moderati baschi, catalani e delle Canarie, primo ministro fu eletto nel 1996 il leader del PP José Maria Aznár. Il suo Governo vide un notevole sviluppo dell'economia nazionale, anche se accompagnato dal permanere di tensioni sociali (si ricorda lo sciopero dei camionisti che per due settimane bloccò l'attività del Paese) che portarono alla firma di un accordo generale dell'occupazione il 9 aprile 1997. Il procedere della positiva congiuntura economico-politica permise alla S. di entrare nella zona Euro insieme al primo gruppo di Nazioni, ovvero a partire dal 1° gennaio 1999. Il vero problema interno rimase quello legato al terrorismo: continuarono infatti gli attentati dell'ETA, diretti in particolare contro gli esponenti del Partito popolare attivi nei Paesi Baschi. Dopo la tregua proclamata nel 1998, il 28 novembre 1999 riprese l'attività terroristica degli indipendentisti baschi, intensificatasi ancor di più nel corso del 2000. Nelle elezioni legislative del 12 marzo 2000 il Partito popolare di Aznár rafforzò la propria posizione arrivando alla maggioranza assoluta. Nel gennaio 2001 il presidente del Governo basco Juan José Ibarretxe annunciò le elezioni anticipate nella regione. La campagna elettorale fu caratterizzata da una serie di attentati. Le consultazioni (13 maggio) terminarono con la vittoria dell'alleanza tra Partito nazionalista basco (PNV) ed Eusko Alkartasuna (EA), guidata dal presidente uscente Ibarretxe. Gli elettori intesero così punire il nazionalismo radicale, lanciando un chiaro segnale all'ETA, sempre più isolata dopo l'esasperazione della strategia di violenza. Ma la sconfitta elettorale non fece cambiare linea all'ETA, che proseguì sulla strada della violenza nel corso del 2001 e nel 2002. Nel giugno 2002 la Camera approvò la proposta di mettere al bando il partito Herri Batasuna, considerato braccio politico dell'ETA: dopo l'approvazione del Senato, in luglio il partito fu formalmente messo fuori legge. In agosto, chiuse le sedi della formazione separatista, la dirigenza decise di trasferire le proprie attività nei Paesi Baschi francesi (nonostante i leader continuassero a rimanere in Spagna) e di dare vita a un nuovo gruppo politico, Sozialista Abertzaleak (SA). Nel marzo 2003, dopo la bocciatura parlamentare, per Herri Batasuna arrivò anche la sentenza di condanna da parte del Tribunale Supremo, che ribadì la messa al bando del partito, estromesso così dalle elezioni amministrative di maggio. Le consultazioni, svoltesi in un clima di tranquillità generale, registrarono la ripresa dei socialisti dello PSOE e il ridimensionamento del PP del premier Aznár, che riuscì però a eleggere il sindaco di Madrid. Nei Paesi Baschi, assente SA - il Tribunale Supremo, a pochi giorni dalle amministrative, aveva ingiunto lo scioglimento, in quanto considerato successore diretto di Batasuna - il voto separatista venne raccolto dal Partito nazionalista basco. In ottobre il Governo basco approvò un piano nel quale veniva richiesta maggiore autonomia per la regione: il Governo centrale spagnolo, tuttavia, espresse il suo dissenso annunciando un suo ricorso alla Corte costituzionale per bloccarne l'attuazione. Intanto il Paese era stato colpito da un grave disastro ecologico: nel novembre 2002 la petroliera Prestige si era inabissata al largo della Galizia, rilasciando in mare il suo carico che inquinò ben presto chilometri di costa spagnola estendendosi anche alle coste portoghesi e francesi. A livello internazionale, la S. sostenne il conflitto anglo-statunitense in Iraq, scoppiato nel marzo 2003. Nel più ristretto ambito dell'Unione europea, nel dicembre 2003 la S. si oppose, insieme alla Polonia, al sistema di voto a doppia maggioranza proposto dai "grandi", mirando alla conservazione del sistema varato con il Trattato di Nizza (2000), che accorda ai Paesi meno popolosi un peso quasi equivalente a quello di Germania, Francia e Italia. Assumendo questa posizione, la S. rese di fatto impossibile il raggiungimento di un accordo sul testo della nuova Costituzione per l'Ue allargata a 25 membri. L'11 marzo 2004, alla vigilia delle elezioni politiche, un grave attentato scosse la vita sociale e politica del Paese. A Madrid vennero fatti esplodere diversi ordigni in alcune stazioni ferroviarie, la più importante delle quali quella di Atocha, che provocarono la morte di oltre 200 persone e il ferimento di oltre 1.400. Il Governo puntò il dito contro i terroristi baschi dell'ETA, ma con il passare delle ore, e con l'avvicendarsi di smentite da parte dell'ETA e di rivendicazioni di matrice islamica, la pista del terrorismo legato all'organizzazione Al Qaeda si fece sempre più plausibile. L'indignazione popolare fu grandissima, così come lo spirito di coesione e di solidarietà del popolo spagnolo che si prodigò per aiutare i soccorritori e si unì in manifestazioni contro il terrorismo che attraversarono l'intero Paese. L'atteggiamento governativo, però, fortemente renitente a divulgare le esatte informazioni a favore di un'ipotesi terroristica interna al Paese che non ponesse in dubbio le scelte effettuate dal Gabinetto Aznàr nell'ambito della politica estera, segnò la fine della supremazia del Partito popolare (PP), al governo da otto anni, che uscì perdente dalla consultazione elettorale del 14 marzo vinta dal Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) con il 42,64% dei voti contro il 37,64 del PP. Il leader del PSOE, José Luis Rodrìguez Zapatero, sostituì Aznàr alla guida del Governo. Tra le prime iniziative internazionali del neo premier ci fu il ritiro di truppe dall'Iraq, inizialmente previsto per la fine di giugno, quindi anticipato al mese di maggio per la netta mancanza di premesse, secondo gli spagnoli, di un passaggio di consegne all'Onu della logistica del conflitto in Iraq. Nel febbraio 2005 riprese l'offensiva armata dell'ETA con l'esplosione, a Madrid, di un'autobomba che provocò il ferimento di una quarantina di persone. Nello stesso mese gli Spagnoli vennero chiamati a partecipare a un referendum per la ratifica della Costituzione europea, e il risultato del referendum fu di approvazione del documento comunitario. In giugno il Parlamento approvò una legge con la quale vennero legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso e vennero estesi alle coppie omosessuali gli stessi diritti di adozione e successione di quelle eterosessuali. Nel marzo 2006 il parlamento spagnolo approvò uno statuto di autonomia allargata della Catalogna, approvato con un referendum dal 74% dei voti dai catalani. La strada percorsa dalla Catalogna venne seguita l'anno successivo dall'Andalusia, che attraverso un referendum ottenne lo statuto di autonomia allargata. Il dialogo fra ETA e governo centrale fece un passo decisivo nel marzo 2006, quando l'ETA proclamò un "cessate il fuoco" permanente e il primo ministro Zapatero annunciò l'inizio dei negoziati di pace con l'organizzazione separatista. Le elezioni legislative del 2008 videro una chiara vittoria del PSOE, che con il PP, principale partito di opposizione, sfiorò la maggioranza assoluta. Il nuovo governo, guidato sempre da Zapatero, vide una prevalenza dei ministri donna, nove, tra cui il giovane ministro della difesa Carme Chacon. Le elezioni europee del giugno 2009 registrarono la sconfitta dei socialisti e l'affermazione dei popolari guidati da Mariano Rajoy, che vide consolidarsi la sua leadership all'interno del partito: i primi ottennero il 38,51%, i secondi il 42,23%. Dei 50 seggi spettanti alla S. a Strasburgo, il PP ne ottenne 23 contro i 21 del PSOE. Per il premier Zapatero fu la prima grave sconfitta dopo cinque anni di governo, fortemente indebolito dalla peggiore crisi economica degli ultimi 50 anni e una disoccupazione che con 5 milioni di disoccupati arrivò a toccare il 22%, cioè più del doppio della media Ue. Nell'ottobre 2011 l’ETA annunciò ufficialmente di rinunciare definitivamente alla violenza. Alle elezioni politiche del novembre successivo il Partito Popolare, guidato da Mariano Rajoy, ottenne la maggiornaza assoluta alla Camera dei deputati. Il Partito Socialista dell'ormai ex premier Zapatero subì invece uno dei più pesanti tracolli nella storia delle S. democratica, pagando lo scotto delle severe misure di austerità varate per ridurre la grave situazione economica del Paese.

POPOLAZIONE

La S. è stata originariamente occupata da popolazioni di Iberi, di cui le attuali genti basche conservano tratti caratteristici, quali, ad esempio, la lingua, di derivazione non indoeuropea. Successivamente si registra la presenza di diverse popolazioni (Fenici, Greci, Celti, Cartaginesi), stanziate prevalentemente lungo le coste, fino a giungere alla romanizzazione della penisola, portata a termine nel corso del II sec. a.C. e accompagnata da una cospicua crescita demografica nei decenni seguenti. L'invasione di popoli del Nord (Visigoti e Vandali) e del Sud (Arabi) disgregò l'unità etnica della S. e apportò modificazioni significative nel tipo di popolamento: il sistema economico-politico germanico, di matrice feudale, contribuì al fiorire delle aree rurali a scapito di quelle urbane e delle fasce litoranee; con l'avvento degli Arabi, mentre al Nord veniva mantenuta un'organizzazione di tipo latifondista e rurale, nel Sud, conquistato dagli Arabi, vi fu un veloce e rigoglioso fiorire della vita urbana, dell'agricoltura intensiva, del commercio. In seguito alla Reconquista (1492) e alla successiva cacciata degli Arabi e degli Ebrei, si avviò un popolamento delle aree centrali della S., nonché la costruzione di nuove città e nuove vie di comunicazione. Contemporaneamente anche le zone costiere, dopo un periodo di crisi, tornarono a prosperare, divenendo nodi strategici per il commercio transoceanico e il prestigio politico della S. nel Mediterraneo. I secc. XVI-XVII furono caratterizzati da un notevole calo demografico, legato principalmente al flusso migratorio di popolazione spagnola verso l'America, mentre la nuova capitale, Madrid, sorta proprio al centro della penisola, tendeva a esercitare una forza centripeta, convergendo su di essa le principali vie di comunicazione del territorio spagnolo. Nel XIX sec., il processo di industrializzazione e di inurbamento, in particolare delle zone settentrionali del Paese, contribuì alla ripresa demografica (peraltro già avviata nel corso del XVIII sec.), nonostante la costante e massiccia emigrazione verso l'America Latina che continuerà fino al XX sec., sostituita poi da flussi migratori intraeuropei, verso Francia, Germania e Svizzera. La popolazione spagnola è raddoppiata nel corso di un secolo (1857: 15,5 milioni di abitanti; 1955: 28,9 milioni di abitnti), continuando a crescere fino agli anni Novanta, quando il tasso di incremento medio annuo si è allineato con quello degli altri Paesi europei (1988-93: 0,2%). La S. presenta una densità media tra le più basse d'Europa, con contrasti tuttavia assai netti tra zone quasi deserte (León, Estremadura, Aragona) e altre in cui la popolazione è assai addensata (Galizia, Catalogna, Asturie, Province Basche, Navarra e in generale le zone costiere). Tale disarmonia distributiva della popolazione sul territorio, per cui le fasce litoranee e sublitoranee risultano densamente popolate, così come l'area intorno a Madrid e ai principali centri urbani e gli arcipelaghi, a differenza delle aree interne, dove non si registra un tipo di insediamento sparso e la popolazione si addensa intorno a nuclei più o meno grandi, ma comunque assai radi, è connessa al fenomeno del forte inurbamento nel corso del processo di industrializzazione e al notevole sviluppo turistico della costa.

