Relativo alla Siria, intesa come regione
storica. • Geogr. -
Deserto s.: regione desertica che occupa la
porzione settentrionale della penisola arabica, delimitata dalla catena
dell'Antilibano a Ovest e il fiume Eufrate a Est. Politicamente appartiene a
Siria, Giordania, Iraq e Arabia Saudita. Il territorio, privo di veri e propri
rilievi, è mosso da una serie di dossi montuosi alternati da
uidian secchi per la maggior parte dell'anno. Il terreno è formato
da rocce calcaree e basaltiche. Il clima è arido con piogge assai scarse,
concentrate per lo più nella stagione invernale, le cui acque vengono
assorbite dalle rocce calcaree dando vita a falde sotterranee che scorrono in
direzione della piana irachena e verso la zona settentrionale della penisola
arabica. Le oasi non sono numerose. Il deserto è abitato da tribù
di beduini nomadi che praticano la pastorizia. La regione ricopre una grande
importanza anche dal punto di vista commerciale poiché è
attraversata da strade asfaltate, che garantiscono le comunicazioni, e da
oleodotti che consentono il trasporto del petrolio dall'Arabia e dall'Iraq verso
il Mediterraneo. • Lett. -
Letteratura s.: complesso delle opere
letterarie in lingua
s. scritte dai cristiani della Mesopotamia, della
Siria e dell'Impero persiano. Fu essenzialmente una letteratura di argomento
religioso, sorta intorno al II sec. e protrattasi fino al XIV sec. Fu una delle
più importanti letterature cristiano-orientali, perché nei secoli
si pose come tramite e sintesi tra la cultura greca, bizantina, iraniana e,
più tardi, araba. La prima opera della letteratura
s. pare fosse
la traduzione dell'Antico Testamento, risalente al II sec., seguita dalla
traduzione del Nuovo Testamento (entrambe chiamate
Pěshittā:
semplice). Ad esse si affianca il
Libro delle leggi dei paesi, scritto da
Bardasane di Edessa, scrittore gnostico fondatore di una scuola letteraria dalla
quale emersero talenti come Afraate il Persiano, ritenuto autore di numerose e
importanti opere morali e teologiche. Figura di grande spessore letterario
è anche quella di Efrem il Siro, considerato il più grande
scrittore e poeta
s. A lui si deve infatti la creazione degli inni
siriani e la sistemazione della loro struttura con l'invenzione della
madhrāsā (istruzione), inno didattico, del cantico detto
soghjitā, dell'omelia nota col nome di
mimrā, che non
prevedeva la suddivisione in strofe e che poteva dunque essere utilizzata anche
per narrazioni di tipo storico. Tra il V e il VII sec. a Nisibi, Edessa e
Seleucia sorsero numerose scuole di studi teologici e di esegesi biblica nelle
quali operarono scrittori di grande rilievo come Rabbūlā, che tradusse
gli scritti di Cirillo d'Alessandria. Contemporaneamente si assistette alla
scissione tra giacobiti (V.) e nestoriani
(V. NESTORIANESIMO), che ebbe forti ripercussioni
anche sulla lingua e la letteratura
s. determinando la nascita di due
scuole culturali distinte. Tra i nestoriani si distinsero le figure del poeta
Narsai, di Mār Ābā, Abramo di Kashkar e di Bābai il Grande,
autore di oltre 90 opere tra cui il trattato sulla natura di Cristo intitolato
Sull'unione. Tra i giacobiti figurano Giacomo di Sarūg, Filossene di
Mabbūgh, Simeone di Bēt Arshām, noto anche come il Sofista
persiano, e Giovanni di Efeso, autore delle
Vite dei beati orientali.
