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Sionismo.

(da Sion, nome della collina su cui sorge Gerusalemme). Movimento di rinascita del popolo ebraico, sorto negli ultimi decenni del XIX sec., allo scopo di costituire una patria nazionale ebraica in Palestina garantita anche dal “diritto pubblico e internazionale”. • Encicl. - Il termine S. fu coniato nel 1890 dallo scrittore N. Birnaum che nelle sue opere perorava il ritorno degli Ebrei alla loro sede storica secondo un ideale distinto e preminente rispetto a qualsiasi altra considerazione politica o religiosa. In realtà gli antefatti storici, sociali, culturali e politici del S. sono di gran lunga più antichi e comunque collegati all'aspirazione comune a tutti gli Ebrei della Diaspora, a partire dalla loro dispersione nel 70 d.C. dopo la distruzione del secondo Tempio, di tornare in Palestina (tale aspirazione è testimoniata dalla cosiddetta preghiera del Ritorno, che conclude la celebrazione di Pesach e recita: “L'anno prossimo a Gerusalemme!”). La drammatica situazione delle comunità ebraiche in Europa - strette tra la più cruenta persecuzione dei pogrom nelle terre slave (Russia e Polonia in particolare) e il diffondersi di atteggiamenti antisemiti anche nei confronti delle comunità più assimilate dell'Europa occidentale, come nel caso dell'affaire Dreyfus - contribuì alla nascita di esperienze che precorsero il movimento sionista vero e proprio. Tra queste ricordiamo quella degli Amici di Sion, associazione massimamente rappresentata da Leo Pinsker (1821-1894), secondo il quale il popolo ebraico doveva riscattarsi autonomamente dalla propria condizione mediante una sorta di autoemancipazione. Per questo i Bilu, studenti ebrei delle università russe, polacche e slave in generale, promossero intorno al 1880 la prima alyah (salita, immigrazione) in Palestina, sostenuti finanziariamente in primo luogo dal barone E. Rothschild. L'insuccesso di questa prima migrazione fu spiegato, da parte di Ascer Ginzberg (fondatore del movimento Amore per Sion), in termini di scarsa tensione spirituale: secondo Ginzberg infatti la rinascita morale del popolo ebraico era prerequisito indispensabile per una sua liberazione politica. Vero fondatore del S. politico fu tuttavia Theodor Herzl (V.): giornalista politico, si convinse che l'unica possibile soluzione alla ormai millenaria discriminazione e persecuzione ai danni del popolo ebreo fosse la creazione di una patria sicura per gli Ebrei non assimilati. Nel 1896, egli espose organicamente il suo pensiero nel volume Judenstaat (Lo Stato ebraico), proponendo la creazione di uno Stato ebraico in Palestina o, in seconda battuta, anche in un altra regione del mondo. Le tesi sioniste furono osteggiate da un lato dagli Ebrei assimilati, che vedevano come una minaccia alla loro legittima appartenenza ad altre Nazioni la creazione di uno Stato pienamente ebraico, dall'altro dall'ortodossia rabbinica, che nella matrice squisitamente laica del S. ravvisava il rifiuto della tradizione religiosa. Ciò nonostante, nel 1897 si svolse a Basilea il primo Congresso del movimento sionista: 204 delegati delle comunità ebraiche stabilirono le principali linee programmatiche del movimento e diedero vita alle principali strutture dell'organizzazione, dotandola altresì di una bandiera (ispirata alla forma e ai colori del tradizionale mantello di preghiera ebraico) e di un inno (Atikwa: speranza, un brano tratto dalla Moldava di B. Smetana). Con il Programma di Basilea, il movimento sionista si proponeva di: 1) promuovere l'immigrazione di Ebrei in Palestina; 2) condurre un'opera di educazione culturale, sociale e politica che formasse i futuri immigrati come cittadini di uno Stato ebraico e indipendente; 3) operare nei confronti dell'autorità ottomana (a quei tempi la Palestina era infatti una provincia dell'Impero turco) al fine di ottenere condizioni agevolate per l'acquisto di terre incolte e abbandonate appartenenti al demanio statale. Questo programma fu ampliato e ulteriormente precisato nel corso di successivi congressi, in particolare quelli che si tennero annualmente fino al 1903 e, con periodicità biennale, dal 1905 al 1935 (a esclusione degli anni in cui si svolse la prima guerra mondiale). Nei primi anni di vita del S. si confrontarono e scontrarono diverse tendenze dei suoi aderenti: da un lato trovò spazio l'opzione, per così dire, pratica che vedeva nella colonizzazione delle terre il principale strumento di riscatto del popolo ma anche la possibilità