Nome con cui vengono indicati gli appartenenti a una
popolazione di stirpe indoeuropea, stanziati nell'Europa orientale. Gli
S.
si distinguono in
S. occidentali (Polacchi, Cechi, Slovacchi,
Sorabi),
S. orientali (Russi, Ucraini, Bielorussi) e
S. meridionali
(Serbi, Croati, Sloveni, Bulgari; questi ultimi, pur parlando una lingua
slava, sono prevalentemente di ceppo turco-tartaro). • Etim. - Secondo le
ipotesi più accreditate, il termine
S. andrebbe messo in relazione
al nome
slovo (parola). Questa associazione fa supporre l'intenzione di
voler distinguere gli
S.,
“i parlanti” (cioè
coloro che utilizzano un idioma comprensibile), dai Tedeschi,
“i muti” (nel senso di coloro che parlano in modo
incomprensibile). Un'altra etimologia è quella che fa risalire il nome
S. a una radice
skloav, simile al latino
cloaca
(acquitrino, canale di scolo), rintracciabile in numerosi idronomi e toponomi:
Slavica, Slawna, Slovnj, Slovna. Da ciò si deduce che il vocabolo avrebbe
avuto, in origine, il significato di “coloro che abitano presso un corso
d'acqua”. Infine, nel latino medioevale del XIII sec.
slavus
significa schiavo, a testimonianza del rilievo assunto dagli
S.
nell'alimentare il commercio degli schiavi che interessò tutta l'Europa,
dalla Germania, alla Francia, all'Italia, alla Spagna, a Bisanzio, fino al mondo
islamico. • Etn. -
Sedi originarie e diffusione: incerte e
discordanti sono le notizie sulle origini e sulla storia più antica degli
S. Le prime fonti, che risalgono ai secc. I-II d.C., sono quelle di
scrittori romani, tra cui Plinio il Vecchio e Tacito. Ad essi fecero seguito,
nel VI sec., gli storici bizantini Procopio di Cesarea e Giordane, che si
occuparono soprattutto degli Anti (
S. orientali). Queste fonti storiche
forniscono ben poche informazioni sul territorio occupato dalle popolazioni
slave prima della grande emigrazione del VI sec. d.C. Questa sede, che gli
studiosi non sono riusciti a localizzare con precisione, viene generalmente
indicata a Nord dei Carpazi, nella regione boscosa e paludosa delimitata a Est
dal Dnepr e a Ovest dalla Vistola. Si suppone che gli
S. fossero una
popolazione prevalentemente sedentaria o seminomade, la cui emigrazione e
successiva espansione su un territorio notevolmente più vasto della sede
originaria sarebbero avvenute in seguito alle invasioni di altri popoli nomadi
(Unni, Avari, Sarmati, Bulgari), che li avrebbero spinti verso Occidente e verso
Sud. Date le loro tradizioni sedentarie, gli
S. crearono nuovi
insediamenti stabili nelle aree occupate, in particolare nella penisola
balcanica. Fatta eccezione per gli
S. orientali, la cui storia segue un
corso particolare e si identifica con la storia della stessa Russia, le varie
tribù stanziatesi nei territori occidentali e meridionali non tentarono
nessuna unificazione politica; si batterono, anzi, per salvaguardare la loro
autonomia e furono spesso in lotta tra di loro, soprattutto gli
S.