LINGUA

Lingua nazionale e letteraria della S. è lo spagnolo, propriamente detto castigliano, basato sul dialetto di Toledo e appartenente alla famiglia delle lingue neolatine. Fatta eccezione per il Brasile e le Guiane, è anche la lingua degli Stati dell'America Centrale e Meridionale. Eletto a lingua ufficiale del Regno di Castiglia con l'Editto di Toledo del 1253, grazie al prestigio culturale e letterario originato dal Cantar del mío Cid (XII sec.) e alla supremazia politica connessa alla fusione del Regno di Castiglia con quello d'Aragona, il castigliano si è imposto sugli altri sistemi dialettali del Paese, un tempo più estesi e con letterature a sé stanti, quali l'aragonese e il leonese; in territorio spagnolo sono parlati anche il gallego (appartenente al sistema dialettale portoghese e, nel Basso Medioevo, lingua della poesia trovadorica), il catalano (affine al provenzale) e il basco (lingua non indoeuropea della Navarra e dei Pirenei occidentali). Il castigliano ebbe la sua espressione normativa con l'opera dell'erudito e grammatico E.A. de Nebrija, Arte della lingua castigliana (1492), ottenendo dignità di lingua letteraria spagnola tout court. I tratti fonetici fondamentali del castigliano sono: la dittongazione di ě e ŏ toniche in ie e ue, in sillaba aperta o chiusa (sierra: catena montuosa, dal latino sěra, piedra: pietra, dal latino pětra, fuego: fuoco, dal latino fŏcus, cuerno: corno, dal latino cŏrnū, ecc.); la palatalizzazione dei nessi pl e cl in ll (llover: piovere, dal latino pluere) e di ct in ch (techo: tetto, dal latino tectum); la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche (vida: vita, dal latino vita); la spirantizzazione delle sonore, sempre in posizione intervocalica; la riduzione di f- a h-, tranne davanti a -ue, -r, -ie (humo: fumo, dal latino fumus, ma fuego: fuoco, dal latino focus). In ambito morfologico, la conservazione di -s, la formazione del comparativo con más (dal latino magis, mentre italiano e francese continuano plus); da un punto di vista sintattico, l'uso della preposizione a, davanti agli oggetti animati (el niño escucha al profesor: il ragazzo ascolta il professore); il vocabolario, sostanziale evoluzione di quello del latino volgare, è caratterizzato da un impasto di voci iberiche prelatine, di voci germaniche ascrivibili alla dominazione dei Visigoti, e, nella terminologia giuridica e sociale, tecnica e scientifica, di parole di origine araba (nadir, azimut); inoltre, non mancano tracce dei lessici gallego, catalano, provenzale, francese e italiano risalenti al periodo della maggior fioritura delle rispettive letterature.