di vantare, in un secondo tempo, diritti sulla regione che fossero più significativi rispetto ad un incerto diritto storico sulla sede geografica originaria dell'antico Stato ebraico. Coerentemente a questa linea di pensiero venne fondato nel 1901 il Fondo nazionale ebraico, istituto preposto all'acquisto di terreni in Palestina considerati come patrimonio complessivo del popolo ebraico. La tendenza religiosa - che interpretava la rinascita nazionale nel senso di una riaffermazione dei valori tradizionali dell'Ebraismo - trovò espressione nei progetti di costituzione in Palestina di scuole, centri di cultura e anche di un'università a Gerusalemme (che fu effettivamente inaugurata nel 1925). Tra i più significativi risultati dell'opzione tradizionale si conta il fatto (unico nel panorama delle culture di tutto il mondo) della rinascita dell'antico ebraico che, da lingua sacra e morta, è tornato a essere un idioma vivo, oggi lingua ufficiale e d'uso dello Stato di Israele e mezzo espressivo di una fiorente e vivace letteratura. L'opzione politica di Herzl, tuttavia, rimase a lungo la principale anima del S., mirando a ottenere, per mezzo di un'intensa attività diplomatica nei confronti delle maggiori Nazioni europee e degli Stati Uniti, una legittimazione internazionale al progetto sionista, una sorta di garanzia che tutelasse l'intensa immigrazione ebraica in Palestina. La morte di Herzl nel 1904 comportò un momento di crisi nel movimento, in cui si fronteggiarono l'ispirazione tradizionale e quella socialista, che propugnava il rifiuto dell'identità religiosa in favore di un rinnovamento in senso laico; Ch. Weizmann (1874-1952), infine, riuscì a condurre sotto la sua guida un'opera di mediazione all'insegna del pragmatismo. Grazie a strumenti politici e finanziari come l'istituto bancario Jewish Colonial Trust o il Fondo nazionale ebraico, tra il 1903 (anno in cui il Congresso rifiutò l'offerta britannica di un territorio in Uganda) e il 1914 l'attività sionista poté raggiungere l'obiettivo di un significativo aumento della popolazione ebraica residente in Palestina, accompagnato da un incremento delle aziende agricole, degli istituti di istruzione e diffusione della lingua e della cultura ebraiche. Il fenomeno è oggi comunemente indicato come seconda alyah. Lo scoppio della prima guerra mondiale, se da un lato comportò una stasi in termini di nuovi insediamenti, giovò tuttavia alla causa sionista in termini di riconoscimento internazionale. La creazione, da parte degli Ebrei di Palestina, di una Legione ebraica che combatté accanto all'esercito britannico facilitò le trattative dei diplomatici sionisti con il Regno Unito, cui la Società delle Nazioni aveva offerto il mandato sulla regione. Da questa situazione ebbe origine la celebre Dichiarazione Balfour del 1917: essa era contenuta in una lettera inviata il 2 novembre 1917 dal ministro degli Esteri britannico A.J. Balfour a lord Rothschild, in cui si dichiarava come il Governo britannico considerasse “favorevolmente la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico” compiendo “tutti gli sforzi per facilitare la realizzazione di questo progetto”. A guerra conclusa, la Società delle Nazioni impegnò la potenza mandataria della Palestina a rispettare quanto dichiarato da Balfour, collaborando anche con l'Agenzia ebraica, istituto sionista fondato allo scopo di coordinare sia la corrente migratoria ebraica, sia l'afflusso di investimenti finanziari e produttivi nella regione. Accanto all'attività agricola, che rimaneva comunque centrale nella forma delle aziende agricole collettive (kibbuz) destinate al riscatto della terra, si avviò così un primo processo di industrializzazione. Tra il 1919 e il 1929 si verificarono così la terza e la quarta alyah, che condussero in Palestina circa 100.000 nuovi coloni ebrei. La comunità sionista di Palestina (Ishuv) si dotò di strutture analoghe a quelle di un'entità statale: un'assemblea elettiva e un esecutivo per guidare le decisioni politiche; un'organizzazione sindacale (Histadrut); un corpo militare (ovviamente clandestino) per la difesa dei coloni e dei kibbuz (l'Haganah, sorta nel 1920, cui si aggiunsero nel 1937 e nel 1939 i gruppi radicali e ad evoluzione terrorista dell'Irgun e del Gruppo Stern); infrastrutture sanitarie, scolastiche e amministrative. Com'è ovvio, l'evolversi e il rafforzarsi della presenza ebraica esasperò le tensioni tra i coloni e la popolazione arabo-palestinese, cui, in quegli stessi anni, corrispose un mutamento