meridionali: Sloveni, Serbi e Croati. I loro progenitori cominciarono a
diffondersi nella penisola balcanica all'inizio del VI sec., riversandosi in due
ondate successive contro l'Impero bizantino (517 e 527); una terza grande ondata
si ebbe poi nella seconda metà del secolo, portando alla costituzione di
un Regno croato e alla formazione di quelli che sarebbero poi divenuti i gruppi
nazionali della penisola balcanica. ║
Organizzazione sociale:
nucleo della primordiale società slava era la famiglia patriarcale,
caratterizzata dal comune possesso della terra, degli attrezzi di produzione e
del bestiame. Più famiglie costituivano una stirpe o clan, più
clan una tribù, più tribù un popolo; esigenze belliche,
inoltre, determinavano talvolta la temporanea o stabile federazione di popoli
diversi. Tutte queste organizzazioni, dalle più piccole alle più
grandi, erano guidate da un capo, coadiuvato nell'esercizio della sua
autorità da appositi Consigli di anziani. Ulteriori organi di controllo,
convocati tuttavia solo in tempo di guerra, erano le Assemblee generali dei
liberi. A partire dal VI sec., quando le popolazioni slave si trovarono
coinvolte in conflitti sempre più frequenti, il potere dei capi
andò aumentando; si assistette addirittura alla formazione di
un'aristocrazia guerriera al cui vertice si trovava il re, seguito da principi,
conti, duchi e così via. La popolazione era ripartita in due gruppi: i
liberi, i soli che godevano dei diritti civili, e gli schiavi, in genere
prigionieri di guerra. Dopo qualche anno di servizio, tuttavia, agli schiavi
veniva offerta la possibilità di scegliere se pagare un riscatto o
restare nella famiglia che li aveva ospitati ed entrare in tal modo a far parte
della società con tutti i diritti. ║
Organizzazione
giuridica: inizialmente fondata sulla legge del taglione e sul diritto del
danneggiato di vendicarsi del reo che avesse colto in flagrante, in seguito
l'organizzazione giuridica venne fondata su basi meno arbitrarie. Ciò
avvenne nel XII sec. in Boemia, nel XIII sec. in Polonia, nel XIV sec. in Russia
e nella penisola balcanica. Già nel X sec., del resto, la capacità
di legiferare e giudicare attribuita ai principi contribuì a limitare gli
eccessi individuali. ║
Cultura materiale: gli
S. si
dedicavano prevalentemente all'agricoltura, coltivando soprattutto miglio e
frumento; a questi prodotti si affiancavano la segale, l'avena e l'orzo. Altre
importanti risorse erano rappresentate dall'allevamento (animali da cortile,
cavalli, bovini, ovini e suini), dalla caccia di selvaggina e uccelli e dalla
pesca, sia fluviale sia lacustre. Gli
S. erano particolarmente abili
nella lavorazione del ferro e dei metalli pregiati, con cui fabbricavano varie
armi da caccia e strumenti da lavoro. Nella costruzione degli attrezzi venivano
largamente impiegati il legno e l'osso; quanto all'argilla, invece, essa veniva
impiegata soprattutto per produrre stoviglie. Attestata presso gli
S.
è la pratica della tessitura di fibre animali o vegetali, con cui
venivano confezionati capi di vestiario. I mezzi di trasporto più comuni
erano il carro, la slitta e le imbarcazioni fluviali e lacustri. La tecnica
militare era rudimentale: armati di archi e frecce e protetti soltanto da scudi,
gli
S. prediligevano come luoghi di combattimento le foreste e le zone
paludose o impervie, i soli dove era possibile attuare attacchi brevi e rapidi e
ritirate altrettanto veloci. Il commercio cominciò a essere praticato
soltanto dopo che vennero instaurati rapporti con Bisanzio e con l'Occidente.
║
Religione: i popoli slavi professarono la religione pagana fino
al VII sec., quando ebbe inizio la loro cristianizzazione. Le informazioni che
possediamo sulla religione slava si riferiscono esclusivamente a quella degli
S. orientali e degli
S. stanziati in prossimità del Mar
Nero. In genere, quasi tutte le indicazioni sul paganesimo slavo risalgono
all'epoca medioevale e sono state tramandate da autori cristiani. Le
divinità slave vengono presentate come incarnazioni di demoni e il loro
culto come idolatrico, basato cioè sull'identificazione della
divinità con il suo simulacro. Tra le divinità adorate un posto di
rilievo spetta a Perun, il dio supremo; accanto a Perun si ricordano Chors
seguito da Daž'bog senza la congiunzione, il che ha fatto pensare a un
unico dio, Chors Daž'bog, di natura solare; Volos, il dio degli armamenti;