LETTERATURA

Il Trecento: se si esclude la jarcha mozarabica, una sorta di ritornello inserito alla fine di poesie di autori ebrei e arabo-andalusi, risalente alla fine dell'XI sec., il primo documento della letteratura spagnola sono i cantares de gesta, canti epici nel solco della tradizione orale giullaresca, che celebrano le imprese guerresche e le figure eroiche e, rispetto alle chansons de geste francesi, hanno un carattere più realistico: l'unico pervenutoci quasi integro è il Cantar del mío Cid, anonimo (1140 circa), mentre sono le Cronache a dare notizia di altri componimenti perduti, dedicati al Cid, agli Infanti di Lara, a Fernán González o all'assedio di Zamora. Questa vena epica si sarebbe presto affievolita, per cedere, già all'inizio del XIII sec., a un influsso francesizzante, concretizzatosi nel mester de clerecía, l'opera dei chierici, vale a dire dei letterati ecclesiastici, improntata a una particolare cura formale, metrica (vennero adottate le strofe monorime di alessandrini) e tematica: accanto a opere ancora di tono epico-celebrativo (Il poema di Fernán Gonzales, 1250 circa), si trovano i Miracoli della Madonna e i poemetti agiografici di G. de Berceo (1198 circa - dopo il 1264), spontanei e freschi, e anonime composizioni mitologiche ed erudite di reminiscenza classica (Il libro di Apollonio, 1250 circa; Il libro di Alessandro, 1230-50 circa). Nella seconda metà del XIII sec. si delineò la figura di Alfonso X il Saggio (1221-1284), re di Castiglia, vero promotore del movimento intellettuale del tempo e iniziatore della prosa spagnola, che con la sua vasta produzione letteraria elevò il castigliano a lingua di cultura e del mondo cristiano tutto (solo con le Cantigas de Santa María, ribadì la preminenza del gallego-portoghese nella tradizione poetica) e sintetizzò la tendenza alla fusione del pensiero cristiano, musulmano ed ebraico della scuola di traduttori di Toledo e delle neonate università di Palencia e Salamanca, tendenza connessa al grande afflusso, verso la Castiglia, di studiosi arabi ed ebrei: oltre ai trattati di astronomia, ai libri sui giochi e sulle pietre, compose il codice delle Partidas, con cui fissò la tradizione giuridica medioevale, mentre con la Crónica general, storia della S. dalle origini alle invasioni arabe, proseguì l'attività storiografica della scuola di Toledo. Le opere dei suoi successori, in particolare quelle dell'infante Juan Manuel (1282-1348) - il Libro degli Stati (1327-32) e il Conte Lucanor (1325-35) -, pur celebrando l'ideale di vita cavalleresco, riflettono invece la crisi imminente della società medioevale e della sua rigida struttura gerarchica e le crescenti tensioni tra aristocrazia e potere regio. E così il Libro del buon amore (1330 circa) dell'Arciprete di Hita J. Ruiz (m. 1350 circa), un poema di oltre 7.000 versi, la Rimeria di palazzo (1378-1407) del cancelliere P. López de Ayala (1332-1407), aspro censore dei costumi politici e sociali del tempo, e i Proverbi morali del rabbino Sem Tob (m. 1370 circa), secchi e amari, sono opere venate di quell'inquietudine che è il segno distintivo della cultura trecentesca. In queste, inoltre, il mester de clerecía si presenta stravolto e adattato alle nuove esigenze espressive, e intanto le contemporanee traduzioni dei romanzi cortesi bretoni presentano una struttura narrativa più complessa. ║ Il Quattrocento: parallelamente all'aggravarsi della crisi politico-sociale, che vide la nobiltà acquisire potere a danno dell'autorità regia e il succedersi di conflitti dinastici, in questo secolo divenne via via più sensibile l'influsso della cultura italiana, in particolare dei trattati morali di Dante, Petrarca (De remediis) e Boccaccio (De casibus e De mulieribus claris). E sull'esempio dei trecentisti italiani si verificò il recupero, più didattico che filologico, dei modelli classici in una sorta di umanesimo programmatico: oltre alle traduzioni di Livio e di Boezio fatte da P. López de Ayala e da E. de Villena (1384-1434), vennero volgarizzate l'Eneide e la Rhetorica ad Herennium; A. de Cartagena (1386-1456) tradusse Seneca e J. De Mena (1411-1456) fece un riassunto dell'Iliade. In genere, sulla produzione poetica quattrocentesca, i cui maggiori esponenti furono A. Álvarez de Villasandino (1350 circa - 1460), il marchese di Santillana (1398-1458), il già citato J. de Mena e F. Pérez de Guzmán (1376-1460) grava un'inadeguatezza tecnica e linguistica per cui l'imitazione dei modelli si esaurisce in un lirismo concettuoso, risultando più vicina alla tradizionale lirica francese e trovadorica che non allo Stilnovo; ugualmente, nella prosa - genere in cui si distinsero J. Rodríguez de la Cámara (1390 circa - 1450) e D. de San Pedro (1437 circa - 1498 circa) - è più evidente l'impronta del romanzo bretone che non della narrativa boccaccesca. Accanto alla letteratura colta, gli stessi autori si esprimono in generi diversi, contraddistinti da intenso realismo, quali le serranillas (stilizzati componimenti popolareggianti) del marchese di Santillana, che raccolse proverbi e detti popolari; o il Arcipreste de Talavera o Corbacho di A. Martínez de Toledo (1398-1470 circa). Il popolarismo connota anche la produzione anonima dei romances, risultato della progressiva disgregazione dei cantares de gesta e di una stilizzazione di temi tradizionali (epico, cavalleresco, fantastico, biblico, ecc.) poi accentuata nella produzione dei secoli successivi. L'unione tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia (1479) diede l'avvio alla grande potenza politica della S., che si sarebbe ulteriormente consolidata con la conquista dell'America, cui, sul piano culturale, corrispose l'inizio di una fase fervida e feconda: accanto alla freschezza popolaresca dei motivi tradizionali si svilupparono una forte propensione umanistica e un cosmopolitismo letterario, segnato innanzitutto da un'assimilazione della letteratura e della lingua catalana. Si distinsero: A. Montesino (1450 circa - 1513), J. de Encina (1469-1529 circa), padre del teatro spagnolo, J. de Padilla (1468 circa - 1520) e J. Manrique (1440 circa - 1479), autore di Coplas por la muerte de su padre. In questo stesso periodo si collocano la tragicommedia Celestina (1499), attribuita a F. de Rojas (m. 1541), sorta di novella drammatica che dipinge l'evoluzione sociale in corso con una punta di rimpianto, ma una grande apertura ai nuovi valori, e un'altra opera, l'Amadigi di Gaula (1508) di Garci Rodríguez de Montalvo, che ripropone i temi dell'avventura e dell'amor cortese e fu modello dei successivi romanzi cavallereschi, tra cui il Don Chisciotte. Di particolare importanza e risonanza è l'opera Arte della lingua castigliana (1492), dell'erudito e grammatico E.A. de Nebrija (1444-1522), che, fissando regole e norme del castigliano, ne sancì l'indubbio prestigio e la supremazia linguistica. ║ Il Cinquecento, “secolo d'oro”: il Diálogo de la lengua (1534) di J. de Valdés (1509-1542), esponendo il concetto di “selezione linguistica”, ribadì tale superiorità sulle altre lingue della penisola iberica. Intanto l'apertura alla cultura italiana e al Classicismo, nutrito di idealismo platonico, favorita dai frequenti viaggi e soggiorni in Italia di scrittori e poeti spagnoli, quali lo stesso J. de Valdés e G. de la Vega (1501-1536), e pure ai movimenti riformistici europei, mediata dalla figura di Erasmo da Rotterdam, fece da contrappunto all'idea imperiale che animava il Regno di Carlo V. Mentre il divario tra letteratura di divulgazione e letteratura colta si faceva più sensibile, in poesia l'imitazione dei modelli, che pure comportò un importante rinnovamento formale (l'introduzione della metrica italiana e in particolare dell'endecasillabo), non fu sempre originale e solo in autori di rilievo come J. Boscán (1487 circa - 1542), traduttore de Il Cortigiano di B. Castiglione, e G. de la Vega, autore di ecloghe e sonetti, si accompagnò a una personale rielaborazione, per diventare di maniera nei loro allievi e seguaci, tra cui ricordiamo H. de Acuña (1520-1580), G. de Cetina (1520 circa - 1557) e F. de Aldana (1528 circa - 1578). Ancor più che nella poesia, nella prosa la tensione classicistica si risolse in atteggiamento accademico: ne risentono sia la celebrazione delle imprese di Carlo V, sia le narrazioni della vicenda coloniale, con le auliche esaltazioni dei conquistatori, delle opere di López de Gomara (1512-1572 circa); puntuali e scevre di forzature, invece, le relazioni delle scoperte e delle lotte nelle pagine di C. Colombo (1451-1506) e di H. Cortés (1485-1547), così come fresche e immediate sono le opere di G. Fernández de Oviedo (1478-1557) che esprimono la curiosità per un ambiente naturale nuovo o la difesa degli indigeni brutalizzati fatta da B. de Las Casas (1474-1566). Celebrativa, ma senza sforzi classicistici, l'opera narrativa Relox de príncipes (1529) di A. de Guevara (1480-1545), centrata sulla figura di Carlo V e inserita nel solco della didattica medioevale. Nell'analisi amara e consapevole della decadenza della realtà contemporanea fatta nell'anonimo Lazarillo di Tormes (1554), si legge una delle prime avvisaglie della profonda crisi in cui versa il Paese. La già citata influenza di Erasmo nell'avvicinare la S. all'Umanesimo e nell'accostarla al pensiero riformistico, portando alla nascita di vari movimenti spirituali, tra cui quello degli alumbrados “illuminati”, si dissolse, soffocata dalle rigide istanze controriformistiche e dall'accresciuto potere degli ordini religiosi, sostenuti dal Tribunale dell'Inquisizione: con il Regno di Filippo II il fervore rinascimentale andò spegnendosi e il Paese si chiuse, astraendosi dalla realtà storica e limitando così i propri orizzonti culturali. Le maggiori espressioni del pensiero cattolico si ebbero con l'Abecedario espiritual di F. de Osuna (1497 circa - 1540), gli Ejercicios espirituales (1548) di I. de Loyola (1491-1556), il Tratado de la victoria de sí mismo (1550) di M. Cano, L'introducción al símbolo de la fe (1583-85) e le altre predicazioni di L. de Granada (1504-1588) e di J. de Ávila (1500-1569). Non esente da tracce di quel Neoplatonismo diffuso all'inizio del secolo, che avrebbe informato anche i Triunfos del amor de Dios (1590), e il Manual de vida perfecta (1608) di G. degli Angeli (1536 circa - 1609) e che sarebbe rimasto profondamente radicato nella cultura spagnola sino all'inizio del Seicento, l'opera di Fray Luis de León (1527-1591) (De los nombres de Cristo, 1583; La perfecta casada, 1583) è rappresentativa della fusione tra la recente esperienza umanistica e la nuova tensione mistica, per cui le forme classiche, desunte da Virgilio, Tibullo, Orazio e Pindaro, si piegano all'esigenza di esprimere e divulgare il languore estatico e il fervore della nuova religiosità, caratterizzata da una trasposizione in sacro di toni e motivi profani: gli eroi cavallereschi diventano paladini della fede e il loro linguaggio amoroso pagano viene divinizzato. Questo stesso aspetto è alla base della produzione dei due massimi riformatori e mistici del secolo, santa T. d'Ávila (1515-1582), con il Libro de su vida (1562-65) e il Castillo interior (1577), e san Giovanni della Croce (1542-1591) con Noche oscura del alma (1577-84). Intanto la lirica profana, amorosa e eroica, contraddistinta da un petrarchismo maturo ma a tratti esasperato, ha il suo centro nella scuola di Siviglia e il suo maggior esponente in F. de Herrera (1534-1597). La novella bucolica e il poema narrativo hanno le loro accademiche e ampollose espressioni rispettivamente nella Diana (1559) di J. De Montemayor (1520 circa - 1561 circa), che pur ebbe grande successo, e nell'Araucana (1569-89) di A. de Ercilla (1533-1594) o nelle opere di L. Zapata (1526-1595) e di J. Rufo (1547 circa - dopo il 1620); neppure il teatro attraversa una fase feconda, ancora segnato dal quel contrasto irrisolto