dell'atteggiamento inglese nei confronti del progetto sionista. Nel 1922 il mandato britannico, che in origine comprendeva l'intera Palestina, fu ridotto alla sola sezione occidentale di quella regione, mentre sulla riva sinistra del Giordano fu creato lo Stato di Transgiordania (odierna Giordania) che Churchill volle affidare al suo alleato, il sovrano ashemita Faysal, cacciato dalla Siria ormai protettorato francese. La Gran Bretagna, infatti, si trovava nelle difficile situazione di dover compensare, per l'appoggio ricevuto nella lotta contro l'Impero ottomano, da un lato le organizzazioni sioniste destinatarie della dichiarazione Balfour, dall'altro le popolazioni arabe cui aveva promesso l'indipendenza. Queste ultime, ormai, vedevano l'immigrazione ebraica come impedimento allo sviluppo dell'indipendenza araba in Palestina e, nonostante la creazione del Regno giordano, reclamarono - con pesanti disordini scoppiati contro gli insediamenti ebraici nel 1920 - una restrizione dei permessi di immigrazione per nuovi coloni. Nel 1920, e ancora dopo ulteriori e gravi scontri nel 1930, il Governo britannico emanò delle norme pesantemente antisioniste, limitanti sia l'immigrazione ebraica in Palestina sia l'acquisto di terre da parte di organizzazioni sioniste o di privati ebrei. Proprio alla vigilia delle persecuzioni naziste in Europa l'attività sionista subiva perciò un colpo molto duro. Ciò nonostante, a partire dalla presa del potere di Hitler nel 1933, si verificò una quinta alyah, quasi completamente illegale, e costituita in gran parte da Ebrei tedeschi in fuga. In questi anni si moltiplicarono le attività clandestine del movimento sionista in generale e dell'Agenzia ebraica in particolare, sia per quanto riguardava l'immigrazione (numerosi uffici vennero aperti nelle maggiori città europee fino allo scoppio della guerra per aiutare a partire Ebrei espulsi o fuggiaschi) sia per quanto riguardava la difesa interna dalla montante offensiva arabo-palestinese. Tra il 1936 e il 1939 si raggiunse l'apice della guerriglia, con sanguinosi assalti alle colonie ebraiche da parte di bande arabe: nel 1937 la Gran Bretagna cercò una soluzione proponendo la divisione della regione in due Stati, uno arabo-palestinese e uno ebraico. Mentre i sionisti si dimostrarono favorevoli alla soluzione, i Palestinesi, appoggiati dagli Stati arabi, la rifiutarono, di modo che essa venne cassata dalla stessa Gran Bretagna che, con l'avvicinarsi della guerra, aveva sempre maggiore necessità di assicurarsi il favore degli Arabi in Medio Oriente. Nonostante la situazione palestinese, il S., in tutte le sue strutture e organizzazioni militari e civili, si schierò a fianco della Gran Bretagna nel conflitto (molti ufficiali dell'Haganah si arruolarono direttamente nell'esercito britannico), senza per questo cessare le attività clandestine in Palestina. Al termine della guerra, un nuovo Congresso sionista rivendicò la concessione di uno Stato ebraico in Palestina e l'immediata libertà di immigrazione per tutti i sopravvissuti allo sterminio nazista. Pur godendo di largo appoggio presso la comunità internazionale (e primi fra tutti gli Stati Uniti), i sionisti dovettero affrontare l'intransigenza britannica e l'ostilità del mondo arabo. La vertenza infine fu affidata alla neonata Organizzazione delle Nazioni Unite, che nel 1947 dichiarò esaurito il mandato britannico in Palestina, secondo l'estensione territoriale del 1922, e ne votò la spartizione in due Stati autonomi e indipendenti per i due popoli in lotta. Il 14 maggio 1948 Ben Gurion, primo ministro, dichiarò la nascita dello Stato d'Israele, ma la vittoria sionista dovette essere ratificata con uno scontro armato, dal momento che Palestinesi e mondo arabo rifiutarono la decisione dell'ONU e cercarono di ottenere con le armi il diritto all'intera Palestina. Benché la funzione storicamente principale del S. appaia esaurita con la proclamazione dello Stato di Israele, non appare affatto conclusa la sua valenza politico-culturale nel dibattito che periodicamente attraversa la società israeliana in merito alla propria natura (se debba cioè essere preservata assolutamente la maggioranza della componente ebraica o se sia accettabile uno Stato di tipo binazionale). La maggiore espressione del pensiero sionista dopo la nascita di Israele fu comunque la promulgazione della cosiddetta “Legge del ritorno” (1950), con la quale si attribuiva ad ogni Ebreo il diritto di immigrazione e cittadinanza (V. anche PALESTINA e ISRAELE).