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Somadeva.

Poeta indiano, compose in lingua sanscrita. Membro della casta brahmanica, visse e operò alla corte del re del Kashmir Ananta, che regnò dal 1028 al 1081. Pienamente inserito nella tradizione culturale e letteraria del Medioevo indiano, S. compose in stile kavya la sua opera maggiore: Kathāsaritsāgara (L'oceano dei fiumi dei racconti). Si tratta di una raccolta novellistica ampia che l'autore redasse (come lui stesso afferma nella sezione Encomio, dedicato alla dinastia regnante del Kashmir) per intrattenere la regina Sūryavatī. Le notizie storiche contenute nell'Encomio forniscono i termini post quem e ante quem della composizione dell'opera, realizzata tra il 1063 (anno in cui il re Ananda abdicò in favore del figlio Kalas'a, notizia riportata nel testo) e il 1081 (anno di morte del re e della regina stessa, che compì il suttee rituale immolandosi sul rogo del marito). Appare anzi plausibile che l'opera fosse già compiuta almeno nel 1079, quando divampò un'aspra lotta tra Ananda e il figlio, di cui non si trova eco nelle parole del poeta. Il Kathāsaritsāgara consta di 18 libri (lambaka) suddivisi a loro volta in 124 capitoli (taranga), per un totale di oltre 21.000 strofe (s'loka) di quattro versi ciascuna. Il racconto è costruito secondo la tecnica classica della narratologia indiana, sfruttando cioè l'inserzione delle storie una dentro l'altra, e argina la proliferazione delle varie digressioni mediante il dipanarsi della storia-cornice, che tuttavia risulta essere più che un filone principale di narrazione un semplice spunto da cui prende avvio la sovrabbondanza di racconti. Essi sono infine più di 350, in rappresentanza di ogni tipo di genere narrativo: vi figurano storie di dei ed eroi, di animali parlanti e demoni notturni, di mercanti astuti e re valorosi, di incantesimi, maledizioni e magie, di pesci giganteschi e serpenti cortesi, storie di persone immensamente ricche e fortunate e di poveri derelitti, che si incastrano con brio l'una dentro l'altra in labirintiche digressioni e tutte comprese entro il racconto delle gesta del re Udayana e di suo figlio Naravāhanadatta, uno dei sette imperatori degli esseri semidivini vidyādhara. Nell'opera di S. sono incorporati anche il Vetaālapancavims'atika (I 25 racconti del Vetala) - le avventure del re Vikrama alle prese con un vetāla , cioè una sorta di vampiro - e il Pancatantra (Cinque capitoli), testo base della favolistica indiana. S. avverte il lettore che la sua opera è il compendio di un'altra, il Grande Racconto (Brhatkathā) di Gunadya, poema per noi perduto, ma che alcuni antichi ponevano allo stesso livello delle epiche maggiori. Gli studiosi hanno appurato, confrontando il Kathāsaritsāgara con altri compendi del Grande Racconto, che in realtà S. ha mantenuto una notevole indipendenza rispetto all'originale: ciò appare anche nell'introduzione dell'opera, che S. chiama Piedistallo della storia. Attribuendo l'immenso patrimonio narrativo da lui raccolto a una fonte più estesa, più antica e più autorevole, S. può adornare il suo capolavoro di un alone leggendario e sacrale: una volta S'iva narrò in segreto alla sua sposa la storia dei sette imperatori vidyādhara, ma due dei suoi servitori semidivini la ascoltarono di nascosto e furono perciò condannati dalla dea Parvati a una vita mortale. Una volta incarnati, essi avrebbero potuto liberarsi dalla maledizione solo a precise condizioni: l'uno narrando la storia carpita alle labbra di S'iva al demone Kanabhuti, l'altro (incarnatosi nell'uomo di nome Gunadya) facendosela raccontare da quello stesso demone, trascrivendola e diffondendola nel mondo. Ulteriori traversie complicano la realizzazione di questi comandi di S'iva, ma infine il Grande Racconto fu scritto e il compendio di S. anche, nobilitato da questa ascendenza divina. Il milieu religioso del Kathāsaritsāgara è ovviamente induista e in particolare s'ivaita, ma una buona parte dei racconti attesta una provenienza buddhista. L'insieme della creazione poetica è di qualità elevata e stilisticamente compiuto secondo i canoni retorici dello stile kavya (metafore, allitterazioni, doppi sensi, giochi allusivi e raffinata cesellatura delle immagini e del lessico); il tono è capace di garbo e talento, in perfetta aderenza con la gaia e variopinta materia trattata, ma anche di accenti drammatici, profondi e commossi quando la narrazione lo richiede. Motivo di interesse, oltre al grande spessore artistico, è il valore documentale dell'opera, fonte di notizie sulla vita sociale e quotidiana, religiosa, culturale e popolare dell'India in epoca medioevale (Kashmir XI sec.).