tra vena popolaresca e debito alla commedia classica che era già presente in B. Torres Naharro (1485 circa - 1540 circa) e nel portoghese G. Vicente (1465 circa - 1540 circa); tra gli autori ricordiamo J. de la Cueva (1550-1610) e la sua narrazione popolaresca delle vicende degli Infanti di Lara o di Bernardo del Carpio, e L. de Rueda (1505 circa -1565), autore, tra l'altro, di piccoli intermezzi popolari di carattere burlesco, detti pasos. Formatosi in pieno clima rinascimentale e spettatore partecipe del passaggio al Barocco, M. de Cervantes y Saavedra (1547-1616) dominò la fine del Cinquecento, sintetizzando nella sua opera le note di un secolo diviso tra tensioni rinascimentali e un disinganno che non lascia più spazio a idealizzazioni, in un delicato equilibrio tra sogno e netta percezione della realtà storica, critica e precaria. La propensione al realismo è più marcata nelle Novelle esemplari (1613), mentre largo spazio alla fantasia, come correzione e lettura del reale, caratterizza Il fantastico cavaliere don Chisciotte della Mancia (1605-15) (V. DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA), dove al folle cavaliere mancego si contrappone il caparbio e realistico buon senso del suo scudiero Sancho. ║ Il Seicento e l'età barocca: Cervantes anticipò la complessità del secolo successivo, in cui alla decadenza politica della S., corrispose una maturazione culturale e letteraria, risultato dell'affrancamento dai modelli italiani e di un più generale restringimento degli orizzonti: abbandonati il sogno imperialistico di Carlo V e quello di Filippo II, paladino dell'ortodossia cattolica, il Paese si chiuse in sé. Tramontarono i motivi neoplatonici a favore di un Aristotelismo che pervase la cultura tutta, dalla precettistica alla produzione teatrale; qualsiasi spinta eterodossa venne sopita dalla Controriforma e i temi rinascimentali trascolorarono nell'età barocca, la cui espressione più significativa è il Culteranismo (V.), che si identifica con l'opera di L. de Góngora y Argote (1561-1627), donde la denominazione analoga di Gongorismo. Tratto distintivo della poesia culterana, anticipato nei versi di F. de Herrera e della scuola di Siviglia, è una ricerca linguistica fatta di cultismi lessicali, neologismi e latinismi, di immagini retoriche frequenti, enfatiche e ampollose, come nel Polifemo (1613) e nelle Solitudini (1613) di Góngora. Il Gongorismo informò molta produzione poetica spagnola del Seicento, dai sonetti del conte di Villamediana (1582-1622), alla raccolta di poesia di P. Soto de Rojas (1584-1658) Paraíso cerrado para muchos (1652), e trovò seguaci pure in altri generi, come nel teatro, con T. de Molina e L. de Vega, o nell'oratoria, con il predicatore e teologo H.F. Parravicino (1580-1633). Ma in Góngora ebbe espressione anche il filone popolaresco dei romances e delle letrillas, a ulteriore conferma della molteplicità del secolo barocco, in lui compendiata. All'artificio linguistico e lessicale si oppose, o si affiancò, quello tematico, detto Concettismo, che ebbe in F. de Quevedo (1580-1645) il più illustre maestro. Nelle sue opere si fa più netta la percezione della crisi politica e sociale e un'amara visione morale, che sfocia in spietata e paradossale critica dei costumi, pervade l'intellettualismo sottile e il sagace gioco dei concetti (Il pitocco, 1626; Sogni, 1627 e il corpus poetico de Il Parnaso spagnolo, 1648). Se si eccettuano opere fresche quali Il diavolo zoppo (1641) di L. Vélez de Guevara (1579-1644), o qualche brillante novella picaresca di Cervantes, tutta la produzione romanzesca del secolo, evoluzione e sviluppo del Lazarillo di Tormes, riflette la decadenza in cui versa il Paese ed è intorno alle avventure del pícaro nella malavita cittadina, ambiente di cui viene riprodotta naturalisticamente la parlata, che si concentrano l'espressione del disinganno e la visione pessimistica e si accentua il tono moralistico, come nella Vita del pícaro Guzmán de Alfarache (1599-1604) di M. Alemán (1547-1614 circa). La tradizione picaresca riconfluisce via via in quella romanzesca, perdendo mordente e anteponendo il gusto dell'intreccio all'insegnamento didattico nelle opere successive - La pícara Justina (1605) di F. López de Úbeda o il Marcos de Obregón (1618) di V. Espinel (1550-1624) - così come in autori quali J. de Salas Barbadillo (1581-1635), J. de Alcalá (1571-1632) o A. de Castillo Solórzano (1548-1648 circa), oppure sconfina nel romanzo d'appendice, sebbene arricchito di notazioni psicologiche, come le Novelas ejemplares y amorosas (1637) di M. de Zayas (1590-1661 circa) o come con F. Santos (1623-1698) o con J. de Zabaleta (1610 circa - 1667). Il Concettismo lascia un segno anche nella letteratura didattica, vicina alla saggistica di costume e ai modi retorici della predicazione e la letteratura religiosa del secolo sente il peso della dottrina e dell'oratoria: tra i nomi di rilievo, il già citato Quevedo, D. de Saavedra Fajardo (1584-1648) e B. Gracián (1601-1658). L'opera di quest'ultimo (El Héroe, 1637; El Político, 1640; El Discreto, 1646, El Oráculo manual, 1647), informata alle norme del Concettismo e del Culteranismo esprime il dissidio tra istanze controriformistiche e spirito umanista, per risolverlo nel pessimismo del grande romanzo allegorico, El Criticón (1651), nutrito dalla consapevolezza del male che grava sull'umanità. ║ Il teatro: è nel Seicento che il teatro spagnolo, vivo e attivo anche nei secoli precedenti, si avviò a una grande fioritura, connotato da una particolare tendenza all'assimilazione e rielaborazione dei generi letterari più diversi e da una notevole forza comunicativa e divulgativa. La personalità più rappresentativa fu quella di L. de Vega (1562-1635), la cui vastissima produzione (tra le commedie citiamo Fuenteovejuna, Períbañez, El caballero de Olmedo) è improntata alla massima naturalezza: le strutture del dramma classico vengono stravolte in nome dell'immediatezza d'espressione, di una grande immaginazione scenica, della concretezza, e del coinvolgimento del pubblico. E senza una normativa scritta, perché il suo poemetto La nuova arte di far commedie (1609) è più satirico che teorico. La modernità formale, fatta di opulenze barocche e di trascuratezze insieme, gli permise di riprendere i moduli dell'epica (Dragontea, 1598; Hermosura de Angélica, 1602; Jerusalén conquistada, 1609), del poema sacro (Isidro, 1599), della novella pastorale (Arcadia, 1589), o del poema burlesco (Gatomaquia, 1634) con disinvoltura e senza cadere in triti schematismi, mescolando a effetto elementi comici e tragici, colti e popolareschi, versi e metri differenti. Tra i contemporanei di L. de Vega, che in genere non apportarono contributi significativi, si distinse, per originalità e finezza psicologica nella descrizione dei personaggi, T. de Molina (1579-1648), i cui Vergonzoso en palacio (1611 circa), Marta la piadosa (1614-15) e il Burlador de Sevilla (1627), che disegna un primo don Giovanni, vengono unanimemente considerati piccoli capolavori. Nella generazione successiva, P. Calderón de la Barca (1600-1681) riprese la tecnica di L. de Vega, per poi semplificare, stilizzandolo, il linguaggio teatrale, e rendere più rigida e precisa la struttura del dramma, preferendo ai quadri d'insieme una caratterizzazione singola. Con la sua opera il Barocco teatrale giunse a una delle espressioni più alte, in uno stile che è compiuta fusione di Gongorismo e Concettismo (La donna fantasma, 1629; Una casa con due porte è difficile da custodire, 1629; Segreta offesa, segreta vendetta, 1636 e Il maggior mostro, la gelosia, 1635). Più sensibile la distanza da L. de Vega nelle opere della maturità, che sono commedie fantastiche, mitologiche, religiose e filosofiche, in cui i personaggi assumono il valore simbolico di concetti astratti relativi ai problemi religiosi o dell'uomo, quali il disinganno, la percezione negativa del mondo, la fiducia nel libero arbitrio, il cieco rispetto della volontà sovrana (La figlia dell'aria, 1653; La statua di Prometeo, 1669; Il mago dei prodigi, 1637; La vita è sogno, 1635). Il suo vigore intellettualistico, venato di spirito didattico e predicatorio, segnato da un'inquietudine che riflette la crisi dell'epoca, culturale e generale, emerse soprattutto negli autos sacramentales, sorta di drammatizzazione dei misteri divini, rappresentati all'aperto durante la celebrazione del Corpus Domini, che C. de la Barca scrisse negli ultimi decenni della sua carriera. ║ Il Settecento: al pieno declino politico culminato con l'insediamento della dinastia borbonica a Madrid, corrisponde uno dei periodi più spenti e involuti della letteratura spagnola, in cui l'influsso dei costumi e del gusto francesi irradia dalle neonate accademie (l'Academia española de la lengua e l'Academia del buen gusto) e attecchisce soprattutto nelle classi elevate. Prevale il gusto neoclassico in nome del quale al teatro barocco del Seicento viene contrapposta la tragedia classica francese e l'atteggiamento anticalderoniano, diffuso ma non spontaneo, raggiunge l'acme nel 1765, con la proibizione degli autos sacramentales. L'opera di pensatori come B.J. Feijoo (1676-1764) resta saldamente ancorata alla tradizione e divisa tra Cattolicesimo, Razionalismo ed echi di precettistica secentesca, più che anticipare il pensiero illuministico del secolo in corso. Scrittori quali D. de Torres Villarroel (1693-1770) o J.F. de Isla (1706-1781) cercano di tenere in vita lo stile barocco, con una punta di polemico nazionalismo che tradisce una sorta di complesso della letteratura francese. In genere si assiste a un tentativo di accordare tradizione spagnola e Illuminismo: si pensi alle opere del drammaturgo V. García de la Huerta (1734-1787), diviso tra Classicismo e imitazione di Calderón de la Barca, o a quelle del polemista J.B.P. Fornér (1756-1798), autore del satirico Esequie della lingua castigliana (1782), o a J. Cadalso y Vázquez (1741-1782), che scrisse Cartas marruecas (1788-89), dove è vivo il ricordo di Montesquieu. I segni di un mutamento del gusto, del passaggio dalla tragedia neoclassica austera a una commedia più leggera, di successo, sono evidenti in F.M. Samaniego (1745-1801), autore di Fábulas (1781), e in T. de Iriarte (1750-1791). Una delle espressioni letterarie più felici venne raggiunta, nel teatro, da L. Fernández de Moratín (1760-1828) che, pur fedele alla struttura del dramma neoclassico, informato alle norme aristoteliche, interpretò con vivacità e spirito sarcastico il mondo della nascente borghesia, con i drammi La sconfitta dei pedanti (1789) e Origini del teatro spagnolo (1790) e le commedie Il vecchio e la ragazza (1786), La commedia nuova (1792), Il sì delle ragazze (1805). La sua opera anticipa, insieme a quella di stampo popolare e farsesco di R. de la Cruz (1731-1794) o alla lirica di J. Meléndez Valdés (1754-1817), dai toni bucolici, un gusto nuovo, venato di leggerezza rococò, che sconfinerà poi nel gusto preromantico dei decenni successivi. ║ L'Ottocento e il Romanticismo: i primi anni del secolo, non ancora segnati dall'influsso dei movimenti romantici europei, sono caratterizzati dagli ultimi sprazzi di Neoclassicismo, soprattutto linguistico, in particolare con l'opera di J.M. Quintana (1772-1857), in cui il linguaggio neoclassico diventa strumento espressivo dei fermenti liberali antinapoleonici e patriottici, in una produzione letteraria genuina, che è il riflesso dell'inquietudine sociale e politica. Una vera coscienza romantica deve ancora formarsi e i primi accenni sono nell'opera di M.J. Larra (1809-1837) e prima di tutto nella sua sensibilità disordinata e inquieta e nella sua vita wertheriana: autore di un romanzo storico (Il paggio di Don Enrico il Dolente, 1834) e di un dramma (Macías, 1834), si distinse per i vivaci articoli di costume, in cui stigmatizzò la decadenza spagnola. E tutto