Negli stessi secoli furono avviate importanti traduzioni di testi greci
(Ippocrate, Galeno, Plutarco, Platone, Aristotele, Porfirio) e pahlavici (come
il
Libro di Kalila e Dimna e
Barlaam e Iosafat). L'avvento degli
Arabi nel VII sec. non pose fine alla produzione letteraria
s.,
poiché i musulmani rispettarono la cultura già esistente e
imposero solo l'uso della lingua parlata. Tra il VII e il IX sec. fiorirono
dunque le opere del monofisita Iacopo di Edessa, che redasse un'importante
grammatica oltre a varie opere di teologia e liturgia, del patriarca Dionisio,
autore di opere storiografiche, di Giacomo delle Nazioni e di Mosè Bar
Kēfā. Tra i nestoriani emersero le figure del patriarca
Īsō'jabh III, di Timoteo, di Teodoro bar Kōnai e del
vescovo Tommaso di Margā, al quale si deve un'imponente raccolta di
biografie di abati, monaci, patriarchi e uomini religiosi in generale. A partire
dal X sec. la letteratura
s. iniziò un lento e progressivo
declino, benché intorno al 1150 conobbe un periodo di rinnovato splendore
grazie soprattutto alle opere dei monofisiti. Nei secoli successivi le figure
più importanti tra i giacobiti furono quelle di Dioniso bar
Salībhī (m. 1171), Bar' Ebhrāiā (1226-1286),
dimostratosi il più prolifico scrittore
s. di tutti i tempi e il
più originale grazie al
Libro dei racconti ridicoli, unica opera
di argomento profano nell'ambito della letteratura
s. Tra i nestoriani va
ricordato il metropolita di Nisibi Ebedesju (m. 1318), autore di oltre 50
memrā (lettura intonata) di argomento teologico e di un
Catalogo metrico. • Ling. -
Lingua s.: antico dialetto
aramaico orientale parlato a Edessa e nella zona di Osroene, scelto come lingua
liturgica dalla Chiesa
s. nel II sec. La sua diffusione fu favorita
dall'opera dei missionari nestoriani, grazie ai quali giunse fino in Asia
centrale e in Estremo Oriente, come testimoniano alcune iscrizioni rinvenute in
Cina. Morfologicamente simile all'aramaico, il
s. si distinse per la
sintassi che concedeva una maggiore libertà nella costruzione della frase
e faceva ampio ricorso all'uso delle subordinate. La scissione religiosa tra
giacobiti e nestoriani influì anche sulla lingua che si
differenziò, soprattutto dal punto di vista vocalico, a seconda della
confessione che la utilizzava: si ebbe dunque il
s.
giacobitico o
occidentale e il
s. nestoriano o
orientale. Dopo il VII
sec. il
s. venne sostituito dall'arabo come lingua parlata, ma rimase in
uso come lingua scritta per i testi liturgici e letterari almeno fino al XIII
sec. Alcune forme dialettali sono sopravvissute nel tempo e sono ancora parlate
da gruppi ristretti dell'Armenia e dell'Iraq: in esse è possibile
riconoscere il forte influsso delle lingue curda, turca e araba dalle quali sono
stati mutati molti vocaboli. • St. -
Guerre s.: locuzione con cui
vengono indicate sei guerre combattute durante il III e il II sec. a.C. tra i
Seleucidi e i Tolomei, il cui scopo principale era la conquista del territorio
della Celesiria. ║
Prima guerra s. (276-271 a.C.): Tolomeo II
sconfisse Antioco I e si impadronì del territorio compreso tra la Ionia e
la Cilicia. ║
Seconda guerra s. (260-253 a.C.): Antioco II chiese e
ottenne l'appoggio di Antigono Gonata e riuscì a riconquistare gran parte
del litorale anatolico e la Fenicia fino a Sidone. ║
Terza guerra
s. (246-241 a.C.): la morte di Antioco II provocò una grave crisi
ereditaria alla quale prese parte anche Tolomeo III, intervenuto per tutelare
gli interessi della sorella Berenice moglie di Antioco. Nel 246 a.C. invase la
Siria, impadronendosi di Selucia sul Tigri, ma venne fermato da Antigono Gonata,
alleato di Seleuco II, che lo sconfisse presso Andro. ║
Quarta guerra
s. (221-217 a.C.): Antioco III penetrò in Celesiria ma fu sconfitto
da Tolomeo IV a Rafia, perdendo tutti i territori precedentemente conquistati, a
parte Seleucia in Pieria. ║
Quinta guerra s. (201-198 a.C.):
Antioco III, tornato all'attacco della Celesiria, ebbe ragione del nemico,
sconfiggendolo a Panion, e restaurando il dominio su tutta la regione e i
territori dell'Asia Minore. ║
Sesta guerra s. (170-168 a.C.): dopo
aver occupato parte dell'Egitto e aver catturato Tolomeo VI, Antioco IV fu
costretto a ritirarsi dall'intervento dei Romani guidati da Caio Popilio Lenate.