Composizione musicale strumentale. Indicante dapprima
qualsiasi musica da suonare (in contrapposizione alla musica da cantare), il
termine venne poi a designare una forma musicale ben definita, variamente
modificatasi nel corso dei secoli. La prima testimonianza certa dell'uso della
parola
s. è nelle
Sonate a 5 istrumenti di A. Gabrieli,
pubblicate nel 1586, anche se fino a circa la metà del secolo successivo
il significato rimase ancora generico. Solitamente la
s. si oppone alla
cantata, anche se non mancano esempi di “canzon da sonar”. Michael
Praetorius osserva tuttavia che la
s. si distingue dalla canzone
strumentale per il suo “carattere grave e solenne alla maniera dei
mottetti” (
Syntagma musicum, 1615-20). Ancora nel XVII sec. i
liutisti utilizzavano il termine
s. per indicare ciò che poco dopo
verrà chiamato
suite. Per quasi tutto il Seicento le
s. si
articolarono in tre tempi (Allegro, Adagio, Allegro) o in quattro (Grave,
Allegro, Grave, Allegro); tra i compositori che in questo periodo si dedicarono
al genere si citano G.B. Buonamente, G.B. Vitali, B. Marini, G. Legrenzi. Nella
s. barocca la formazione strumentale prevalente fu il trio per due parti
superiori e basso continuo, ridottasi successivamente a un solo strumento con
accompagnamento di basso continuo. La prima a svilupparsi fu la letteratura
sonatistica per strumenti ad arco, di cui fu rappresentante insigne A. Corelli,
al quale si deve l'istituzione della forma, feconda di successivi sviluppi,
della
s. a due, violino e basso continuo. La più progredita
tecnica strumentale del violino fece quindi fiorire nel Settecento la produzione
di
s., cui si dedicarono praticamente tutti i compositori violinisti
italiani, da A. Vivaldi a F. Geminiani, F.M. Veracini, G. Tartini. Fuori
dall'Italia, contribuirono allo sviluppo espressivo e formale della
s.
altri musicisti, come i francesi J.M. Leclair e G. Guillemain e il boemo J.
Stamitz. Con B. Marcello la
s. aveva già assunto una già
ben definita forma bipartita, perfezionata nella propria architettura formale
con D. Scarlatti e con i clavicembalisti del periodo 1730-70. Più tarda
rispetto a quella per strumento ad arco, la
s. per tastiere (organo,
cembalo) ebbe il suo precursore in B. Pasquini, nella seconda metà del
XVII sec.; il clavicembalo trovò con A. della Ciaja e D. Zipoli, e
successivamente con B. Galuppi, P.D. Paradisi, G.B. Sammartini e L. Boccherini,
oltre che con il già citato Scarlatti, la definitiva consacrazione quale
strumento privilegiato dello stile sonatistico settecentesco. Se le
s.
scarlattiane sono generalmente monotematiche, in quelle degli autori successivi
la forma del primo tempo della
s. venne ancora elaborata, diventando
duotematica: il tema principale, esposto nel tono fondamentale, viene sviluppato
fino al tono della dominante per lasciare il posto a un secondo tema che si
conclude con cadenze dotate di propria fisionomia ritmica. Questa prima parte
del tempo viene ripetuta integralmente in forza del segno di ritornello. La
seconda parte, anch'essa ritornellata, comincia col tema principale nel tono
della dominante e, attraverso una serie di modulazioni, torna alla tonica.
L'affacciarsi del pianoforte con le sue nuove possibilità
timbrico-espressive favorì il passaggio dal cosiddetto
stile
galante clavicembalistico a uno stile e una struttura della
s. che
introdussero già al periodo della
s. classica, perfettamente
compiuta in F.J. Haydn, M. Clementi, W.A. Mozart. La forma del tempo di
s. divenne decisamente tripartita; nella prima parte, ritornellata, si ha
l'esposizione dei due temi principali, il primo nel tono fondamentale, il
secondo in quello della dominante conclusa da cadenze tematicamente
caratteristiche. La seconda parte è quella dello sviluppo il quale,
attraverso molteplici modulazioni, perviene alla terza parte, cioè alla
riesposizione dei temi, entrambi nel tono principale. Dopo questo primo tempo,
la
s. comprende un Adagio, un Minuetto e un Allegro finale, sovente in
forma di Rondò. Il nuovo assetto e lo sfruttamento delle
possibilità espressive del pianoforte servirono così a far
emergere i caratteri lirici e drammatici della
s., che accompagnarono
l'affacciarsi di una sensibilità già preromantica. In Beethoven il
dualismo tematico è espressione diretta della lotta spirituale che
caratterizza il suo mondo interiore. Dapprima rispettoso della forma-
s.
praticata da Haydn, Clementi e Mozart, Beethoven accentuò il contrasto
tra i due temi, trasformò il Minuetto nel più agile e irruente
Scherzo, portò lo sviluppo centrale a un'ampiezza e drammaticità
sconosciuti ai precedenti compositori. Successivamente la
s. venne
assumendo un aspetto quasi standardizzato; la maggiore evoluzione si ebbe con la
s.
ciclica (annunciata da R. Schumann e illustrata specialmente
dalla scuola di C. Franck), in cui i diversi tempi sono svolti su motivi emanati
da uno stesso tema generatore. Tra i grandi musicisti romantici e
tardo-romantici la
s. ebbe tra i suoi cultori C.M. von Weber, F.
Schubert, R. Schumann, F. Chopin, J. Brahms, F. Liszt, mentre in Italia fu
l'opera lirica a catalizzare la forza creatrice dei maggiori compositori. Dopo
l'accademismo e l'eclettismo della seconda metà del XIX sec., nel
Novecento la
s. venne sempre più discostandosi dallo schema
classico; con la frantumazione della tonalità, base dell'architettura
tradizionale, essa fu trasformata in moderno strumento di ricerca musicale o
utilizzata, in un cosciente ritorno al passato, in forma neoclassica o barocca.
Tra i principali artefici di questa trasformazione si possono citare A.
Skrjabin, B. Bartòk, A. Berg, I. Stravinskij, S. Prokofiev, P.
Hindemith.