l'Ottocento sarà segnato dal Costumbrismo, osservazione del costume, da un lato, e dai falliti tentativi di adeguarsi allo spirito e ai toni della letteratura europea, dall'altro. È sui palcoscenici spagnoli che il Romanticismo trova la sua prima e genuina espressione, con La congiura di Venezia (1830) di F. Martínez de la Rosa (1787-1862), il Macías di Larra, il Don Alvaro o La forza del destino (1835) di A. Saavedra, duca di Rivas (1791-1865), il Trovatore di A. García Gutiérrez e con il più tardo Don Giovanni Tenorio (1844) - ripresa del personaggio di Tirso de Molina - di J. Zorrilla (1817-1893). In questi e in drammi analoghi domina il recupero della tradizione nazionale, specie medioevale, filtrata, nei poeti spagnoli emigrati politici in Francia, quali Martínez de la Rosa, Saavedra e J. Espronceda (1808-1842) attraverso l'immagine che il Romanticismo europeo aveva dato della S. Ed è nell'evocazione descrittiva e pittoresca del romance - i Romances storici (1841) di Saavedra, ispirati ad antiche leggende nazionali e quelli di Zorrilla -, che il movimento romantico spagnolo trova la sua forma più originale, poi ripresa dai poeti successivi. Meno felici, invece, i tentativi di lirismo, in cui i toni della malinconia, dell'individualismo non sono sorretti da un adeguamento stilistico, e che producono componimenti languidi e lacrimosi, come quelli, tra gli altri, di Espronceda. Verso la metà del secolo, si affermarono G.A. Bécquer (1836-1870), unico originale e autentico poeta spagnolo dell'Ottocento, che diede voce alla propria interiorità in componimenti brevi e asciutti, con un linguaggio curato e suggestivo (Rimas, postuma, 1871) e traspose gli spunti popolari in un'atmosfera onirica (Leyendas, 1858-64), e R. de Castro (1837-1885), poetessa gallega, autrice di liriche finissime e impalpabili. La poesia di stampo realista e appesantita da un linguaggio triviale di R. de Campoamor (1817-1901) e quella più modesta, segnata da triti luoghi comuni romantici, di G. Núñez de Arce (1834-1903) costituiscono il resto della produzione lirica del secondo Ottocento. Neppure il teatro riuscì a sollevarsi da una rappresentazione bozzettistica e melodrammatica delle passioni della nuova classe borghese. Al teatro di M. Bretón de los Herreros (1796-1873), vivace drammaturgo della corrente costumbrista, fecero seguito le opere realiste venate di moralismo di V. de la Vega (1807-1865), A. López de Ayala (1828-1879) e M. Tamayo (1829-1898), che solo nelle forme popolaresche trovarono una loro originalità, mentre le opere che imitavano i modelli del Naturalismo straniero, puntando sui valori psicologici o sull'indagine sociale, come quelle di J. Echegaray (1832-1916), declinarono nell'oratoria. Migliori risultati nella narrativa realistica, specie di marca costumbrista, di S. Estébanez Calderón (1799-1867) e R. Mesonero Romanos (1803-1882), che interpretarono con uno stile maturo e con una ricca tipologia umana il mondo borghese. Con Il gabbiano (1849) di F. Caballero (1796-1877) si ebbe la prima espressione del romanzo realista che, staccato dall'imitazione dei modelli francesi, Balzac, Stendhal, Flaubert, rimase nel solco della tradizione costumbrista e regionalista, trovando in questa compiuta realizzazione, come nella divertente satira della vita provinciale fatta da P.A. de Alarcón (1833-1891) nel Cappello a tre punte, o come nelle novelle di ambiente gallego di E. Pardo Bazán (1851-1921) o nelle Escenas montañesas (1864) o nei romanzi d'ambiente di J.M. de Pereda (1833-1906), ma soprattutto nelle opere di B. Pérez Galdos (1843-1920), il massimo narratore spagnolo del secolo, in cui il gusto per il particolare, per l'episodio minimo o la nota di costume prevalgono sulla storia nel suo complesso (Episodi nazionali, 1873-1912; Marianela, 1878; Nazarìn 1895). Intanto, sulla scia del pensiero del filosofo tedesco K.C.F. Krause, si diffondevano un nuovo spirito critico e un profondo interesse pedagogico, premesse della saggistica contemporanea; testimoniano questo indirizzo, tra gli altri, un oratore come E. Castelar (1832-1899), il narratore Á. Ganivet (1865-1898), autore di un Idearium (1897), excursus sulla civiltà e sul costume spagnolo, o uno storico ed erudito del peso di M. Menéndez y Pelayo (1856-1912), fondatore della storiografia spagnola e fine critico letterario (Storia degli eterodossi spagnoli, 1880-82; Storia delle idee estetiche in Spagna, 1883-91). ║ Il Novecento: l'inizio del secolo è caratterizzato da due tendenze, spesso contrapposte dalla critica, ma in realtà ascrivibili alla stessa matrice del Decadentismo europeo: il Modernismo e la Generazione del '98. Quest'ultima ripete, nella denominazione, la data in cui la S. perse le ultime colonie americane, fatto eletto a simbolo del definitivo tramonto dell'Impero coloniale di Carlo V, e del conseguente ripiegamento del Paese su se stesso, alla riscoperta di un'individualità e un'interiorità dimenticate. Ci fu chi, indagando la storia nazionale, si fece portavoce e sostenitore di una hispanidad, come ad esempio J. Martínez Ruiz, detto Azorín (1873-1967), R. de Maeztu (1875-1936) e in parte anche M. de Unamuno (1864-1936). E chi, consapevole della conflittualità insita nella storia e nella società spagnole, se ne fece interprete, come P. Baroja y Nessi (1872-1956), narratore fecondo e inquieto. Esigenza comune, quella di svecchiare linguaggi e strutture formali. E un gusto e una poetica nuovi sono propri anche del Modernismo, che ebbe il suo centro propulsore in Barcellona, città in cui la forte compagine borghese poteva dar vita a quelle spinte di contestazione che animavano il Decadentismo. Irrazionalismo, estetismo, esasperato sensualismo e gusto per l'esotico e per il paradossale furono le note dominanti del Modernismo, che sarebbe poi confluito nel Simbolismo. La nuova poetica, propagandata nelle numerose riviste madrilene, “Revista nueva”, “Arte joven” e, soprattutto, “Renacimiento”, ebbe in S. Rueda (1857-1933), M. Machado (1874-1947) e F. Villaespesa (1877-1936) un'adesione più superficiale, mentre A. Machado (1875-1939), M. de Unamuno e J.R. Jiménez (1881-1958) approfondirono la ricerca linguistica, la raffinatezza formale e la polemica antinaturalistica in un'esperienza via via più interiorizzata e personale. Nel teatro, nella poesia e nella narrativa di R. del Valle-Inclán, (1866-1936) l'accentuato estetismo diventa strumento per esprimere una reazione nei confronti della condizione umana. Il primo conflitto mondiale segnò uno stacco tra questo periodo della letteratura spagnola e la successiva apertura alle avanguardie, che condusse alle forme creative del Cubismo, del Futurismo, del Surrealismo e dell'Espressionismo. In questa apertura alle esperienze europee, mediate dall'opera di R. Darío (1867-1916) vennero accantonati quel provincialismo e quell'individualismo che per anni avevano contrassegnato la cultura spagnola. Il contatto con il Futurismo si ebbe attraverso la rivista “Prometeo, revista social y literaria” diretta da R. Gómez de la Serna (1888-1963), estroso scrittore di grande potenza innovativa; quello con il Cubismo fu mediato dalla figura di V. Huidobro (1893-1948), poeta cileno che, ricco dell'esperienza acquisita a Parigi al fianco di Apollinaire, trascorse un periodo a Madrid, da cui nacque l'Ultraismo, unico tentativo di movimento avanguardistico spagnolo, caratterizzato da una vuota e generica tendenza al nuovo, e che ebbe in questa assenza di reale problematica il motivo del suo insuccesso. I primi decenni del Novecento videro svilupparsi un notevole fermento letterario, attorno ai due poli della “Residencia de estudiantes” di Madrid, in cui si incontrarono giovani intellettuali spagnoli e non - tra cui i nomi illustri di G. Lorca, S. Dalí e L. Buñuel -, e la “Revista de Occidente”, fondata nel 1923 da J. Ortega y Gasset (1883-1955), che promuoveva una totale apertura alla cultura occidentale e un'“arte nuova”, di cui Ortega y Gasset fu anche brillante teorico. La lezione poetica modernista di A. Machado, di M. de Unamuno e di J.R. Jiménez fu raccolta dalla Generazione del '27, affiatato gruppo di critici e poeti che si batteva per un rinnovamento della lirica, in nome di Góngora, il cui terzo centenario della morte era appunto il 1927. Contrari a una rilettura trita della tradizione poetica spagnola, riscoprirono le origini, prediligendo il folclore e il canto popolare. Il 1927 è anche l'anno in cui, all'interno della Generazione del '27, compatta e concorde, si delinearono due tendenze, una fedele ai principi originari di “poesia pura”, sulla linea del Simbolismo, di cui fecero parte la poesia amorosa di P. Salinas (1891-1951) e quella più intellettualistica di J. Guillén (1893-1984), e un'altra sviluppatasi parallelamente all'esperienza surrealista, cui aderirono gli andalusi F. García Lorca (1898-1936) con Primo romancero gitano (1928) e R. Alberti (1902-1999) con Sugli angeli (1929). La loro poesia, improntata a un colto e immaginoso popolarismo, nelle opere successive si tinse di toni sociali e umani, per dar voce, in Alberti, alle istanze della guerra civile e in García Lorca alle ingiustizie razziali delle grandi metropoli (Poeta a New York, 1940). La crisi del capitalismo del 1929, che in S. portò alla Seconda Repubblica spagnola, la cosiddetta “Repubblica degli intellettuali” (1931), l'avvento del Nazismo nel 1933, la guerra civile (1936-39) e la seconda guerra mondiale ebbero forti ripercussioni sul mondo letterario spagnolo, che in campo narrativo si tradussero nel romanzo sociale e impegnato, riflesso della situazione politica. Tra gli scrittori più significativi J. Arderius (1885-1969), C.M. Arconada (1898-1964) e J. Díaz Fernández (1898-1941), a denunciare l'assurdità del colonialismo; poi I. Acevedo (1867-1952), A.Carranque de Ríos (1902-1936), interpreti delle istanze del proletariato, e R.J. Sender (1901-1982), che continuò la sua attività di scrittore anche negli anni dell'esilio. Il terreno poetico, con le tre riviste “Cruz y raya”, “Octubre” e “Caballo verde para la poesia”, fu il più fertile e produttivo: si imposero i nomi di M.T. León (1903-1988), M. Altolaguirre (1905-1959), L. Cernuda (1902-1963). Con la fine della guerra civile nel 1939, cui seguì il regime totalitario franchista, la maggior parte degli intellettuali scelse la via dell'esilio e la cultura spagnola subì una lacerazione profonda e un'involuzione creativa. Solo una decina di anni dopo, con la pubblicazione di riviste giovanili di carattere anticonformista - “La hora” (1948-49) a Madrid e “Laye” (1950-54) a Barcellona - la cultura letteraria iniziò a rianimarsi. Stessa sorte per la poesia, in cui si registrò un arresto del processo creativo e una perdita di originalità: le liriche pubblicate su “Garcilaso”, rivista diretta da J. García Nieto (1914-2001), sono curate, ma prive di spunti nuovi, mentre con due testi del 1944, Ombra del Paradiso di V. Aleixandre (1898-1984, Nobel per la letteratura nel 1977) e Figli dell'ira di D. Alonso (1898-1990), gli unici esponenti della Generazione del '27 rimasti in patria, si assistette a un'apertura alle problematiche esistenziali, tendenza del tutto nuova che si esplicò nella rivista “Espadaña” (1944-51), a cui collaborarono E. de Nora (n. 1923) e V. Crémer (n. 1907). Oltre ai loro nomi, la Antología consultada de la joven poesía española (1952) inserì quelli di C. Bousoño (n. 1923), J. Hierro (1922-2002), R. Morales (n. 1919), V. Gaos (1919-1980), B. de Otero (1916-1979), J.M. Valverde (1926-1996) e G. Celaya (1911-1991), i poeti più significativi del nuovo corso. La tematica sociale si accentuò e negli anni Cinquanta la poesia divenne sempre più riflesso della situazione contemporanea, testimone del dramma nazionale. La scuola di Barcellona produsse poeti quali J.A. Goytisolo (n. 1928-1999), fratello di Juan e Luis, J. Gil de Biedma (1929-1990) e