Mokos, dea connessa con la filatura e altre attività femminili. Non
mancavano neppure varie collettività divine legate al mondo della natura
e delle attività umane: le Bereginje, ninfe delle sponde o dei monti; le
Vile, ninfe fluviali e lacustri, le Rozanice, divinità del destino. Per
quanto riguarda il culto, sono attestate offerte di primizie a diverse
divinità, nonché sacrifici umani. La modalità dei riti
funebri, inoltre, sembra dimostrare la credenza nell'oltretomba. • St. -
Verso la metà del XIX sec. il movimento per l'unificazione tedesca e la
creazione della Grande Germania indusse i popoli slavi ad accordarsi per una
politica comune. Il programma del movimento pangermanista era avversato da tutti
gli
S.: il nuovo grande Reich germanico, infatti, avrebbe dovuto
includere l'Austria, con la conseguente disintegrazione dell'Impero asburgico e
la sottomissione dei popoli slavi che ne facevano parte. Nel giugno 1848, in
risposta all'Assemblea tedesca di Francoforte, fu convocato a Praga un Congresso
slavo, presieduto dal leader moderato boemo Frantisek Palacky, e suddiviso in
tre settori: Cechi e Slovacchi, Serbi e Croati, Polacchi e Ruteni. Tale
suddivisione prefigurava gli Stati slavi che si sarebbero costituiti nel 1919:
Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia. Ancor più dei nazionalisti tedeschi,
risultarono politicamente divisi i nazionalisti slavi: mentre la maggioranza,
composta dai gruppi moderati, si batteva per impedire la spartizione dei popoli
e dei territori slavi tra Magiari e Tedeschi, i gruppi più estremisti e
fanatici propugnavano una grande confederazione slava, avversati in ciò
dalle potenze europee che temevano si istituisse una leadership russa nei
Balcani. In particolare, i Cechi preferivano rimanere in un'Austria in cui
fossero riconosciute le libertà fondamentali e i diritti delle minoranze;
i Polacchi aspiravano a ricostituire uno Stato nazionale indipendente, e
così pure i Serbi e Croati; gli Slovacchi, infine, erano disposti ad
accontentarsi della parità dei diritti. Nel 1867 il conflitto tra
Tedeschi e Magiari venne risolto con l'istituzione della cosiddetta Monarchia
dualica, che rinviava lo smembramento dell'Impero asburgico, mentre vennero
respinte le istanze avanzate da Cechi, Polacchi, Slovacchi, Croati, Serbi e
Rumeni. Nel frattempo, il Panslavismo del Congresso di Praga del 1848 era andato
assumendo una configurazione più realistica e, favorito dalla Russia in
virtù dei suoi piani espansionistici, si era andato trasformando in
movimento politico. Dopo il 1870, inoltre, il Panslavismo cominciò a
essere propagandato da vari scrittori, tra cui F. Dostoevskij e N.I.
Danilevskij. Quest'ultimo, in un saggio intitolato
La Russia e l'Europa,
prevedeva una lunga guerra, al termine della quale si sarebbero attuate l'unione
di tutti i popoli slavi e l'estensione della potenza slava sull'Europa centrale
e su gran parte dell'Impero turco. Ciò nondimeno, fu pressoché
nulla l'influenza del Panslavismo sulle rivolte balcaniche di quegli anni,
fomentate soprattutto da nazionalismi locali. Sommosse antiturche scoppiarono
nel 1875-76 in Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia, Bosnia e Bulgaria. Con
il Trattato di Santo Stefano del 1878, che poneva termine alla guerra
russo-turca, la Turchia riconobbe l'indipendenza della Romania, della Serbia e
del Montenegro, e della Bulgaria; quest'ultima, in particolare, uscì dal
conflitto notevolmente ampliata. Negli anni seguenti perno della politica
panslavica nei Balcani divenne la Serbia. Dopo le guerre del 1912-13, il Governo
di Vienna fu costretto a intervenire con le armi per soffocare violenti
agitazioni nazionalistiche volte a costituire una Grande Serbia e a includere in
essa tutti gli Stati a Sud del Danubio che, all'epoca, facevano parte
dell'Impero asburgico. Decisa a non tollerare ulteriori ampliamenti della
Serbia, Vienna si andò anzi convincendo della necessità di
eliminarla in quanto Stato, sia per garantire l'integrità dell'Impero
asburgico, sia per frenare le ambizioni panslaviche della Russia nei Balcani e
nell'Europa orientale. Date queste premesse, fu sufficiente l'assassinio a
Sarajevo dell'erede alla Corona asburgica, il granduca Francesco Ferdinando, per
provocare una guerra che coinvolse tutte le grandi potenze e che modificò
radicalmente la carta politica dell'Europa orientale, tracciando i confini dei
nuovi Stati nazionali slavi.