C. Barral (1928-1989), che diedero voce alle speranze e alle delusioni della loro generazione. Nella narrativa, oltre al già citato R.J. Sender, che operava negli Stati Uniti, F. Ayala (n. 1902), esule in Argentina, si segnalano i romanzi di argomento bellico di M. Aub (1903-1972), Campo cerrado (1943), Campo abierto (1944), Campo de sangre (1945), che comunque non circolarono in S. Fu il premio letterario Nadal, istituito nel 1945 a Barcellona e assegnato la prima volta a Nada (1944) di C. Laforet, opera di spoglio realismo e amaro riflesso della dura vita del dopoguerra, a promuovere la scrittura e la pubblicazione di nuovi testi anche in territorio spagnolo. Intanto La famiglia di Pascual Duarte (1942) rivelò il talento di C.J. Cela (1916-2002, Nobel per la letteratura nel 1989), con cui nel dopoguerra sarebbe rinato il romanzo spagnolo d'impronta realista. Il suo L'alveare (1951), insieme a Giochi di mano (1952) e Lutto in paradiso (1954) di J. Goytisolo (n. 1931), fratello di José e Luis sono tra i titoli più significativi di una rinascita narrativa, in cui il romanzo assunse i toni dell'indagine sociologica, dell'affermazione ideologica e si caratterizzò per uno stile volutamente povero e popolare, a imitazione dei modelli del Neorealismo italiano e del romanzo nordamericano. Tra gli altri autori, I. Aldecoa (1925-1969) con El fulgor y la sangre (1954) e Gran Sol (1957), il prolifico M. Delibes (n. 1920) con La sombra del ciprés es alargada (1947), El camino (1951) e molti altri titoli, L. Goytisolo (n. 1935), fratello di Juan e José, A.M. Matute (n. 1926), autrice, tra l'altro, di Pequeño teatro (1954); C. Martín Gaite (1925-2000) con El balneario (1955) e Entre visillos (1957); e, notevolissimi, J. Fernández Santos (1926-1988) e R. Sánchez Ferlosio (n. 1927) che, rispettivamente con Los bravos (1954) e Il Jarama (1955), si segnalarono come i più validi e significativi narratori del dopoguerra. Tra gli esponenti del romanzo realista, che sarebbe rimasto in vita per qualche tempo e in cui alla denuncia morale della classe borghese si affiancava la descrizione partecipe delle misere condizioni di vita operaie, si distinsero J. Goytisolo con La risacca (1958) e Segni di identità (1966); J. López Pacheco (1930-1997) con Central elétrica (1958); A. Grosso (1928-1995) con La zanja (1961), A. López Salinas (n. 1925) con La mina (1960) e J.M. Caballero Bonald (n. 1926) con Dos días de setiembre (1962). Il teatro, più ancora del romanzo, diventò strumento di discussione politica, nonostante le censure imposte agli autori: i nomi più notevoli, in questo senso furono quelli di A. Buero Vallejo (1916-2000), A. Sastre (n. 1926), M. Mihura (1906-1977) e L. Olmo (1922-1994), che affrontarono con originalità e serietà i problemi nazionali. Ma i generi drammatici più sviluppati furono la commedia di evasione e quella fantastica (F. Arrabal, n. 1932), in una progressiva apertura delle forme tradizionali alle esperienze espressioniste, per giungere, ormai negli anni Sessanta, al teatro propriamente sperimentale (A. Miralles, 1940-2004 e J. Ruibal, n. 1925). Anche la poesia si aprì sempre più alle avanguardie e, in opposizione a una forma impegnata, i giovani P. Gimferrer (n. 1945), L.M. Panero (n. 1948) e F. de Azúa (n. 1944) - raccolti nell'antologia Nueve novísimos poetas españoles (1970) dal brillante critico J. M. Castellet (n. 1926) - scelsero una lirica intellettualistica, che a scapito del contenuto, poneva in primo piano una cura estetica, fatta di artifici verbali e metrici. Così nella narrativa, il romanzo realista che aveva dominato tra gli anni Cinquanta e Sessanta lasciò progressivamente spazio a forme di sperimentazione, sulla scia degli autori ispano-americani. Tra i narratori ritornati in patria dopo l'esilio, si segnalarono per originalità, G. Torrente Ballester (1910-1999), A. Cunqueiro (1911-1981), le narratrici A.M. Matute, già attiva negli anni Cinquanta, L. Ortiz (n. 1943), M. Mayoral (n. 1942) e S. Puértolas (n. 1947). Venuta meno dopo la morte del generale Franco (1975) l'esigenza di denunciare la realtà socio-politica, si verificò un recupero dei valori stilistici e l'adozione di forme e modi nuovi, in uno sperimentalismo strutturale sempre più pronunciato, anticipato da Parabola del naufrago di M. Delibes e San Camilo 1936 di C.J. Cela, entrambe del 1969, che ebbe i maggiori esponenti in J.M. Merino (n. 1941) - autore tra l'altro di opere teoriche sul romanzo, e come lui A. Pombo (n. 1939) -, J.P. Aparicio (n. 1941) e J. Marías (n. 1951). In E. Mendoza (n. 1943) allo sperimentalismo si coniuga un ritrovato gusto per l'intreccio. In ambito poetico si assistette a un ripiegamento intimista, in nome del quale si abbandonarono gli eccessi dell'intellettualismo e dello sperimentalismo formale. I nomi sono gli stessi che tale sperimentalismo avevano propalato - Gimferrer, G. Carnero (n. 1947) e J.M. Panero -, a cui si aggiunsero, tra gli altri, quelli di J.J. Padrón (n. 1943), di J.L. Panero (n. 1942), A. Carvajal (n. 1943), C. Janés (n. 1940) e di L.A. de Villena (n. 1951), che arricchirono le loro liriche di note autobiografiche. La poesia degli ultimi anni Settanta e degli anni Ottanta si mosse tra ironia e colloquialità (J. Salvago, n. 1950 e V. Botas, 1945-1994), toni intimistici ed elegiaci (A. Duque Amusco, n. 1949 e A. Linares, n. 1952); tra un recupero del Minimalismo (A. Sánchez Robayna, n. 1952) e liriche raffinate di argomento erotico (A. Rossetti, n. 1950). Tra anni Settanta e Ottanta, il romanzo si tinse di giallo nella serie incentrata sull'investigatore Carvalho di M. Vázquez Montalbán (1939-2003), che coniugò indagine poliziesca e analisi sociale, come pure avvenne in Visíon del ahogado (1977) di J.J. Millás (n. 1946), nei romanzi Demasiado para Gálvez (1979) e Gálvez en Euskadi (1983) di J. Martinez Reverte (n. 1948) e in Caronte aguarda (1981) di F. Savater (n. 1947). In cerca dell'unicorno (1987) di J. Eslava Galán (n. 1948), L'ussaro di A. Pérez Reverte (n. 1951) testimoniano la ripresa del romanzo storico tradizionale, mentre una riflessione sulle esperienze politiche della guerra civile e del dopoguerra anima Beatus ille (1986) di A. Muñoz Molina (n. 1956), la raccolta Herrumbrosas lanzas (1983-86) del già citato J.Benet e Luna de lobos (1985) di J. Llamazares (n. 1955). I. Montero (n. 1936), F. de Azúa, E. Mendicutti (n. 1948) e R. Montero (n. 1951), impegnati nella lotta antifranchista, nelle loro opere diedero voce a questa e ad altre tematiche socio-politiche. Puntarono invece a un approccio introspettivo e intimistico, tra gli altri, J.J. Millás con El desorden de tu nombre (1988), J.M. Merino con El caldero de oro (1981) e La orilla oscura (1985), A. García Morales (n. 1945) con Sur (1985) e lo stesso F. de Azúa con Historia de un idiota contada por sí mismo (1986). Negli anni Settanta e Ottanta, le autonomie regionali promossero la nascita di riviste specializzate e di premi locali, che contribuirono alla diffusione di una poesia eterogenea: atmosfere intimistiche caratterizzarono il gruppo poetico della scuola di Trieste - cui aderirono, tra gli altri, J.M. Bonet (n. 1953) e A. Trapiello (n. 1953) -, mentre i versi di J.C. Cataño (n. 1954) o di J. Navarro (n. 1953) si inserirono nella linea della poesia pura di stampo minimalista. Accanto a queste tendenze, trovarono spazio impegno politico e realismo, come nella poesia di F. Beltrán (n. 1956), di J. Juaristi (n. 1951) e di L. García Montero (n. 1958); o un neonato manierismo sul modello della lirica secentesca, con l'adozione di metri classici, come in F. de Villena (n. 1956), F. Castaño (n. 1951) e L. Martínez de Merlo (n. 1955). Anche il teatro ricevette particolare impulso da parte delle autonomie locali e, beneficiando di sovvenzioni statali (nascita di teatri stabili, creazione del Centro Dramático Nacional e del Centro de Documentación Teatral), vide la nascita di nuove compagnie teatrali e la rappresentazione di quelle opere cui la censura del regime franchista non aveva permesso di andare in scena. Tra queste ultime, i drammi degli anni Cinquanta e Sessanta di A. Sastre, J. Martín Recuerda, L. Olmo, A. Gala (n. 1936), F. Morales Nieva (n. 1927), A. Buero Vallejo e C. Muñíz (n. 1927). Così la commedia di evasione di ambiente borghese, ancora viva (S. Moncada, n. 1928; A. Diosdado, n. 1940; J.L. Martín Descalzo, 1930-1991; J.J. Alonso Millán, n. 1936), cedette il passo a un teatro più impegnato, riflesso della realtà politica e strumento di denuncia sociale, in cui risaltano ancora una volta i nomi degli esuli R. Alberti (Notte di guerra al Museo del Prado, 1978), F. Arrabal (El cementerio de automóviles, 1977). Tra gli autori giovani di maggior spicco, la cui opera non sembra conservare reminiscenze della tradizione, si segnalarono M.M. Reina (n. 1957), A. Onetti (n. 1962), S. Belbel (n. 1963), P. Pedrero (n. 1957). Invece furono più legati al passato, in particolare alla lezione della generazione precedente, A. Marsillach (1928-2002), J.L. Alonso de Santos (n. 1942), F. Cabal (n. 1948), J. Sanchis Sinisterra (n. 1940) , F. Fernán Gómez (n. 1921). Infine tra le espressioni più originali del teatro spagnolo dagli anni Settanta in poi si ricordano i diversi gruppi sperimentali sorti in Catalogna, tra cui Els Comediants, La Fura dels Baus, La Cubana, Dragoll-Dagom, La Cuadra, che concentrarono la loro attività sull'aspetto sonoro, plastico e gestuale. Un discorso a parte merita la critica letteraria novecentesca in cui si distinsero due fondamentali direttrici, l'una rivolta principalmente all'indagine stilistica, l'altra logica continuazione di quel Positivismo ottocentesco, che in Menéndez y Pelayo aveva avuto il suo maggiore interprete. Tra gli allievi di questo - E. Cotarelo y Mori (1857-1936), J. Ribera y Tarragó (1858-1934), M. Asín Palacios (1871-1944), J. Cejador (1864-1927) - la figura di R. Menéndez Pidal (1869-1968) è certo la più significativa. Autore di studi fondamentali sulla lingua e sulla letteratura spagnola, si collocò tra i maggiori medioevalisti contemporanei con gli studi filologici sull'epopea del Cid (La Spagna del Cid, 1929) e sul Romancero. Per fervore critico e profondità gli si affiancò (1885-1972) A. Castro, autore di importanti studi linguistici e storici e di una magistrale analisi dell'opera di Cervantes (Il pensiero di Cervantes, 1925). Dal magistero di Menéndez Pidal derivò il Centro de estudios históricos, una scuola a cui aderirono, oltre allo stesso Castro, a T. Navarro Tomás (1884-1979) e a molti altri, D. Alonso (1898-1990), il massimo esponente della critica stilistica. L'esilio degli intellettuali seguito alla fine della guerra civile, se da un lato comportò un impoverimento culturale della S., dall'altro permise la diffusione della cultura spagnola in altri Paesi, specie nell'America Latina (Alonso e Castro), mentre in S. l'attività del bibliofilo A. Rodríguez Moñino (1910-1970), allievo del Centro de Estudios Históricos, di H. Serís (1879-1969) e, soprattutto, quella di J. Simón Díaz (n. 1920), direttore dell'immensa Bibliografía general de la literatura hispaníca, tuttora in opera, diedero impulso a un grande lavoro di catalogazione bibliografica del materiale antico. Nacquero così, per mano di F. Lázaro Carreter (1923-2004), F. Ynduráin (1910-1994) e di altri, preziose edizioni critiche dei classici. La generale liberalizzazione culturale della fine degli anni Settanta portò, grazie all'apertura degli studi verso le nuove metodologie critiche diffuse all'estero - semiologia, semiotica, strutturalismo - a un lento superamento dell'impostazione storica e positivista. Tra gli studiosi di rilievo del nuovo corso, F. Rico, J.M. Cacho Blecua e P. Cátedra per il Medioevo, A. Egido, L. García Lorenzo e J. Oleza per il “secolo d'oro”, S. Sanz Villaneuva, D. Ynduráin, J.M. Rozas e J.-C. Mainer per la letteratura moderna e contemporanea.

ARTE

Architettura: le prime attestazioni di architettura spagnola giunte sino a noi risalgono alla preistoria e riguardano, in particolare, menhir presenti in Catalogna, talayots, taulas e navetas presenti nelle Baleari, resti di fortificazioni cittadine. Numerosi sono i monumenti risalenti all'epoca romana a noi pervenuti: sono, in prevalenza, opere pubbliche (ponti, acquedotti, cinte murarie, oltre che resti di teatri, templi, fori, circhi, ecc.) situate a Mérida, Tarragona, Segovia, città rigogliose in epoca augustea, Salamanca, Alcántara, Sagunto, Numanzia, Tartesso, Ampurias. Rari sono i monumenti di arte cristiana, tra cui si può annoverare il mausoleo di Centcelles, presso Tarragona, esempio tipico di architettura paleocristiana. Più cospicue e originali le tracce lasciate dall'arte visigota, in prevalenza chiese (San Juan Bautista di Baños, presso Palencia; San Pedro de la Nave, presso Zamorra; Quintanilla de las Viñas, presso Burgos; Santa Comba de Bande, presso Orense) che presentano i caratteristici absidi rettangolari e l'utilizzo dell'arco a ferro di cavallo. Con la conquista della penisola iberica (al-Andalus) da parte degli Arabi, fiorì la raffinata arte musulmana, di cui si conservano importanti edifici (la moschea di Cordoba, dei secc. VII-X, la chiesa del Cristo de la Luz a Toledo, risalente alla fine del X sec.), mentre non è rimasta alcuna traccia dei monumenti architettonici del primo periodo di quest'arte, così come pochi sono quelli risalenti all'epoca, rigogliosa e ricca a livello artistico, della dominazione degli Almoravidi e degli Almohadi: la Giralda (XII sec.) e l'Alcázar (XIV sec.) a Siviglia, la sinagoga di Santa Maria la Blanca a Toledo. L'Alhambra, reggia e fortezza dei re Mori di S., e il Generalife, residenza estiva dei re, entrambe situate sulle colline di Granada, furono costruite verso i secc. XIII-XIV, quando ormai l'influenza islamica era in declino. Mentre nel Sud della S. fioriva il Regno arabo, durante il IX sec. negli Stati cristiani del Nord si insediò la Monarchia asturiana, che aveva eletto a propria capitale Oviedo, dove sono rimaste le tracce più significative dell'arte asturiana (San Julián de los Prados, Santa Cristina de Lena, San Miguel de Lillo, Santa Maria de Naranco, San Salvador de Valdediós) che risente della tradizione visigota. Nel X sec., nuclei di cristiani presenti nei territori occupati dagli Arabi, compiendo un innesto tra cultura romanza e cultura araba, diedero vita all'architettura mozarabica, la quale trae ispirazione dall'arte musulmana andalusa. Infatti, è costante l'uso dell'arco a ferro di cavallo, delle volte a nervatura, delle absidi e delle nicchie d'altare che si rifanno ai mihrab delle stanze di preghiera arabe. Unico esempio di architettura mozarabica nell'area a dominazione musulmana è la chiesa di Bobastro presso Malaga, mentre più numerosi sono i monumenti presenti nelle Asturie, nel León e in Galizia (San Miguel de Escalada, San Miguel di Celanova) dove, già a partire dal IX sec., in seguito all'acuirsi dell'intolleranza, si rifugiarono i mozarabi. Tra l'XI sec. e il XII sec., influssi francesi e italiani portarono alla diffusione, nel Nord della S., dell'arte romanica, contribuendo così ad arginare l'influenza araba nel Paese. La propagazione di tale forma artistica fu favorita dai pellegrinaggi dei fedeli verso il santuario di Santiago de Compostela, lungo il cui itinerario vennero eretti monasteri cluniacensi e chiese in stile romanico, tra le quali la cattedrale di Santiago de Compostela rappresenta l'espressione artistica di maggior rilevanza. Lo stile romanico, propagatosi nell'intero Paese, si innestò a elementi moreschi e mozarabici, dando vita a uno stile caratteristico e originale, come dimostrano gli esempi delle cattedrali di Zamorra e Salamanca, il chiostro di Santo Domingo de Silos a Burgos, la basilica di San Vicente d'Ávila. D'altro canto, a dimostrazione del profondo radicamento della cultura islamica in terra spagnola, il Medioevo spagnolo, dal punto di vista artistico, è caratterizzato dall'arte mudéjar (Toledo, Valencia, Cordoba, Siviglia, zona nei pressi di Segovia e Ávila), espressione emblematica della commistione tra forme ed elementi tipici dell'architettura cristiana e quelli tipici dell'architettura araba, nonché manifestazione architettonica che si pone tra Romanico e Gotico. Alla fine del XII sec. si attestano i primi esempi di arte gotica, con l'introduzione della volta ogivale che venne impiegata dai monaci cistercensi per la costruzione dei monasteri di Moreruela, Santa Maria de Poblet, Veruela, Santa Creus, Las Huelgas, Santa Maria de Huerta. Nelle regioni mediterranee, l'arte, inizialmente ispirata al Gotico francese, assunse forme originali e tipicamente nazionali (XV sec.), di cui la cattedrale di Siviglia, il Parral di Segovia, San Juan de los Reyes di Toledo rappresentano esempi eclatanti. Molteplici edifici (chiese, ospedali, collegi, palazzi) vennero costruiti durante il Regno dei re cattolici, quando numerosi artisti stranieri prestarono la loro opera in S., dando vita all'arte cosiddetta “plateresca” caratterizzata dalla ricchezza ed esuberanza delle forme ornamentali, che uniscono elementi rinascimentali, tardo-gotici e mudéjar. Mentre durante il Regno di Filippo II (XVI sec.), in pieno clima controriformista, si registrò un ritorno a forme sobrie e classiche, come testimonia il monumento più importante dell'epoca, l'Escorial, realizzato dall'architetto Juan de Herrera, nel Seicento si affermò il Barocco, che assunse forme diverse nelle differenti scuole regionali. La seconda metà del XVIII sec. fu caratterizzata dallo stile neoclassico, di cui la chiesa di San Francisco el Grande a Madrid, il palazzo del Prado e la facciata della cattedrale di Pamplona sono esempi emblematici. Dell'Ottocento, secolo di correnti eclettiche, ricordiamo l'originale e fantasioso contributo dell'architetto catalano A. Gaudí y Cornet, l'ideatore della Sagrada Familia, del Parco Güell e di altri edifici di Barcellona. Gaudí, insieme ad altri architetti (L. Doménech y Montaner, J. Puig y Cadafalch) diede vita, a Barcellona, al movimento modernista che partecipava delle istanze innovatrici presenti anche in ambito internazionale. Nel 1930, prima della guerra civile, si sviluppò il movimento di avanguardia architettonica GATEPAC (Gruppo di Artisti e Tecnici Spagnoli per una Architettura Contemporanea), di cui facevano parte J.L. Sert, J.J. Torres Clavé, E. Torroja Miret. Nel 1952, a Barcellona, nacque il gruppo R, con A. Coderch, M. Valls Vergés e F. Javier Sáenz de Oiza, architetto delle Torres Blancas di Madrid (1969), di chiara ispirazione modernista. Da non dimenticare il Taller de Arquitectura, sorto a Barcellona nel 1964 su iniziativa di R. Bofil, i cui architetti, nel 1992, in occasione delle celebrazioni colombiane e dei Giochi Olimpici furono impegnati in interventi di ristrutturazione della città. ║ Scultura: testimonianze di tipo scultoreo appartenenti a civiltà mediterranee sono state rinvenute nell'Isola di Maiorca, dove sono state ritrovate teste di toro in bronzo, e ad Ampurias (l'antica città greca di Emporie), da cui provengono sculture in marmo. Appartenenti all'arte paleocristiana sono i sarcofagi di Ampurias, Gerona, Valencia, Toledo, mentre esempi di arte visigota si possono ritrovare nei bassorilievi, presenti nelle chiese, che accostano decorazioni rappresentanti motivi umani e animali con fregi geometrici. Di grande importanza sono i tesori di oreficeria visigota rinvenuti in diverse necropoli, tra cui rivestono un eccezionale valore quelli di Guarrazar (presso Toledo), composti da croci e corone votive impreziosite dalla raffinata lavorazione a sbalzo e da pietre preziose. L'arte visigota esercitò una forte influenza sull'arte asturiana (medaglioni e fregi ornati con motivi a spirale, rosoni decorati con motivi floreali e animali), nella quale si nota anche l'influenza dell'arte romana e bizantina. L'arte mozarabica si espresse in particolare nel campo dell'oreficeria, della scultura in avorio, della miniatura dei manoscritti, ispirando la scultura romanica spagnola e quella francese dell'XI sec. Tra le più importanti creazioni della scultura romanica possiamo annoverare il chiostro di Santo Domingo de Silos, la facciata de las Platerias nella cattedrale di Santiago de Compostela, gli apostoli della cámera santa nella cattedrale di Oviedo, il portale di San Vicente di Ávila, la facciata di Santa Maria di Ripoll in Catalogna. La scultura gotica spagnola risentì dell'influsso del Gotico francese, come si può notare dalle maestose decorazioni delle facciate delle cattedrali di Burgos e di León. Nel XV sec. la scultura spagnola, grazie al contributo di maestri stranieri, in particolare tedeschi, fiamminghi, italiani, conobbe un periodo di grande fioritura che si manifestò nella realizzazione di grandi altari scolpiti (San Nicolás a Burgos, cattedrale di Siviglia) e di stalli corali (San Tomás ad Ávila, certosa di Miraflores). Durante il Regno dei re cattolici assunse grande importanza l'opera di Gil de Siloé, del quale si ricordano la pala policroma e i monumenti funerari presenti nella certosa di Miraflores a Burgos. La penetrazione del Rinascimento italiano, evidente nelle opere di Ordoñez, Diego de Siloé e Forment, assunse caratteristiche tipicamente nazionali, dando vita allo stile plateresco. Nel XVII sec., nella Vecchia Castiglia si impose la figura di G. Hernández, fondatore di una scuola e scultore di opere in legno caratterizzate da colori vivaci e da un estremo realismo, utilizzate durante le processioni. I medesimi motivi mistici e realistici si ritrovano nella scultura andalusa, i cui massimi esponenti furono M. Montañéz, J. de Mesa, A. Cano. L'epoca barocca vide il declino degli scultori spagnoli, sostituiti dai maestri francesi che si dedicarono in particolare alla decorazione dei giardini e dei palazzi reali. Di scarsa importanza la scultura del XIX sec., mentre da menzionare sono, nel XX sec., le opere di Julio Antonio che si rifanno a un realismo tipico della tradizione artistica spagnola, e le creazioni ispirate al Cubismo di Manolo, Gargallo e J. Gonzáles, membri della scuola di Parigi. Esperienze interessanti sono quelle realizzate da E. Chillida, M. Berrocal, L. Lugan. ║ Pittura: risalenti all'età preistorica sono le pitture rupestri appartenenti al gruppo franco-cantabrico (Altamira, Candamo, Puenteviesgo), caratterizzate da uno stile naturalistico, e quelle più schematiche appartenenti al gruppo del Levante (Alpera, Calapata, Cogull). Di età romana sono i dipinti del vescovado e delle tombe di Mérida e quelli di Santa Eulalia de Bóveda a Lugo. La pittura asturiana, sviluppatasi nei secc. IX-X, risentì dell'influsso dell'arte romana, come attestano le realizzazioni pittoriche di San Juan de los Prados e San Salvador de Valdediós. L'arte mozarabica, con i suoi manoscritti ornati da raffinate miniature, ebbe effetto sulla pittura romanica (secc. XI-XIII), che, diffusasi in diverse regioni della S., in particolare in Catalogna, Castiglia e León, è attestata da preziose tavole e dipinti murali rimossi e custoditi nel Museo de Bellas Artes de di Barcellona, nel Museo episcopale di Vich e nel Museo del Prado di Madrid. Tali opere mantengono motivi dell'arte mozarabica, risentendo inoltre degli influssi dell'arte romanica francese e della pittura bizantina, conosciuta in S. in seguito agli assidui rapporti con centri artistici italiani. La pittura gotica è testimoniata dagli affreschi di A. Sánchez da Segovia che si trovano nella cattedrale vecchia di Salamanca, dai dipinti del monumento funebre di don Sancho Saiz de Carrillo, conservati nel Museo de Bellas Artes de Barcellona, dagli affreschi di Santo Domingo di Puigcerdá. A partire già dalla prima metà del XIV sec. lo stile giottesco e l'arte senese si affermarono in S., in particolare a Barcellona con F. Bassa, R. Destorrents e, nel XV sec., con i fratelli Serra. Il Gotico cortese si diffuse in Catalogna, a Valencia e in Aragona, mentre in Castiglia e in León, grazie a G. Starnina e D. Delli, presenti rispettivamente a Toledo e a Salamanca, prevalse uno stile ispirato all'arte italiana. Verso la metà del XV sec. crebbe l'interesse nei confronti della nuova pittura fiamminga, conosciuta direttamente dagli artisti spagnoli grazie ai loro frequenti viaggi nei Paesi Bassi. Alcuni di essi (L. Dalmau a Barcellona e Valencia; J. Inglés, F. Gallego, il Maestro di Sopetrán, il Maestro di Ávila, J. de Flandes in Castiglia) diedero vita alla corrente definita “ispano-fiamminga”, che risultò fondamentale per la formazione artistica dei due più importanti pittori spagnoli della seconda metà del XV sec.: B. Bermejo, che svolse la sua attività a Valencia, in Aragona e in Catalogna, e P. Berreguete che lavorò per circa un decennio per i Montefeltro di Urbino. Nel XIV sec. prevalse nuovamente lo stile artistico italiano in pittori quali A. Fernández, J. de Borgoña che si formò a Firenze, nella bottega del Ghirlandaio, stabilendosi poi a Toledo, dove ebbe influenza sugli artisti locali, F. de Llanos e F. Yañez i quali, nei loro giovanili viaggi italiani, subirono il fascino della pittura di Leonardo e di altri manieristi toscani. Anche il fiammingo P. de Kempeneer, dopo i soggiorni in Italia, si trasferì a Siviglia dal 1537 al 1563 dove acquistò fama col nome di Pedro de Campaña e concorse alla diffusione del Manierismo italiano. Tra i più eleganti manieristi spagnoli, ricordiamo L. de Morales, che riuscì ad accostare nelle sue opere elementi fiamminghi e suggestioni leonardesche e raffaellesche. Il XVI sec. vede il primato assoluto della pittura italiana: Carlo V e Filippo II commissionarono numerose opere a Tiziano; le decorazioni dell'Escorial furono realizzate da F. Zuccari, L. Cambiaso, P. Tibaldi. Nella seconda metà del XVI sec. si ravvivò la tradizione ritrattistica con A. Sánchez Coello e J. Pantoja, allievi dell'olandese A. Moor, e con D. Theotocópuli, detto El Greco, il quale, dopo una parentesi italiana, si stabilì definitivamente a Toledo. Nel XVII sec. la pittura spagnola conobbe i massimi splendori, grazie agli intensi scambi con i più importanti centri artistici europei. F. Ribalta, J. de Ruelas e J. de Ribera accostarono la maniera d'ispirazione caravaggesca con il realismo tipico dell'arte spagnola. Il maggiore esponente della pittura del Seicento spagnolo fu Velázquez il quale, dopo essersi formato a Siviglia, nel 1623 svolse la sua attività a Madrid. In Andalusia, nel corso del secolo, furono presenti molti pittori di grande valore, tra cui F. de Zurbarán, B. Murillo, A. Cano. Nel XVIII sec. la pittura spagnola, esauritasi la grande tradizione secentesca, cadde in declino. Fu solo grazie all'apporto di artisti stranieri, in particolare G.B. Tiepolo e R. Mengs, che si avviò un rinnovamento in senso neoclassicista. Unica figura che riuscì a emergere in questo periodo cupo fu F. Goya, attivo negli ultimi decenni del XVIII sec. e nei primi del successivo. Nel XIX sec. si segnala l'opera di M. Fortuny y Carbó e di E. Rosales. I primi decenni del XX sec. furono caratterizzati da una pittura che si rifà alla tradizione di Goya e dei maestri del Seicento; ma una svolta fondamentale fu rappresentata dall'affermazione delle avanguardie europee, a cui gli artisti spagnoli (P. Picasso, J. Gris, J. Miró, S. Dalí) offrirono un contributo di altissimo livello. In seguito alla seconda guerra mondiale, dopo un periodo di crisi artistica, si susseguirono iniziative interessanti e innovative: a Barcellona sorse il gruppo Dau al Set (1948), che unì tendenze surrealiste e astratte (Tápies, J.J. Tharrats); a Madrid il gruppo El Paso (1957), di orientamento astrattista (M. Millares, A. Saura, L. Feito, R. Canogar); a Cordoba Equipo 57 (1957), di tendenza costruttivista (J. Duarte, J. Serrano, J. Cuenca); a Barcellona il gruppo Silex (1964), che fece propria la pittura materica e gestuale. In reazione a ricerche artistiche puramente formali, si formò il gruppo Crónica de la Realidad (M. Valdés, R. Solbes, J. Genovés), indirizzato a un maggior impegno politico e sociale. Dopo le diverse esperienze ispirate all'arte concettuale, negli anni Ottanta si registrò un ritorno alla figurazione (L. de la Cámara, L. Arraz Bravo, M. Barceló, G. Pérez Villalta).

MUSICA

I primi centri musicali della S. furono Siviglia, Toledo e Saragozza dove, a partire dal VI sec., si concentrò la vasta produzione di canto liturgico visigoto, conosciuto dall'VIII sec. come canto mozarabico e praticato fino all'XI sec. È documentata anche l'esistenza di un canto profano in latino, databile al VII sec. A partire dal IX sec. i rapporti tra centri monastici iberici e centri francesi contribuirono a introdurre, dapprima in Catalogna e Aragona, altre forme musicali liturgiche diverse da quelle mozarabiche. Nei secc. XII-XIII grande fortuna ebbe la musica trovadorica presso le corti, diffusa da trovatori catalani e provenzali, tra i quali si ricorda in particolare Raimondo Lullo. I documenti più cospicui di tale produzione sono la raccolta delle 420 Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, compiuto esempio di monodia medioevale, e quella delle sei profane Cantigas da amigo del trovatore M. Codax. La polifonia si sviluppò a partire dall'XI sec., come è testimoniato dal codice Callistino di Santiago de Compostela e da altri manoscritti dai quali si evince la diffusione di forme musicali quali il mottetto a tre e quattro voci. L'Ars nova religiosa e profana si diffuse negli ambienti cortesi di Catalogna e Aragona; gli stili francese e italiano, introdotti da musici stranieri, furono accolti e arricchiti localmente (Llibre vermell di Montserrat). Nel XV sec. la corte aragonese di Alfonso IV e quella castigliana di Ferdinando e Isabella i Cattolici furono centri di produzione musicale polifonica e monodica. Nel repertorio profano (villancicos, romances, estrambotes, ecc.) la musica spagnola sviluppa un inequivocabile carattere nazionale. Anche nella polifonia sacra, per quanto non insensibile alla lezione fiamminga, si ritrovano elementi di originalità. Tra i più illustri polifonisti spagnoli del Quattrocento figurano J. de Anchieta, F. Estevan, F. del Castillo, J. de la Encina. Il XVI sec. vide il momento di massimo splendore dell'arte polifonica in S., fiorita nelle scuole andalusa, rappresentata da J. Navarro, J. Vázquez, F. Guerrero; castigliana, con J. Escribano, D. Ortiz, S. Raval, B. de Ribera, A. de Cabezón e T.L. de Victoria (con Palestrina e con O. di Lasso il più importante polifonista del Cinquecento); catalana, con P. Cubels, J. e M. Flecha, P. Villalonga. Nella prima metà del XVI sec. spicca la personalità di C. de Morales, autore soprattutto di messe, percorse da accenti di potente drammaticità. La produzione dei maestri spagnoli è purtroppo andata perduta in buona misura, non essendo mai giunta alle stampe. Nella produzione profana (madrigali, villancicos, canciones) si distinsero autori quali M. Flecha, S. Raval, P. Valenzuela, P.A. Vila, F. Guerrero, J. Navarro, J. Vázquez, R. Ceballos. Nel Cinquecento la scuola organistica fu, insieme alla polifonia vocale, l'espressione musicale spagnola più rilevante a livello europeo. A. de Cabezón (il maggior organista del secolo), J. Bermudo, T. de Santa María nonché i celebri teorici G. Martínez de Bizcargui, F. Trovar e F. Salinas il Cieco, fecero notevolmente progredire la cultura musicale e la tecnica esecutiva inerenti allo strumento. Anche la musica per liuto (vihuela) e per chitarra, sia strumentale, sia come accompagnamento al canto monodico, ebbe notevoli rappresentanti, tra cui L. Milán, E. de Valderrábano, A. de Mudarra, M. de Fuenllana, che pubblicò importanti libri di vihuela. Nel XVII sec. la polifonia vocale, sacra e profana, e la musica strumentale non riuscirono a mantenersi all'altezza di quelle europee, e soprattutto di quella italiana, restringendosi il culto della musica alle cappelle della corte e dei duchi d'Alba. Tuttavia, il Seicento vide splendere il genio di J. Cabanillas, continuatore di A. de Cabezón nella tradizione organistica spagnola; egli rivoluzionò l'armonia, oltre a praticare a livelli eccelsi l'arte della variazione e della polifonia strumentale. Nello stesso secolo si svilupparono quelle composite forme di spettacolo denominate zarzuelas, éclogas, fiestas de musica y de teatro, fiestas cantadas, comedias armònicas, che avevano avuto nel Cinquecento le prime espressioni nelle composizioni teatrali di J. de la Encina. Primi esempi di questa produzione teatrale sono la Selva sin Amor, su testo di L. de Vega (1619), e la Púrpura de la Rosa, su testo di Calderón (1660) delle quali è andata perduta la musica. Ci è invece rimasta parte della musica composta da J. Hidalgo per l'opera Celos aun del aire matan, su testo di Calderón (1660). Poco è rimasto della produzione musicale spagnola del Settecento, soprattutto di quella strumentale. La vita musicale del tempo fu dominata dalla personalità di alcuni musicisti italiani, tra cui D. Scarlatti e poi L. Boccherini, che esercitarono un'influenza notevole sui compositori spagnoli; tra questi si distinse sia in patria sia all'estero A. Soler, allievo di D. Scarlatti, il quale adottò anche nella sua produzione operistica lo stile italiano, introdotto in Spagna per la prima volta nel 1703 con l'arrivo a Madrid di una compagnia di canto italiana. A contrastare con qualche fortuna il predominio dell'opera italiana fu il genere della tonadilla escénica, sorta d'intermezzo musicale tra gli atti di commedie in prosa. Tale genere, in auge dal 1757 al 1790, fu praticato da musicisti quali L. Misón, A. Rodríguez de Hita e P. Esteve i Grimau. Il clima romantico del XIX sec. fu propizio alla riscoperta e alla valorizzazione del ricchissimo patrimonio della musica popolare spagnola e, con essa, del genere teatrale della zarzuela, misto di parlato e cantato, da opporre allo strapotere dell'opera italiana. F.A. Barbieri fu rappresentante di spicco di questa forma teatrale nazionale, il cui crescente successo fu ufficialmente sancito dall'inaugurazione del Teatro de la Zarzuela (1856), contrapposto al Teatro Real, dove veniva rappresentata l'opera italiana. Frattanto si andava riscoprendo il cosiddetto género chico, nato nei bassifondi madrileni e ispirato al più schietto folclore musicale spagnolo. L'opera più popolare di questo genere fu La gran via (1886) di F. Chueca. Il género chico - praticato, tra gli altri, da R. Chapí e F. Caballero - esercitò un influsso notevole su importanti musicisti posteriori quali Albeniz, Granados e de Falla. L'Ottocento vide anche la fondazione in S. di una moderna musicologia ad opera di F. Pedrell, autore dell'imponente Cancionero musical popolar espanol e delle Hispaniae Schola musica sacra, un'opera di recupero storico della tradizione polifonica spagnola. Nuove e prestigiose istituzioni musicali, quali la madrilena Società del quartetto (1863), la Società dei concerti (1866) e numerose orchestre sinfoniche contribuirono a reinserire la S. nel circuito della moderna cultura musicale europea. Fu anche il momento dell'affermazione sulla scena internazionale di virtuosi spagnoli: il violinista P. de Sarasate, i pianisti J. Miró, P. Albeniz y Bisanta, I. Albeniz e E. Granados, il chitarrista F. Tarrega, la cui intensa attività concertistica conferì nuova dignità allo strumento. La produzione strumentale (I. Albeniz, E. Granados) e teatrale (M. de Falla, J. Turina) tra i secc. XIX e XX fu segnata da un profondo rinnovamento stilistico, consistente nel rigoroso recupero della tradizione colta e popolare, reinterpretata alla luce di una sensibilità aperta alle moderne esperienze musicali europee. Dopo la guerra civile musicisti quali R. Gerhard (attivo però a Londra), J. Rodrigo, J. Joms, F. Mompou, X. de Moutsalvatge, M. Palau tesero a sprovincializzare ulteriormente la produzione musicale spagnola, pur marcandola di elementi di derivazione etnica. Si ricordano infine, tra i musicisti e gli interpreti spagnoli delle ultime generazioni, i compositori J. Villa Rojo, C. Prieto, J. Hidalgo, F. Guerrero; i violoncellisti P. Casals e G. Cassado; i pianisti G. Soriano e A. de Larrocha; i chitarristi A. Segovia e R. Tarrago; l'arpista N. Zabaleta; i direttori E. Jordá, G. Asensio, R. Frubeck de Burgos; i cantanti V. de los Angeles, M. Caballè, T. Berganza, A. Chamorro, A. Kraus, P. Domingo, J. Carreras.
Madrid: l'Escorial

Particolare della facciata della casa Battló a Barcellona

Siviglia: piazza di Spagna

Alcazar di Siviglia: il patio del palazzo del Yeso

Le mura arabe della Macarena a Siviglia

L'Alcazar di Segovia

Veduta di Albacete

Veduta dall'alto dell'Alhambra a Granada

Saragozza: palazzo Aljafería

Veduta di Maiorca

La basilica di Eunate (Spagna)

Le mura di Avila nella vecchia Castiglia